Metafisica medievale e fisica moderna
di Giorgio Masiero
Come la filosofia classica precorse la tecno-scienza nell’intuizione della struttura dello spazio-tempo e della quantizzazione della materia-energia
Quando alla lezione di filosofia del liceo appresi dei paradossi di Zenone di Elea (V sec. a.C.), cioè
- della freccia che non raggiunge mai il bersaglio perché prima deve fare metà percorso, e prima ancora un quarto, e così via, sicché deve passare per infiniti punti prima di toccare l’obiettivo;
- o di Achille piè veloce che non può superare la tartaruga partita con un piccolo vantaggio, perché prima deve recuperare il gap iniziale, poi il cammino fatto dalla tartaruga nel frattempo, ecc.;
- …,
stetti muto: di quanti istanti è fatto un intervallo di tempo? come si concilia il moto nello spazio reale con le proprietà dello spazio geometrico? E ristetti perplesso, con una punta d’amaro in bocca, quando il professore di matematica e fisica snobbò il ragionamento di Zenone con le serie geometriche convergenti: pensava che ad Elea non avessero mai visto un sorpasso o una freccia ficcarsi sul bersaglio? Era ovvio per me che il discepolo del grande Parmenide non negava la realtà, ma piuttosto riproponeva il problema del rapporto tra essere e divenire, mostrando i limiti e le contraddizioni del linguaggio, in particolare della matematica usata per descrivere il moto dei corpi.
Presso i greci la geometria non era un ramo della matematica, ma della fisica (“gê-metron”, misura della Terra) o, in linguaggio moderno, il cammino reale della freccia era per essi modellizzato perfettamente da una linea immaginaria della geometria. Fu questa posizione, nei secoli condivisa da tutto l’establishment del pensiero ellenico (da Talete a Pitagora a Euclide, da Platone ad Aristotele ad Archimede), che Zenone attaccò con un ragionamento inattaccabile. L’eleatico arguì che se la linea geometrica è composta soltanto di punti, che oltre ad essere per definizione indivisibili e di lunghezza nulla sono anche infiniti e non giustapposti per il postulato di densità (“Tra due punti di una retta, ce n’è sempre uno in mezzo”), se è così il risultato dell’unione di punti è 0 + 0 + 0 +… = 0! Allora – sfida tuttora Zenone i metodi matematici della fisica – donde emerge la lunghezza della traiettoria di Achille? come può passare la freccia da un punto all’altro se non c’è un punto dopo l’altro?!
L’intuizione della continuità del tempo contraddice la non consecutività dei punti postulata dalla geometria. Oggi come ai tempi di Zenone, questa è una contraddizione logica irrisolvibile. Due celebri matematici dei nostri giorni scrivono: “Quando si ha anche fare con una variabile continua x che varia in un intervallo dell’asse dei numeri reali, è impossibile descrivere come x possa ‘approssimarsi’ al valore determinato x1, in modo da assumere consecutivamente e nel loro ordine di grandezza tutti i valori dell’intervallo. Infatti i punti di una retta formano una classe densa, e dopo che è stato raggiunto un dato punto non vi è un punto ‘seguente’. Certamente, l’idea intuitiva di continuo ha una realtà psicologica nella mente umana, ma essa non può essere invocata per risolvere un’impossibilità matematica; deve rimanere una discrepanza tra l’idea intuitiva e il linguaggio matematico scelto per descrivere in termini logici esatti le approssimazioni della nostra intuizione importanti dal punto di vista scientifico. È questa la discrepanza che i paradossi di Zenone mettono in evidenza” (R. Courant e H. Robbins, “Che cos’è la matematica”, 1941).
Un secolo e mezzo fa, Georg Cantor infierì sulla piaga con la sua teoria degli insiemi, dove gli riuscì l’impresa titanica di ordinare gli infiniti in scala. Come le vacche bavaresi sono tutte uguali al buio, così gli infiniti attuali appaiono tutti uguali agli ignoranti in teoria degli insiemi. Ci sono invece diversi gradi d’infinito e… “nessuno più ci caccerà dal Paradiso che Cantor ha creato per noi” (Hilbert). L’inventore dell’insiemistica dimostrò che gli infiniti punti geometrici di un segmento lungo un millimetro sono tanti quelli di una retta illimitata o di un’area estesa un kilometro quadrato o di un volume di un anno-luce cubico, per non dire tanti quanti quelli contenuti in tutto lo spazio illimitato: per l’esattezza Alef1, né più né meno. I numeri razionali invece, che pure sono densi, o i soli interi, o anche i dispari, o tra questi i soli primi sono di cardinalità Alef0, che è un’infinità più bassa di Alef1, mentre l’insieme delle curve del piano è di cardinalità Alef2 > Alef1 > Alef0, ecc., ecc. Nel 1924 infine, due matematici polacchi mostrarono come spaccare una palla geometrica in un numero finito di parti, assemblabili poi con sole rotazioni e traslazioni così da ottenere due palle uguali all’originale. Secondo te, Lettore, sarebbe possibile questa moltiplicazione miracolosa con palle reali di gomma?! e un lingotto d’oro contiene tanti atomi quanti un anellino di fidanzamento?
Il paradosso di Banach e Tarski (1924)
Se la contraddizione tra moti/corpi da un lato e matematica dall’altro vale in tutte le varietà (euclidee e non) della moderna geometria differenziale, forse, tanto per cominciare, le componenti ultime dello spazio reale non sono “punti”, cioè unità indivisibili ad estensione nulla. Poiché in logica un postulato è – secondo la definizione di Tommaso d’Aquino – una proposizione evidente, vera al punto che se la negassimo dovremmo rinunciare a ragionare, è dal postulato di densità che deve partire il nostro riesame critico: ammessane la validità convenzionale (“formale”) nelle “geometrie pitagoriche”, non possiamo infatti più ritenere tranquillamente che uno spazio pitagorico, con l’aggiunta di una metrica euclidea o non, sia un modello perfetto (“isomorfo”) dello spazio reale, cosicché rette e curve del primo rappresentino fedelmente le traiettorie di frecce e raggi di luce nel secondo. Che altro tipo di spazio inventare?
Ebbene, io ho trovato la prima risposta soddisfacente al problema – che i paradossi di Zenone ci buttano in faccia more parmenideo in parabole – solo nella metafisica altomedievale dei teologi islamici del Kalam (i Mutakallimun) e di un rabbino di Cordoba, al cospetto dei quali mi volgo ora con molto rispetto; e i dettagli quantitativi nei teoremi della fisica moderna.
I Mutakallimun (IX-XII sec.) capirono che per affrontare i paradossi di Zenone occorreva partire da un’analisi dei concetti di spazio e tempo. Sul tempo, era stato Aristotele (IV sec. a.C.) ad avviare la ricerca. Nel libro VIII della “Fisica”, aveva scritto che il tempo è una misura del moto, inteso come ogni tipo di trasformazione materiale. Quindi il tempo non esiste in assenza di corpi. Il Kalam fece passi ulteriori in avanti. Intanto, non esiste uno spazio separato dal tempo, ma un’unità reale dove la dimensione temporale è connessa alle tre spaziali, per cui si deve parlare di “spazio-tempo”. Poi, lo spazio-tempo non è assoluto, ma le sue estensioni sono relative all’osservatore: “Non c’è nessuna differenza tra l’estensione temporale che, rispetto ad uno di noi, distingue il prima dal poi, e l’estensione spaziale che, rispetto ad uno di noi, divide il sopra dal sotto” (Al Ghazali, “Incoerenza dei filosofi”, XI sec.). In assenza di corpi, né lo spazio, che ne indica la superficie limitante e le distanze reciproche, né il tempo che ne descrive i moti hanno senso: “Il tempo è la durata in cui un corpo è a riposo o in moto: se il corpo è privato di questi stati cessa di esistere e anche il tempo cessa di esistere. […] Corpo e tempo co-esistono” (Ibn Hazm, “Dettagliato esame critico”, XI sec.). Spazio, tempo, corpi e moto sono nel Kalam concetti correlati e le loro estensioni sono relative all’osservatore. Queste assunzioni sono oggi alla base delle relatività generale e speciale.
Ancora, secondo un’innovazione che sostituisce i numeri interi ai reali ed anticipa la meccanica quantistica, una “quantizzazione” è applicata dal Kalam alla materia dei corpi, all’energia (il “calore”) e allo spazio-tempo, ogni cosa essendo composta di un numero finito di particelle elementari. Lo spazio è suddiviso in atomi, senza i quali perderebbe la sua coerenza: lo spazio reale è una struttura aggregata di celle indivisibili ad estensione non nulla. È quanto viene oggi postulato nella geometrodinamica della relatività generale, la quale specula che su piccola scala lo spazio non sia un fluido continuo, ma una schiuma di celle la cui dimensione lineare non supera la lunghezza di Planck. Cosicché, la distanza reale che separa l’arco dal bersaglio non è la linea densa di Euclide: la freccia percorre piuttosto un numero finito di “distensioni contemporanee” (Al Ghazali), irrilevabili dai nostri sensi, ma non nulle se la loro unione deve risultare in una distanza diversa da zero! Che cosa ci dà in più oggi la ricerca fisica? Non un nuovo concetto, ma la precisione della lunghezza di Planck, il numero L = 1,62 × 10^(-33) cm. Il Kalam insegnò che un metro reale è un aggregato di distensioni contemporanee dello spazio reale; la fisica predice che in un metro fisico ci sono almeno 100/L = 6,17 decine di milioni di miliardi di miliardi di miliardi di tali celle planckiane.
Anche il tempo secondo i teologi dell’alto Medioevo ha una struttura discreta. Il primo a parlare di “atomi di tempo” era stato il vescovo Isidoro (VI-VII sec.) nel terzo libro delle sue “Etymologiae”, scritto a Siviglia sotto il regno dei Visigoti. 5 secoli dopo, nel califfato di Cordova al tempo degli Almoravidi, il rabbino Mosè Maimonide ne avrebbe elaborato l’intuizione. Per Maimonide, la successione degli istanti che produce una durata misurabile dalla clessidra evidenzia l’esistenza di una soglia temporale minima: “Il tempo è composto di atomi, e questi sono indivisibili” (“Guida dei perplessi”, 1190). Il tempo è una struttura aggregata di intervalli indivisibili, intrinseci alla realtà mondana che è mutevole, per contrasto alla distensione eterna in cui si svolge la vita di Dio. Il tempo scorre a scatti, come in un orologio digitale: tic, tic, tic…, gli istanti si succedono l’uno all’altro, sono brevi per i nostri orologi biologici, ma non nulli.
Il monumento a Maimonide davanti alla sua casa di Cordoba
Oggi il tempo è un parametro continuo in fisica, ma ciò appare necessitato dal fatto che siamo tanto ignoranti in aritmetica quanto abili in analisi matematica, piuttosto che dalla struttura del tempo a piccola scala. Usiamo la matematica che conosciamo per costruire un modello rozzo del tempo, perché non sappiamo adattare la descrizione matematica alle caratteristiche dell’oggetto che misuriamo. Tant’è vero che le leggi della fisica sono valide solo sopra il limite detto tempo di Planck e l’unificazione della fisica quantistica con la relatività generale potrebbe richiedere una quantizzazione del tempo. I metafisici medievali invece, disinteressati al metodo quantitativo che caratterizzerà la tecno-scienza, poterono avvalersi di un linguaggio più libero per le loro speculazioni.
Il tempo appare continuo, ma la continuità è un’illusione, come ai nostri giorni ci accade con un film dove vediamo succedersi senza soluzione le scene che, invece, sono registrate ad intervalli discreti successivi, di breve durata rispetto ai tempi chimici delle nostre retine. Che ci dà in più oggi la fisica? La misura T = 5,39 × 10^(-44) sec del tempo di Planck. Maimonide insegnò che un’ora è un aggregato di distensioni atomiche dell’anima, la fisica predice che il numero di tali distensioni elementari in un’ora non è inferiore a 3.600/T = 6,66 decine di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi.
I Mutakallimun assunsero anche che i corpi sono ricreati in ogni momento da Dio: creati in uno stato, tornano nel nulla e sono ricreati in un altro stato. A livello microscopico, il moto avviene per salti discreti (“tafra”), in cui gli atomi di un corpo occupanti una cella di spazio per un atomo di tempo (“ana”) sono annichilati per ricomparire un ana dopo nella cella di spazio contiguo in un nuovo stato. Queste nozioni sono le più antiche intuizioni di fisica quantistica: esse precorrono i salti quantici di Bohr, l’effetto tunnel, gli operatori di creazione e annichilazione…, le “oscillazioni” del neutrino rilevate dai due premi Nobel 2015 per la fisica! “In un certo senso credo che, come sognavano gli antichi, il puro pensiero può cogliere la realtà” (Einstein, Herbert Spencer Lecture, 1933). L’esercizio del “puro pensiero” si chiama, dopo Aristotele, metafisica.
Un sistema geometrico, continuo e liscio, dello spazio-tempo è una descrizione appropriata per un mondo astratto costituito di parti autonome non correlate, ma è insufficiente a spiegare l’evoluzione dell’universo fisico entangled, un “moto” che non è solo insieme di movimenti di corpi nello spazio-tempo, ma anche di cambiamenti interconnessi degli stati dei corpi. La quantizzazione metafisica medievale risolve i paradossi di Zenone sul movimento, ma non basta a spiegare l’infinità di forme e di metamorfosi in cui la natura si esprime, a meno d’invocare l’intervento costante di Dio. Oggi la gravitazione quantistica implementa lo spazio-tempo reale con metriche non euclidee, campi di forza e fluttuazioni di energia che gli danno a priori una struttura causale in grado di connettere (parzialmente) il qui al là e l’ora all’allora dell’evoluzione dell’universo, così eludendo l’occasionalismo teologico.
Tuttavia, che la fisica moderna postuli l’hermiticità dell’operatore di Heisenberg e l’unitarietà del propagatore di Feynman nello spazio hilbertiano degli stati fisici o che l’ontologia medievale definisca la creazione come relazione continua della creatura con Dio (che non è solo il creatore iniziale, ma anche “causa dell’azione di ogni cosa in quanto le dà la capacità di agire, la conserva, la applica nell’azione”, Tommaso, “De potentia”), in ogni caso l’eleatica contraddizione tra essere e divenire è risolta nel principio di un logos. In metafisica come in fisica.
Sarebbe bello continuare a conversare con questi teologi, all’ombra rinfrescante di un aranceto profumato dei giardini di Baghdad e di Cordoba, in un silenzio turbato soltanto dallo zampillio dell’acqua nelle fontane ottagonali intarsiate di arabeschi, e coglierne ad una ad una le infinite perle di sapienza metafisica. Nella loro originale concezione digitale, essi afferrarono in nuce la struttura della realtà fisica e precorsero la realtà virtuale. Ma non c’è più “tempo”: Shukran, Ibn Hazm e Al-Ghazali! Shalom, Maimonide!
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15 commenti
Riflessioni molto interessanti.
La fisica, anche quella elementare, è piena di matematizzazioni opinabili.
Funzionano e si finisce per dare loro un significato ontologico che non hanno.
La scarica di un condensatore è esponenziale per comodità alla faccia degli elettroni.
Bellissime, e per mia ignoranza nuove, le riflessioni dei filosofi medioevali citati.
Mi disturba invece la connessione con Zenone che secondo me (ed altri più qualificati) intendeva evidenziare i limiti della logica in uso.
0+0+0+… = 0 è una cosa ma 1/2 + 1/4 + 1/8 + … = 1 è altra cosa.
Ho provato lo stesso disagio di quando si afferma che Lucrezio aveva il concetto di a_tomo che abbiamo ora che lo spacchiamo. Altro punto: “Lo spazio reale è una struttura aggregata di celle indivisibili ad estensione non nulla.” Posizione interessante, che però riporta alla difficoltà incontrata e non risolta da Pitagora & C. Ammetto senz’altro che il righello sia fatto così. Ma le figure geometriche me le tengo come sono.
Con M (intero) diagonali del quadrato inevitabilmente diverso da N (intero) lati.
Con i punti di dimensione finita questo sarebbe invece non solo fattibile ma inevitabile.
“nessuno più ci caccerà dal Paradiso che Cantor ha creato per noi”
Bravo Hilbert, ma sarebbe il caso di ricordare che Cantor uscì pazzo non per colpa della sua matematica, ma dei colleghi che credevano di sapere e capire tutto.
Grazie, Luigi.
“La fisica, anche quella elementare, è piena di matematizzazioni opinabili. Funzionano e si finisce per dare loro un significato ontologico che non hanno”. Concordo. La fisica è tecno-scienza, cioè un modello dei fenomeni osservati che “funziona”, la realtà è un’altra cosa e appartiene all’ontologia, cioè alla metafisica.
“Mi disturba invece la connessione con Zenone […]: 0+0+0+… = 0 è una cosa ma 1/2 + 1/4 + 1/8 + … = 1 è altra cosa”. Certamente 0+0+0… = 0 e 1/2+1/4+1/8+… = 1 sono due serie diverse, ma cosa c’entra la seconda serie con Zenone? I punti della geometria non hanno estensioni “infinitesime”, ma rigorosamente nulle e poi, per i due assiomi di continuità, non c’è un punto dopo l’altro nella geometria di Euclide (v. Courant e Robbins).
“Lo spazio reale è una struttura aggregata di celle indivisibili ad estensione non nulla. Posizione interessante, che però riporta alla difficoltà incontrata e non risolta da Pitagora & C”. Appunto! La discrepanza tra moto e geometria è irrisolvibile in tutte le “geometrie pitagoriche”, a qualunque metrica riemanniana e non, e si risolve soltanto con modelli matematici discreti, “archimedei”, quelli della geometrodinamica.
Per la tua conclusione, sono d’accordo: succede a tutti i geni di essere incompresi al loro tempo.
Certamente 0+0+0… = 0 e 1/2+1/4+1/8+… = 1 sono due serie diverse, ma cosa c’entra la seconda serie con Zenone?
Caro Giorgio, a me hanno raccontato la storia della freccia proprio in quel modo: percorre mezzo stadio (1/2) poi (1/4) poi (1/8) poi …
E tu stesso descrivi la lezione di filosofia così. Che posso farci?
Io sono vecchio ma non abbastanza da aver conosciuto Zenone. E sono pure ignorante, per cui non sono risalito alla fonte primaria, a ciò che Zenone ha davvero insegnato e scritto.
Dal tuo pregevolissimo articolo io traggo molti spunti di riflessione. Spero, almeno in parte, di giovarmene. Ma rimango dell’opinione che tu abbia fatto un bel passo avanti rispetto a Zenone, quanto meno che tu ti occupi di un aspetto diverso.
Non bastava il libretto di Cantor a togliermi il sonno, ora ti ci metti pure tu!
Fortissimi questi teologi medioevali! Anche a me ilprofessore di matematica ha insegnato a confutare Zenone con le serie convergenti. Mi potrebbe spiegare meglio, prof. Masiero, perché questo ragionamento non vale?
@ Luigi, Wil
Se il paradosso di Zenone fosse: Achille deve fare infiniti intervalli 1/2, 1/4, 1/8,… prima di raggiungere la tartaruga, quindi non la raggiunge mai, allora sì avrebbe ragione il professore di matematica a richiamare le serie convergenti.
Ma il ragionamento di Zenone è diverso. Lui dice: Achille non arriva neanche a 1/2, anzi neanche a 1/4, anzi… nemmeno può muoversi da un punto all’altro perché nella retta di Euclide non c’è un punto dopo l’altro in consecuzione.
Insomma, in linguaggio moderno, la retta geometrica non è un modello perfetto (anche se “funziona”) del moto.
La meccanica razionale come perfetta metafora della scienza: funziona, ma non rappresenta la realtà del movimento! Tutta qui la differenza tra scienza e metafisica… e i paradossi di Zenone ce lo fanno capire.
Il paradosso della freccia non e` quello riportato, non so quale sia la denominazione classica, forse “del corridore che non raggiunge mai il traguardo” (ma non solo: neanche alcuno dei punti intermedi, cioe` praticamente non parte mai)”.
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Il paradosso della freccia vuole evidenziare l`illusorieta` del movimento anche in uno spazio-tempo discreto: esistera` infatti un intervallo di tempo corrispondente con l`istante in cui la freccia, che pure sappiamo in movimento, e` immobile dall`inizio alla fine dello stesso; abbiamo quindi una situazione paradossale di corpo in movimento pur con velocita` istantanea nulla: praticamente un teletrasporto, istante per istante, dell`oggetto da una casella di spazio ad una adiacente.
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Il problema è risolto dai teologi islamici con i tafra, e in FQ con gli operatori di annichilimento/creazione, oltre che col discreto. Non Le pare?
Queste operazioni di crossover mi lasciano sempre un po’ freddo, ad incominciare dall’uso disinvolto del termine “tecnoscienza” di francofortiana memoria. Mi sa che Steven Weinberg, di cui ho appena finito di leggere l’ultimo bellissimo libro (Spiegare il mondo. La scoperta della scienza moderna), avrebbe qualcosa da ridire… 🙂
Ognuno ha i suoi gusti intellettuali, ma potrebbe argomentare perché tale crossover non funziona, andando oltre ad una semplice allusione a Weinberg?
Così la possiamo capire meglio.
Classifico la fisica tra le tecno-scienze, Giuseppe, perché – dal cannocchiale di Galileo all’interferometro delle GW – il progresso della fisica è trainato (e le sue teorie corroborate o falsificate) dagli strumenti (“techne”) di osservazione e di misura e questa è la caratteristica distintiva da altre scienze come la matematica, o la filologia, o la storia.
Non è certo una diminutio, ma al contrario il segno di un grande rispetto verso il Suo lavoro e quello di tutti i Suoi colleghi. Qual è l’aspirazione massima di un fisico se non, attraverso un’osservazione strumentale, falsificare una credenza precedente? (Perlmutter)
Non credo onestamente che Weinberg avrebbe qualcosa da eccepire sul nome.
Il solito splendido articolo prof. Masiero, che, come sempre, fa pensare. Ho sempre simpatizzato per la “creazione continua”, ma questa creazione e annichilazione continue non le potevo immaginare e sono davvero suggestive. Le chiedo se la creazioni e gli annichilimenti (nel tempo di Planck) possano essere considerati sincroni o meno, se quindi possiamo vedere il tutto come il famoso “respiro dell’universo” (che avrebbe, a questo punto, delle frequenze insospettabilmente elevate).
Grazie, Muggeridge.
Se le creazioni e gli annichilimenti (nel tempo di Planck) possano essere considerati sincroni? Direi di no, piuttosto c’è un’orchestra d’innumerevoli strumenti sonanti senza un comune spartito. Intanto nel vuoto fisico della QFT pulsano infiniti oscillatori armonici, non all’unisono ma indipendentemente l’uno dall’altro (“incoerenti”), ciascuno con una propria frequenza (ed un’energia minima diversa da zero). E poi ci sono le particelle e i campi. Qui, per citare solo la particella più piccola e “insignificante”, il neutrino, abbiamo numerosissime particelle (circa 330/cmc in tutto l’universo!), hanno 3 tipi di “sapori” (elettrone, muone o tau) tra i quali “oscillano” nella propagazione nello spazio-tempo. E queste oscillazioni sono indipendenti per ogni neutrino. E così per ogni altra particella e campo.
Anche se però, alla fine, tutto – vuoto e materia-energia – è un uno interconnesso, fin dall’Inizio.
La ringrazio, prof. Masiero e le chiedo, neanche all’inizio può esserci stata sincronicità e poi perdita della stessa (magari con l’inflazione) ?
Diciamo che più che al “respiro dell’universo” considerando questi fenomeni, si possa pensare più a una sua “sinfonia”.
Ah, la “sinfonia” sì c’è, Muggeridge, non è udita soltanto dai sordi. Si chiama “fine tuning” (di 15 costanti fisiche), fin dal primo istante. Ora, dopo 14 miliardi di anni, questa Sinfonia è diventata una molteplicità di sinfonie, come in un stesso auditorium con infinite sale di ascolto…