“Ma i sassi di Plutone, ci cambiano la vita?”, dice Vincenzo Salemme parlando delle foto di Plutone diffuse dalla NASA.
Le missioni spaziali hanno un costo elevato, vale la pena pagarlo?
Ogni pianeta e satellite del Sistema Solare ha le sue caratteristiche, note e ignote, ma un tema ricorrente che accomuna le operazioni necessarie per scoprirle riguarda un problema molto prosaico, cioè il costo economico di tali ricerche.
Il dibattito che si genera non è banale come può sembrare perché va oltre la scienza e tocca anche la morale del singolo, per cui una riflessione approfondita può essere utile. Sorprende quindi la scelta del quotidiano La Repubblica che, in occasione del raggiungimento di Plutone da parte della sonda New Horizons (14 Luglio 2015), decise di dare spazio all’opinione di un attore comico, Vincenzo Salemme. È stato come se il 6 Marzo 2013 un giornale avesse pubblicato un articolo dal titolo “Ufficializzata la scoperta del bosone di Higgs: nell’inserto il parere di Al Bano”.
L’attore napoletano non possedeva inattese competenze in materia, ma al contrario con una logica superficiale ha voluto dimostrare il suo scetticismo nei riguardi del progresso che l’umanità potrebbe avere grazie ad una maggiore conoscenza di Plutone.
In ogni caso, il pensiero di Salemme non è isolato e sul web i dibatti sui vantaggi materiali delle missioni spaziali rapportati al loro costo non mancano. Per semplicità possiamo immaginare le opinioni espresse come collocabili entro i seguenti due estremi:” il costo delle missioni spaziali è legittimo (dove per “legittimo” si può intendere sia dal punto di vista economico sia da quello morale) perché è giusto spendere per incrementare le nostre conoscenze e far progredire la scienza” oppure “è sproporzionato rispetto ai vantaggi materiali e andrebbe data maggiore priorità alla risoluzione dei problemi di noi abitanti della Terra”.
Si tenga conto che il costo previsto per la missione del New Horizons è di 650 milioni di dollari.
Quando l’occasione fu l’atterraggio del robot Curiosity su Marte (costato 2,5 miliardi di dollari), alcuni sostenitori della prima posizione fecero circolare su internet una lettera del 6 Maggio 1970 scritta da Ernst Stuhlinger, all’epoca direttore scientifico della NASA.
In questa lettera Stuhlinger rispondeva a Suor Mary Jacunda, una suora dello Zambia, la quale era meravigliata dall’idea che la NASA, dopo i successi del programma Apollo, decidesse di puntare a missioni spaziali per portare esseri umani su Marte quando intanto, sulla terra, milioni di persone soffrono il problema della fame.
Stuhlinger scrisse una lunga lettera che ora illustrerò perché è ancora molto attuale e lo farò tenendo sempre presente l’obbiettivo che mi posi quando la scoprii, cioè di capire il motivo preciso del perché può essere giusto spendere molto per indagare i corpo celesti.
Premetto che anche se non abbiamo la lettera di Suor Jacunda, per cui non sappiamo le parole esatte con cui ella pose la sua domanda a Stuhlinger, possiamo dedurre dall’incipit della lettera in esame l’approccio usato dalla suora: Stuhlinger esprime ammirazione per la missione in Zambia e descrive Suor Jacunda come una persona dotata di un “cuore compassionevole e di una mente profonda”. Da ciò si può intuire che la questione posta dalla suora non doveva essere una provocazione “alla Salemme”, ma un interessamento sincero.
Stuhlinger conosce bene il problema della fame del mondo, ma per spiegare l’importanza della ricerca di base racconta un aneddoto storico: un conte della Germania aiutava i poveri del suo paese contro la fame e la peste ma decise di finanziare anche un uomo che studiava le lenti di vetro, benché il popolo non ne vedesse l’utilità. Quello scienziato alla fine fu l’inventore del microscopio, lo strumento che poi servì moltissimo per studiare e combattere le malattie, peste compresa.
Un lettore particolarmente critico potrebbe obiettare che l’analogia non è veramente pertinente, perché lo scienziato si è comunque occupato di un oggetto terrestre e comune, non è andato a migliaia di chilometri di distanza dal paese del conte, in un posto irraggiungibile, pretendendo di fare qualcosa di utile.
Il direttore della NASA spiega allora nel proseguimento della lettera che l’impellente problema della fame ha due fattori principali: lo sfruttamento dei campi e la ridistribuzione dei beni.
Il primo può avere grandi vantaggi dall’utilizzo di un sistema satellitare, il quale controlla vasti territori e ne permette un migliore sfruttamento agricolo, specie in termini di produttività.
Il secondo riguarda la questione più delicata dei rapporti internazionali, per esempio un paese minore potrebbe non accettare aiuti contro la fame nel caso questi diventino un cavallo di Troia affinché il paese maggiori controlli il minore.
In questo contesto le missioni spaziali possono essere ammirate per essere l’unico caso in cui la collaborazione internazionale superi i confini territoriali. Viene fatto l’esempio della sfortunata missione Apollo 13 (quella su cui si realizzò il film con Tom Hanks): in quel caso la Russia aiutò le comunicazioni radio della NASA e si preparò a ricevere gli astronauti in caso di atterraggio di fortuna nel suo territorio.
Il lettore critico di prima potrebbe comunque non condividere tale ottimismo e far notare che è sì bella la collaborazione internazionale nell’ambito spaziale, ma c’è il problema che ce ne vorrebbe di più in quelli della lotta alla disuguaglianza sociale, alle crisi economiche, alla criminalità internazionale, al terrorismo, alle guerre ancora in corso, alle minacce alle democrazie, alla libertà di stampa, alla ridistribuzione delle risorse eccetera.
Nel caso quindi ci si chieda se può essere utile prendere anche solo una quota delle missioni spaziali per destinarla alla lotta alla fame nel mondo, Stuhlinger risponde con due osservazioni molto pragmatiche.
La prima è che il sistema burocratico dei finanziamento da parte del Congresso Statunitense si regola sull’approvazione di un certo bilancio, basato su ciò a che promette un dato settore pubblico, e sul rispetto di quel piano di bilancio. In breve, una quota tolta dalle missioni spaziali non è detto che vada a finire nelle missioni all’estero. La seconda osservazione è che all’epoca della lettera le missioni Apollo avevano ricevuto solo l’1,6% del totale del finanziamento statale, che corrisponde in media a 30 dollari in meno all’anno per cittadino statunitense.
Chiusa la questione economica, bisogna convincere il lettore critico dell’utilità delle missioni spaziali non orientate direttamente alla Terra (cioè oltre al caso dei satelliti artificiali).
Stuhlinger spiega che lo sforzo intellettuale da parte degli scienziati di realizzare una missione spaziale del tipo l’uomo sulla Luna ha avuto molti fruttuosi effetti collaterali, per esempio nello sviluppo di nuove tecnologie utili anche sulla Terra. Già questo è un modo indiretto con cui il costo delle missioni spaziali presenta un ritorno concreto per tutti, ma il nostro autore non è nuovo a queste discussioni da come si può dedurre:
Probabilmente lei ora si chiederà perché dobbiamo prima sviluppare un piccolo sistema di sostegno per la vita per far viaggiare sulla Luna i nostri astronauti, invece di poter costruire un sensore per monitorare il cuore dei pazienti.
In altre parole, il lettore critico stavolta potrebbe chiedersi perché il progresso tecnologico nella risoluzione di problemi medici o comunque della vita di tutti i giorni debba essere trovato indirettamente. Anche da un punto di vista logico sembra strano, quasi un ammissione di insufficienza, dire che il progresso dato dalle missioni spaziali non derivi dalle effettive scoperte in ambito astronomico ma da risultati ottenuti di traverso, quasi involontariamente. È come dire che andare per i boschi per cercare funghi è utile perché è un’attività fisica dimagrante e non perché con i funghi si possono fare piatti gustosi.
Siamo allora giunti al cuore della lettera, il vero motivo per cui sono finanziate così tanto le missioni spaziali (omettendo il particolare che costano molto di più quelle militari) e del perché è giusto che sia così:
La risposta è semplice: i progressi significativi nella soluzione di problemi tecnici non sono spesso realizzati attraverso un approccio diretto, ma tramite obiettivi più grandi e ambiziosi che portano a una maggiore motivazione per l’innovazione, che spingono l’immaginazione oltre e fanno sì che gli uomini diano il loro meglio, e che innescano catene a reazione.
Ecco il vero motivo: le missioni spaziali sono affascinanti, riguardano cose enormemente più grandi di noi e lanciano sfide intellettive molto stimolanti.
Gli scienziati che vogliono mandare un uomo su Marte non hanno un progetto egoistico, cioè disinteressato dei problemi della Terra. Stanno solo esercitando quella che è una loro arte, come può essere quella per la musica o la letteratura.
Se lo scopo che ci vogliamo porre è il bene del prossimo, allora le capacità del singolo vanno appoggiate nella loro peculiarità: volendo fare un esempio ottocentesco, non si può chiedere allo scienziato di inventare subito un nuovo mezzo di trasporto, solo quando lo si lascia libero di soddisfare la sua curiosità di scoprire le leggi della termodinamica allora, in un secondo momento, si potrà avere il treno a vapore.
Faccio un esempio personale: quasi tutte le volte in cui ho incontrato un ragazzo iscritto ad una laurea per una Professione Sanitaria il dialogo è stato di questo tipo
Htagliato: “Cosa ti piace dei corsi in una professione sanitaria?”
Ragazzo: “Il fatto che potrò aiutare gli altri. Tu invece perché ti sei iscritto a Fisica?”
Htagliato: “Per aiutare gli atomi.”
Nell’ultima parte della lettera di Stuhlinger viene chiarito meglio il concetto precedente:
Tra tutte le attività che sono dirette, controllate e finanziate dal governo statunitense, il programma spaziale è certamente l’attività più visibile e discussa, anche se consuma solamente l’1,6 per cento del budget nazionale e il 3 per mille del prodotto interno lordo nazionale. Come stimolo per lo sviluppo di nuove tecnologie e per la ricerca nelle scienze non ha altri pari. E per questo, potremmo anche dire che il programma spaziale si sta facendo carico di una funzione assunta per tre o quattro millenni dalla guerra.
Effettivamente è stata la guerra, purtroppo, il motore di molti progressi tecnologici, dallo sfruttamento dell’energia nucleare allo sviluppo delle prime radio, ma per ovvi motivi sarebbe auspicabile che si partisse da circostanze di stimolo alla ricerca che non prevedano la sistematica distruzione di un altro popolo.
La lettera si conclude con un’osservazione quasi poetica a partire da una famosissima fotografia della Terra dalla Luna. Il grande vuoto nero che circonda il nostro pianeta e il sottile strato di biosfera in cui viviamo noi esseri umani possono essere uno stimolo ad avere più cura per il nostro ambiente comune, anche perché la ricerca della conoscenza della Natura è un modo per apprezzarla.
P.S.: Tutto ciò che ho scritto è da riferirsi alle missioni spaziali che riguardano scoperte veramente significative e non gonfiate da amanti della fantascienza, nel senso che nessuno si sorprende che si scopra un pianeta simile alla Terra (in miliardi di miliardi di galassie ci mancherebbe pure). Inoltre la cura del nostro pianeta parte dal prendersi cura dell’uomo, non dalla riduzione della CO2…degli altri.
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44 commenti
Ottimo articolo, complimenti!
Grazie, Giuseppe.
Avendo sempre molta fiducia nella scienza, tendenzialmente la sostengo anche quando ricerca in ambiti apparentemente poco significativi. L’uomo comune può certo pensarla come Salemme, o meglio ancora come quella suora che, dal suo punto di vista, ha tutte le ragioni per protestare… E quanti altri progetti di ricerca, a un’analisi certosina, presterebbero il fianco alla critica e farebbero porre la domanda se i costi che richiedono ne valgono la candela?
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Dunque, Htagliato, nessuna briglia alla scienza? Mi sa che se la prendiamo dal punto di vista etico qualcuno avrà sempre qualcosa da ridire, io per primo. E in quel caso come la si pone? Si tratta di grossolana cecità di popolo, come nel caso di Salemme qui sopra, o la questione si pone su un livello diverso? E allora, quand’è che una critica in questi ambiti ha senso (quella della suora sembrerebbe anche averne) e quando no?
Per rispondere ai suoi dubbi le posso suggerire due cose:
1) di non cadere nella trappola del criterio dell’utile, per il quale la attività umane degne di essere finanziate diventerebbero tre o quattro. Finché si spende per la conoscenza e lo si ammette, non c’è nessun problema etico, secondo me.
2) Legga il commento di Giorgio Masiero in cui si ricorda che non bisogna porsi in un “o…o” ma in un “sia…sia”
Ricerca della conoscenza… Non lo sarebbe anche nel caso di ricerche sugli embrioni umani? Parlando di etica, mi riferivo anche a questo…
Avevo capito male, io mi riferivo solo all’aspetto economico come affrontato nell’articolo.
In generale, invece, viene prima l’etica, è chiaro.
Articolo veramente completo. Complimenti, HTagliato!
Il dibattito sull’utilità delle missioni spaziali assomiglia a quello tenutosi alla corte di Spagna a fine del ‘400, se fosse opportuno o no finanziare Cristoforo Colombo e la sua missione atlantica. Nessuno al mondo, né una suora missionaria né un comico, può negare che le missioni spaziali hanno alcune ricadute positive certe in termini di conoscenza (“nati non foste per vivere come bruti…”) e in termini di applicazioni. Così come nessuno al mondo può negare che possono avere anche importantissime ricadute strategiche per il futuro stesso dell’umanità, cui la Terra è stretta in termini spirituali e materiali. Il problema quindi non è un aut aut, le missioni spaziali o la fame nel mondo?; il problema è et et, un equo equilibrio tra i due impegni.
Grazie, prof., anche per l’incisivo riferimento storico!
Per aiutare gli atomi! 🙂
Grazie Htagliato per il contributo.
Insomma, la missione su Plutone è, diciamo, l’equivalente del buco keynesiano in economia? Un grande sforzo inutile in se ma utile per creare l’indotto che muove tutto.
Grazie a lei Alfonso per l’interpretazione economica della cosa. Ci vorrebbe qualcuno che se ne intenda di Economia Aziendale per confermare la sua osservazione ma mi sembra giusta.
Trovo molto interessante e condivisibile l’interpretazione keynesiana della questione.
Grazie ad Hatgliato per aver svolto questa riflessione che credo chiarisca bene i termini della questione.
Grazie a lei, prof.
No vi supplico Keynes no! Non si può giustificare il furto dicendo che crea lavoro! Vi prego di confrontare il paradosso della finestra rotta di Frederic Bastiat.
Purtroppo non è giusta l’argomentazione Keynesiana poichè tali scelte si ripercuotono sulla società tutta. Quando si fanno scelte di spesa pubblica si spende sperando che generi un indotto ma non si può sapere se sia la sceta gisuta questo poichè 10 burocrati rinchiusi a palazzo Chigi non possono sostituire l’informazione che deriva dai singoli attori operanti sul mercato tutto.
Un articolo in cui ogni periodo è ragionato e pregno di significato come al solito, bravo h-bar!
Ci tengo ad aggiungere che l’economia è una cosa seria, ma che a differenza della fisica viene discussa con maggiore frequenza da persone che di economia non sanno un ciufolo. Non che in fisica non succeda, ma quando si parla di come gestire le finanze di un paese si ha lo stesso fenomeno per cui durante i mondiali siamo tutti allenatori navigati. E siccome io seguo le tradizini, ora lo farò anche io:
I grandi esperimenti, come le missioni spaziali oppure gli acceleratori di particelle, non sono soldi buttati. Al di là dei sentimenti, creano lavoro, non solo ai ricercatori ma anche a tutti quelli che costruiscono strumenti, agli operai ecc…
Se mai il problema non è che si spendono troppi soldi, quanto che quando questi ultimi girando finiscono sempre nelle stesse tasce! Se così non fosse dovremmo anche smettere di realizzare film e videogiochi con budget milionari e miliardari, ma che mondo sarebbe senza Star Wars? okay, a qualcuno può non piacere, ma quanta gente vive grazie a Star Wars e al mercato del cinema e dei videogiochi?
Grazie Koala per le tue osservazioni!
P.S.: Per Star Wars VII credo che sia normale che ci siano stati molti finanziamenti, dovevano pur bilanciare l’assenza di Darth Vader!
Ottimo articolo Htagliato! Mi è soprattutto piaciuta la tua battuta “Per aiutare gli atomi”.
In realtà, personalmente penso che la battuta stessa esprimi qualcosa di eminentemente vero. La ricerca spaziale è probabilmente il miglior modo per aumentare l’entropia dell’universo il più rapidamente possibile: probabilmente mai il prezzo per una fotografia è stata coi alta per la quantità di conoscenza generata.
Alfonso Pozio ha già fatto la relazione col “buco” keynesiano: è certo che più è efficace la distruzione di energia utile e la distruzione di informazione più l’economia, e la conoscenza “scivolano” meglio e producono dinamiche positive.
Grazie ancora!
Prego Simon, sono lieto di averle dato buon umore!
Io non ho una visione così pia, comunque volevo fare una domanda: quali sono state le tecnologie che abbiamo acquisito grazie alle missioni spaziali?
All’epoca Stuhlinger rispondeva: “Ogni anno circa mille nuove innovazioni create dal programma spaziale trovano il loro impiego nelle tecnologie qui sulla Terra, e portano a migliori sistemi per la cucina, per le coltivazioni, a migliori navi e aeroplani, a migliori sistemi per le previsioni del tempo, a migliori comunicazioni, a migliori strumenti sanitari, a migliori utensili e strumenti che usiamo nella vita di tutti i giorni.”
Scusami se non sono stato preciso, penso che gradisci di più un riferimento come il seguente:
http://www.queryonline.it/2014/11/28/10-tecnologie-di-tutti-i-giorni-che-non-sapevate-fossero-state-create-dalla-nasa/
La domanda di suor Mary secondo me non doveva essere posta alla Nasa. La fame del mondo non si risolve spostando gli stanziamenti pubblici destinati a missioni si “rinviabili” ma anche necessarie. I problemi della fame e malnutrizione si risolvono impegnando le coscienze di tutti per raggiungere questo obiettivo (vanno visti cioé in un ottica squisitamente culturale e soprattutto politica). La lettera di suor Mary é stata comunque importante in quanto destinata a tenere alta l’attenzione e la “coscienza di tutti” (magari anche solo per poco).
Sulla necessità di fare queste spese non ci piove, purché questo tipo di “missione” porti sempre un aumento della conoscenza e della tecnologia (non rischi cioé di essere fine a se stesse).
Non posso che essere d’accordo con lei, Beppino.
Certo, in momenti in cui le risorse sono poche e la famosa coperta è corta, anche le osservazioni della suora ci stanno… Difficile che si ragioni in questi termini e che i denari vengano assegnati con facilità da una destinazione all’altra, ma tutto quel che si spende, per esempio, per le famose missioni di pace (quanti bei dindini al giorno per esportare democrazia) potrebbe essere speso in altra maniera. Facile dirlo, difficile farlo. La Pietà di Michelangelo messa all’asta produrrebbe dindini tanti da sfamare più di qualcuno per qualche tempo, ma se lo dici ti rispondono che non si deve arrivare a tanto e che l’arte ha un suo ruolo, far felici i cuori dinanzi a cotanta bellezza… Il fatto è che non si ragiona mai come in famiglia: un papà che avesse diversi figli da mantenere destinerebbe le risorse per le priorità vere, magari per le gite no, almeno finché le priorità vere non vengono esaudite… Ma uno stato non è papà vero, è patrigno interessato e tanti ci vivono sopra esercitandosi nel famoso magna-magna.
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E dato che ci sono, visto che si parla di papà, visto che di là i commenti sono oggi chiusi, per non far venire l’orticaria alla reiterata e maliziosa domanda di Salvo gli rispondo qui:
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NO!
Secondo me non andrebbero fatti paragoni tra una famiglia e lo Stato: hanno strutture e meccanismi troppo diversi.
In particolare, anche in tempi di crisi la cultura passata e “futura” non andrebbe toccata per rispetto degli italiani di ogni tempo. Giusto togliere risorse alle finte missioni di pace, ma perché sono finte, non perché c’è crisi.
Bene, Cipriani. Avrei gradito, però, che avesse risposto ieri per un’ulteriore domanda.
Sarà per la prossima volta.
Personalmente sono favorevole a queste missioni spaziali. O, meglio, ad alcune di esse, finché non siano utili solo a se stesse e inducano, piuttosto, a un maggior benessere qui, sulla Terra. Poi ovvio, quando scienza si traduce in scientismo è meglio troncarla lì.
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Resto dell’idea, comunque, che alla base di tutto sta l’economia. Fino a quando non miglioreremo l’attuale sistema capitalistico, anche la più umanitaria delle missioni di pace dell’ONU resta solo un escamotage dei potenti.
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Iniziamo ad abolire l’emissione a debito della moneta. Dopodiché anche la più costosa delle missioni spaziali sarà più che bene accolta.
La penso comeilprofMasiero il commento più saggio che abbia mai letto
La scienza, l’astronomia, le stelle, la NASA, le esplorazioni dell’universo…….tutto bello e buono, d’accordo! Però non riesco a non farmi assalire da una grande vertigine leggendo i costi stratosferici, è più forte di me! Forse sono come Giuda che considerò uno spreco l’olio costosissimo che la Maddalena usò per ungere i piedi di Gesù, anche se non condivido il suo pensiero e mi sarebbe piaciuto essere al posto della Maddalena in quel gesto?
A chi non piacerebbe viaggiare tra le stelle ? 🙂
Lo faremo, Salvo. I corpi spirituali non hanno alcun bisogno di macchine o astronavi, si muovono alla velocità stessa del pensiero. Dopo il giudizio finale, quando la creazione stessa sarà stata rinnovata, l’intero cosmo sarà il paradiso dei beati. 🙂
Che lusso che ci attende… 🙂
È un bel pensiero quello da lei riportato, Vincent, ma eviterei di introdurre la religione in questi post dedicati al rapporto scienza-economia, grazie.
Ha ragione, Htagliato, è un pensiero che mi è venuto in mente ragionando sulle qualità dei corpi spirituali, ma non è in tema con l’articolo. 🙂
Evitando paragoni biblici, Martina, quelle grandi spese si giustificano se guardate in un contesto più ampio del risultato finale voluto in modo diretto (tipo le fotografie di Plutone): c’è tutto un sistema di persone che ci lavorano e il progresso tecnologico utile sulla Terra avviene, anche se la spinta ad esso è la sfida scientifica e non quella prettamente sociale.
Giustamente però ha anche ragione Martina…
Io quel discorso lo applicherei, soprattutto, alle cariche pubbliche. Loro si che vivono su un altro pianeta!
Ma analizzando meglio i contesti, capiamo una cosa: lo sviluppo della Scienza, se condotto, ha grossi risvolti sociali; migliora davvero la vita della gente… Invece, pagare i giudici della Consulta o mantenere una casta di burocrati, con quei stipendi (che gridano al Cielo e al cuore dei cittadini), chiedo, che risvolto hanno?
Concordo pienamente, caro Dom.
Concordo con ciò che affermate; credo nel valore della scienza e nelle grandissime capacità che essa ha di spingere l’essere umano oltre i confini di se stesso, ma se questa rendesse più giustizia ai nostri bisogni concreti, non ci renderebbe, nel contempo più felici di esplorare l’intero universo?
Martina, concordo con il suo pensiero. Ma sono dell’idea, comunque, che si debba rimanere con la testa sulle spalle e coi piedi per terra.
Mi riferisco al fatto, come già ribadito anche da altri utenti, che scienza non diventi sinonimo di scientismo. Come spesso, oggi, accade…
Quello che intendo è: prefiggiamoci pure di andare su Marte o, paradossalmente, su un altro pianeta, ma non investiamo ingenti risorse sperando di trovare una qualche civiltà aliena. O, addirittura, più progredita tecnologicamente di noi. Questo lasciamolo fare ai campo della fantascienza 😀
Salvo
“sperando di trovare una qualche civiltà aliena. O, addirittura, più progredita tecnologicamente di noi. ”
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Vedi Salvo, non sarebbe nemmeno un problema questo, la cosa che mi infastidisce di certa scienza e’ il PERCHÉ desidererebbero così tanto trovare degli alieni, ed è motivato dal loro desiderio riduzionistico nei confronti dell’uomo.
Per certa scienza non ci sarebbe nulla di meglio che trovare una civiltà magari anche superiore alla nostra per poter dire “ECCO! Ve lo dicevamo noi, siamo la mmmmmerda dell’universo, stiamo alle altre civiltà come i batteri stanno a noi!” 😀 😀
Sono certo che molti adorerebbero questa cosa, c’è una sorta di “pulsione di morte” freudiana in certa (sottolineo certa) scienza odierna.
Anche perché, terminando l’off topic, viene proprio da chiederselo, cosa guadagnerebbero questi scienziati a dimostrare che l’uomo non ha alcun fine (cosa che, preciso, non verrebbe dimostrata dall’esistenza degli alieni, anzi, sono loro che la vedono così) e che è solo un povero scimmione venuto dal nulla è destinato al nulla, quale sarebbe il “guadagno” esistenziale che trarrebbero dimostrando che le speranze dell’uomo sono vane e che invece della speranza è il caso (speculazione metafisica indimostrata e indimostrabile dalla scienza, come il finalismo) ad aver vinto?
Io davvero non lo so, non posso fare a meno di pensare alla pulsione di morte di Freud, infatti tendenza, per il padre della Psicoanalisi, sarebbe al servizio del “principio del piacere”, poiché solo morendo (con l’affermarsi, cioè, della “pulsione di morte”) cesserebbero le tensioni derivanti dal risorgere dei bisogni e si conseguirebbe uno stato di “costanza” equivalente ad una sorta di “nirvana”.
Trovo davvero singolare il “desiderio” che hanno molti che il senso non esista, che la vita eterna non esista, un conto è non crederci a desiderarlo e’ davvero incredibile. Moto davvero questa pulsione di morte in certa scienza, noto anche la volontà di potenza Nietzscheana in molte persone, quando pur ammettendo che l’aborto è un omicidio ritengono che sia giusto avere comunque la possibilità di scegliere se terminare quella vita.
Pulsione di morte e volontà di potenza, ho l’impressione che siano molto legate alla civiltà post cristiana nella quale ormai viviamo (con la parziale -per fortuna- eccezione dell’Italia, parziale eh).
Vedo molta volontà di potenza anche nel darwinismo, concepito come vittoria del più forte (del più adatto ma il significato cambia poco) nella natura e nella società (intendo il darwinismo sociale).
Si, magari mi sbaglio, ma in questa società vedo molta volontà di potenza accompagnata da un’altrettanto distruttiva pulsione di morte.
Da uno come te, Vincent, ci si aspetterebbe un moto di ottimismo. Invece sei un disfattista coi fiocchi. E non perdi occasione di condire qualsiasi discussione con questa tua smania di dimostrare che hai fede e che la religione blablablablablablablablablabla. Non una parola, hai speso, per dire qualcosa riguardo al vero tema del post, magari solo per dire, eh?, che con le missioni spaziali si potrebbero fondare tante belle missioni per diffondere il Vangelo lassù sulle stelle da dove tutti veniamo, come diceva il mitico Alan Sorrenti…
No ma io sono invece d’accordo col tema del post eh. Io amo anche la scienza, come ho sottolineato a Salvo detesto lo scientismo, tutto qui. 🙂
Altra cosa Giuseppe: ti pare che uno che scrive un post simile http://www.enzopennetta.it/2015/11/il-costo-delle-missioni-spaziali/#comment-43667 abbia un’idea disfattista del destino che attende l’umanità o, per dirlo in maniera scientifica, il sapiens sapiens? 🙂
Non credo che un disfattista scriverebbe queste cose. Ritengo però che l’uomo possiede davvero un istinto misterioso, che lo induce ad allontanarsi del Bene, e anzi a combatterlo e ad anelare che non esista e che tutto si risolva nel nulla, questo istinto è molto presente in molti uomini moderni, e non so spiegarmelo.
A proposito, con quel “lassù sulle stelle da dove tutti vehi amo” spero non si riferisca alla panspermia, vero? 🙂
Nella speranza di non risultare troppo off topic, vorrei ricollegarmi a quanto scritto sopra da Martina e condividere con voi una frase del grande André Frossard (l’uomo che incontrò Dio) riportata sull’ultimo numero del Timone nella rubrica di Vittorio Messori:
“La fede è ciò che permette alla ragione di vivere al di sopra delle proprie possibilità”.
Altro che scientismo.
(Vogliate accettare, benché tardivi, i miei apprezzamenti a chi ha scritto gli ultimi articoli di CS: complimenti e grazie a Pozio, Masiero, Htagliato e, ovviamente, Pennetta).
Prego, Muggeridge, grazie a lei che ci segue sempre!
Lo scientismo, Muggeridge, e’ la morte della ragione e della scienza.
È con lo scientismo che la Fede è da sempre in rotta di collisione, non con la scienza.