San Paolo riprende San Pietro (Guido Reni, 1605)
Quando la ragione resiste all’autorità in errore
di Giorgio Masiero
Come Georges Lemaître, fisico e teologo, corresse Einstein da un pregiudizio metafisico e Pio XII da un fraintendimento scientifico
Nel 1493 Alessandro VI promulgò la bolla “Inter cætera” con la quale divideva il mondo nuovo tra Castiglia e Portogallo per mezzo d’un meridiano. Negli anni la prescrizione fu gradualmente dimenticata dai due stati, perché i portoghesi si considerarono penalizzati dal papa aragonese, ma soprattutto perché l’immensità del globo e la concorrenza degli altri paesi europei trovarono l’equilibrio della ripartizione coloniale con altri mezzi, i soliti della politica e della guerra. Questo non è il solo esempio d’un papa che sbaglia quando esce dal suo campo. Il beato John Newman, nella lettera al duca di Norfolk, elenca gli errori di altri pontefici, da Liberio a Gregorio XIII a Sisto V allo stesso San Pietro, di cui San Paolo scrisse riguardo ad un episodio accaduto ad Antiochia: “Mi opposi a Pietro a viso aperto, perché aveva torto” (Lettera ai Galati, II, 11). Urbano VIII invece aveva ragione nel “caso Galileo” dal punto di vista scientifico, ma errò proprio là dove non doveva, nel confondere le ragioni della teologia con quelle della fisica, oltre che le funzioni della profezia con quelle della politica: così “traspose indebitamente nel regno della dottrina della fede una domanda che appartiene alla ricerca scientifica” (San Giovanni Paolo II). Più recentemente è toccato a Georges Lemaître correggere un papa. Fu infatti questo fisico gesuita a trattenere Pio XII da ripetere l’errore, cui lo avevano indotto scienziati troppo zelanti, di usare il Big bang a prova scientifica della creazione divina, confondendo i conti paralleli e complementari che teologia e fisica fanno del mondo. Sul “conto” spettante alla teologia non tornerò qui in modo dettagliato, rinviando il Lettore interessato ad un mio passato articolo.
Non esito a definire Lemaître (Charleroi, 1894 – Lovanio, 1966), di cui CS ha ricordato lunedì i 50 anni dalla morte con un articolo di Marco Respinti, il padre della cosmologia moderna. Fu il primo infatti, nel 1927, a spiegare come effetto dell’espansione dell’universo lo spostamento verso il rosso degli spettri galattici, osservato nel decennio precedente da Vesto Slipher e da Edwin Hubble. Utilizzando un modello di universo sferico ad espansione esponenziale (oggi chiamato di Eddington-Lemaître), anticipò correttamente la legge che Hubble pubblicherà 2 anni dopo, secondo cui la velocità di fuga delle galassie lontane è proporzionale alla loro distanza dalla Terra. Se il suo nome non gode in cosmologia degli stessi onori di Einstein, Eddington, Hubble o Gamov, si deve solo al fatto che, oltre ad essere uno scienziato, era un prete.
Da giovane, dopo essersi iscritto alla facoltà d’ingegneria dell’università cattolica di Lovanio, si trasferì a fisica e matematica, dove si laureò nel 1920 con una tesi sull’approssimazione delle funzioni di più variabili reali. Seguirono 3 anni di seminario, durante i quali accompagnò l’approfondimento della fisica, in particolare della relatività generale, allo studio della teologia. Ordinato sacerdote, una borsa di studio gli consentì di andare a Cambridge, dove seguì le lezioni di astrofisica di Arthur Eddington. Di qui si trasferì nel 1925 al M.I.T. di Boston e all’Osservatorio astronomico di Harvard. Divenuto uno specialista a livello mondiale di relatività, poté giovarsi di masse di nuovi dati astronomici e delle macchine di calcolo più moderne, così da scrivere il grande articolo dell’aprile 1927: “Un univers homogène de masse constante et de rayon croissant, rendant compte de la vitesse radiale des nébuleuses extra-galactiques”.
In questo lavoro Lemaître avanzò una teoria rivoluzionaria: l’universo non è un oggetto statico, ma ebbe inizio dall’esplosione di un “atomo primordiale”. Oggi, con il Big bang diventato un concetto di consumo e confusione di massa, la cosa non fa più sensazione; molta opposizione incontrò invece allora, da Einstein e dagli altri scienziati del tempo…, fino a Fred Hoyle cui si deve l’invenzione per burla del termine “Big bang”. L’importanza monumentale di Lemaître sta nell’aver storicizzato l’universo. Per tutti i secoli prima di lui, l’idea di un’espansione cosmica fu fuori dell’immaginazione umana: l’universo fu sempre considerato fisso ed immutabile e l’idea che esso potesse evolvere era semplicemente inconcepibile. Per merito del fisico belga, anche l’universo nella sua interezza è diventato oggetto d’indagine scientifica, con il tempo a giocarvi il ruolo primario. Il 1927 fu un vero e proprio anno di svolta nella storia della scienza naturale: “Di tutte le grandi predizioni fatte nei secoli dalla scienza,” celebrò col senno di mezzo secolo dopo il fisico pluripremiato John Wheeler, “ce n’è mai stata una maggiore di questa che prediceva, e prediceva correttamente, e lo faceva contro ogni immaginazione, un fenomeno così fantastico come l’espansione dell’universo?”.
Anche il suo maestro di Cambridge, Eddington, gli espresse inizialmente “disgusto”, ma Lemaître insisté a spiegare a tutti che la sua idea non era collegata a motivazioni filosofiche o teologiche; piuttosto era la naturale conseguenza di teorie fisiche ultra corroborate come la termodinamica, la relatività generale e la nuova fisica dei quanti. L’inizio dell’universo, da non confondere con la sua origine – questa sì una questione metafisica! –, è per Lemaître semplicemente lo stato di minima entropia dove tutta la materia-energia è concentrata in un quanto. Materia, spazio e tempo nascono dalla disintegrazione progressiva d’un unico “atomo” (nel senso etimologico di oggetto inscindibile), perfettamente omogeneo, ad entropia minimale.
Il primo modello sarà negli anni modificato, da lui e dai fisici venuti dopo di lui. Oggi la formazione dei vari nuclei atomici non è più spiegata a partire dalla deflagrazione d’un uovo primigenio, ma dalla graduale condensazione d’un “brodo” di particelle elementari iniziali: quark e leptoni. Tuttavia quel modello predisse, oltre alla recessione galattica, un fenomeno che sarebbe stato osservato nel 1967, un anno dopo la morte di Lemaître: la radiazione cosmica di fondo. Con questa scoperta, che avrebbe procurato il premio Nobel ai due osservatori sperimentali (ma non in via postuma al predittore matematico di 40 anni prima), il modello del Big bang fu definitivamente sdoganato nella comunità scientifica. Lemaître assegnava la radiazione fossile direttamente alle particelle sprigionatesi nell’esplosione dell’uovo primordiale, oggi sappiamo che si tratta della radiazione elettromagnetica rilasciata dal materiale primigenio, la cui temperatura è di circa -270 °C.
Estratto dalle conclusioni dell’articolo di Lemaître del 1927. Notiamo il punto 2., da cui facilmente s’intende la non confrontabilità del modello fisico-matematico di Big bang col concetto teologico di Creazione, e il punto 3., dove per la prima volta si spiega l’osservata recessione delle galassie come effetto dell’espansione dello spazio. Tra le righe finali, leggiamo l’umile orgoglio con cui l’Autore rivendica alla propria teoria la somma dei vantaggi delle soluzioni di de Sitter e di Einstein, senza però infierire sui difetti dei precedenti modelli che contro i fatti assegnavano massa totale nulla all’universo (de Sitter) o non spiegavano affatto la recessione (Einstein). Infine notiamo l’originale affermazione che “la maggior parte dell’universo è per sempre fuori dalla nostra portata”. A Lemaître si deve dunque, anche, l’introduzione del concetto scientifico di universo osservabile.
Il modello di Lemaître più raffinato di universo è sferico, non più esponenziale ma con un’espansione distinta in 3 fasi:
- nella prima, dalla singolarità iniziale si sviluppa uno scoppio seguito da un’espansione decelerata;
- segue una fase piatta, durante la quale l’universo è simile a quello statico voluto da Einstein;
- per ultima, c’è una fase di espansione veloce.
Un “universo esitante” lo chiamò il cosmologo belga nella sua tesi di dottorato al M.I.T., oggi denominato modello di Lemaître-Tolman-Bondi, che spiegava anche la formazione delle grandi strutture cosmiche (galassie ed ammassi) come derivate da condensazione per attrazione gravitazionale della materia durante la seconda fase quasi-statica. Però, perché tale soluzione consegua matematicamente dalla relatività generale, bisogna correggere le equazioni di Einstein introducendo una costante. Al genio recalcitrante, Lemaître replicò che la costante, oltre che necessaria all’astronomia di Hubble, era giustificata dalla natura quantistica dei momenti iniziali. Oggi sappiamo che Lemaître aveva ragione ed Einstein torto: la costante cosmologica è divenuta uno standard delle equazioni della relatività generale ed il suo valore è interpretato come l’energia del vuoto quantistico.
Le discussioni tra Lemaître ed Einstein furono in ogni caso molto feconde. In seguito ad una di queste, il prete cosmologo arrivò a dimostrare che l’anisotropia e l’inomogeneità immaginate da alcuni fisici, “soprattutto sovietici” (Stephen Hawking), nello sforzo metafisico di rimuovere l’inizio del tempo con universi oscillatori fatti di fasi alterne di espansione e di collasso (modelli Big bang – Big crunch), non hanno efficacia: permane in tutti almeno una singolarità spazio-temporale. Lemaître precedette così anche Roger Penrose e Hawking nei loro famosi teoremi, dove si prova che, sotto larghe condizioni, le singolarità non sono eliminabili.
Egli dovette le sue scoperte di fisica al fatto di padroneggiare in modo formidabile la matematica. Di fatto, nel calcolo numerico era in anticipo sui tempi, sia nella teoria matematica che nella tecnologia delle macchine di calcolo. Per esempio, fu uno degli inventori dell’FFT, la tecnica moderna della trasformata di Fourier veloce. Quanto alle macchine, fin dagli anni ’30 aveva utilizzato un calcolatore analogico messo a punto al M.I.T., capace di risolvere numericamente e anche di disegnare le soluzioni dei sistemi di equazioni differenziali. Dopo la seconda guerra mondiale, a Lovanio usò macchine elettro-meccaniche (i primi moderni computer) con cui determinò, tra l’altro, le frequenze e i modi di vibrazione della molecola di monodeutero-etilene. Cosicché Lemaître può considerarsi anche uno dei primi programmatori europei.
Pubblicò inoltre bellissimi articoli – che ricordo avendoli letti durante la preparazione della tesi di laurea – riguardanti una generalizzazione della forma quaternionica data da Eddington all’equazione di Dirac dell’elettrone. In questa forma l’equazione appare invariante sotto l’azione del gruppo di spin associato al gruppo pseudo-ortogonale SO(3,3). Questo studio e l’attenta lettura delle opere del grande matematico Cartan lo portarono ad interessarsi alla teoria degli spinori, sia matematicamente che storicamente.
Lemaître fu un prete profondamente attaccato alla sua fede. Era membro d’una fraternità sacerdotale, “Gli Amici di Gesù”, che impegna ad una vocazione vissuta radicalmente nel rispetto dei voti. Ma tenne sempre separate la fisica dalla teologia nel metodo e nel lavoro, se non nell’anima (ciò che sarebbe impossibile). In particolare, nessuna confusione mai ammise tra la singolarità fisico-matematica dei momenti iniziali del cosmo, che appartiene alla scienza naturale, e la creazione divina, che appartiene alla Rivelazione. Nel 1951, Pio XII, in un’allocuzione all’assemblea della Pontificia Accademia delle Scienze, aveva citato una frase del fisico Edmund Whittaker che accostava il Big bang alla Genesi commettendo l’errore uguale ed opposto degli scienziati che mettono i due racconti in contraddizione. Lemaître non era presente, ma qualche tempo più tardi intervenne presso il pontefice e questi, in tutti i suoi discorsi successivi, non collegherà più il Big bang alla Creazione.
C’è una questione grande come una montagna – anzi di più: grande come il mondo intero – che affiora ogni volta che si parla di Big bang: risalendo indietro fino all’atomo primordiale, alla singolarità iniziale, che cosa accadeva prima dell’espansione? La risposta standard della fisica è: “Nulla”. Lo spazio era chiuso intorno all’uovo e nulla succede dove non c’è lo spazio in cui possa succedere, spiegano i fisici in coro. Né il tempo ha alcun significato in un mondo perfettamente statico com’è quello dell’atomo primordiale, aggiungono ineccepibilmente. Si comincia a contare il tempo quando lo spazio comincia a formarsi. E da 14 miliardi di anni lo spazio si espande, si formano le stelle, ecc., ecc. Tale è il racconto ufficiale della fisica, che ho più volte riferito, l’ultima volta in questo articolo.
Questo nulla accaduto fino al Big bang è tuttavia una sentenza un po’ presuntuosa, mentre la risposta corretta in bocca ad uno scienziato dovrebbe essere: “Non sappiamo”. È vero che in base alla relatività generale lo spazio e il tempo si dipanano a partire dall’espansione e che pertanto non abbiamo un prima da misurare con l’orologio; tuttavia nemmeno abbiamo il diritto di ritenere che nello stato embrionale la relatività generale sia corretta… La verità dunque è che “Non sappiamo”. Purtroppo, caro Lettore, incontrerai ai nostri giorni pochi scienziati sufficientemente onesti da dare in pubblico questa risposta.
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28 commenti
Grazie, Giorgio, per averci presentato questo geniale prete-scienziato e per averci chiarito molte idee sul confine tra scienza e metafisica. Io personalmente parecchie volte ho dovuto corregge amici coetanei molto confusi che dicevano “io non credo in Dio ma nel Big Bang”, ogni volta mi schiaffeggiavo da solo e provavo a dare il mio contributo di studente di fisica. Purtroppo è colpa della cattiva divulgazione, che cerchiamo di contrastare su CS.
Confermo che la frase “credere in Dio o nel Big Bang” l’ho sentita più volte e la considero una prova del fallimento educativo alla scienza, ma si tratta di un fallimento che ha dei responsabili precisi che sono tutti quelli che hanno voluto strumentalizzare la scienza per la loro ideologia ateizzante.
Gli stessi che si stracciano le vesti se qualcuno mette in dubbio i meccanismi della Sintesi Moderna o se dubita di qualche altra teoria che viene difesa come un dogma.
Per questo non sarà mai abbastanza il lavoro che facciamo qui.
Grazie, Htagliato.
Secondo me, se uno studente di fisica dice “Io non credo in Dio, ma nel Big bang”, mettendo i due racconti in contraddizione, non ha capito che cos’è in fisica il Big bang, in maniera uguale ed opposta a coloro che derivano dal Big bang la dimostrazione dell’esistenza di Dio, mettendo in due racconti in coimplicazione.
“…La risposta standard della fisica è: “Nulla””
Chiedo al prof. Masiero: ma non dovrebbere essere già questa una risposta inammissibile in fisica per i fisici, essendo il “Nulla” un concetto metafisco, ovvero filosofico?…
Non sempre, Adason, la parola “nulla” ha lo stesso ruolo nella lingua.
Se uno dice “Non c’è nulla di più veloce della luce”, usa la parola correttamente, e scientificamente, per significare, negativamente, che non c’è alcun fenomeno con velocità superiore alla luce.
Quando invece “nulla” sta a soggetto di una frase affermativa, propriamente richiederebbe l’articolo “il”, per es. “(Il) nulla fa questo, da(l) nulla è nato quell’altro”, allora in questi casi la parola è usata con un significato metafisico, cioè non sperimentalmente controllabile.
‘Se uno dice “Non c’è nulla di più veloce della luce”, usa la parola correttamente, e scientificamente, per significare, negativamente, che non c’è alcun fenomeno con velocità superiore alla luce.’
Non è esattamente così. Intanto bisognerebbe specificare più veloce della luce nel vuoto. Poi esiste la velocità di fase in guida d’onda che è superiore. Può essere poco interessante (non trasporta informazione) ma è più veloce. Poi esiste la velocità di gruppo che può eccedere co. E tutti i sacri testi affermano che il ritardo di gruppo è il ritardo dell’informazione associata ad un’onda modulata. Su questi segnali che alcuni chiamano transluminali esiste letteratura scientifica, con esperimenti ripetibili e ripetuti. Le prime pubblicazioni furono russe. Infine, ma qui esco dal mio e mi metterò nei guai, in ogni buon vecchio oscilloscopio CRT gli elettroni sparati dal cannone elettronico sullo schermo hanno velocità decisamente maggiori di Co/2. Metto back to back due tubi e considero due elettroni emessi nel medesimo istante. La loro distanza cresce con velocità > Co. Può interessare o no (a me non interessa). Però andrebbe precisato.
Se è per questo, Luigi, anche lo spostamento banale di un’ombra può avere velocità superiore a c! Nell’esempio da me portato ad Adason non intendevo portare una proposizione VERA, ma una DOTATA DI SIGNIFICATO scientifico contenente la parola “nulla”, non importa se vera o falsa.
Grazie comunque della precisazione, che i lettori certamente apprezzeranno.
Articolo ottimo e per me molto interessante. Ho appreso tra l’altro che gli interessi e le competenze matematiche di Lemaître erano molto più vaste e profonde di quanto sapessi (ignoranza mia), poiché era in grado di passare dal calcolo numerico della FFT ad argomenti estremamente sofisticati come la geometria differenziale e i gruppi di Lie. Da citare a coloro che ancora sproloquiano sulla incompatibilità tra scienza e trascendenza.
Grazie, Cordani.
La chiusura del Suo commento e gli interventi di HTagliato e Pennetta mi danno l’occasione di togliermi 2-3 sassolini come cattolico nei confronti di quei deficienti (detto nel senso etimologico del participio presente, cioè “mancanti” dell’abc della logica, della matematica, della fisica e della filosofia) che pongono un aut aut tra Big bang e Dio.
1. Diciamoci la verità: perché la proposta di Lemaître ha impiegato 50 anni a farsi strada tra i fisici? Perché “richiamava la Genesi” (Einstein). Se lo dice lui… Perché si prova “un sentimento quasi d’indignazione che qualcuno possa crederci. L’inizio sembra presentare insuperabili difficoltà a meno che non concordiamo, francamente, su un evento soprannaturale” (Eddington). Se lo dice lui… Perché “A molta gente ciò appare assai soddisfacente perché ‘qualcosa’ fuori della fisica può essere introdotto al tempo t = 0. Poi … la parola ‘qualcosa’ viene sostituita da ‘Dio’, quasi ad avvertirci che non possiamo portare la ricerca oltre” (Hoyle). Se lo dice lui… Perché, “nel modello Standard si potrebbe legittimamente identificare la singolarità del Big Bang con l’istante in cui Dio creò l’universo. Tutti i tentativi di evitare il Big bang sono stati motivati dalla sensazione che un inizio del tempo profuma di intervento divino” (Hawking). Se lo dice lui…
2. Dopo 50 anni di tentativi falliti, “quasi tutti i fisici” (Hawking) ora credono al Big bang. Molti hanno trovato nella cosmologia – inventata da Lemaître – un’occupazione onorevole e remunerativa. E come la mettono con l’inizio del mondo? “È solo un modello. Chissà cos’è successo veramente”. Sono d’accordo con loro. Anch’io penso che la fisica non ci dà verità e che tra 100 o 500 anni altre teorie avranno seppellito quelle attuali, fornendo altre “spiegazioni” dei fenomeni. Però, signori, allora non creiamo contraddizioni tra modelli fisico-matematici provvisori e parziali e proposizioni religiose sulle realtà ultime. Non è divertente che per togliere ogni significato metafisico al Big bang, si debba negare lo scientismo?!
3. La scoperta dell’espansione dell’universo è la più grande scoperta scientifica di tutti i tempi. Giusto. Ma perché non se ne ricorda il primo propositore, una volta ogni 50 anni almeno, mentre si celebra ogni anno la nascita di un naturalista tormentato, celebre per una teoria che non ha fatto in 150 anni alcuna predizione né dato origine ad alcuna tecnologia?
Se Pennetta è d’accordo, farò in un articolo un po’ la storia di tutti questi tentativi “metafisici” falliti contro il Big bang, che ebbero i loro sostenitori in un gruppo sparso di fisici atei anglosassoni e, soprattutto, in un plotone di scienziati sovietici alle dipendenze di Stalin.
Da parte mia, Giorgio, ti dico “Scrivi! Scrivi!”, se hai altri sassolini da togliere dalle scarpe, fallo, sono sassolini elegante.
P.S.: Una volta un esperto mi ha detto che Darwin fece una predizione, predisse che l’antenato comune dei primati si sarebbe trovato in Africa e che la cosa non era ovvia perché secondo altri contemporanei si sarebbe trovato in un altro continente.
Grazie, HT, dell’incoraggiamento!
Carissimo Giorgio, questo “antipasto” mi ha già messo un grande desiderio di saperne di più, per cui ti invito assolutamente a scrivere!
Ok, allora, Enzo!
Il mancato, o quasi, riconoscimento dei meriti scientifici di Lemaître mi ricorda la vicenda analoga di Jerome Lejeune, scopritore nel 1958 delle cause genetiche della sindrome di Down. Nonostante l’enorme importanza della scoperta, gli fu sempre negato il premio Nobel e la sua ricerca fu addirittura ostacolata dalla mancanza di finanziamenti pubblici. L’ostracismo decretatogli era dovuto al suo cattolicesimo intransigente che lo portò ad essere sempre fieramente anti-abortista, al punto da fare un intervento appassionato all’ONU (nelle tana del leone) in tale senso. Spesso mi chiedo se sono cattolico: pensando a questa splendida figura mi dico che vorrei esserlo ma non ne sono degno. Del resto, come diceva Oscar Wilde, il cattolicesimo è fatto per i santi e i grandi peccatori, per gli altri la chiesa anglicana è più che sufficiente.
Lejeune è una figura immensa la cui damnatio memorie è un autentico martirio mediatico di cui era consapevole, la sera del discorso all’ONU confidò alla moglie “Oggi ho perduto il premio Nobel”.
Alle discriminazioni di scienziati cristiani aggiungerei il mancato premio Nobel a Nicola Cabibbo.
Non ho in precedenza parlato di Cabibbo perché non volevo aggiungere troppa carne al fuoco, ma sono completamente d’accordo. Ricordo comunque che le polemiche su questa esclusione furono smorzate sul nascere proprio da Cabibbo stesso: noblesse oblige.
Volevo fare una domanda al prof. Masiero. Se una teoria/modello permette di descrivere il formarsi dell’Universo dal Big Bang per quale motivo la teoria/modello non é in grado di descrivere quello che “c’era prima”? Se il modello di ferma/parte da lì vuol dire che quella é una condizione prefissata dallo studioso ovvero una specie di condizione al contorno? Se invece la condizione “dell’inizio” deriva da un modello tarato su quello che é successo dopo (e sta succedendo ora…) per quale motivo il modello non é in grado di caratterizzare quello che c’era prima?
E grazie per l’ottimo articolo.
La risposta, Beppino, è nell’ultimo capoverso: perché sul quanto primordiale non abbiamo teorie produttive di predizioni da confrontare con fatti sperimentali.
Salve Beppino, le do la risposta che mi hanno insegnato praticamente alla lettera: non abbiamo ancora una teoria che unisca la Relatività Generale con la Fisica Quantistica, per cui quei casi in cui il sistema fisico è fatto di particelle elementari poste così vicine, cioè ad una densità così alta che bisogna tenere conto degli effetti gravitazionali (normalmente assolutamente ininfluenti nel mondo microscopico) ALLORA manca proprio una teoria fisica che ci dica cosa calcolare, cosa stia succedendo. L’Universo nei suoi primissimi istanti è proprio uno di questi casi. Quando l’espansione dello spaziotempo è opportunamente avanzata (densità di massa opportunamente bassa) le teorie attuali ci permetto di descriver gli eventi.
Perfetto, HT, nessun fisico al mondo potrebbe esprimersi meglio.
Quando l’espansione dello spaziotempo è opportunamente avanzata (densità di massa opportunamente bassa) le teorie attuali ci permetto di descriver gli eventi.
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Grazie al gentile Htagliato e al cortese prof. Masiero. Quindi il modello che descrive la fenomenologia di sviluppo dell’universo va in crisi nel momento in cui effetti prima irrilevanti ad una certa densità di massa della materia cominciano ad assumere una importanza talmente elevata da cui “non si può andare oltre” con la predizione non conoscendo le equazioni che governano la loro stessa influenza. E… sempre se ho ben capito… il “punto” infinitesimo da cui parte il “dopo” dello stesso punto infinitesimo é solo una mera ipotesi in quanto non ancora adeguatamente suffragata da una teoria corroborata… E’ così?
È così, Beppino, ha capito bene.
Grazie, Masiero, di questo ottimo articolo.
Confermo, è capitato anche a me di sentire dire “io credo nel Big bang, non in Dio”.
Grazie, Anna.
Ed io confermo che mettere in contraddizione il Big bang con la creazione divina è la massima cretinata che si possa dire. Per almeno 3 motivi:
1, Big bang vuol dire espansione dello spazio, non creazione. Quindi il cretino non conosce la fisica.
2, se il Big bang fosse la dimostrazione scientifica irrefutabile, come crede l’ignorante, dell’origine dell’universo, sarebbe anche la dimostrazione dell’esistenza di un’Agenzia trascendente creatrice, ed il cretino sarebbe in contraddizione.
3, io non “credo” alla mia auto solo perché mi serve a spostarmi, così come non “credo” nel Big bang solo perché mi spiega la radiazione fossile. CREDERE vuol dire dare un senso alla vita.
Non è mica così naturale separare i due domini, comporta uno sforzo. Non molto tempo fa mi hanno pubblicato su FB un video che sosteneva che uno “scienziato” non ricordo se matematico o fisico, avrebbe “dimostrato scientificamente” l’esistenza di Dio,
Confesso di non averlo guardato
Dico di più, Valentino, è “innaturale” separare i domini, perché l’uomo tende naturalmente alla verità. Solo l’intelligenza filosofica ci insegna, con uno sforzo, a separare i “metodi” dimostrativi dei diversi domini. Col che è immediato vedere che Dio non è scientificamente dimostrabile, perché non cade sotto gli strumenti di misura. Come del resto tutte le cose più importanti: libertà, coscienza, volontà, ecc.
L’articolo è molto istruttivo e approfondisce su un grande della scienza evidentemente rimosso dall’ideologia scientista che domina anche in forma lieve la cultura scientifica prevalente. Grazie anche per questa volta prof. Masiero, ho poi apprezzato molto il suo commento “apologetico” che informa ulteriormente sulle nefandezze di questa ideologia che vige nel mondo scientifico e che è di fatto antiscientifica.
Credere nel Big Bang non significa nulla, però ricordo che qui e in altri contesti di dibattito sulla scienza c’è chi parla del Big Bang come una teoria “ormai sorpassata”. Invece pare di no ( la cosa non mi turba affatto perché il Big Bang è paragonabile all’inizio di un’opera d’arte, bellissima, ma l’ammirazione maggiore è per l’autore e se questo avesse prodotto la stessa opera senza questo tipo di inziio l’ammirazione per l’autore resterebbe immutata).
Grazie, Muggeridge.
Il Big bang superato? Non mi risulta affatto, anzi è il modello tuttora standard per spiegare effetti come la recessione galattica, la radiazione cosmica di fondo e la stessa nucleosintesi stellare. Tanto che si può dire che quasi metà dei premi Nobel della fisica hanno a che fare con il Big bang, o per ragioni teoriche o per ragioni sperimentali, fino a quelli del 2013 premiati per l’osservazione dell’espansione accelerata. A proposito della quale, osservo, essa sembra corroborare il modello ultimo di Lemaître che, come ho spiegato nell’articolo, prevede nella terza fase un’espansione accelerata dell’universo (al contrario di tutte le teorie alternative Big bang-Big crunch immaginate, perfino attingendo ai testi sacri indiani [C. Sagan]).
Quanto all’inizio del tempo, cioè alla possibilità che l’universo sia chiuso nel passato, questo confermano non solo i teoremi di singolarità di Hawking e Penrose, ma anche tutti i più recenti di Vilenkin, Bode, Guth, etc.
Se io non credo che la cosmologia moderna dimostri l’esistenza di un’Agenzia Trascendente Intelligente non è per i suoi teoremi – che avrebbero questa come logica conclusione- ma solo perché non credo a quei teoremi!