Un argomento che si può a buon diritto definire veramente “spinoso” , è quello affrontato in un articolo riportato dal Corriere della Sera del 27 giugno 2011 dal titolo:
Quando l’uomo perse le spine (del pene).
La clamorosa notizia in realtà era stata già pubblicata sulla rivista Nature online nel marzo del 2011.
Queste particolari “spine” sono infatti presenti nell’anatomia di alcuni primati come gli scimpanzé ma anche nei gatti.
Come viene riferito nell’articolo, la teoria più accreditata è quella che sostiene che: “nelle altre specie, il pene “spinoso” sia un tratto emerso nei millenni perché conveniente per un preciso scopo: in un ambiente in cui le femmine erano solite accoppiarsi con più partner, le spine erano in grado di rimuovere lo sperma degli altri maschi dal canale vaginale della femmina garantendo maggiori probabilità di essere il responsabile della fecondazione.”
Siamo veramente confortati da questa visione della specie umana, una visione che mostra i nostri simili come individui caratterizzati da comportamenti casti e fedeli, una visione nella quale il motivo per cui le spine non sono comparse nell’uomo va individuato nel suo comportamento virtuoso (merito ovviamente anche delle donne virtuose). Ma non facciamo in tempo riflettere su tutte le ingiuste maldicenze che circolano sui comportamenti libertini della nostra specie che subito si affaccia un’ipotesi scientificamente più rilevante.
Infatti l’affermazione più interessante che emerge dallo studio del Prof. Gill Bejerano della Stanford University, è che secondo gli studiosi la differenza tra l’uomo è lo scimpanzé non è in quello che l’uomo ha acquisito nel tempo, ma nei tratti di DNA che sono andati perduti: “Il team, dunque, piuttosto che cercare quel che l’uomo ha in più rispetto alle altre specie strettamente imparentate, ha ricercato quei pezzi di Dna che nel percorso evolutivo la specie umana aveva perso rispetto allo scimpanzé”.
Ma se è vero che il nostro DNA contiene pezzi in meno rispetto a quelli dello scimpanzé, questa è una notizia che farà piacere a Maciej Giertych, professore di biologia delle popolazioni, nonché membro non iscritto del Parlamento europeo e antidarwiniano convinto. Il prof. Giertych è infatti un sostenitore della teoria che la microevoluzione sia solo il frutto della perdita di informazioni e non della comparsa di nuovi geni o mutazioni.
Ebbene sì, a ben vedere si tratta proprio di una questione “spinosa”.