Con “La fine della scienza” si intendeva pochi anni fa la conquista di tutto lo scibile possibile.
Ma oggi si affaccia un altro tetro significato: la fine della scienza intesa come la sua scomparsa.
Immaginate di stare in un ristorante dove avete saputo che vi cucina uno chef di fama internazionale. Volete cogliere l’occasione, senza badare a spese, per farvi preparare il vostro piatto preferito dal grande chef: tanto per fare un esempio, vorreste ordinare spaghetti con pomodoro, olive e capperi.
Immaginate che il piatto ve lo porti lo chef in persona dicendo “ecco per lei il piatto di spaghetti “pomodoro, olive e capperi!””, ma quando guardate il piatto vi trovate tutto ma non gli spaghetti. Avreste il coraggio di alzare gli occhi e di dire al grande chef che non vi ha cucinato ciò che avevate chiesto? Tenete la risposta per voi perché ora viene la vera questione da trattare.
Sulla rivista Nature (la più importante rivista scientifica del mondo) il 9 Settembre di quest’anno è stato pubblicato un editoriale da parte di Daniel Sarewitz, co-direttore del Consortium for Science, Policy and Outcomes presso l’Arizona State University. Tale editoriale appare strano fin dal titolo, il quale recita “La riproducibilità non curerà ciò che affligge la Scienza”.
Si parte con la descrizione di un problema di carattere generale riguardante la scienza, cioè che ogni anno vengono pubblicati così tanti articoli che è quasi impossibile riprodurre tutti gli studi che vengono trattati in essi. Uno dei problemi che sorgono di conseguenza è il trattamento di quegli studi che in particolare si occupano di elementi che hanno rilevanza politica.
A questo punto viene affrontato l’esempio di una legge statunitense di quest’anno, chiamata Secret Science Reform Act, la quale stabilisce che si dovrà vietare all’Environmental Protection Agency (EPA, ossia l’Agenzia della protezione ambientale, un’agenzia del governo federale) di proporre, concludere, o diffondere regolamenti o valutazioni basate sulla scienza che non è trasparente o riproducibile.
Sembra una buona legge a prima vista, per cui, essendo stata approvata dalla Camera dei Rappresentanti a Marzo, col favore dei repubblicani e l’opposizione dei democratici, non resta che attendere che superi anche la prova del Senato.
Bisogna precisare però che tale disegno di legge è stato vigorosamente contrastato da molte organizzazioni scientifiche e ambientali. Il problema di cui la legge non tiene conto è che spesso, per motivi di tipo pratico, non sempre è possibile riprodurre determinati studi a causa del fatto che richiederebbero lavori molto ampi e molto lunghi. Queste difficoltà, che non dipendono dalla volontà degli scienziati, sono tipiche di tutte quelle aree di ricerca che riguardano la salute, l’ambiente e in generale i sistemi complessi.
Questo tipo di ostacolo può essere arginato utilizzando simulazioni statistiche, ma purtroppo studi scientifici hanno riscontrato che esistono pratiche statistiche e ipotesi di modellizzazione non affidabili.
In sostanza le organizzazioni scientifiche accusano gli autori di tale disegno di legge di voler imporre norme che, pur volendo, sono difficili da applicare e che permetterebbero a i privati di godere di regole più leggere per quanto riguarda l’impatto ambientale delle proprie attività. La legge sarebbe quindi dettata da un falso rispetto verso la scienza e il desiderio di garantire la replica indipendente di studi aventi rilevanza politica nasconderebbe in realtà interessi di mercato.
L’editorialista di Nature decide però di riportare anche una voce favorevole a tale disegno di legge, citando il pensiero di accademici che su Science dichiarano di apprezzare il desiderio di trasparenza voluto da esso, anche perché ciò potrebbe essere un modo per contrastare il dilagare di studi non riproducibili.
In pratica basterebbe usare la stessa “norma di auto-correzione” che caratterizza la scienza per risolvere i suoi problemi attuali. Curare la scienza con la scienza.
In seguito, viene citato anche il repubblicano Lamar Smith, il quale sostiene che la riproduzione indipendente degli studi che vanno a determinare le norme dell’EPA è una normale applicazione del metodo scientifico.
Prima di affrontare il punto di vista di Daniel Sarewitz, riassumiamo i fatti.
Abbiamo un disegno di legge che impone la riproduzione di quegli studi che andrebbero a determinare le norme dell’EPA e quindi quelle ambientali, ma abbiamo due fronti contrapposti: i democratici, gli ambientalisti e alcuni scienziati ci ricordano che non tutti i loro studi possono essere replicati e che quindi, per ragioni non scientifiche ma burocratiche si rischia che le norme ambientali si affievoliscano favorendo i privati; i repubblicani e altri scienziati sostengono invece che la legge richiede semplicemente l’applicazione del metodo scientifico al fine di valutare meglio quali dovranno essere le giuste norme ambientali.
Arrivato a questo punto mi sono detto, non per difendere i repubblicani, che se uno studio non è replicabile, con il dovuto rispetto per gli scienziati che l’hanno realizzato e comprendendo che non è una loro colpa, allora non può essere considerato scientificamente attendibile. Non è colpa del cuoco se manca la pasta ed io so di non essere un chef, ma il grande cuoco non può dirmi di aver cucinato spaghetti “pomodoro, olive e capperi”.
Non voglio però insistere sulla mia opinione perché ciò che conta veramente sono le considerazioni dell’editorialista, presenti dopo che questi ha diligentemente dato voce ad ambo le posizioni.
Secondo Sarewitz, la disputa intorno alla legge Secret Science è solo apparentemente scientifica, ma in realtà è ideologica. La scienza in questo contesto è solo il campo di battaglia, ma non è lei a dire quale dei due fronti abbia ragione, perché il vero oggetto della discussione sono le norme ambientali che i privati vorrebbero meno severe mentre gli ambientalisti no.
Il metodo scientifico quindi verrebbe usato dai repubblicani solo come un’arma, sapendo bene di riferirsi ad una visione idealistica della scienza che all’atto pratico non si può realizzare (e io che credevo che tutto dovesse essere riproducibile, quanto sono ingenuo!). Molto onestamente, l’autore dell’editoriale ammette che in passato anche i democratici hanno usato la stessa retorica, accusando i repubblicani, in altre situazione, di essere loro quelli che ignoravano il metodo scientifico!
Mi ha molto colpito la similitudine utilizzata subito dopo per far capire al lettore quanto sia surreale tale disputa: all’editorialista di Nature questa diatriba ricorda quella che due genitori in procinto di divorziare compiono per decidere quale sarà la sorte dei loro bambini. La circostanza surreale di ambo le situazioni, unite dalla similitudine, è che le parti in gioco sono entrambe determinate a sostenere che hanno a cuore solo il bene del bambino-scienza. Se così fosse, però, non si capirebbe perché le idee avanzate per il bambino-scienza possano essere così inconciliabili: il bene del bambino-scienza non dovrebbe essere uno e uno soltanto?
Non vorrei aprire un’ampia parentesi, ma chiunque non voglia prendersi in giro sa bene che ciò che un bambino vorrebbe nel suo cuore è che i genitori tornino ad amarsi e restino insieme e che qualunque altra soluzione sarebbe solo un “bene minore”.
Nel nostro caso, tornando alla Scienza, quale sarebbe la cosa più giusta da fare, il massimo bene ottenibile?
Siamo giunti all’ultimo passaggio di questo editoriale, un passaggio che ho letto non so quante volte perché mi ha turbato anche emotivamente (scusate la sensibilità), cioè non solo da un punto di vista razionale. Il testo originale è come segue:
More and more, science is tackling questions that are relevant to society and politics. The reliability of such science is often not testable with textbook methods of replication. This means that quality assurance will increasingly become a matter of political interpretation. It also means that the ‘self-correcting norm’ that has served science well for the past 500 years is no longer enough to protect science’s special place in society. Scientists must have the self-awareness to recognize and openly acknowledge the relationship between their political convictions and how they assess scientific evidence.
La sua traduzione, sperando di averla sbagliata (avete letto bene), è la seguente:
Sempre più, la scienza sta affrontando questioni che sono rilevanti per la società e la politica. L’affidabilità di tale scienza spesso non è verificabile con metodi di riproducibilità da manuale. Ciò significa che la garanzia della qualità sarà sempre più una questione di interpretazione politica. Significa anche che la ‘norma di auto-correzione’ che ha servito la scienza bene per gli ultimi 500 anni non è più sufficiente per proteggere il posto speciale della scienza nella società. Gli scienziati devono avere l’autoconsapevolezza di riconoscere e ammettere apertamente il rapporto tra le loro convinzioni politiche e il modo in cui valutano le prove scientifiche.
Reagendo con incredulità a tali affermazioni, in un primo momento ho pensato di difendere l’autore interpretando tale passaggio come un testo da non prendere alla lettera. Ho ritenuto che forse lo scopo dell’editoriale era di illustrare un problema attuale di conflitto tra scienza e politica e di concludere ironicamente con la proposta di un nuovo metodo scientifico. Se così fosse, allora quale dovrebbe essere il vero “suggerimento” da dare agli scienziati? In realtà sbaglio a chiamarlo “suggerimento” perché è stato usato il verbo “must”, che come ci insegnano al liceo è una delle forme più severe per esprimere il verbo “dovere”: non una necessità, ma un obbligo.
Se fosse quindi vera l’interpretazione ironica, cosa voleva dire l’autore?
Che gli scienziati devono stare attenti a non confondere le interpretazioni scientifiche con le proprie convinzioni politiche? L’argomento dell’editoriale non sono però i dati mal interpretati, ma i dati che mancano.
Che la politica non deve ostacolare la scienza? Di nuovo non c’è coerenza, perché non ci troviamo di fronte ad una politica che blocca il metodo scientifico ma che, forse ipocritamente, lo pretende.
Che la politica dovrebbe favorire la riproducibilità e non limitarsi a pretenderla? Quest’ultimo in realtà è il mio pensiero, ma non quello che traspare leggendo l’articolo nella sua interezza: Sarewitz fa intendere che sta dalla parte dei democratici e degli ambientalisti in questa vicenda e che la riproducibilità è più una cosa da mettere da parte in tali dispute anziché da difendere. Inoltre, perché non dire esplicitamente, su una rivista seria come Nature, le proprie proposte di soluzione del conflitto? Anche da un punto di vista stilistico, il testo non è ironico in alcuna sua parte, l’autore non afferma mai una cosa scrivendone il contrario.
A questo punto, non resta che la sola alternativa di prendere sul serio la proposta finale: secondo questo editoriale di Nature, occorre una nuova scienza che sostituisca la “vecchia”, che è poi quella che tutti noi abbiamo appreso a scuola.
Dopo la scienza (galileiana) e la tecnoscienza del nostro secolo, propongo quindi di coniare il termine e il concetto di “politicoscienza”, una scienza che supera i problemi pratici della vecchia scienza introducendo il nuovo strumento dell’interpretazione politica, purché i “politicoscienziati” ne siano consapevoli e lo dicano.
Facciamo un esempio di applicazione di questa nuova realtà umana. Immaginiamo che uno scienziato che lavori per un’azienda privata abbia inventato un nuovo tipo di conservante per alimenti, sul quale però si sospetta che possa essere dannoso per la salute. Immaginiamo che tale dubbio sia figlio di considerazioni di natura chimica da parte di scienziati esterni all’azienda. Cosa dovrebbe fare l a politica in questa situazione?
Con la “vecchia scienza” si sarebbe dovuto aspettare chissà quanto tempo e con quale dispiegamento di mezzi che scienziati super-partes riproducessero gli effetti del nuovo conservante, così da stabilire con certezza scientifica se esso sia dannoso. Quando tutta la procedura sarebbe ultimata, finalmente si scoprirebbe se si è protetta la salute dei consumatori oppure se si è compiuto un danno economico e d’immagine ad un’azienda che avrebbe potuto da subito guadagnare di più grazie al suo nuovo prodotto.
Siccome noi però viviamo in un’epoca molto dinamica e in continuo progresso, meglio si adatta ai nostri tempi un metodo scientifico che non sia frutto dell’antica e lenta società seicentesca.
La politicoscienza infatti avrebbe valutato per bene le conseguenze politiche di una certa affermazione scientifica (al contrario di ciò che accade con la vecchia separazione delle competenze) con una soluzione semplice e immediata: i politicoscienzaiti di sinistra avrebbero detto che il nuovo conservante è dannoso, mentre i politicoscienziati di destra avrebbero garantito la sua sicurezza per le persone. In seguito si sarebbe fatta una discussione di tipo parlamentare con votazione a maggioranza per stabilire ciò che è policoscientificamente vero. Con l’acquisizione di nuovi dati, per esempio un vecchietto che muore a causa degli effetti del nuovo conservante, allora, com’è giusto che sia, si sarebbe aggiornata la conoscenza della comunità politicoscientifica su tale sostanza. Infatti, la politicoscienza non nega i dati, ma solo il modo di valutarli.
Tornando alla metafora usata da Sarewitz, i nostri cari bambini saranno contenti di uscire dal tribunale civile non più con due genitori che vogliono divorziare, ma con un unico genitore ermafrodita, nato dalla fusione dei due, che starà sempre con loro.
La politicoscienza curerà ciò che affligge la scienza attuale sostituendo alla carenza di riproducibilità, che rischia di farle perdere il posto speciale che ha nella società, quell’affidabilità che tutti attribuiscono alla politica.
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79 commenti
Non ho capito troppo bene…
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Temi che la scienza finisca davvero (il che è solo una provocazione giornalistica) o denunci semplicemente il fatto che, come tutte le attività umane, anche la scienza deve/dovrà (sempre più) fare i conti con la politica? Il che mi parrebbe ovvio. E posso aggiungere purtroppo, ma non sarei così pessimista.
Temo che non sia solo una provocazione, temo cioè che si invitino gli scienziati a non applicare più la separazione dei ruoli (scienza e politica) ma a dover dire, magari nei propri paper, “le implicazioni politiche del nostro studio sono le seguenti…”, così da ottenere di più cose come visibilità e fondi.
Che la garanzia di qualità sia una questione (direi “anche”) di interpretazione politica non ci piove (in realtà sotto sotto, forse, non può essere che così… almeno per quell’inconscia presenza di “ideologia” ingovernabile, non sempre trascurabile, che é sempre presente nella testa del ricercatore); e questo, probabilmente, anche quando l’affidabilità del discriminante “scienza” é verificabile con riproducibilità da manuale.
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L e considerazioni dell’articolista di Nature in merito la ‘norma di auto-correzione’ che non sarebbe più sufficiente per proteggere il “posto speciale” della scienza nella società secondo me estrinseca semplicemente un presupposto erroneo, cioé che la scienza sia sempre in grado di fare la differenza; il che non é vero, particolarmente nei sistemi complessi, dove le potenzialità computistiche nell’approccio deterministico in certi casi non possono (ne potranno mai…) garantire risultati rigorosi. Il discorso degli scienziati che devono “riconoscere il rapporto tra le loro convinzioni politiche e il modo in cui valutano le prove scientifiche” non é altro che una indiretta presa d’atto di una limitatezza presente a monte (probabilmente, e inconsciamente, “sempre” rimossa dalla testa degli stessi scienziati con la consueta argomentazione che “questo é quello che si può fare per il momento…”).
Mi dica se ho capito bene: in breve c’è un errore di fondo per cui le capacità della scienza sono state troppo a lungo sopravvalutate?
Nel ruolo della scienza nel dare avvallo all’emanazione di norme e leggi semplicemente é impossibile non tener conto che alcune fenomenologie nei sistemi complessi non potranno mai essere esaustivamente studiate per oggettiva impossibilità compustica e modellistica di coprire previsioni e comportamenti. Se certe norme e leggi non possono compiutamente trovare l’ “avvallo scientifico” vuol dire che la “specialità della scienza” é da intendersi come strumento ineluttabilmente non illimitato nelle possibilità e l’avvallo non può che essere necessariamente acquisito “anche” attraverso altri percorsi o integrazioni. Cosa poi siano o possano essere altri percorsi, scorciatoie, integrazioni o rivisitazioni dello strumento “scienza” che in qualche modo fa intuire l’articolista di Nature, é altra cosa; resta sotto sotto il discorso, o la presa d’atto indiretta, che “la specialita della scienza” non può essere “tutto” nell’ottica di avvallare norme e leggi inerenti problematiche e sistemi complessi.
D’accordo, finché si tratta di integrare una posizione politica legata alla scienza con altri fattori (economia, etica e così via) allora va bene, mi preoccupò però se si parla di cambiare la scienza in sé, che invece non lo trovo necessario.
L’articolo è molto interessante. Mi sembra però che le conclusioni non siano così perentorie.
Si parla di uno “spesso” non verificabile (il che non significa sempre).
E’ evidente che a fronte di situazioni effettivamente non verificabili, ma che abbracciano possibili conseguenze gravi , si esce dall’alveo scintifico e si entra in quello politico.
Ed infatti la disputa è tutta politica, mettendo di fronte (per dirla con semplicità) chi vuole produrre senza vincoli (in caso di dubbi sulla pericolosità), e chi invece di fronte alla possibile pericolosità vuole applicare il principio di cautela.
Sono due ideologie contapposte, ed infatti dividono due gruppi politici , che si schierano compattamente da una parte e dall’altra a seconda del credo politico, e non certo per scelta personale e meditata.
A mio parere sarebbe più efficente demandare ad un organismo politico la scelta, di volta in volta, di applicare un principio o l’altro, o addirittura classificare le realizzazioni a rischio per “pericolosità” .
In pratica l’addove il risultato scientifico non sia completamente affidabile, per i motivi di cui sopra, lasciar fare la realizzazione quando si tratta di una tipologia sotto una certa pericolosità, e applicare il principio di precauzione sopra una certa soglia.
Qui non si tratta di definire vera o non vera una tesi scientifica in base ad una convizione politica, ma di consentire l’applicazione a casi concreti della medesima tesi scientifica, l’addove occorre assumersi il rischio.
Se per iperbole io enunciassi una tesi, corredandola di esperimenti quasi provanti, che prevede che se butto un fiammifero in un silos di benzina, questa non si incendia, si potrebbero anche lasciare gli scienziati accapigliarsi sul pro e contro. Ma se si propone invece di fare l’esperimento (magari al centro di new york) allora è giusto che la politica si prenda la responsabiltà se vale la pena di rischiare.
In ogni caso la politica è da sempre mischiata alla scienza. Basti vedere nel mondo quale è stato l’approccio sulle centrali nucleari, dove di fronte ad un problema complesso e con pericolosità altissima ma improbabile, ogni nazione a deciso a modo suo.
Ed è giusto così, perchè volente o nolente quello che noi chiamiamo politica è , nei sistemi democratici, l’espressione della volontà dei cittadini. E come diceva Churchill “la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte le altre”.
Sono quasi d’accordo su tutto, il punto è come viene posta la cosa, come ho già detto a Beppino.
Una cosa è dire che una decisione politica va presa sulla base di molte cose, specialmente quando la scienza non può esprimersi, un’altra è pensare che la Scienza in sé debba essere modificata per far includere la politica. Sono due cose diversissime.
Magari è un fraintendimento basato su qualche sfumatura della traduzione..non so.
Sfumatura della traduzione?
Se ho sbagliato, sono pronto a correggermi e a chiedere a Pennetta di cambiare il testo, ma non solo i concetti sono stati espressi dall’editorialista più volte, ma sono anche coerenti tra loro.
Il messaggio è: la riproducibilità non è sempre possibile e non è ciò che i repubblicani vogliono veramente? Tanto peggio per la riproducibilità, gli scienziati porranno anche le interpretazioni politiche.
Science raccoglie ciò che semina da decenni: confusione. Una doppia confusione.
La prima è quella di pretendere che esista solo il metodo scientifico (galileiano), quasi non esistano altre procedure d’indagine e di controllo, capaci di fornire conoscenza. Se definiamo in generale “scienza” tutto il sistema umano di conoscenze, ottenute attraverso un processo organizzato e rigoroso di ricerca, finalizzato all’elaborazione di rappresentazioni linguistiche tendenzialmente coerenti con la realtà (eventualmente anche nei suoi aspetti meno direttamente controllabili), dall’etica alla politica, dall’economia alla storiografia alla filologia, cosa ha da dire il metodo galileiano a questi riguardi? Nulla. A seconda dell’area di ricerca, altri metodi risultano più adatti all’investigazione e alla verifica d’ipotesi esplicative, e tutte insieme concorrono a costituire il sistema dinamico multi-disciplinare con cui l’uomo descrive in maniera approssimata e parziale il mondo, tentando anche di controllarlo. E può, tra l’altro, aiutare così i decisori nelle loro scelte.
La seconda confusione di Science riguarda proprio il metodo galileiano, quando ignora che esso non può prescindere dalla replicatività, che è la madre dell’incrementalità della tecnica, la quale è potenza sulla natura. Una disciplina che prescindesse dalla replicatività non è scienza sperimentale.
La babele di Science è l’errore del bovaro bavarese, che avendo allevato solo vacche nere e non essendosi mai spostato dalla sua stalla, estrapola la deduzione (falsa) che esistano al mondo solo vacche nere. È infine l’opzione di una visione filosofica, tradizionalmente chiamata positivismo, che si è rivelata portatrice di aporie insuperabili. E questa, segnalata da Htagliato, è solo l’ultima in ordine di tempo.
Sono d’accordo sui contenuti, ma sta parlando di Science o di Nature?
Scusa l’errore, HTagliato, mi riferisco ovviamente al tuo articolo, e quindi a Nature.
E’ comunque un lapsus irrilevante: la mia critica vale per una rivista come per l’altra (come per le loro sorelle minori nostrane), tutte accomunate dalla stessa confusione epistemologica.
Non posso fare a men di notare, visto che conosco il sito da tre anni circa e da un po’ sono uno degli autori, che si è replicato un caso precedente:
il 25 Marzo di quest’anno Alessandro Giuliani pubblicava un articolo in cui una fonte importante affermava che, almeno nella scienza biomedica, abbiamo un mare di risultati sbagliati, cioè di paper su studi non riprodotti:
http://www.enzopennetta.it/2015/03/is-the-end-of-the-science-as-we-know-it/
In particolare è stato detto che: “I laureati di primo livello (quelli che fanno la gran parte del lavoro) sono all’oscuro delle basi della metodologia sperimentale (rudimenti di statistica per il disegno sperimentale) e tutto sommato non se ne curano dato che sono convinti che comunque ‘vince chi pubblica’ (e quindi l’importante è spararle grosse non che i risultati siano fondati) e che questo sistema di premi sia immutabile”
Oggi si ha una specie di continuo “coerente” di quella questione, ma stavolta Nature “si arrende ai fatti”: il metodo sperimentale va cambiato.
Le conseguenze possono essere solo pessime, con una soluzione alla crisi della credibilità della scienza peggiore del problema.
Eppure, invece dello scandalo, o almeno di una disputa, ci furono sotto l’articolo di Giuliani solo 15 commenti.
Un articolo invece in cui si parla di bonobo che fanno “pip” interpretati come vocalizzazioni, che si sarebbe dovuto commentare solo con qualche risata tra le parole “si, stavolta hai ragione, sono solo degli animali che fanno un verso”, ha riscosso 207 commenti.
Forse perché ci ho messo un piccolo riferimento a Dio?
Non so se è chiara la situazione: ogni giorno ci dicono che la Scienza può solo progredire, che ci insegna cose straordinarie e che ne promette ancora di più, ma di fatto si sta incartando in un metodo burocratico controproducente basato proprio sul sensazionalismo vuoto e ora si prospetta la possibilità che anche la politica si metta in mezzo, ma stavolta perché la scienza si offre volontaria alla prostituzione intellettuale.
Se a voi sta bene…
Htagliato, l’articolo sui bonobo ha fatto grande successo perchè ha toccato il core business di CS, cioè l’evoluzione, scatendando commenti incrociati che, come spesso accade, hanno abbracciato tutte lo scibile umano 🙂 . Ed è un argomento che crea controvesie….
L’argomento che tu hai citato è un fatto incontrovertibile, sul quale al di la di qualche commento sconsolato e magari nostalgico, non si può dire molto…E’ la modernità , coi suoi pro e i suoi contro (meccanismi di comunicazione ed autopromozione, allargamento della base dei lettori, e conseguente riduzione delle singole compentenze degli stessi, etc etc).
Anche questo articolo è fatto per toccare in linea di principio tutto lo scibile umano, perché si parla di scienza in generale.
Se il problema trattato è dovuto alla “modernità”, si può e si deve andare oltre il “camma fa’” (che dobbiamo farci, in napoletano).
Chi ha voluto che la modernità implicasse ciò?
Com’è stato possibile che uno dei tratti distintivi della modernità, la scienza, diventasse vittima della modernità stessa?
Davvero non possiamo farci niente?
Quando Htagliato mi ha spedito l’articolo e l’ho letto, ho immaginato le razioni che ci sarebbero state alla pubblicazione: ero certo che avrei visto una lunga serie di interventi con reazioni allarmate e disorientate di fronte a questo tradimento della scienza dichiarato su Nature.
E invece poco o niente… persone use a stracciarsi le vesti per la minima violazione delle regole scientifiche o per ogni infinitesima violazione dell’autonomia della scienza, mandano giù questa roba con una scrollata di spalle.
Questo fa riflettere.
Il fatto è, Enzo, che stavolta ha parlato Nature, mica un pinco pallino cs qualsiasi…! Ipse dixit, e scatta la soggezione all’Autorità.
Giorgio, questo è ancor più preoccupante.
Abbiamo la conferma che stiamo scivolando verso un’epoca mitologica pre scientifica, dove la cosa importante è che la narrazione sia conforme al modello in voga in quel momento.
Questo realizza la “fine della scienza” nei due possibili significati:
-Fine delle scoperte veramente nuove, indistinguibili dalle congetture non fasificate, aumento dell’accuratezza delle misurazioni di quanto già noto.
-Fine della scienza come metodo di conoscenza del mondo fisico e ritorno ad una rappresentazione mitologica.
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Lo chiamano progresso…
Vede, professore, si usa dire che sia stata la Chiesa ad opporsi alla scienza, anzi, che a volte lo fa ancora, per esempio scrivendo sul suo catechismo che “gli atti omosessuali sono intrinsecamente disordinati”.
Invece il meccanismo delle pubblicazioni (dove la cosa più importante è pubblicare, anche se per dire che i bonobo fanno “pip”, e quindi il 90% dei paper è immondizia) e la collegata crisi della riproducibilità sono conseguenza di una modernità che possiamo solo accettare.
Htagliato, sottoscrivo le tue considerazioni.
Non reointroduciamo l’argomento “omosex” sennò qui si scatenano tutti.. 🙂
Invece per quanto riguarda la modernità , chi può garantire che questo modo attuale di concepire la modernità non sia lo scotto inevitabile da pagare per aver avuto 200 anni di sviluppo tecnologico e sociale incredibili, che hanno portato il numero degli umani dai circa 300 milioni nell’anno 1000, ai circa 1000 milioni dell’anno 1800 ai circa 8,5 miliardi odierni?
C’è qualcuno che può con certezza affermare che l’aumento indubbio delle libertà personali e dei diritti civili degli ultimi 200 anni non abbia inciso nel diffondersi della cultura e della scienza , più di quanto l’abbia danneggiato ?
Siamo proprio certi che le società del 1700. 1800, del 1900 e del 1950 fossero più etiche di quelle attuali ? Con quali parametri possiamo misurare certi fenomeni ?
“chi può garantire che questo modo attuale di concepire la modernità non sia lo scotto inevitabile da pagare per aver avuto 200 anni di sviluppo tecnologico e sociale incredibili […]?”
Il problema che stiamo trattando nell’articolo e nei commenti non è una “saturazione di scoperte”, un “calo fisiologico” come può essere quello di una squadra di calcio che ha vinto molte partite di fila ed è normale che perda l’ultima. Qui si tratta di una serie di errori sistematici (le regole del “pubblica o muori” e la riconsiderazione della riproducibilità) che spegnerebbero (e in parte lo stanno già facendo) il progresso per un tempo indefinito.
“C’è qualcuno che può con certezza affermare che l’aumento indubbio delle libertà personali e dei diritti civili degli ultimi 200 anni non abbia inciso nel diffondersi della cultura e della scienza , più di quanto l’abbia danneggiato ?”
La libertà e i diritti civili non hanno danneggiato la scienza, anzi, non potevano che favorirla garantendo a tutti la possibilità di prenderne parte anche solo conoscendola. Qui parliamo di altro, di un ritorno al principio di autorità (mascherato dalle regole delle pubblicazioni e della politica) che vanno in direzione contraria alla modernità pur spacciandosi per figli di essa (a meno che non vogliamo caratterizzare la modernità come l’epoca in cui ha trionfato la scienza, ma come quella in cui essa si è inserita nella politica, allora sì, queste cose sono figlie della modernità).
Le ultime due domande riguardano l’etica, che non è argomento dell’articolo, che invece parla di epistemologia (andremmo troppo oltre con la discussione).
O forse, e parlo per me, non considerano interessante parlarne con gli interlocutori abituali di questo blog (per motivi che ho già spiegato). Nella tua riflessione, ti sfiora mai l’idea di non essere cosi’ importante?
Non sono mai stato convinto di essere importante, anzi, lo so bene!
Le mie sono constatazioni dei fatti: quando c’è anche solo un vago riferimento a Dio, quasi sempre solo negli occhi di chi legge, in molti vogliono esprimersi e creare discussioni, ma non perché siamo importanti ma per il gusto (in sé legittimo) di dire la propria.
Quando qualcuno che veramente può permettersi di dirsi importante fa affermazioni gravi sullo stato (presente o futuro) della Scienza, vale il “Vabbè, che possiamo farci…”
@GVDR
1- la considrazione era rivolta proprio ai frequentatori abituali del sito
2- se non è poi così importante perché ci perdi tempo?
Perché ritengo utile che chi arriva a leggere i commenti possa trovarvi una posizione diversa dal vostro pensiero unico, magari un po’ più vicina al dibattito scientifico odierno.
Bene, allora potrebbe essere utile anche in questo caso una posizione diversa sull’argomento di questo articolo rispetto a quella che abbiamo espresso io, Pennetta e Masiero.
Lei cosa ne pensa? È giusto e/o necessario che il metodo scientifico cambi per colmare con l’interpretazione politica lo spazio lasciato vuoto dalla mancanza di riproducibilità?
Tutto tace…
Ma cos’è di un fuso orario che non capisci, Enzo?
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“Tutto tace”. Ebbene si, lo confesso, dormivo.
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Francamente, mi pare che voi stiate montando un caso del tutto pretestuoso. E l’unica cosa che mi auguro è che i vostri affezionati lettori leggano l’articolo. Purtroppo so che molti non lo faranno, e c’è poco da lamentarsi.
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L’articolo non invita a “colmare con l’interpretazione politica lo spazio lasciato vuoto dalla mancanza di riproducibilità” ma a riconoscere, a rendere evidenti, le proprie convinzioni politiche per lasciare a chi legge la possibilità di farsi una opinione più completa dell’articolo. Una operazione di trasparenza, appunto.
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E non si parla di impossibilità di riprodurre le ricerche, tout court, ma del fatto che alcune ricerche sono, per la mole e complessità dei dati che utilizzano, difficili da riprodurre in modo classico. Ed occorre qui di riflettere su cosa significhi riprodurle (ed in questo caso l’articolo fornisce anche una idea di come fare).
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“With respect to reproducibility of research, some scientific research, especially in areas of public health, involves longitudinal studies that are so large and of great duration that they could not realistically be reproduced. Rather, these studies are replicated utilizing statistical modeling.”
“…a riconoscere, a rendere evidenti, le proprie convinzioni politiche per lasciare a chi legge la possibilità di farsi una opinione più completa dell’articolo. Una operazione di trasparenza, appunto.”
Della serie “in questo paper parleremo degli effetti sulla salute provocati dalla sostanza x. Dobbiamo precisare che siamo persona di estrema sinistra di tipo ecologica-radicale, ma ciò non toglie che il nostro studio, benché difficilmente riproducibile, sia ben fatto”.
È proprio una delle cose che temiamo, lo scienziato che specifica le proprie convinzioni politiche, e questo dovrebbe garantire più affidabilità…
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“(ed in questo caso l’articolo fornisce anche una idea di come fare)”
Sì, ma purtroppo “Growing concerns about the quality of published scientific results have often singled out bad statistical practices and modelling assumptions”
cioè “Le crescenti preoccupazioni circa la qualità dei risultati scientifici pubblicati hanno spesso individuato pratiche statistiche e ipotesi di modellizzazione cattive”
No, come in “We are concerned for the loss of biodiversity \cite{xxx,xxx,xxx} caused by human activities \cite{xxx,xxx,xxx}. Here, we analyse the impact of X on Y, … “. Nulla di ridicolo, nulla di forzato. Forse, però, fornisce ad un lettore una chiabe di lettura in più.
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Si, ci sono problemi statistici più evidenti ora che in passato. E quindi? È finita la scienza? Se la pensi così ne prendo atto. Se lo dici tu non posso che crederti.
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Nel mentre, mi sembra utile constatare che c’è anche una attenzione crescente e attiva (sono nate intere riviste dedicate) alla riproducibilità. E ci sono vari progetti per riprodurre studi classici. Insomma. O ci si lagna a vuoto, o ci si rimbocca le mani. Io preferisco la seconda. Liberissimi di piangere lacrime di coccodrillo sulla fine della scienza senza muovere un dito.
Il suo è un esempio di studio contestualizzato in un ambito umano, il ché ci va bene. Nell’editoriale si parla invece di interpretazione politica, cioè qualcosa di “nuovo”, il “paper di parte”.
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No, la scienza non muore per problemi di questo tipo, muore se la si mescola con la politica.
No, nell’articolo non si parla di quello. Di quello parlate voi , perché vi fa comodo come uomo di paglia da criticare. Una tecnica usata oramai alla nausea, in questo blog (come quando, pochi giorni fa, Simon se la prendeva con gli scienziati evoluzionisti che non analizzavano altro che l’essere umano).
Scusate, ma da profano (e puro) ritengo che la valutazione di credibilità dei contributi scientifici sia per forza di cose sempre in sintonia con i tempi, non potrebbe essere altrimenti… I bene informati mi insegnano che sulle ricerche in corso i criteri della valutazione qualitativa si rifanno alla social peer-review e quelli della valutazione quantitativa all’analisi citazionale. Criteri collaudati.
Ebbene, vi meraviglia che siano anche parametrati su principi che si evolvono?
Se poi mi dite che bisogna tornare allo scienziato puro e crudo che se ne frega di politica, capi e finanziatori, beh, forse vivete in un altro mondo.
E allora lanci qui la prima pietra chi, nel suo lavoro, è esente da questi fastidiosi vincoli.
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Se invece non ho capito nulla e la vostra è un’accusa del tipo che mi sfugge, mi cospargo fin da ora il capo di cenere e attendo un verdetto di colpevolezza.
Nessuno qui è un giudice che pretende la cenere.
Il fatto che il modo di valutare l’importanza di un paper rispetto ad un altro cambi nel tempo va anche bene, ma il metodo scientifico deve essere sempre quello.
Nessuno sta dicendo che lo scienziato ignori il fatto che il suo lavoro sia pagato da qualcuno, fatto per qualcun altro, inserito in un mondo capitalistico e con interessi politici, non credo che qualcuno sia così ingenuo. Il nostro è un discorso più profondo: il metodo scientifico deve restare quello altrimenti non è più scienza, a prescindere dal fatto che lo scienziato deve convincere un finanziatore oppure che un suo lavoro venga sfruttato da un politico per dar forza alle sue opinioni.
In breve, nel mondo tutto è collegato: scienza, tecnologia, economia, politica… eppure così come nessuno dice che la politica è una cosa che si studia in laboratorio, analogamente la scienza non può sostituire alla replicabilità l’interpretazione politica.
Sono d’accordo con Masiero, stavolta.
Masiero è un mago… Mira a pigliare due piccioni con una fava… (ma si tratta di capire se sono davvero piccioni, quelli avvistati).
I due piccioni sarebbero Nature e Science?
Oppure la Scienza e la Scienza sperimentale? O la Scienza e la politica?
Masiero, nel suo intervento, riesce a imputare Nature di due gravi colpe:
1) pretendere che esista solo il metodo scientifico (primo piccione)
2) ignorare che il metodo galileiano non può prescindere dalla replicatività (secondo piccione)
Una doppia accusa (fava) che bisognerebbe però dimostrare vera, cosa che a una semplice lettura a me non risulta evidente.
Ma sono pronto a ricredermi.
Le mie critiche 1) e 2), Cipriani, non sono “evidenti”, ma sono i miei giudizi, mossi in base alla mia definizione di scienza in generale e di scienza empirica in particolare (che ho dato onestamente nel primo commento).
Sarebbe onesto che anche Nature, Science, ecc. dessero la loro definizione di scienza, prima d’insegnare agli scienziati come comportarsi.
Invece Nature pretende in questo articolo di stabilire una scienza per i democratici ed una per i repubblicani, senza prima aver dato un’epistemologia… Che cosa faranno le riviste sorelle in Italia con una decina di partiti? inventeranno una decina di scienze? non sarebbe questa la morte della scienza, come prospetta HTagliato?
Comunque, dopo aver letto una serie di commenti che accettano questo stato di cose, possiamo dire che nel caso Galilei, oltre ad aver ragione dal punto di vista sperimentale, Bellarmino aveva ragione anche alla luce di questa visione scientifico-politica proposta da Nature?
Bellarmino 2 Galilei 0…
Questa tua, Enzo, è sublime: siamo ai moderni inquisitori!
Ma chi lo stesso Bellarmino che disse che l’opinione di Copernico, laddove la si fosse voluta considerare vera in natura, avrebbe potuto “nuocere alla Santa Fede con rendere false le Scritture Sante” ? Il suo più grande gesto fu di donare gran parte dei suoi averi ai poveri. Mi fermerei li.
“Laddove si dovesse considerare VERA in natura”, ML, e non un’ipotesi che semplifica i calcoli – v. l’Aquinate – come è il caso per ogni teoria scientifica. Bellarmino come Duhem e Popper (Feyerabend)
@ML, lo stesso Bellarmino che diceva anche:
“Dico che quando ci fusse vera demostratione che il Sole stia nel centro del mondo e la Terra nel terzo cielo, e che il sole non circonda la terra, ma la terra circonda il sole allhora bisogneria andar con molta consideratione in esplicare le Scritture che paiono contrarie, e piú tosto dire che non l’intendiamo che dire che sia falso quello che si dimostra. Ma io non crederò che ci sia tal dimostratione, fin che non mi sia mostrata…”
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Questo è il centro del pensiero di Bellarmino, più galileiano di Galilei, pronto a rivedere le sue convinzioni (geocentriche) davanti ad una vera prova, e sarebbe bene che venisse ricordato anziché cedere alla versione caricaturale che ne ha fatto il commediografo Brecht.
Sì, prof., la politicoscienza avrebbe dato ragione a Bellarmino: dal momento che l’interpretazione politica dell’eliocentrismo avrebbe attaccato la visione del mondo di chi all’epoca comandava, allora l’eliocentrismo sarebbe dovuto essere accantonato finché non cambiava la geopolitica europea.
La politicoscienza HA dato ragione per decine di anni a Bellarmino!
Non a caso Galielo ed altri sono stati processati perchè dicevano una cosa giusta, ma ritenuta politicamente improria. (E Bellarmino lo dice chiaramente: la cosa essenziale non è che una teoria sia vera o falsa, ma che non nuoccia “alla Santa Fede”)
La politicoscienza è stata applicata per centinaia di anni in Europa, anzi… è stata più o meno l’unica forma di scienza consentita : quella aderente alle scritture.
Ottimo, ora secondo Nature scopriamo che Bellarmino allora ha fatto bene, come diceva Pennetta: l’interpretazione politica deve sostituire la riproducibilità.
Azz, allora è vero: se una cosa scandalosa la dice un tizio importante del mondo della scienza, dobbiamo accettare la modernità (ci ha fatto vivere più a lungo e ci ha reso liberi), se la dice un tizio morto secoli fa legato alla Chiesa cattiva, DEVE essere segnalata e i cattolici devono fare ammenda e non ripetere gli stessi errori!
Oggi apprendo da Lei, MenteLibera65, che esistono teorie scientifiche “vere” (contro le quali si sarebbe espresso Bellarmino, nel caso di nocività verso la fede). Mi può dare un esempio di teoria scientifica vera?
PS. Galileo non disse una “cosa giusta” (ed “altri” ancora meno, se Si riferisce a Bruno) in campo scientifico, perché come sanno tutti i fisici fu solo nel ‘800 che si ottenne un esperimento a corroborazione della rotazione terrestre. Il suo errore non giustifica comunque i processi e le sofferenze subite, ma questo è un altro discorso.
Dott . Masiero , non è un altro discorso . È’ IL discorso . Che poi Galileo e Giordano Bruno avessero pure ragione è un dettaglio . La cosa sostanziale è’ che’ fine hanno fatto (soprattutto Giordano Bruno), per mano di persone che agivano come rappresentanti di una religione il cui Dio si è fatto crocifiggere innocente.
È’ inaccettabile parlare di metodi scientifici laddove il confronto era tra chi deteneva il potere di uccidere e chi lo subiva . Gli scienziati prima di essere tali sono persone, e la scienza per esprimersi deve esser libera , non sottoposta al terrore di una possibile condanna corporale .
Comunque non sono io che nel discorso ho tirato fuori Bellarmino , ma chi voleva fare qualche sofismo sulla partita Bellarmino-Galileo.
No, MenteLibera65, Lei ora cambia le carte in tavola! Lei nei Suoi commenti precedenti aveva sovrapposto vari discorsi: scientifico, storico, epistemologico, religioso, ecc. Vuol che Glieli trascriva? Se Si fosse limitato al discorso evangelico, io non avrei avuto nulla da aggiungere, perché condivido la Sua posizione, anche se cerco di contestualizzarla per un senso di umiltà e di giustizia.
NB. Io non l’ho mai accusata di tirar fuori Bellarmino, il quale sta benissimo secondo me nei commenti di questo articolo.
NB2. Galileo e Bruno avevano scientificamente torto, Glielo ripeto. Vede che continua a confondere i discorsi?
Adesso credo di aver capito quale sia l’origine del paradosso: la Chiesa ha sbagliato ad andare contro gli scienziati intesi come persone, non contro la scienza, perché di fatto apprendiamo su Nature che la scienza deve diventare politicoscienza.
In pratica, siccome la sostituzione della vecchia scienza con la politicoscienza non ucciderebbe né limiterebbe la libertà fisica di nessuno, allora dobbiamo accettarla perché questi sono i tempi.
Una sudditanza pulita, senza sangue, senza violenza, come nel romanza “Il mondo nuovo” di Huxley.
Esatto, come nei romanzi, non nella vita reale… Che forse ha qualche meccanismo di autoriparazione che mette al riparo da queste fantasie/ipotesi simil fantascienza di cui, l’hai anche dimostrato, sei pure maestro.
@ Cipriani:
se la realtà ha meccanismi di riparazione che la proteggono dall’avvento della politicoscienza, sono lieto del suo ottimismo e mi chiedo da dove provenga. Infatti nella storia abbiamo avuto dittature militari, religiose, atee e non vedo perché non dovremmo averne una scientifica.
Mi potreste mostrare quali esperimenti scientifici erano stati fatti prima di Galileo a dimostrazione che il sole girasse intorno alla terra?
Secondo voi Galileo sbagliava perchè sosteneva una tesi scientifica senza poterla provare.
Invece la chiesa poteva provare la tesi scientifica opposta ? Risposta semplice : NO.
La tesi della chiesa era fondata sulle scritture, e su nessuna prova scientifica, e non potrebbe essere altrimenti visto che se prova ci fosse stata sarebbe stata sbagliata.
Eppure Galileo e Giordano Bruno finirono sotto processo, secondo il principio enunciato dal Marchese del Grillo : Io (la chiesa) sono io , e voi (Galileo e G.Bruno) non siete un c…..o
Buonasera.
ML65 chiede: “Mi potreste mostrare quali esperimenti scientifici erano stati fatti prima di Galileo a dimostrazione che il sole girasse intorno alla terra?”
LOL
Esperienza quotidiana.
By the way, non so dove ne siamo nel 2015 al soggetto ma fino a qualche anno fa non si era ancora riusciti a dimostrare empiricamente che la terra gira intorno al sole…
😉
Buona notte
Per l’esattezza Giordano Bruno non fu condannato per le sue posizioni scientifiche ma perché era un cospiratore, anche perché alla scienza, così come alla filosofia non ha dato nulla.
Riguardo alla prova del movimento della Terra, secondo la fisica dell’epoca niente lasciava pensare che essa si muovesse, tanto che Galilei dovette tirare fuori la sbagliatissima idea delle maree, mentre i suoi interlocutori, quelli arretrati per intenderci, sostenevano che dipendessero dalla Luna…
Ecco le accuse per Giordano Bruno.
Dove legge la cospirazione ? Io leggo solo eresie e qualche atto peccaminoso o di intenzione.
:
avere opinioni contrarie alla fede cattolica
avere opinioni eretiche sulla Trinità, la divinità e l’incarnazione di Cristo
avere opinioni eretiche su Cristo
avere opinioni eretiche sull’eucaristia e la messa
credere nell’esistenza e nell’eternità di più mondi
credere nella metempsicosi
praticare la divinazione e la magia
non credere nella verginità di Maria
essere lussurioso
vivere al modo degli eretici protestanti
opinioni eretiche su Cristo
opinioni eretiche sull’inferno
opinioni eretiche su Caino e Abele
opinioni eretiche su Mosè
opinioni eretiche sui profeti
negazione dei dogmi della Chiesa
riprovazione del culto dei santi
disprezzo del breviario
blasfemia
intenzioni sovversive contro l’Ordine domenicano
disprezzo delle reliquie dei santi
negazione del culto delle immagini
:
Perchè ci si ostina a sovvertire fatti conclamati e peraltro provati dai documenti stessi della chiesa? L’elenco che ho riportato porta ben 18 reati di opinione.
Come si può giustificare l’uccisione di una persona per quello che pensa?
Perchè avete tanta difficoltà ad ammettere che la Chiesa di quel periodo commise una serie di azioni che sarebbero giudicate normali (per l’epoca) se si fosse trattata di una istituzione governativa laica o ateo, ma che sono inconcepibili per una istituzione cristiana, indipendentemente dai motivi?
Per quanto riguarda Galileo (altro reato di opinione), Galilei portò una prova scientifica sbagliata per dimostrare quella che comunque era una ipotesi giusta, e non fu condannato perchè la sua prova era sbagliata (se controlla gli atti del processo, nessuno spiega le maree con la luna, ma semplicemente si dice che “il movimento del mare” non può essere legato al movimento della terra).
Il motivo reale della condanna lo descrisse bene Titus Burckhardt;
“La Chiesa, esigendo da Galileo di presentare le proprie tesi sul moto della terra e del sole non come verità assoluta ma come ipotesi, aveva le sue buone ragioni. (…). L’esaltazione letteraria di Galileo ha fatto nascere in svariati dignitari ecclesiastici una sorta di coscienza di colpa che li rende stranamente impotenti dinanzi alle teorie scientifiche moderne, quand’anche queste siano in palese contraddizione con le verità della fede e della ragione. La Chiesa, si suol dire, non avrebbe dovuto immischiarsi nei problemi scientifici. Eppure lo stesso caso di Galileo dimostra che, accampando la pretesa di possedere la verità assoluta, la nuova scienza razionalista del Rinascimento si presentava alla guisa di una seconda religione. ”
Ecco il vero delitto di Galilei, secondo la chiesa : proporre il metodo scientifico come metodo per dimostrare la realtà , e di fatto restringere i confini della chiesa a tutto ciò che non è scientificamente ancora dimostrato o dimostrabile. Il suo delitto fu prefigurare la diminuzione della capacità di condizionamento della chiesa , che su di esso contava per mantenere di fatto l’esercizio del potere temporale diretto o indiretto (cioè tramitato dai vari re cattolici).
Cari Htagliato, Giorgio ed Enzo,
non sono intervenuto e non potrò intervenire prima venerdì sera per ragioni professionali: eppure questo topic è eccezionale.
In fin dei conti questa di Nature è la prova provata o la rimozione della foglia di fico corrispondente sulla natura stessa del discorso scientifico come lo spieghiamo da tempo sul nostro blog CV e che vedo, indipendentemente, compartito da Giorgio con altre parole qui sopra: il discorso scientifico costruisce un mito e il valore del mito in questione non risiede, in primis, nella sua capacità a descrivere il reale, ma nella sua capacità (cioè potenzialità) a soddisfare i percepiti bisogni societali, questi ultimi intesi in senso largo, cioè non solo da un punto di vista tecnologico ma anche di corpus mitico unitivo. (cf.,ad esempio, un post su CV intitolato “O tempora, o mores” dell’inizio di quest’anno) .
Il discorso mitico della Scienza perde valore veritativo, anche se è divinizzato e fa risaltare l’approccio metafisico il cui discorso, all’opposto, non è mitico ma bensì logico: logos e mythos essendo due parole, la prima affondante le proprie radici nel reale , la seconda nella coerenza socialmente accettabile del proprio discorso.
Quest’affermazione di Nature è quindi solo il dichiarare apertamente quel che ne è e di rimettere i pendoli all’ora esatta: un discorso scientifico che non serve gli scopi della società che lo sostiene non è utile e va da essere scartato,
Entriamo ufficialmente nell’era del cesaropapismo socio-scientifico dove il potere temporale detta alla religione scientista quale debbano essere i suoi dogmi ed i suoi rappresentanti: ma sul fondo, niente cambia, salvo che la cosa apparirà sempre più chiara all’insieme della popolazione mondiale che perderà il suo sguardo usualmente ingenuo sulla pretesa “oggettività” del discorso scientifico.
La questione è poi, proiettandoci nel futuro, quando la scienza non fornirà più quel quadro mitologico sufficiente a mantenere unificate le credenze della società, cosa accadrà?
Grazie per questo intervento, Simon, mi ha fatto riflettere molto!
Simon, concordo e rilancio:
“Entriamo ufficialmente nell’era del cesaropapismo socio-scientifico dove il potere temporale detta alla religione scientista quale debbano essere i suoi dogmi ed i suoi rappresentanti”
PERFETTO, Simon.
Post di grande interesse.
L’articolo di Nature prefigura e propone la “consacrazione” definitiva dello scienziato sovvenzionato dalle lobby, una triste figura di tecnologo che utilizza il metodo scientifico solo per ottenere risultati nei campi e nelle direzioni che altri decidono.
E’ la dimostrazione della fondamentale importanza del finanziamento PUBBLICO alla ricerca scentifica.
E’ la dimostrazione della spaventosa efficacia delle tecniche di persuasione che le organizzazioni (industriali/politiche/finanziarie etc.) riescono ad ottenere nel manipolare il consenso ed orientare la società.
— it also means that the ‘self-correcting norm’ that has served science well for the past 500 years is no longer enough to protect science’s special place in society —
Qualcuno di voi aveva mai pensato che fosse necesario difendere lo “science’s special place in society”?
Questa frase sottintende che SOLO i politicoscienziati avranno voce in capitolo un domani… solo loro avranno lo “special place”. I vecchi “galileiani” saranno tagliati fuori.
In fondo non fà altro che estendere in ambito scientifico il relativismo già ampiamente diffuso nella società civile, dove tutto è valutato sulla base delle convenienze ed opportunità del momento.
Su Daniel Sarewitz e Nature… Vista la chiarezza con cui Daniel Sarewitz delinea qui sotto la differenza tra scienza empirica e metafisica, tra dati oggettivi e questioni di fede, la doppia accusa di Masiero tratta da sue impressioni (qui su CS sottoscritta e approvata dai più) per me cade del tutto.
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“Sul sito web della prestigiosa rivista “Nature”, in un articolo intitolato: “A volte la scienza deve cedere il passo alla religione”, Daniel Sarewitz, co-director of the Consortium for Science, Policy and Outcomes at Arizona State University, ha scritto: «La scoperta di Higgs, chiarificatrice dei componenti della stessa esistenza, è anche presentata come un passo da gigante verso la cura definitiva: una spiegazione razionale per l’Universo. Che tale comprensione scientifica rappresenti una sfida alla religione è un’idea comunemente sentita dai difensori della scienza, in particolare quelli più vestiti da atei militanti. Eppure gli scienziati che difendono tale tesi sono spesso troppo lenti nel riconoscere le basi irrazionali delle loro convinzioni, e troppo veloci per disegnare una linea tra lo scientifico e l’irrazionale». Infatti, ha continuato, «il bosone di Higgs è un’astrazione incomprensibile», e «per coloro che non seguono la matematica, credere nel bosone di Higgs è un atto di fede, non di razionalità». Al contrario, «la religione può offrire un autentico incontro personale con l’ignoto […], permette di connettersi con le cose che si trovano al di là del sapere in un modo che nessuna descrizione giornalistica o divulgazione scientifica del bosone di Higgs può fare». Spesso la religione si è «tentati di liquidarla come manifestazione di ignoranza e analfabetismo scientifico. Ma io credo, invece, che aiuti a mostrarci il motivo per cui sarà sempre necessario avere metodi di comprensione del nostro mondo che vadano al di là del razionale- scientifico […]. Io sono ateo, eppure, mentre la scoperta di Higgs non mi offre alcun accesso di comprensione del mistero dell’esistenza, una passeggiata attraverso i magnifici templi di Angkor mi offre uno scorcio dell’inconoscibile e dell’inspiegabile al di là del mondo della nostra esperienza».”
http://www.uccronline.it/2012/08/31/il-bosone-di-higgs-conferma-la-fede-cristiana-reazioni-di-filosofi-e-scienziati/
Io non so chi sia questo Sarewitz, Cipriani. Potrebbe chiamarsi anche Topolino. Io qui commento le parole di ognuno, quando le condivido le confermo, quando non mi piacciono cerco di confutarle, senza guardare in faccia a nessuno. Così ho criticato il papa quando ha parlato di Big bang o di Awg, secondo me a sproposito.
Ciò che Lei mi ha riportato adesso di questo Sarewitz mi conferma che è agli antipodi del mio modo di pensare. D’altra parte cosa aspettarsi da un ateo devoto, se non uno sproloquio?
Per comodità degli amici di CS riassumo le due accuse…
1) pretendere che esista solo il metodo scientifico
2) ignorare che il metodo galileiano non può prescindere dalla replicatività
Nella puntuale analisi personale di Daniel Sarewitz sopra riportata non c’è né la pretesa del punto 1) né l’ignoranza del punto 2).
Ma è quello che ha scritto su Nature, Cipriani! Ed è su quello che io ho criticato Sarewitz! Se poi in un altro articolo (che io non sono tenuto a conoscere) lui ha scritto il contrario, di che Si meraviglia? Non è uno – il tipico sofista prezzolato – che dice che lo scienziato deve adattarsi alle convenienze?!
Alle 7,47 scriveva:
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“Le mie critiche 1) e 2), Cipriani, non sono “evidenti”, ma sono i miei giudizi, mossi in base alla mia definizione di scienza in generale e di scienza empirica in particolare (che ho dato onestamente nel primo commento).”
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E ancora prima: “Science (Nature) raccoglie ciò che semina da decenni: confusione. Una doppia confusione.
La prima è quella di pretendere che esista solo il metodo scientifico (galileiano), quasi non esistano altre procedure d’indagine e di controllo, capaci di fornire conoscenza…”
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Le ho semplicemente voluto dimostrare che è falso nella misura in cui il Nostro ha fatto affermazioni diverse e contrarie (che lei non conosceva, per carità) e pertanto come poteva essere certo di fare un’affermazione esatta sostenendo “Science (Nature) raccoglie ciò che semina da decenni…”?
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Insomma, quando c’è da generalizzare, siamo tutti bravi. E io per primo.
Cipriani, abbiamo uno che dall’altra parte dell’Atlantico, esattamente dall’Arizona scrive che c’è la scienza dei repubblicani e quella dei democratici USA. E che ogni scienziato dovrebbe dire, prima di scrivere un articolo, di che fede e partito è. E Nature gli pubblica una tal schifezza. In più, lo stesso individuo, scrive da un’altra parte – e Lei ha il merito di scoprirlo – che il bosone di Higgs dà una mano alla religione. Un’altra schifezza! Cosa c’entra Dio con una particella elementare come un’altra?!
Credevo che stavolta saremo stati dalla stessa parte nella difesa della scienza vera. Invece, Cipriani, per una maledizione che non mi spiego, sembra che siamo ancora su posizioni distinte!
Un conto è difendere e sostenere la scienza, anche con eroici atti di ottimismo; un altro decretarne la morte per fiction a causa di un editoriale. Così la penso e solo per questa ragione io e lei siamo in disaccordo, prof. Masiero.
Un editoriale di Nature, Cipriani, non di un pinco pallino qualsiasi di CS.
Cmq nessuno crede davvero alla morte della scienza vera, sperimentata, predittiva, corroborata e applicativa, a cominciare da tutti noi che commentiamo qui in CS con pc e internet e che ce ne serviamo tutti i giorni a casa e nel lavoro. Lo scopo dell’articolo di Htagliato era, mi pare, di segnalare il pericolo di coloro che vogliono politicizzare la scienza.
A dire la verità, in questo articolo Sarewitz dimostra solo rispetto per la religione e la consapevolezza che la conoscenza scientifica non è una conoscenza vera, diretta, della natura.
Non dà la sua definizione di Scienza o di Scienza empirica. La sua ammirazione verso la devozione non cambia ciò che penso sui contenuti del suo editoriale.
In breve, se si cambia il metodo scientifico, non abbiamo più scienza sperimentale, secondo me, a prescindere che le motivazioni siano nobili, pratiche o “piacevolmente irrazionali”.
Sarà come dici tu, HTagliato, ma io come cristiano mi sono sentito offeso dall’accostamento tra religione e bosone di Higgs. Così come mi sono sentito offeso, come estimatore della scienza, dall’articolo pubblicato su Nature.
Questo cowboy di Tucson non capisce niente di fisica, né di scienza in generale. Per non dire di religione. Secondo me.
“Questo cowboy di Tucson non capisce niente di fisica, né di scienza in generale. Per non dire di religione. Secondo me.”
Professore, non credo, perché quest’uomo ha scritto un editoriale su NATURE!!! NATURE!!! DEVE PER FORZA avere ragione!!!
Signori…questo articolo è un editoriale. Un articolo di commento, non è mica un articolo che parla di una tesi scientifica o descrive un esperimento.
Il giornalista ha descritto un evento ed espresso la sua opinione.
Si può essere d’accordo o non d’accordo, ma non è certo da questi articoli che si giudica la serietà scientifica di una rivista.
E soprattutto non è che il fatto un giornalista di Nature esprima una opinione significa che questa opinione va imposta e deve essere condivisa dal mondo intero .
Non vi piace Nature ? Non compratela!
Siete convinti che fareste una rivista migliore ? Fondatela e cercate di venderla.
Provi ad immaginare su una rivista cattolica un’editoriale contro il dogma della trinità: non sarebbe un fatto a dir poco strano?
Su una rivista scientifica seria, ufficiale, non dobbiamo dar peso a chi scrive che andrebbe cambiato il metodo sperimentale?
Non è normale chiedersi come sia stato possibile anche solo concepire un’opinione di questo tipo?
Noi crediamo che sia stato giusto segnarlo, fosse anche solo per poter leggere le interessanti considerazioni di Simon (http://www.enzopennetta.it/2015/09/la-fine-della-scienza/#comment-40968)
Non vedo perché meravigliarsi: da noi è così da tantissimi anni. Basti ricordare l’acqua all’atrazina diventata potabile per legge o i vaccini al mercurio che sono stati proibiti ma con una proroga di dieci anni per poter finire le scorte. Quando si parla di ambiente o di salute non esistono certezze assolute per cui è facile per il politico o per lo scienziato legato al politico o agli interessi industriali sostenere la tesi che gli fa più comodo.
Sarebbe già buona se si usassero gli stessi principi per misurare i pro ed i contro dell’uso di una data sostanza o di un medicinale ma così non è.
Per quanto riguarda la riproducibilità nessun fenomeno è esattamente riproducibile, ai miei tempi a Ingegneria c’era un esame che si chiamava “Metodi di osservazione e misura” dove si insegnava che qualunque misura ha un certo margine di errore e di come tenerne conto nei calcoli successivi.
Se un fenomeno viene detto riprodubile o è perché si sono elimati molti fattori per semplificarlo o è perché si trascurano le diefferenze purché siano piccole, per cui è molto pericoloso che qualcuno si arroghi il diritto di giudicare se uno studio sia riproducibile o no.
D’accordo sulla prima parte, ma sulla seconda va chiarito che non si sta pretendendo l’esatta riproducibilità, ma la possibilità di riprodurre uno studio e la sua importanza, anzi, la sua essenzialità per poter parlare di scienza galileiana.