By Alfonso Pozio
Una grossa difficoltà da affrontare nello spiegare l’origine della vita è data dall’isomeria ottica o chiralità della maggior parte delle molecole di origine biologica.
A questo problema Giulio Natta premio Nobel per la chimica nel 1963 e Mario Farina suo collaboratore hanno dedicato un interessante capitolo nel libro “Stereochimica molecole in 3D”, (ed. Scientifiche e Tecniche Mondadori).
La prima osservazione che i due scienziati fanno è che su questo problema non sempre si possono applicare le tecniche usuali della ricerca chimica per il fatto che è difficile ottenere verifiche sperimentali adeguate per una serie di motivi: 1) Il tempo a disposizione perché certi processi avvenissero nel senso desiderato (4,5 miliardi di anni dalla formazione della terra e un miliardo dalla comparsa delle prime forme di vita) è assolutamente sproporzionato rispetto ai tempi dei nostri normali esperimenti e 2) qualsiasi esperimento condotto oggi dovrebbe eliminare l’influenza dei composti otticamente attivi esistenti (muffe, pulviscolo, operatore umano). Lo studio per questi motivi è essenzialmente modellistico. Non si dà una risposta alla domanda come ha avuto origine l’attività ottica sulla terra, si fanno semplicemente ipotesi di processi possibili anche se non reali. Prima di esaminare tali ipotesi, diamo alcuni cenni necessari a comprendere quanto diremo.
Nel 1848 Louis Pasteur, esaminando con una lente d’ingrandimento i cristalli dell’acido tartarico, osservò la presenza di due tipi di cristallo asimmetrici, ciascuno dei quali era l’immagine speculare dell’altro. Si dicono chirali – dal greco “ceir – mano” – quelle molecole che, prive di piani di simmetria, possono esistere in due forme distinte, dette antipodi ottici, che sono una l’immagine speculare dell’altra, appunto come lo sono la mano destra e la sinistra. La presenza in una molecola, di uno o più atomi di carbonio asimmetrici, cioè legati ciascuno a 4 atomi o gruppi atomici diversi è la causa più semplice di dissimetria. Ricadono in questa categoria tutti gli aminoacidi che possono esistere in due forme distinte. Ad esempio consideriamo l’amminoacido alanina (acido a amminopropionico) la cui formula bruta è C3H7NO2 e la cui struttura è (Fig. 1):
Si tratta di una molecola costituita da un atomo di carbonio centrale a cui sono legati un gruppo amminico (NH2), un gruppo acido (COOH), un gruppo metile (CH3) ed infine un atomo di idrogeno (H).
La stessa molecola nello spazio tridimensionale può essere rappresentata in diversi modi (Fig. 2).
Un’altra rappresentazione spaziale è la seguente, dove viene visualizzato soltanto l’atomo di carbonio centrale definito con la notazione “R” (Fig. 3).
Quest’atomo “R” gode, per l’appunto, della proprietà di essere chirale. Ciò significa molto semplicemente che, di questa semplice molecola possono esistere due forme all’apparenza identiche ma che sono contraddistinte dal fatto che non sono sovrapponibili l’una con l’altra (esattamente come le mani) ma che sono una l’immagine speculare dell’altra. Lo stesso atomo centrale di carbonio può avere il gruppo CO e l’atomo H scambiati di posto.
Ed eccolo la stesso aminoacido nelle due forme cosiddette levogira “L” e destrogira “R” (Fig 4). E’ impossibile sovrapporre le due forme benché esse appaiano formalmente identiche.
Ora, tutte le molecole chirali di origine biologica sono enantiomeri puri, e tutti della stessa conformazione: per esempio, tutti gli amminoacidi presenti nelle proteine sono “a forma di mano sinistra o levogiri”, mentre tutti gli zuccheri presenti negli acidi nucleici, oppure nei tessuti e nelle strutture biologiche, sono “a forma di mano destra o destrogiri”.
La domanda che si pongono Natta e Farina è la seguente: perché non coesistono due tipi di proteine una con gli aminoacidi L e l’altra con quelli D? Perché questo avvenga sarebbe necessario un duplice meccanismo di sintesi e quindi due tipi di DNA. Il metabolismo sarebbe molto complicato, ci dovrebbe essere duplicità di funzioni e reattivi a tutti i livelli. Un mondo così costituito non esiste e non potrebbe esistere come ci insegna un fatto tristemente accaduto e recentemente ritornato alla ribalta, il caso Talidomide.
Negli anni 50 e 60 fu messo in commercio un farmaco, la Talidomide (nome commerciale Contergan) come sedativo, anti-nausea e ipnotico, rivolto in particolar modo alle donne in gravidanza. Questo farmaco era un alternativa ad altri medicinali disponibili all’epoca per lo stesso scopo (i barbiturici). Prodotto in forma di racemo (ovvero 50% di levogiro e 50% di destrogiro), fu ritirato dal commercio in seguito alla scoperta della teratogenicità di uno dei suoi enantiomeri: le donne trattate con talidomide davano alla luce neonati con gravi alterazioni congenite dello sviluppo degli arti, ovvero amelia (assenza degli arti) o vari gradi di focomelia (riduzione delle ossa lunghe degli arti), generalmente più a carico degli arti superiori che quelli inferiori, e quasi sempre bilateralmente, pur con gradi differenti. In sostanza, una delle due forme chirali era attiva come sedativo ( mentre l’altra agiva in modo distruttivo sul feto del bambino. L’enantiomero R (+) del principio attivo della talidomide ha effetti sedativi e antinausea, mentre l’enantiomero S (-) è molto tossico per il feto, tanto da provocare la nascita di bambini con gravi malformazioni (effetto teratogeno).
Si è dunque compreso che, due enantiomeri interagiscono esattamente nello stesso modo con le sostanze achirali, mentre si comportano in modo differente con le sostanze chirali. Forme enantiomere si trovano in molte sostanze organiche e inorganiche e in quasi tutte le biomolecole, ad esempio le proteine, che sono responsabili della struttura e della regolazione chimica delle cellule, e il DNA, la molecola contenente l’informazione genetica. La capacità catalitica delle proteine enzimatiche dipende notevolmente dalla loro struttura tridimensionale, la quale a sua volta deriva dalla sequenza degli amminoacidi chirali.
Quindi i processi biochimici, a causa della chiralità delle molecole coinvolte, sono molto sensibili a differenze enantiomeriche (Fig. 5). Per analogia potremmo immaginare la molecola chirale e il sito recettore (enzima) come la mano ed il guanto. La mano sinistra può entrare solo nel guanto sinistro e viceversa. Pertanto, quando un farmaco e più in generale una molecola è chirale, i suoi due enantiomeri possono avere attività molto differente come nel caso della Talidomide.
Ma allora, la domanda si ripropone, come ha avuto origine l’attività ottica degli organismi viventi? Natta e Farina esaminarono tutte le ipotesi abiologiche, ovvero secondo cui l’attività ottica fosse di origine inorganica, non riuscendo però a trovare risposte definitive soddisfacenti. La loro conclusione fu che si fosse trattato di un evento casuale, unico o quanto meno raro. Un ipotesi abiologica recente suppone una provenienza di forme di amminoacidi portate sul nostro pianeta da un meteorite, circa 4 miliardi di anni fa, a porre le basi per la formazione degli L-amminoacidi e degli D-zuccheri. Tale meteorite avrebbe subito, nel suo viaggio, l’effetto di una radiazione di luce polarizzata proveniente da una stella a neutroni che avrebbe ridotto drasticamente solo uno dei due enantiomeri.
George Wald, già citato in un precedente contributo, in una prima parte della sua attività scientifica, negava questa ipotesi abiologica casuale. Nel 1957 così scriveva su Annals of the New York Academy of Sciences, 69 (1957), 358: “Io cercherò di sviluppare la tesi che l’attività ottica è comparsa come conseguenza delle intrinseche necessità strutturali possedute dalle molecole chiave che costituiscono gli organismi, attraverso la selezione degli antipodi ottici a partire da miscele raceme (nda ovvero 50% L e 50% D)”.
Secondo lui ed altri, la complessità e la regolarità delle molecole biologiche indicavano un origine biologica dell’attività ottica. Vi sarebbe stata una lotta in termini evoluzionistici fra i due contendenti. La specie vincitrice avrebbe quindi invaso la Terra rendendo trascurabile la possibilità di sviluppo della specie perdente.
Il motivo per cui i due mondi paralleli non potrebbero coesistere è semplice. Non potremmo digerire cibo composto da proteine formate da amminoacidi D o zuccheri L, ma non potremmo neanche riconoscere la differenza tra un cibo L o D perché all’apparenza sarebbero uguali. Le due nature parallele non sarebbero in grado di distinguersi ne di interagire senza distruggersi.
A distanza di anni, gli esperimenti e le prove portate a sostegno di questa ipotesi biologica evoluzionista come anche di quella abiologica casuale non hanno ancora oggi risolto il problema. Non esiste infatti un experimentum crucis capace di distruggere l’ipotesi opposta.
Riassumendo, in campo chimico la massiccia sintesi asimmetrica di molecole organiche (non organismi viventi) chirali richiede comunque la presenza di catalizzatori specifici fatti dall’uomo e non esistenti in natura.
Le cose si complicano ulteriormente se andiamo a considerare i presunti “precursori prebiotici” ovvero quelle grosse molecole organiche che avrebbero costituito le basi organiche dei primi organismi viventi, perché abbiamo sempre a che fare con racemi, cioè miscele di eguali quantità dell’enantiomero “destro” e di quello “sinistro”, che non si riesce a spiegare come possano essersi separati da soli.
Il mistero si infittisce ancora di più, come abbiamo mostrato, in campo biologico quando abbiamo a che fare con enzimi, proteine, acidi nucleici, DNA, mattoni fondamentali della vita. Basti solo pensare che i 19 amminoacidi naturali chirali sono tutti prodotti da enzimi specifici caratterizzati da strutture molto complesse e che noi non siamo in grado di sintetizzare artificialmente (Fig. 6).
Dobbiamo allora supporre che, questi enzimi non solo si siano in qualche modo sviluppati in una forma così complessa, ma anche che, per qualche ragione ancora incomprensibile, lo abbiano fatto solo in una delle due forme possibili, quella che determina la natura chirale che ci circonda.
Insomma, quello della chiralità degli organismi viventi è un problema insoluto e verosimilmente insolubile, a meno di nuove scoperte del tutto imprevedibili.
Scherzosamente potremmo concludere dicendo che, sembra proprio che qualcuno ci abbia messo la “mano” per confonderci o forse voleva solo firmarsi?
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81 commenti
Caro Enzo, a seguito di un post che chiude con “Scherzosamente potremmo concludere dicendo che, sembra proprio che qualcuno ci abbia messo la “mano” per confonderci o forse voleva solo firmarsi?” come è possibile evitare di tirare in ballo, scherzosamente, la religione?
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Bah, affari vostri. Del resto io, come ben spiegato da Simon de Cyrene, faccio pena. Vi lascio, dunque, al vostro “mistero” (chissà se vi piace Giacobbo). Per gli altri, vi invito a leggere l’interessante review di Walter Gehring in Genome Biology and Evolution su, in modo molto appropriato, “Caso e Necessità nell’evoluzione dell’occhio”. Quantomeno per rendersi conto che il “caso” di cui si parla nell’evoluzione non ha niente a che vedere con quello con cui se la prende Simon. E anche per far riferimento a qualche articolo dopo gli anni ’70 😉
http://gbe.oxfordjournals.org/content/3/1053.full
Con le nuove regole, GVDR, quando Enzo le metterà in atto, quelle due righe, o righe del genere, saranno censurate. Sono d’accordo infatti che provocano, sia pure scherzosamente, risposte di ritorno altrettanto scherzose.
Sul mistero occhio non so molto, se non ricordare un brevissimo capitolo nelle “Ragioni dell’evoluzione” di Ayala, che spiegava la cosa in termini divulgativi, sfrondando in parte il mistero da quell’alone di difficoltà evocato da Pozio. Se lo trovo, lo posto qui.
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Di là sono andato in spam, non so perché.
Ciao Giuseppe, sulla prima parte ho già risposto a GVDR, sula seconda ho provveduto, misteri di Akismet… 🙂
Ciao GVDR, quando ho impaginato l’articolo ho pensato anch’io la stessa cosa, però ho anche pensato che una chiusa scherzosa che prende spunto da un gioco di parole, non necessariamente deve aprire ad un confronto sul tema.
C’è tutto un articolo prima che dice cose interessantissime e che è scritto da una persona la cui competenza è una ricchezza per tutti noi, ecco, su questo ho pensato che si sarebbe dovuto basare un confronto, non sulla battuta, peraltro ben riuscita, delle ultime righe.
Caro GDVR, mi perdoni sono nuovo, non conosco le regole. Ho sottomesso il contributo al Prof Pennetta non pensavo di dover fare altro. Essendo nuovo non conosco la polemica con Simon de Cyrene e quindi non saprei bene cosa risponderle.
Io non ho una dimostrazione che sveli l’origine della chiralità ed una risposta alla domanda se sia un fattore necessario alla vita (ipotesi prebiotica) o se sia una conseguenza (ipotesi biologica). Mi sono limitato a spiegare il problema ed esporre le ipotesi che hanno fatto altri. “Caso” è il termine usato da Natta. Non saprei dirle se lo usava pensando al significato dato da Darwin o da Monod.
Ho letto con attenzione l’articolo allegato. Non mi sembra risponda alla domanda di Natta. Non potendo rispondere alla domanda al momento è un mistero. Se il termine non le sembra adeguato perche’ lo usa il povero Giacobbo può sostituirlo con enigma. A mio parere il significato non cambia molto.
Cordiali Saluti
Mi scusi Alfonso. C’è stato una sovrapposizione di temi dovuto al mio intervento. Da parte mia, poi, non ritengo la battuta fuoriluogo. Non la riterrei fuori luogo neppure se non fosse una battuta. Però si, fra mistero ed enigma preferisco enigma, e non solo per Giacobbo. I misteri sono preclusi al nostro intelletto, non sono solubili con prove classiche, gli enigmi no.
Se lei è cosi attento ai termini, allora neanche “enigma” sarebbe il termine giusto. In campo scientifico diremmo semplicemente problema irrisolto.
Ma a volte per catturare l’attenzione è opportuno prendere in prestito termini non scientifici. “Mistero” è uno di quelli anche se, effettivamente, Giacobbo lo ha un po inflazionato.
Per riderci su, non so perche’ ma “enigma” mi ricorda una rubrica dell’omonima rivista di quiz che facevo dal barbiere.
Io penso sia solo un gioco di parole con l’etimologia della parola chirali.. poi non so..
e non mi sembra che l’articolo parli di occhio ma di chiralità in chimica. ma molto probabilmente mi potrei sbagliare.
“Vi lascio dunque al..”
Gentile Gvdr, io sinceramente spero non sia un saluto d’addio. Non ci faccia sentire nuovamente la sua mancanza. Grazie.
ps. non penso che a Simon lei faccia pena. anzi ci giurerei che non è così.
Egregio Gvdr
rileggendo il mio commento penso di aver sbagliato nella comprensione del Suo.
Siccome ho letto nel suo commento “evoluzione dell’occhio” ho dato per scontato che lei avesse fatto un’ associazione con attività ottica. Ma non penso proprio che lei si possa sbagliare su queste cose mentre io sì.
Mi perdoni per l’equivoco. Ho perso come al solito l’occasione…
Eheh, no, non mi riferivo a quello, ma al caso. Però, effetivamente, con qualche forzatura semantica, si fa un bel triangolo di idee 🙂 Se sarà definitivo o meno dipende da Enzo. Intervenire per venire appostrofato in quel modo (le parole di Simon sono ben chiare, c’è poco da “fraintendere”) non è per me.
Non mi ricordo di essermi rivolto a te in particolare: sicuro che non ti sei sbagliato di colonna/thread di risposta?
Comunque personalmente ho deriso l’atteggiamento di chi, da un lato sostiene la NON finalità del processo evolutivo in direzione del fenomeno umano, ma che, d’altro canto, passa il proprio tempo a dimostrare che dai pip dei bonobo, alle pernacchie delle mucche, agli scheletri di antenati (?) di primati qualunque veda sempre e solo “Premizia” di umanità da avvenire.
Se uno scimpanzé o un ratto deve evolvere lo sarà sempre in direzione dell’acquisizione di qualche umanità: se tu non vedi la ridicolaggine di questo tipo di assunto in perfetta contraddizione colla nozione di evoluzione aleatoria e non finalistica allora vuol dire che niente ti potrà mai fare ridere e mi dispiace per te.
Non si può commettere errore più grossolano di quello che riporta lei: nessuno asserisce che l’evoluzione della specie tendi all’umanità, i processi evolutivi non sono infatti unidirezionali, un organismo può ad esempio passare dall’ermafrodismo all’unisessualità ma anche rifare il percorso all’inversa, come ad esempio alcuni ipotizzano stia succedendo all’uomo. O basti pensare agli animali marini che sono usciti dall’acqua per convertirsi in animali terrestri e poi sono ritornati in acqua, come è il caso dei cetacei ma non di altre specie. Riguardo il caso dei bonobo, nessuno quindi dice che questi evolveranno verso la specie umana, ma piuttosto si cercano d’individuare le caratteristiche che entrambi possiamo aver ereditato dai progenitori comuni.
Non parlo di questo.
“…alle pernacchie delle mucche, agli scheletri di antenati (?) di primati qualunque veda sempre e solo “Premizia” di umanità da avvenire”.
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“Se uno scimpanzé o un ratto deve evolvere lo sarà sempre in direzione dell’acquisizione di qualche umanità…”
Sì, di questo ne parlate voi.
E’ difficile mantenere un filo logico con lei.
@ Gvdr
Lieto che non se la sia presa.
Grazie e scusi ancora.
Si esatto è un gioco di parole con la parola “mano” che da origine dal greco all’aggettivo chirale.
Confermo, non si parla di occhi, siamo molto più terra terra, solo amminoacidi.
Grazie per l’ articolo dott Pozio. Io la chimica ho sempre fatto fatica a digerirla ma il suo contributo ha suscitato in me una curiosità che prima non avevo(volevo).
Ero sicuro, poi, che non si parlasse di occhi. Il mio errore è stato quello di attribuire associazioni di idee ad altri, ed in particolare a una persona, Gvdr, che è invece molto preparata e competente.
Mamma mia! Io in quella frase di chiusura dell’articolo non ho letto nessuna deduzione teologica, ma una battuta di spirito nella tradizione della letteratura scientifica che fa riferimento ai “diavoletti” di Cartesio, Laplace, Maxwell, ecc. come metafore di una quasi astuzia voluta della natura a svelare i suoi segreti ai ricercatori.
Comunque, desidero ringraziare il dott. Pozio per aver illustrato, ad un ignorante come me in biologia, questo “mistero” curioso dell’asimmetria destrorsa e sinistrorsa di aminoacidi e zuccheri nei viventi (e il collegamento spaventoso col talidomide) e vorrei chiedere ai biologi Pennetta, Gvdr, Greylines, ecc., che ci leggono, oltre che allo stesso Pozio, quali sono le loro ipotesi personali preferite per spiegare questo fenomeno e se la ricerca ha fatto passi in avanti di recente.
Questo “enigma” mi ha sempre affascinato da quando studiavo all’Università.
Ho inserito un link nel testo all’ipotesi di Breslow illustrata da Le Scienze.
A me non convince molto. Il meteorite era già stato introdotto per giustificare il gap tra tempo di evoluzione biologica e dati palenteologici. Si diceva, “La vita è arrivata già formata sul meteorite”. La stanno ancora cercando, cmq questo è una ipotesi ancora gettonata.
Ora, tirarlo di nuovo in ballo per giustificare anche la chiralità aggiungendovi la variante del passaggio vicino alla stella a neutroni (su questo mi dica lei qualcosa di più preciso) che manda luce polarizzata . Mi sembra una forzatura. Per di più questa ipotesi non risolve il problema di come da una scatola (meteorite) con 19 amminoacidi sopra di tipo L sia stato possibile costruire almeno venti macchine diverse (enzimi) e complicatissime costituite dai 20 amminoacidi e ciascuna in grado di produrre uno dei 20 amminoacidi di partenza.
Wald complica ancora più le cose xche le macchine sarebbero 39 a partire dai 19 amminoacidi L ed i 19 D. Fatto questo le macchine entrano in competizione e dopo nnnnn anni ne ritroviamo in funzione solo 20. Un rompicapo assoluto.
Tra l’altro, sul meteorite che impatta la terra conservando materia organica che non si sia alterata per l’enorme calore o per l’energia dell’impatto, qui mi si apre un altro universo di domande.
Qui faccio un altra battuta. I filosofi stanno messi molto meglio di noi scienziati.
Non devono dimostrare un accidente. Gli basta postulare.
La ricerca ha fatto enormi passi avanti sulla sintesi achirale delle molecole organiche utilizzando catalizzatori sintetici. Quando ci volgiamo alla natura, i catalizzatori non li troviamo e se li troviamo hanno rese ridicole ed allora ci dobbiamo inventare dei modelli teorici ma come evidenziava Natta, si basano su tempi geologici che non potremo mai verificare.
Sulla biologia stiamo messi malissimo. Non siamo in grado di sintetizzare uno straccio di enzima che possa competere con la natura.
Prendo spunto da questa risposta per fare delle considerazioni.
Devo constatare che quando la scienza contemporanea non sa dare una spiegazione di qualcosa ricorre a delle non-spiegazioni standard che mostrano solo la necessità di non mostrarsi senza risposte.
E questo dovrebbe far riflettere: perché la scienza non può, non vuole, dire i “non lo so”?
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Postulare a spiegazione di fenomeni complicati l’azione di un caso immensamente improbabile, a volte con la variante del meteorite che con un grande botto e sbuffi di vapore appare un vero e proprio deus ex machina, per quel che mi riguarda ha la stessa validità della mitologia greca.
Quindi da docente mi rifiuto di spacciare per scienza la mitologia del colpo di fortuna o del meteorite spiega-tutto, che oltretutto è meno affascinante di quella greca, per cui alla domanda ‘perché esistono in biologia solo aminoacidi levogiri, e come è avvenuta l’evoluzione?’ rispondo un semplice e netto: non lo so, e non lo sa ancora nessuno.
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Questo apre poi alla possibilità di fare delle congetture, ma di questo si tratta, non di risposte.
Concordo, la Scienza ha difficoltà a dire “non lo so” ma a volte anche a dire “ho sbagliato” ma forse dovrei dire che noi uomini abbiamo questa difficoltà.
Forse c’e’ anche l’aspetto che sulla Scienza poniamo le nostre maggiori aspettative. Ho sentito molti medici affermare che la cosa peggiore è trovarsi impotenti di fronte alle aspettative di un malato. Quasi come a tradirlo. L’uomo moderno si aspetta molto dagli scienziati, forse troppo.
Dire di non sapere fa molto filosofo ma è poco apprezzato.
Ringrazio (intanto) Pozio e Pennetta. Condivido l’osservazione di Pennetta di quanto risulti difficile oggi a qualche scienziato dire “ancora non lo sappiamo”. A questo tipo di scienziati si dovrebbe ricordare che c’è una differenza tra “ipotesi” in generale e “ipotesi scientifica”, e sta nel fatto che la seconda deve poter essere testata!
Sul problema specifico, mi sembra che la posizione di Pozio sia molto pessimistica, quasi a considerare la questione come indecidibile.
Ho dato questa impressione? Scusate. Anzi, incoraggio i giovani a cercare nuove ipotesi, più soddisfacenti. Il pericolo maggiore per la Scienza infatti è smettere di farsi domande accontentandosi di risposte parziali.
Del resto è anche vero che in genere, in campo scientifico ogni ipotesi formulata suscita nuove domande e nuove ipotesi in un processo che appare infinito. Qualcosa di indecidibile in tutto questo c’e’.
Ponzio, la ringrazio per la chiarezza con la quale redige questi approfondimenti. E la ringrazio pure per l’umiltà che traspare dai suoi scritti e dai suoi commenti.
In particolare del suo scritto mi colpisce questa frase :
“è difficile ottenere verifiche sperimentali adeguate per una serie di motivi: 1) Il tempo a disposizione perché certi processi avvenissero nel senso desiderato (4,5 miliardi di anni dalla formazione della terra e un miliardo dalla comparsa delle prime forme di vita) è assolutamente sproporzionato rispetto ai tempi dei nostri normali esperimenti”.
Mi colpisce per il senso generale della frase stessa, che secondo me andrebbe sempre ricordato.
Non tutte le tesi scientifiche sono testabili o misurabili. Non tutti i problemi scientifici sono risolvibili, e sopratutto quelli che affrontano cambiamenti occorsi in milioni o miliardi di anni, dovranno per forza essere teorizzati sulla base di un insieme di logiche deduttive che tengano conto delle leggi fisiche e biologiche conosciute oggi, delle simulazioni da esse derivate, ma anche della possibilità che esistano altre leggi oggi sconosciute e dalla possibilità , incontestabile, che tali leggi non siano rimaste le stesse nei miliardi di anni di durata dell’universo, anche se forse molti qui grideranno all’eresia… :-).
E’ ovvio che di fronte a certi fatti, la prima e più onesta risposta deve essere “non lo so”, ma allo stesso tempo questo non autorizza a denigrare o scoraggiare chi , in mancanza di certezze, formula delle ipotesi fondate sugli indizi a disposizione.
@Mentelibera65,
d’accordissimo con te che non si deve “denigrare o scoraggiare chi , in mancanza di certezze, formula delle ipotesi fondate sugli indizi a disposizione”.
Però non chiamiamo queste “ipotesi” discorso scientifico e, addirittura, farle passare per verità (scientifica o altra) in quanto questo è disonestà intellettuale e morale, pura e semplice.
Per essere onesti, il merito della frase va a Natta che io citavo. Poi, volevo aggiungere una mia considerazione sull’ipotesi scientifica che, sulla base della mia esperienza, rappresenta lo strumento mentale indispensabile per approcciare ad un problema scientifico.
Chi per primo formula l’ipotesi è spesso una persona dotata di immaginazione ed intuito sopra la norma. L’ipotesi può risultare
sbagliata o giusta e sarà necessario successivamente il lavoro di scienziati rigorosi, che diano concretezza, fare si che l’ipotesi
non rimanga tale.
Anche un ipotesi limitata e carente ha una sua nobile funzione perche’ demarca la via già percorsa e permette a chi viene dopo di non
commettere gli stessi errori e di cercare nuove strade.
Il problema nasce quando l’ipotesi cristallizza nella mente dello scienziato assumendo una certezza che non ha. In questo modo egli si preclude o limita di molto la sua capacità di
immaginare qualcosa di diverso. Le idee si incanalano sempre in una direzione, come un fiume che ha scavato un solco e non
può uscirne. In genere sono i giovani che, essendo dotati di una mente fresca, dovrebbero contribuire a formulare nuove
ipotesi rispetto ai problemi irrisolti. Il problema è quando impediamo loro questo percorso ovvio. In particolare, sulla
teoria dell’evoluzione, a mio avviso essa ha il merito di avere approcciato per prima un problema scientifico marcandolo.
La sua funzione nobile si sarebbe dovuta esaurire qui. Purtroppo la teoria aveva ed ha implicazioni ideologiche a tutti note e quindi è
uscita dal alveo della scienza e del suo metodo.
Bisognerebbe insegnarla bene questa teoria, evidenziandone pregi e limiti e su questo punto vedo molta carenza ed approssimazione.
I testi di biologia della scuola superiore in alcuni passaggi rasentano il ridicolo per approssimazione e mancanza di equilibrio.
Gli autori, temono ciò che non dovrebbero temere, ovvero di ammettere l’incompletezza e la contraddittorietà di molti passaggi cruciali
e le molte domande ancora aperte. Ad esempio, è molto difficile che troviate un testo di biologia di scuola superiore che osservi il problema della chiralità.
Così facendo però si introduce nelle menti degli studenti l’errata convinzione che tutto sia già chiaro impedendogli di maturare nuove risposte ai quesiti irrisolti e rendendo un pessimo servizio alla conoscenza.
Concordo assolutamente con te Alfonso, e stavolta in toto anche con Simon.
Penso però che l’approssimazione (chiamiamola anche semplificazione) dei testi delle scuole superiori sia, su alcuni argomenti, una necessità più che una scelta.
Non è da un ragazzo uscito dallo scientifico che mi aspetto nuove tesi o nuove teorie. La scuola in questi campi, dove la cultura deve essere estremamente dettagliata, dovrebbe avere più che altro il compito di insegnare un metodo di studio e far venire ai ragazzi la passione per questa o quella materia, da approfondire poi all’università ed oltre.
Alcuni argomenti, come questo dei chirali, li vedo francamente incompatibili con le poche ore mensili a disposizione per queste materie, affogate nelle altre centinaia di nozioni da imparare. E si corre il rischio di diventare incomprensibili, ottenendo l’effetto contrario : fare detestare la materia.
Forse hai ragione sullo specifico esempio della chiralità. Quello che volevo dire, ecco, mi ricordo la mia professoressa di Biologia del Liceo che su questo era molto attenta. A stimolare noi studenti ad osservare più le risposte imprecise e non date che quelle date. Credo che un 50% della mia scelta professionale sia stata legata al suo esempio. Trovavo molto eccitante che si chiedesse a noi di trovare una risposta che la scienza non aveva ancora saputo dare invece di impacchettarci la teoria da imparare a memoria che poi un giorno avremmo capito.
Ti capisco benissimo, figurati che mio figlio ha avuto il massimo dei voti al classico ed adesso fa chimica all’università, grazie ad una professoressa che nelle pochissime ore a disposizione gliela fatta amare! E parliamo della chimica eh.. 🙂
Questo articolo mi piace davvero.
Non sono un chimico di formazione di base, ma in quanto fisico sento una sintonia con questa problematica del perché della predominanza levogira nella natura che ha qualche analogia colla problematica della materia e dell’anti-materia nell’universo, universo nel quale la prima è apparentemente dominante.
Ovviamente in fisica non possiamo dire che ci fu una cometa che distrusse l’antimateria all’inizio dell’universo e una distribuzione simmetrica delle due è la sola cosa che sappiamo, per ora modelizzare: cioè non abbiamo ancora una teoria falsificabile almeno in principio che intrinsecamente sia capace di discriminare materia da anti-materia.
Di certo affermare che è il deus ex machina “caso” che ha così deciso non è un’affermazione che può soddisfare chi abbia spirito scientifico: la causa deve essere ricercata e il fatto di non essere capace di concepirla oggi non significa che non esista e quindi è dovere di andare a ricercarla.
Il discorso scientifico è per sua natura un discorso che deve rimanere aperto: i fantasmi degli scienziati del XIX secolo e altri Hilbert che speravano poter tutto spiegare della natura non hanno nessun fondamento teorico ( teorema del’incompletudine di Gödel) e empirico. La scienza comincia con un “non so” e sfocia su un altro non so: oggi non sappiamo perché c’è materia al posto di anti-materia. Quindi lavoriamoci su per spiegarlo. Lo stesso vale per le proprietà levogiri della materia animata quivi descritta.
Meteoriti non sono spiegazioni, solo illazioni, congetture.
Quel che questo articolo mostra è che le due chiralità appaiono spontaneamente ma non possono coesistere: questa mi sembra un’osservazione importantissima, che già spiega un pezzetto: le due non coesisteranno mai a lungo termine, per questo ne vediamo solo una. È già una spiegazione, e l’immagine della mano e del guanto illustra perché.
Il perché poi sia l’una piuttosto che l’altra, ammettiamolo con semplicità: è un enigma, per ora. Accettiamolo in quanto tale e non veniamo su con una squallida mitologia per tentare di “spiegarlo” quando invece è pura abdicazione dell’intelligenza.
Qui si apre tutto un capitolo che io ho volutamente omesso per non complicare troppo le cose su fenomeni fisici in grado di indurre asimmetria ottica sulla terra che sono piuttosto rari. La luce polarizzata non la compri dal ferramenta. Le sorgenti polarizzate esistenti in natura si riducono al decadimento beta di certi isotopi del fosforo che però producono energie troppo basse per produrre i fenomeni osservati. Quindi non solo non sappiamo l’assassino ed il movente, ma neanche l’arma del delitto.
Però c’è di sicuro un’arma del delitto visto che abbiamo il corpo del delitto.
Un’altra domanda che ti vorrei porre è se sai se esistono strutture più complesse costruite su molecole levogire che non potrebbero avere il corrispondente destrogiro proprio perché struttura impossibile per una costruzione con “mattoni” destrogiri.
Si gli enzimi ad esempio.
Per semplificare, le proteine che assumiamo mangiando (bistecca) sono strutture complesse , sono catene di amminoacidi, tutti levogiri. Quando le digeriamo usiamo degli enzimi che le ritrasformano in mattoncini poi il DNA usa i mattoncini levogiri per costruire ciò che serve. Sto semplificando molto il concetto.
Lo stesso per gli zuccheri destrogiri tipo glucosio. Gli enzimi che possediamo sono in grado di digerire la sola forma D.
Gli enzimi quindi sono complesse strutture (vedi ultima figura) che non hanno il corrispondente “destrogiro”. Per capirci immagina un enzima come una sfera tipo palla da bowling con 5 buchi in cui puoi introdurre solo le dita della mano sinistra e non la destra. La mano è l’amminoacido e l’enzima la palla. La palla enzima è costituita da lunghissime catente di proteine tutte intorcinate (vedi figura) con centri attivi etc. L’enzima in se è definito levogiro in quanto funziona solo con amminoacidi levogiri.
In questo caso è forse possibile stabilire un modello che sarebbe da testare nel quale i mattoncini destrogiri sono “naturalmente” eliminati.
Infatti se ci sono due traiettorie (nello spazio di fase ad hoc) termodinamiche possibili, la natura sceglierà sempre quella traiettoria che massimizzerà la produzione di entropia: se la traiettoria delle molecole levogire porta a qualcosa di unico come questi enzimi, possibili solo in quanto levogiri, e che questi enzimi siano produttori di entropia ben superiore a quella di qualunque costrutto destrogiro, allora di certo, termodinamicamente, la statistica dell’insieme tenderà a produrre molecole levogire in priorità.
Questo tipo di proposizione dovrebbe essere falsificabile.
Gli enzimi hanno stereospecificità, regioselettività e chemoselettività pazzesca. Sono molto complessi. Un modello che li simuli avrebbe tanti e tali parametri da risultare ingestibile e poco predittivo. Si tratta di ipotizzare una macchina complessa costituita da n mattoni che si è autodefinita per realizzarne uno solo. Insomma c’e’ da lavorarci parecchio.
Mi intrometto perché mi pare che Simon de Cyrene non la dica del tutto giusta..
Premetto che anch’io sono un fisico, anche se non sono un esperto del settore. Tuttavia queste questioni sono state ampiamente oggetto di divulgazione e dovremmo più o meno tutti saperne qualcosa. Cito ad esempio un paio di brevi articoli che mi paiono sufficientemente chiari e semplici:
http://www.asimmetrie.it/index.php/cp-la-simmetria-imperfetta
http://www.asimmetrie.it/index.php/a-caccia-di-asimmetrie
L’errore di Simon sta nell’affermare che non abbiamo teorie o modelli per spiegare l’asimmetria materia-antimateria. Non solo abbiamo teorie sull’argomento, ma abbiamo anche esperimenti fatti e finiti! Ed altri in corso.
Tutti sappiamo che nella fisica moderna, dalla relatività in poi, lo studio delle simmetrie è diventato un argomento cruciale. Con la scoperta dell’antimateria (la cui postulazione teorica, formulata più o meno inconsapevolmente da Dirac, è frutto dello studio di simmetrie) è diventato ancora più importante la ricerca della violazione delle simmetrie, la cui esistenza, secondo le ipotesi di Sacharov, è necessaria per permettere l’esistenza dell’antimateria e la nostra stessa esistenza. A differenza delle ipotesi sulla chirialità delle sostanze organiche, le ipotesi di Sacharov sono scientifiche, poiché è possibile ideare esperimenti, ed è stato fatto, che le verifichino o tentino eventualmente di falsificarle.
Un’altra grossa differenza tra l’asimmetria materia-antimateria e l’asimmetria delle sostanze chiriali è che la prima è estremamente debole (infatti abbiamo 1 protone ogni 100 milioni di fotoni; se la simmetria fosse perfetta nell’universo ci sarebbero solo fotoni), la seconda è assoluta e drammatica, come mostra il caso del Talidomide.
Per fare un paragone con le ipotesi di Sacharov, bisognerebbe ipotizzare che nella sintesi diretta di una sostanza chiriale si ottenga una percentuale anche minimamente diversa dei due enantiomeri, mentre per quanto ne so io, esperimenti di questo tipo hanno sempre dato miscele esattamente racemiche.
Questo tuo intervento caro Flavio proprio non l’ho capito, nel senso che non ne percepisco la necessità: ma forse è solo una questione di complesso e vuoi sapere se la pressione idraulica all’uscita della tua vescica e susseguente canale quando la prostata si rilassa è più alta di quella mia. Oggetto di studio poco interessante, credimi: dovresti interessarti ad altri aspetti del reale: se poi hai problemi al soggetto un urologo ti sarà più utile.
Detto ciò devi sapere che quando si fa un’analogia tra due oggetti di conoscenza ci sono sempre elementi comuni, sui quali si basa l’analogia propriamente detta, e quelli che non lo sono sui quali non si può dire niente: un’analogia è valida per quel che è non per quel che non è. Quindi nel caso dell’analogia da me proposta, mi limitavo, ovviamente, al fatto che nei due casi abbiamo una rottura di simmetria: che non parliamo delle stesse simmetrie e neanche degli stessi meccanismi di rottura, né che le molecole considerate abbiamo poco a che vedere con i barioni delle fisiche delle particelle, era, mi sembra chiaro.
Quanto al fatto che per ora l’asimmetria barionica rimanga inspiegata, questo, a mia conoscenza è ancora un fatto al giorno d’oggi: ci sono alcune congetture ma ancora nessuna che abbia portato un discorso davvero falsificabile, per ora. La rottura della simmetria CP in certe interazioni deboli non è una spiegazione ma una constatazione che necessita ancora un inquadramento adeguato e accettato da tutti nel quadro del modello standard.
Non facciamo, per favore, come i darwinisti, del wishful thinking un metodo scientifico. Fare congetture anche se necessità propedeutica al discorso scientifico non è, di per, sé scientifico, soprattutto se non inquadrabile ancora in proposizioni falsificabili secondo Popper.
Simon de Cyrene, scusa se te lo dico , ma leggo gli interventi da un po…e vedo che tu hai una certa facilità di ironia, ma bisogna essere molto attenti a non sforare nell’offesa …magari anche un po becera (tipo questa dell’urologo). Tra l’altro hai scelto un nick che non mi sembra proprio in sintonia con questo modo di porsi.
Salve.
Caro Mentelibera65 ti ringrazio per davvero per questo tuo commento, ma davvero non voglio offendere nessuno nella mia intenzione: ma allo stesso modo che tu mi fai questi rimbrotto così l’ho fatto all’amico Flavio.
Tu me lo hai detto direttamente, io invece ho usato dell’ironia.
Forse avrei dovuto dire a Flavio (più sul tuo stile) : “ma come ti permetti di trattarmi di ignorante dicendo che io”non la dica del tutto giusta” eppoi “dovremmo più o meno tutti saperne qualcosa”, proprio tu che sistematicamente non capisci una mazza di quel che ti si spiega in lungo ed in largo?”
Ma io questo non l’ho scritto, per un senso del rispetto,secondo me superiore al tuo verso di me, caro Mentelibera, ma, invece, ho preferito mettere l’accento su possibili moventi psicologici e con l’ironia dargli qualche spunto di riflessione supplementare che gli possa essere utile.
Visto che siamo nello scambio lucido e onesto di opinioni, caro Mentelibera65, ne approfitto per dirti che anche tu hai scelto un nick che è l’esatto contrario di quel che la tua immagina telematica lascia trasparire.
Insondabili sono i misteri della psiche umana!
Ad majora!
Simon, Mente libera non significa Mente perfetta, e neppure Mente infallibile. Significa solo che dico quello che penso, cercando di farmi condizionare meno possibile e leggendo un po di tutto. Il che non significa che quello che dico sia giusto.
Invece Simone di Cirene, che non mi risulta fosse francese ma seammai proveniente dalla Cirenaica, è secondo le scritture colui che ha aiutato Gesù Cristo a portare la sua croce. Non ci metterei la mano sul fuoco, ma non ce lo vedo a fare polemiche su un blog, con toni peraltro che sottendono una malcelata superiorità intellettuale. Ho una idea , evidentemente utopica ed edulcorata, del cristiano umile, mite e mai offensivo con gli altri. Posso consigliare a lei (e pure e me stesso , perchè mi rendo conto che anche il mio tono è un po in contrasto con esso) di rileggere Matteo 5,21-22
Io penso che quel “non lo so” sia il classico forunculo sul sedere che ogni tanto appare con il solo e unico intento di farci innervosire e di renderci la vita scomoda. E possiamo stare tranquilli che non mancherà mai all’appuntamento… Non a caso se per l’uomo del sec. I quel forunculo era rappresentato da un fulmine, da un terremoto o da un’inondazione improvvisa, noi invece lo ritroviamo negli enigmi della riproduzione cellulare, dei buchi neri o nei problemi di Hilbert. E lo stesso succederà per l’uomo del sec. XXX, il quale sicuramente avrà di fronte altri “non so” alla stessa identica maniera del primo uomo che ebbe a farsi una qualsivoglia domanda.
Il problema di fondo è proprio questo: perchè abbiamo la tendenza ad azzardare risposte anche riguardo cose di cui ancora non sappiamo? E’ questo un vantaggio o uno svantaggio? E’ giusto poi scrivere come ho fatto io: …anche riguardo cose di cui ancora non sappiamo? Nel senso che possiamo davvero aspirare ad arrivare a conoscere ciò che ci proponiamo?
Ecco, credo che questo potrebbe esser un buon argomento di dibattito, però temo caro Enzo che poi si andrebbe a toccare quell’altro tema che non sto a menzionare e di cui lei dice sarebbe meglio non parlare su questo blog, insomma… qui mi fermo.
Signor Flavio, mi perdoni, ma non riesco a seguirla molto bene, forse xche si riferisce a discussioni precedenti. In campo scientifico si studia la natura lavorando per ipotesi. Dire non lo so suppone pensare ad una nuova ipotesi o abbandonare un ipotesi. Quest’ ultima possibilità non tutti riescono ad accettarlo.
Si usa un metodo in cui si propongono risposte proprio perche’ vengano vagliate dagli altri per stabilirne la validità e dopo verifica sperimentale passare caso mai ad enunciare una legge.
Non si tratta di azzardare risposte a domande capotiche. Si tratta di rispondere a domande che scaturiscono dall’osservazione della realtà.
Buongiorno Alfonso, effettivamente la discussione procede dall’ultimo post e verteva sulle implicazioni ideologiche nel dibattito scientifico. Chiedo quindi scusa se mi sono allargato anche qui, sebbene credo che sia pertinente anche con il contenuto del suo articolo, come giustamente osservato nel primo commento da Gvdr.
Se ho ben capito, Flavio, l’idea di Pennetta, essa consiste non nel divieto di parlare di filosofia, cinema, teologia, metafisica, religione o gastronomia, ma piuttosto di stare in tema con l’argomento dell’articolo.
Quindi, se mi spiega bene quale sarebbe “un buon argomento di dibattito” cui accenna nel Suo commento e che non ho capito, potrei magari io (che amo e stimo la metafisica più della scienza empirica) tentar di farne un articolo; o magari, ancora meglio, potrebbe scriverlo direttamente Lei! Che ne dice?
Giorgio ha interpretato correttamente le mie intenzioni, confermo che il senso del mio intervento è un impegno a stare in tema con gli argomenti degli articolo e non passare ad altro dopo i primi due o tre interventi.
Un buon argomento… Visto che sulla metafisica si rischia di basare tutta una vita, sarebbe interessante capire o ribadire (con dibattito) i criteri di demarcazione tra la buona metafisica e la cattiva metafisica (se si può avere la presunzione di giudicare una metafisica meno buona o più cattiva di un’altra). E perché una metafisica elaborata su speculazioni insondabili dalla scienza possa essere fonte di certezze più certe di quelle che i sensi producono o sembrano produrre. Insomma, un buon argomento sarebbe entrare nel merito di questi dubbi e, se anche in passato se n’è parlato a più riprese qui e là, tornare a sintetizzare e a (ri)presentare le ragioni razionali del porre fiducia estrema alla metafisica, speculazione che esiste solo a livello di onde cerebrali e che con la realtà quotidiana sembrerebbe avere rapporto zero (provocazione)…
La ringrazio, Cipriani. Tenterò di scrivere un articolo di metafisica sulla base delle Sue preziose indicazioni (che cos’è, cosa distingue la buona dalla cattiva, perché dovrebbe ispirare fiducia, ecc.), pur premettendo che non sono un esperto nella disciplina, anche se ho verso di essa una stima superiore a quella verso ogni altra “scienza”, derivante dalla convinzione che solo la metafisica ci può avvicinare per via razionale alla verità.
Nell’occasione, mi affiderò ai filosofi contemporanei, sfruttando il fatto che mai, come nella nostra epoca, la metafisica sta rivivendo una grande fioritura.
Sono io che ringrazio lei, Masiero, per l’immediata disponibilità (su cui qui su CS tutti contavano) e la estrema buona volonta. Grazie davvero.
@Masiero
professore lei che ha studiato matematica potrebbe anche scrivere un articolo sulla distinzione tra esiti e finalismo, perché è chiaro dal post precedente che qualcuno non ha chiara la differenza e fraintende il darwinismo
Prima di trattare la distinzione tra esiti e finalismo, sarebbe più opportuno affrontare quest’ ultimo in maniera approfondita, delineandone le varie sfaccettature e connotazioni, altrimenti si è punto e a capo e si continuerà – come qualcuno fa qua dentro – ad usare il termine come un dispregiativo al fine di porre termine a discussioni che potrebbero essere invece decisamente fertili. (Se solo capissero che il caso presuppone la finalità…)
Concordo con Via Negativa: già vedere la confusione che certi nostri amici fanno tra discorso metafisico e discorso matematico, tra imprevedibilità e caso, tra finalità e irrazionalità, per non parlare della confusione che fanno tra misura e mondo reale, modelli matematici e dati sperimentali bisognerebbe cominciare molto a monte.
Giorgio ed Enzo faranno quel che vogliono in casa loro, ma secondo me già basare gli interventi su un chiodo bello fisso che è quello della falsificazione popperiana per garantire un discorso scientifico mi sembra assolutamente necessario ma già arduo abbastanza da mantenere nelle circostanze attuali.
Vianegativa, Simon… mettete tanta di quella carne al fuoco che davvero si stenta a seguirvi. Senza trascurare che un profano si perde se i termini della discussione devono essere così alti. Scendete in pianura, va.
Sul finalismo, per esempio, non so se volutamente, per alimentare dubbi, o inconsciamente, perché non riuscite proprio a capirlo, sembra non vi vada giù chi come me lo ragiona nei termini di finalismo verso l’uomo che vi sta tanto caro, escludendolo… Che poi esista un finalismo in natura, mi pare così ovvio che non serve nemmeno rimarcarlo: si chiama vita a ogni costo, tutto alla fine mira alla vita, al mantenimento della vita, indifferente a tutto il resto, ché possiamo esserne certi la vita produrrà altra vita anche quando noi umani saremo solo una delle specie estinte nel ricordo di chi potrà averlo (magari i maiali di orwelliana memoria)…
Cipriani, forse non ci riuscirò ma le assicuro che quando intervengo mi sforzo sempre di essere il più chiaro e semplice possibile, ma si può semplificare sino ad un certo punto (e questo vale praticamente in ogni campo dello scibile). Quindi se ci tiene davvero a capirne di certe questioni, un po’ di fatica dovrà iniziare a farla anche lei…
Cipriani,
ci scrivi “sembra non vi vada giù chi come me lo ragiona nei termini di finalismo verso l’uomo che vi sta tanto caro, escludendolo”: guarda che a me va anche bene che voi non vediate questo finalismo, ma dove mi fate ridere è che siete voi i primissimi a vedere dell’uomo dappertutto, dai pip dei bonobo agli escrementi dei dinosauri. Personalmente vedo dell’umano solo nell’uomo: figurati quindi!
@Vianegativa
Intanto ti ringrazio per gli sforzi che compi per essere il più chiaro e semplice possibile, e capisco che si possa semplificare sino a un certo punto: so al pari di te che è più facile complicare che semplificare. Quindi ti prendo in parola e, poiché ci tengo davvero a capirne di certe questioni, un po’ di fatica inizierò a farla anch’io… Grazie.
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@Simon
Sono contento che a te vada anche bene che noi (noi chi?) non vediamo questo finalismo. Ma non concordo affatto che noi (noi chi?) siamo i primissimi a vedere dell’uomo dappertutto, dai pip dei bonobo agli escrementi dei dinosauri. Parlo per me: non ritenendo l’uomo un frutto speciale dell’evoluzione, guarda caso la penso esattamente come te e personalmente vedo dell’umano solo nell’uomo (e che banalità!).
Come specificavo più sopra, in un esperimento mentale immaginavo che qualche altra specie un giorno potrà osservare quest’universo e trarre considerazioni su di noi, ma uomini restiamo solo noi… Non escludo che il simbolo non appartenga per sempre solo alla nostra specie. Ma figurati se questo significa vedere l’uomo ovunque… Dai, su.
Flavio, la similitudine del foruncolo mi sembra assai inadatta per indicare il “non lo so”, cioè un momento di fertile difficoltà davanti ad un fenomeno naturale che non riusciamo a spiegare, mentre il foruncolo sul fondo schiena è un momento di sterile fastidio.
Non vedo poi la ragione per cui si dovrebbe da questo “non lo so” passare alla religione.
Ammettere di non sapere qualcosa è spesso fastidioso, da lì il paragone con il foruncolo. E se c’è qualcuno che dovrebbe capirlo bene è lei, che spesso ha accusato molti darwinisti di dimostare fede cieca nel “caso” per poter così ovviare ai propri limiti. E quella è curiosamente la stessa critica che viene rivolta a chi invece ha fede cieca nella Provvidenza. La proposta di riflessione sarebbe quindi sulla nostra innata tendenza ad azzardare o addirittura ad inventarci risposte.
Poi sarà inevitabile discutere per capire, non tanto quale dei due approcci si corretto, perchè ogni fideismo, soprattuto quando esacerbato, non conduce alla verità, ma quale tra i due filoni sia più in corrispondenza con le attuali conoscenze scientifiche.
@ Alfonso Pozio
Dottor Pozio visto che mi sembra disponibile verso gli interlocutori, vorrei chiederle a lei che è un ricercatore un parere più vasto e meno attinente alla questione del suo articolo.
Lei ritiene che le varie discipline scientifiche mantengano ancora una ben distinta autonomia, o che si stia assottigliando e sfumando il confine . Oggi comincia a definirsi la biologia quantistica , lei ritiene che la fisica delle particelle possa dare contributi importanti alle altre branche del sapere , come la biologia ed anche la medicina, o rimarranno promesse disattese ?
Grazie e buona serata
Provo a risponderle Carmine. Diciamo che le varie discipline scientifiche incontrano limiti che gli “impongono” di esplorare campi che una volta erano nettamente separati. La biologia quantistica è uno di questi esempi. Ci sono fenomeni naturali, come l’orientamento nel campo magnetico terrestre, le attività enzimatiche che analizzati solo da un punto di vista chimico o biologico non risultano comprensibili ma che visti alla luce della fisica quantistica potrebbero averne.
Va detto anche che in ciascuna disciplina assistiamo ad una specializzazione su settori specifici che ormai rende impossibile ad un singolo ricercatore di lavorare da solo non avendo le competenze necessarie. Pertanto più che in passato dove si
aveva la figura dello scienziato solitario immerso nella sua disciplina, oggi è impensabile fare ricerca senza lavorare in equipe e collaborando con scienziati di altre discipline.
La fisica delle particelle sta già dando un contributo importante alla medicina, basti
pensare alla terapia adronica in cui si usa un acceleratore di particelle, un piccolo sincrotrone tipo quello del Cern che accellera e spara verso il bersaglio, ovvero il tumore, con una precisione sub-millimetrica. Si tratta di una tecnica ‘intelligente’, poiché mirata e potenzialmente senza effetti collaterali. Anche se funziona solo con alcuni tipi di tumori e non sostituisce la radioterapia convenzionale.
Grazie dottor Pozio
Prendo atto che Enzo non ha nulla da ridire sui toni e le offese elargite da Simon de Cyrene (nonostante le ripetute mie richieste di moderare, e tutto il tempo a disposizione, Enzo se ne e’ molto pilatescamente lavato le mani).
Interverro’ molto raramente, a questo punto, e mi adeguo ai toni.
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Simon parla del “chiodo fisso” di Popper e del suo criterio di falsificabilita’ per distinguere teorie scientifiche propriamente dette. Ma dagli anni ’50 e’ passata un po’ di acqua sotto il ponte del dibattito filosofico. Il criterio di falsificabilita’, infatti, si basa sulla validita’ del Modus Tollens ma l’estensione probabilistica del Modus Tollens non e’ valida (vedi Hacking, Ian. Logic of statistical inference. CUP Archive, 1965). Cio’ vuol dire che, con tutto il rispetto per Popper, il suo criterio di demarcazione fra Scienze e Pseudoscienze NON e’ applicabile a scienze che (per struttura o limiti nella descrizione delle condizioni al contorno) producono affermazioni probabilistiche (vedi Pigliucci, Massimo, and Maarten Boudry, eds. Philosophy of pseudoscience: reconsidering the demarcation problem. University of Chicago Press, 2013.). Ma, forse, Simon tiene nascosto nei suoi cassetti una matematica in cui l’estensione probabilistica del Modus Tollens e’ valida. Ma allora non faccia il timido, Simon, ce la mostri!
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P.S. So gia’ quale sara’ la riposta di Simon, sempre la solita, del resto: “mi avete frainteso, ed ecco qui un altro problema del tutto irrilevante ma sul quale preferisco spostare la discussione”. Oh, sti anti-darwinisti, non riescono mai a dire qualcosa senza essere subito fraintesi, poverini, mi fanno pena.
Sono d’accordo che Lei, Gvdr, sulla critica al falsificazionismo di Popper. Ci ho scritto un articolo qualche mese fa, qui su Cs (La linea di confine, http://www.enzopennetta.it/2015/04/21771/ ) nel quale ho mostrato come la teoria di Popper 1) non fosse originale e 2) fosse già stata confutata ancor quando Popper andava all’asilo.
Mi permetta però un’osservazione ed una domanda. La prima, non tanto rivolta a Lei ma a qualche nostro lettore che non ama la filosofia, è che qui stiamo discutendo di filosofia, non di scienza, ovvero sulla definizione che ciascuno di noi dà di scienza. La domanda a Lei è: qual è la Sua definizione di scienza?
Povero Gdvr, hai creduto che ti hanno tirato le treccine o rubato la merendina nel cortile dell’asilo e adesso piangi e vai dalla maestra perchà “ti hanno fatto la bua”!
Guarda che nulla di tutto ciò è mai avvenuto ed è solo frutto di un ego anormalmente espanso che crede che sempre tutto e tutti parlino di lui: purtroppo questo tipo di problematica esula dalla mie competenze, quindi passo e chiudo rapidamente sul soggetto.
È ovvio che il Modus Tollens non sia (senza ipotesi aggiuntive) applicabile tale e quale ad un discorso probabilistico: la ragione profonda è che la probabilità non è una realtà esistente, nel senso che quando affermi che in Italia ogni donna in media da nascita 1 ,1 bambini, non incontrerai mai per strada una donna che passeggia con 1.1 bambino. La probabilità è una costruzione mentale: qualunque esperimento che si fa (compreso in meccanica quantistica) risponde sempre e solo con un si o con un no, il raggruppamento delle risposte si e di quelle no è poi un lavoro di classifica a posteriori del fatto sperimentale.
In modo molto interessante, il fatto che il Modus Tollens non sia applicabile in campo probabilistico in modo ingenuo è utilizzato per andare contro l’argomentazione del I.D. che usa di argomentazioni probabilistiche ( a specchio dei darwiniani) per esprimere la propria posizione: visto che su Croce-Via nessuno è un tenente di I.D. questo va bene e rimane solo da essere sorpresi nel constatare che questo stesso tipo di argomentazione non sia utilizzato in modo simmetrico anche contro le le argomentazioni darwiniste. Ma questo è un altro discorso.
Scusate se mi intrometto, ma anche se le probabilità sono un costrutto mentale e non realmente esistente, in Fisica sono comunque delle osservabili, qualcosa che posso misurare come una velocità o una massa. In particolare, la MQ può prevedere di un dato sistema sia i risultati di una misura sia la probabilità con cui dovrei riscontrarla e un esperimento deve verificare entrambe. Di conseguenza, anche una probabilità è una cosa che permette di falsificare una data ipotesi, per esempio su quale siano le caratteristiche di un dato sistema. Perciò. anche una scienza probabilista può avere un criterio di falsificabilità.
No. Lì c’è il riferimento, vai a studiare.
Com’è laconico!
A quanto ho capito non sono paper ma libri non sono riuscito a trovarli, dovrei trovare un modo per scaricarli o comprarli.
Non può concedermi nemmeno una spiegazione sintetica visto che lei tali testi li avrà letti e compresi?
Oppure rispondere a delle domande specifiche: se un’ipotesi non può essere falsificata, vuol dire che qualunque risultato mi viene fornito da un’esperimento l’ipotesi su cui lavoro sarà sempre vera?
Qual è la demarcazione attuale, post-popperiana?
Stavolta tocca a me concordare con GDVR, Htagliato.
Quanto alla nozione stessa di falsificabilità, giusto per darti una scorciatoia euristica, già ci deve essere una nozione di vero e di falso che siano applicabili: falsificabilità vuol dire proprio che una proposizione possa essere dimostrata empiricamente falsa, cioè non vera, il che non è sempre possibile quando consideri probabilità.
Alcuni ricorrono allora a slittamenti semantici pur di continuare a salvaguardare una parvenza di discorso scientifico anche a quel che non è falsificabile ma valutabile in termini probabilistici introducendo nozioni meta-veritative come quella di “verosimiglianza” (likelihood).
La questione poi è sapere se uno vuole chiamare scienza un discorso solamente verosimile invece di essere un discorso veritativo sul reale.
Ancora una volta: le probabilità non esistono nella natura, esse sono un costrutto mentale, come anche tutta la matematica che è un’invenzione umana, ma non “esiste” nel reale.
Simon, dal punto di vista teorico e logico, seguo il suo discorso, ma sono perplesso dal punto di vista “pratico”: il risultato del lancio di una moneta non truccata è un processo probabilistico, ma se volessi testare l’ipotesi “moneta non truccata” lanciando la moneta 100 volte, se mi esce 90 volte testa non è detto che la moneta sia truccata, però il dubbio sorge. Di fatto, si usa stabilire una soglia per cui gli eventi la cui probabilità è al di sotto di essa vengono considerati prova che un’ipotesi sia stata verificata o falsificata (nel nostro caso, stabilisco che la moneta sia truccata).
Spero che abbia saputo spiegare il mio dubbio.
Spero averti capito bene.
Strictu sensu, quei “sogli” sono sogli di likelihood della validità dell’ipotesi non di verifica della validità stessa dell’ipotesi (o della sua falsificazione)
Io mi domando se dobbiamo sempre sopportare idiozie come la caratterizzazione di scienziati che si occupano di comunicazione animale come di gente che “passa il proprio tempo a dimostrare che dai pip dei bonobo, alle pernacchie delle mucche, agli scheletri di antenati (?) di primati qualunque veda sempre e solo “Premizia” di umanità da avvenire.”.
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Ma porco cane, Simon, hai mai letto uno di quegli articoli prima di pontificare? O almeno dato una letta ad un testo universitario di teoria dell’evoluzione? Nessuno scienziato “darwinista” si sogna di ipotizzare ““Premizia” di umanità da avvenire”. Soltanto tu lo fai. Per uno scienziato, notare la presenza in altre rami dell’albero filogenetico la presenza di caratteri simili a quelli umani NON SIGNIFICA AFFATTO che vi sia una tendenza ad evolvere “verso” l’essere umano. Significa, semplicemente, riconoscere che i vari rami dell’albero filogenetico (compresi gli Homo sapiens) sono evoluti, percorrendo traiettorie diverse, a partire da antenati comuni, e dunque mostrano nella loro somiglianza traccia di quell’antenato. Parlare di “vocalizzazioni” nei Bonobo NON SIGNIFICA, e non e’ affatto scritto nell’articolo, che i Bonobo stiano “diventando umani”, ma solo che e’ possibile che il nostro antenato comune avesse delle proprietà comunicative meno elementari di quanto finora ipotizzato (ad esempio la capacità di produrre e disambiguare fonemi in modo dipendente dal contesto, che non e’ banale).
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Che da quegli antenati comuni si possa, e si sia, evoluti in modo differente, secondo traiettorie differenti, e’
la teoria dell’evoluzione stessa a dimostrarlo. Non c’e’ finalismo nella teoria dell’evoluzione, nonostante la vostra pretesa di travestirla e di dichiararla miracolosa.
Caro GDVR, incavolati se vuoi con me, ma almeno incavolati per giuste ragioni: incomincia per lo meno con il leggermi senza preconcetto e senza distorcere a priori quel che ho scritto, leggi con calma, prendi il tuo respiro, bevi un bicchiere d’acqua, fa una passeggiata e respira aria fresca. Poi torna e rileggimi con calma e senza a priori.
E sai cosa succederà? succederà che vedrai che mai ho scritto esplicitamente o implicitamente che “notare la presenza in altre rami dell’albero filogenetico la presenza di caratteri simili a quelli umani …[SIGNIFICHEREBBE] che vi sia una tendenza ad evolvere “verso” l’essere umano”: anzi, da qualche parte ho già detto che i lavori di classifica ed in particolare quindi quella filogenetica è davvero un lavoro scientifico in modo indiscutibile.
Vedrai ad esempio che mai ho inteso né implicitamente né esplicitamente che “Parlare di “vocalizzazioni” nei Bonobo [ …] SIGNIFICA … che i Bonobo stiano “diventando umani” . Figuriamoci!
Vedi tu proietti quel che credi che io dica, ma non sei aperto a quel che ho detto.
E cioè che quel che continua a farmi ridere del vostro atteggiamento è l’antropocentrismo contraddittorio che di fatto avete: in altre parole, se voi foste davvero convinti del vostro punto di vista, invece di cercare sempre le similitudini filogenetiche o altre tra qualunque specie vivente e l’uomo , dovreste in realtà scegliere casualmente le similitudini tra qualunque specie vivente ed un’altra specie vivente e pubblicare in quest’ottica. Ad esempio sapendo che la biomassa la più importante sulla terra è rappresentata dalle formiche (spero non sbagliarmi 😀 ) perché non studiate e pubblicate piuttosto sui punti di contatto tra le formiche e gli orsi polari? La vostra fissazione sull’uomo è indice di un antropocentrismo che non fa onore ai vostri stessi presupposti! Spero che ne converrai e che d’ora in poi smetterai di fare ricerche sull’umano ma ti concentrerai sullo studio comparativo ed evolutivo tra lumache e pulci d’acqua. 😉
Caro Simon, credo che per una volta dovrò prendere le difese di GVDR: il neodarwinismo non è antropocentrico, nemmeno involontariamente e studiare le somiglianze tra due specie scelte a caso non è coerente con esso.
Si “cerca qualcosa di umano” nelle specie evolutivamente simili alla nostra perché si pensa che ciò che abbiamo in comune con esse doveva appartenere anche all’antenato comune. Anche se si dice che la comparsa di nuove specie sia legata a mutazioni casuali, una volta che una data specie è comparsa il suo legame con quella precedente ormai è fissato, nel senso che appartiene alla storia.
Il difficile è scoprire legami evolutivi meno intuitivi, meno plausibili, ma qui già stiamo nell’evoluzione “fatto”, non nel neodarwinismo.
In sintesi il riconoscimento delle discendenze è un lavoro fatto ad evoluzione già avvenuta, a prescindere da come sia avvenuta.
Nel mio articolo precedente attaccavo l’idea che il “pip” fosse una vocalizzazione, non tanto quella di cercare elementi comuni: non c’è niente di male a cercare qualcosa, c’è invece nel voler far credere di aver trovato ciò che si cerca quando non è così.
Caro Htagliato, se avessi affermato esplicitamente o implicitamente che il darwinsmo fosse antropocentrico, il rimbrotto me lo sarei fatto da me stesso, anzi!, mi sarei pure dato una sonora sberla!
😀
Uheee, uheee, uheee, mi hanno frainteso!
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“perché non studiate e pubblicate piuttosto sui punti di contatto tra le formiche e gli orsi polari?” Ma a lei chi le ha detto che non si faccia già, abbondantemente, e da anni?
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Filogenetica degli orsi: http://www.biomedcentral.com/1471-2148/7/198
Delle formiche: http://www.antweb.org/atol.jsp
Di orsi e formiche: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/21810989?dopt=Abstract
Gli studi del genere sono numerosissimi, negli ultimi ottant’anni.
Dia un’occhiata qui http://timetree.org se vuole togliersi qualche curiosità circa la relazione evolutiva fra due taxa!
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Di nuovo, ha perso un occasione per informarsi prima di sparare giudizi. E, di nuovo, risponderà di essere stato frainteso.
LOL mi fai ridere colle tue Red Herring fallacies!
😀
“invece di cercare sempre le similitudini filogenetiche o altre tra qualunque specie vivente e l’uomo , dovreste in realtà scegliere casualmente le similitudini tra qualunque specie vivente ed un’altra specie vivente e pubblicare in quest’ottica”
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Ti ho appena portato due esempi (e sul sito che ti ho linkato puoi trovarne migliaia altri, ci sono intere riviste dedicate a questo) di studi tesi a cercare similitudini filogenetiche fra altre specie viventi che non riguardano l’uomo.
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Fa pena che pensa che questo non venga fatto.
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“Spero che ne converrai e che d’ora in poi smetterai di fare ricerche sull’umano ma ti concentrerai sullo studio comparativo ed evolutivo tra lumache e pulci d’acqua”
Mi è difficile smettere, perché io non faccio ricerca filogenetica su Homo sapiens. Nè su grandi scimmie in generale.
Enzo, invece, dichiara che la fiducia nel “caso” (e per l’ennesima volta dimostra di non capire, o non voler capire, cosa si intenda per caso nella biologia; per una trattazione seria, vedi Sober, Elliott. The nature of selection: evolutionary theory in philosophical focus. University of Chicago Press, 1993.) della teoria dell’evoluzione e’ miracolistico, perché secondo Enzo i “darwinisti” pensano che caso e tempo siano sufficienti a tutto. Peccato sia una brutta pantomima della teoria dell’evoluzione, quella che Enzo costruisce e poi distrugge. Un uomo di paglia: una fallacia logica cara a certi politicanti.
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Il problema e’ che Enzo ignora volutamente gli ultimi, almeno, trent’anni di genetica. Ignora tutti gli studi sulla stabilita’ strutturale delle proteine. Ignora, o finge di ignorare, gli studi sull’evoluzione delle reti biologiche. E, soprattutto, ignora il fatto che fin da Darwin , On the Origin of Species, afferma:
“I have hitherto sometimes spoken as if the variations […] had been due to chance. This, of course, is wholly incorrect expression, but it serves to acknowledge plainly our ignorance of the cause of each particular variation.”
I darwinisti non fanno mistero della loro ignoranza, non nascondano i loro “non so”. Ma nemmeno li riempiono di metafisica da accatto.
Ci sono molti darwinisti seri, Gvdr, che ammettono “la loro ignoranza”, e che sentono il disagio di far combaciare i numeri (riguardanti i limiti dello spazio-tempo e della massa-energia delle teorie fisiche correnti) con le probabilità dell’evoluzione biologica, e quindi ricercano nuovi meccanismi complementari ai “chance et hasard” classici.
Però c’è una massa di darwinisti pochissimo seri, spesso scienziati in pensione e operatori della divulgazione, con la passione dell’ateismo militante (se vuole, Gvdr, Le faccio i nomi, perché può darsi che nel paese dove Lei lavora non si siano mai fatti sentire), che hanno divinizzato il caso e fanno solo cattiva metafisica.
Io non ho alcuna difficoltà a considerarLa tra i primi e ad apprezzare il Suo lavoro.
NB. Le avevo chiesto in altro commento e forse Le è sfuggito: Qual è la Sua ipotesi preferita sul problema della chiralità organica trattato in questo articolo?
La chiralità organica esula dalle mie competenze.