Umberto Eco
Scompare un grande regista che svelò la verità sul caso Mattei, oggi forse lo avrebbero chiamato “complottista”.
Ma secondo Umberto Eco le cose stanno diversamente: uno dei pochi complotti accertati fu quello dei calzini turchesi.
Sembra un ossimoro dire che la verità viene mostrata attraverso il cinema che è per sua natura recitazione e finzione, ma proprio il fatto che fu un regista forse l’unica voce a denunciare un gravissimo crimine di stato come l’attentato del 1962 al Presidente dell’ENI Enrico Mattei, mostra con ancor più forza che gli strumenti tradizionali come le indagini della magistratura e in secondo luogo le inchieste giornalistiche, non riuscivano a svolgere la loro funzione.
Fu così che nel 1970 Francesco Rosi, scomparso sabato scorso all’età di 92 anni, avendo deciso di fare un film sul complotto per assassinare Mattei incaricò il giornalista Mauro De Mauro di indagare su quell’ultima giornata siciliana del Presidente dell’ENI, poi De Mauro sparì nel nulla. Ma Rosi fece lo stesso il suo film e nel 1972 nelle sale fu proiettato “Il caso Mattei”, un film “complottista” che denunciava nientemeno che il coinvolgimento della Mafia in associazione con i servizi segreti francesi e delle compagnie petrolifere USA, roba da veri “gomblottisti” si direbbe oggi, gente che non voleva accettare la semplice verità che l’aereo di De Mattei fosse banalmente caduto per un incidente di volo durante un temporale.
Nessuno avrebbe però immaginato che nel 2002 ci sarebbero stati i mezzi per analizzare ancora i resti dell’incidente e trovare tracce di esplosivo che hanno dimostrato l’attentato, proprio come aveva detto Rosi. E gli Eco di allora non avrebbero mai creduto che una Corte di Assise avrebbe nel 2012 emesso una sentenza in cui si afferma che alla collusione Mafia e servizi segreti francesi, le Sette sorelle, si sarebbe aggiunta la complicità di un senatore della Repubblica e l’ostilità dei servizi inglesi.
Oggi, proprio nello stesso giorno in cui è stata allestita la camera ardente per Francesco Rosi, Umberto Eco ha pubblicizzato il suo ultimo libro, Numero zero, sul Corriere della Sera in un’intervista che per ironia della sorte è apparsa vicino alla notizia sull’addio al regista scomparso. Eco intervistato insieme a Paolo Mieli racconta quali sono secondo lui i mali del giornalismo attuale identificandoli con l’essersi trasformato in una “macchina del fango”, cosa condivisibile, e di non essere più un giornalismo d’inchiesta, come fa osservare Mieli. Ma come macchina del fango Eco ricorda solo i calzini turchesi del Magistrato Mesiano:
Per quanto riguarda l’Italia in Numero zero mi sono ispirato al caso di quel magistrato, Raimondo Mesiano, giudice del Lodo Mondadori, che nel 2009 fu messo alla gogna solo perché fumava e portava calzini turchesi. È il classico esempio di macchina del fango: parlare di un particolare senza alcun rilievo per screditare un avversario.
Questi sono i problemi del giornalismo secondo Eco che finisce per somigliare a quel personaggio del film Johnny Stecchino che diceva che il problema di Palermo, che ne macchia l’immagine nel mondo, è il traffico. L’altro problema è il “complottismo”:
Accanto alle discussioni di redazione, nel romanzo di Eco corre un piano parallelo in cui uno dei giornalisti, Braggadocio, ci introduce al tema del complotto, altro luogo topico del giornalismo italiano.
Eco – Braggadocio, che in inglese vuol dire anche sbruffone e come tutti gli altri protagonisti del mio romanzo porta il nome di un carattere tipografico, è convinto che Mussolini non sia stato fucilato a Giulino di Mezzegra il 28 aprile 1945, ma sia stato portato in salvo in Argentina e lì sia rimasto in attesa del momento propizio per tornare in Italia. E a questa ipotesi lega tutte le tragedie italiane del secondo dopoguerra, dalla bomba di Piazza Fontana alla strage di Brescia, dall’attentato di Peteano all’Italicus, in un concatenarsi di eventi che non esclude l’improvvisa morte di Papa Luciani…
Con una tecnica già usata nel Pendolo di Focault Eco induce a ritenere che tutti i complotti siano strutturati come delle fantasie allucinatorie, chissà cosa direbbe commentando il citato caso Mattei, e chissà cosa pensa di tutti i legami del terrorismo italiano degli anni di piombo con agenzie estere, anche di paesi alleati, che davano aiuto e protezione alle BR, come nel caso dell’Hyperion, la centrale del terrorismo europeo, che dagli atti della Commissione parlamentare Pellegrino apparve protetta dai servizi francesi.
Così come una teoria complottista sarebbe apparsa a Eco quella secondo la quale il DC-9 Itavia precipitato sul mare di Ustica il 27 giugno del 1980 sarebbe stato abbattuto da un missile lanciato da un aereo di un paese alleato. Ma perché fantasticare in questo modo quando la verità era che il DC-9 era vecchio e la compagnia non aveva fatto la dovuta manutenzione? Perché tanta immaginazione quando il cedimento strutturale era la spiegazione più semplice?
Un complottista, come tale secondo Eco deve evidentemente essere anche il giudice Rosario Priore, avrebbe invece detto che si trattò di un’azione di guerra condotta nei nostri cieli, e a nostro danno, di un pese alleato che volle abbattere l’aereo su cui volava Muhammar Gheddafi.
Anche Mieli concorda infine con Eco:
Mieli – Sono convinto che bisogna tornare ai fatti e vivere una stagione in cui ci depuriamo delle fantasie. Mai nella storia un’idea complottistica si è dimostrata veritiera.
“Mai nella storia un’idea complottistica si è dimostrata veritiera.” dice Mieli, allora dimentichiamo quanto detto sopra, Mattei è morto per un errore di pilotaggio del pilota Irnerio Bertuzzi, le BR furono solo “compagni che sbagliano” e non furono aiutati da nessuno, il DC-9 Itavia esplose in volo per un cedimento strutturale.
Eliminati tutti questi complottismi non resta che ammettere che il vero complotto furono le notizie sui calzini turchesi del Magistrato. Che sollievo…
Ma molto più realisticamente la ricerca della verità non deve cadere negli opposti errori di vedere complotti a tutti i costi, anche dove non ce ne sono, o di non vederne mai, forse a Umberto Eco andrebbe suggerito un adattamento di una celebre frase di Eisnstein:
Bisognerebbe rendere tutto il più semplice possibile, ma non troppo semplice.
Il più semplice possibile, ma non troppo semplice, nè complottisti né ingenui, questo l’attento equilibrio di chi cerca la verità.
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15 commenti
Ottima analisi Enzo. Il rischio è sempre quello degli opposti estremismi. Da una parte vedere complotti ovunque (sino ad arrivare alla paranoia) e quindi non essere più ancorati alla realtà e, all’estremo opposto, non avere capacità o volontà di voler vedere il “dietro le quinte” della Storia. Certo per farlo occorre molto equilibrio, capacità di selezionare fonti, comparare i dati, evitare false piste e depistaggi, evitare di farsi limitare dai (altrui e propri) pre-giudizi. In 2 parole occorrerebbero: coraggio e indipendenza intellettuale. Quel coraggio che ha mostrato Rosi nei suoi film (non solo il caso Mattei ma citerei anche titolo come: Le mani sulla città, Uomini contro, Dimenticare Palermo). Quel coraggio e quella indipendenza intellettuale che mancano alla stragrande maggioranza dei giornalisti, degli opinionisti e dei media italiani.
Ciao Francesco, il bello è che sia proprio un giornalista come Paolo Mieli che è stato direttore di giornali quali La Stampa e il Corriered della Sera a dire che il vero giornalismo d’inchiesta non c’è più, ma perché lui che poteva non l’ha incoraggiato?
Non ci sono in giro persone come Mauro De Mauro e anche chi legge si è “impigrito” su posizioni preconcette e segue le dinamiche delle tifoserie da stadio anziché ragionare sui singoli punti.
Un esempio interessante sono alcuni commenti a questo articolo di oggi sul Corriere:
http://www.corriere.it/esteri/cards/terrorismo-parigi-tutte-teorie-complotto/principale.shtml
Ma esiste veramente chi vede complottismi ovunque? O esistono alcuni che vedono stranezze qui, altri che vedono stranezze la, ma sono persone diverse MENTRE le persone che rimangono costanti sono quelle cui non sta bene che si eserciti il dubbio? Forse qualcuno di fede complottista esistera’ anche ma additare ogni dubbio alla schiera dei complottisti “ovunque e sempre” mi pare, beh un complotto molto utile allo status quo.
Gia’, Francesco sarebbe visto come complottista. E questo conferma quanto ho scritto.
Ora lo imbastisco io un complottismo: un arciduca vuol visitare Sarajevo, i servizi segreti gli dicono di non farlo, lui lo fa, con una sola auto di scorta. Passa esattamente davanti agli attentatori, esattamente davanti a loro si spegne la macchina. Rimane illeso e la macchina riparte e vanno verso un posto di polizia. Dopo mezz’ora ripartono, sempre una sola macchina di scorta. La macchina di scorta, poverina, ha inteso male e rifa’ la stessa strada. L’arciduca fa un’altra strada ma poi ci ripensa, facendo manovra esattamente davanti ad un attentatore che stava in un bar DOPO il primo tentativo di attentato, e stavolta riesce ad uccidere l’arciduca.
Questa e’ l’ESATTA cronistoria dell’attentato a Sarajevo. Altrettanto esatto e’ dire che secondo tutti i libri di storia, la prima guerra mondiale e’ stata costruita da 10 dico 10 persone.
A volte per non essere complottisti tocca essere dei ridicoli. Che tempi, che more 😉
Grazie per un altro esempio di evento che meriterebbe una diversa trattazione storica, il termine “complottista” al pari di quello “negazionista” sono diventati delle mazze per colpire chiunque rompa le scatole con dei dubbi ed evitare di dare risposte.
Come si suol dire non esistono domande stupide ma solo risposte stupide, come dicevo sopra la tendenza è invece quella di non tollerare chi si pone dei dubbi.
Analisi impeccabile.
False flag iacta est
😀
Piero, Rauschenberg ti fa un baffo…
Si può anche ridere di più:
Ormai è fatto di dominio pubblico che hanno ritrovato in una spelonca di Al-Quaeda-Isis, il
Manuale del perfetto terrorista:
1) kalashnikov: ce l’ho.
2) passamontagna: ce l’ho
3) carta d’identità: ce l’ho
4) nodo al fazzoletto per ricordarsi di farla trovare: fatto.
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Charlie, Parigi, 2015, hanno lasciato la carta d’identità nella macchina rubata dopo aver sparato in perfetto addestramento militare e con passamontagna
Idem Londra 2005: carta identità in zainetto
E altri casi simili.
Eh, che diamine, terrorista, dove vai se la carta d’identità non ce l’hai?
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Ma va bene così: basta che lo dica la tivvù, vuoi mettere in dubbio la BBC o il Corriere, bisogna bersi tutto.
Ma che scherziamo?? E’ tutto vero, non per niente si chiama versione “ufficiale”, ecchediamine.
Da un articolo di Noam Chomsky:
http://www.telesurtv.net/english/opinion/We-Are-All—Fill-in-the-Blank-20150110-0021.html
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“Erlanger descrive chiaramente la scena dell’orrore. Cita uno dei giornalisti sopravvissuti che racconta: “Era tutto distrutto. Non c’era nessuna via d’uscita. C’era fumo dappertutto. Era terribile. La gente gridava. Era un incubo.”
Un altro giornalista sopravvissuto raccontava: “C’è stata una forte esplosione e siamo rimasti completamente al buio.” Erlanger racconta che la scena “era sempre più simile a quella di vetri rotti, pareti buttate giù, travi distrutte, vernice bruciata e devastazione emotiva.” Almeno 10 persone sono risultate essere morte durante l’esplosione, 20 scomparse “presumibilmente sepolte nelle macerie.”
Queste citazioni, come ci ricorda l’infaticabile David Petersons, tuttavia non sono del Gennaio 2015. Vengono invece da una storia di Erlanger del 24 aprile 1999, che era solo a pagina 6 del New York Times, senza arrivare alla stessa rilevanza che ha ottenuto l’attacco a Charlie Hebdo.
Erlanger stava riportando dell’“attacco missilistico sul quartier generale della televisione di stato serba” da parte della NATO (ovvero degli Stati Uniti) che “ha fatto saltare in aria la televisione serba”.”
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Evidentemente ci sono giornalisti che meritano di vivere e altri no.
Segnalo anche un articolo di Foa sul Sussidiario:
http://www.ilsussidiario.net/News/Esteri/2015/1/14/TEORIE-DEL-COMPLOTTO-Foa-da-Charlie-Hebdo-ai-segreti-di-Stato-cosi-si-distinguono-i-fatti-dai-deliri/572159/
Buongiorno, Mi chiamo Nicola e mi permetto di porgere un quesito a proposito di complotti. Si hanno notizie del perché Eco in questo suo ultimo romanzo cita Vinciguerra, l’autore della strage di Peteano, col nome di Mario invece che con quello corretto di Vincenzo? Mi sembra strano un errore così evidente da parte di Eco.
Che ci sia qualcosa sotto?
Grazie mille per l’attenzione
A rigor di logica ha ragione Paolo Mieli a dire che “Mai nella storia(aggiungerei recente) un’idea complottistica si è dimostrata veritiera”, visto che le cause dello schianto dell’aereo su cui viaggiava Mattei non sono mai state chiarite, nessuno può affermare con certezza che sia stato un attentato anziché un banale incidente. Anche la strage di Ustica non è mai stata chiarita, ma stando all’ipotesi più accreditata e verosimile, si è trattato molto probabilmente di un incidente militare insabbiato, simile a quello che ha interessato l’MH17 in Ucraina. Ergo il complotto riguarda tutt’al più l’occultamento delle prove, ma stando al significato letterale del termine “complotto”, un aereo senza importanti personalità di rilievo politico/economico a bordo, che precipita in circostanze misteriose, può essere un incidente dovuto ad avaria, collisione o missile, oppure un attentato(ipotesi bomba), ma non un complotto.
Andrea c nel 2013 è stato confermato che fu un missile a colpire ustica e chi studia sul campo e i documenti dell’epoca sa con certezza che a pearl harbour i capi sapevano dell’attacco giapponese e lo lasciarono accadere ogni storico serio sa questa realtà. Il guaio è sempre la poca informazione.
Buongiorno e benvenuto Lodos.
Aggiungo che anche sul caso Mattei, come ricordato nell’articolo, le cause sono invece state assolutamente chiarite essendo state trovate tracce di esplosivo nel 2002.
Un complotto poi è un’azione condotta su iniziativa di più persone per ottenere un fine illecito (che sulla Treccani viene limitato ai casi contro l’autorità costituita), quindi si possono includere pienamente nel caso dei complotti sia l’attentato a Mattei che l’abbattimento del DC- di Ustica, e non solo per quello che è successo dopo con l’occultamento delle prove.