Aumentano le scoperte che rendono insoddisfacente il meccanismo evolutivo neodarwiniano per caso e selezione.
Ma nessuno sembra accorgersi che il “re è nudo”.
Uno studio dal titolo “Historical contingency and its biophysical basis in glucocorticoid receptor evolution” pubblicato il 15 giugno su Nature, ha avuto come oggetto i fenomeni casuali legati all’evoluzione. Come è noto la teoria attualmente accettata consiste proprio nell’ipotizzare un’accumularsi di mutazioni casuali all’origine dei nuovi caratteri o alleli, mutazioni che dovrebbero poi essere passate al vaglio della selezione naturale.
Nell’articolo pubblicato su Nature si parla di una ricerca nella quale si è ricostruito il recettore originario del cortisolo da cui sarebbero derivati quelli attuali, si è così ottenuto un recettore generico che funziona con qualsiasi glucocorticoide. Ma quando si è provato ad inserire delle mutazioni funzionali (F) nei recettori del cortisolo si è scoperto che il recettore non funzionava secondo le aspettative. La funzionalità è stata recuperata solo quando si è provveduto ad inserire anche delle mutazioni apparentemente neutre (P), cioè non in grado di alterare la funzionalità del recettore ancestrale.
Il meccanismo è stato anche descritto in un articolo pubblicato su Pikaia col titolo “Il ruolo del caso nell’evoluzione” nel quale leggiamo:
Tramite la tecnica della ricostruzione dello stato ancestrale, gli autori hanno ricostruito quale fosse la più probabile sequenza di questa molecola presente nell’antenato comune di tutti i vertebrati. Prodotta transgenicamente, questa proteina ha mostrato di essere un recettore funzionante, ma aspecifico, capace cioè di attivarsi legando un qualsiasi glucocorticoide.
Tutte le versione attuali del recettore differiscono da quella ancestrale per alcune sostituzioni di aminoacidi, divise dagli autori in mutazioni di cambio funzionale (F) e permissive (P). Le mutazioni di tipo P sono dette permissive perché, da sole, non sono in grado di alterare la funzione del recettore ancestrale. Quando però si tenta, sperimentalmente, di inserire le sole mutazioni F nel recettore ancestrale il risultato è una proteina non funzionante. Le mutazioni di tipo P sono dunque fondamentali tanto quanto le F, anche se non conferiscono nuove caratteristiche alla proteina.
Con questi risultati cade dunque definitivamente l’idea che una singola mutazione possa essere generalmente assunta come la base per l’origine dei nuovi caratteri, ma viene meno anche l’idea che una singola mutazione possa essere normalmente sottoposta al vaglio della selezione naturale. A questo punto i ricercatori hanno condotto un vero esperimento di evoluzione darwiniana:
I ricercatori hanno perciò provato a produrre versioni del recettore ancestrale non alterate, o in cui erano state inserite solo mutazioni F, e a sottoporle a mutagenesi casuale. I recettori ottenuti sono stati poi stati inseriti in cellule di lievito, modificate per essere incapaci di crescere senza l’attivazione di questo recettore, per stabilire quante delle versioni mutate ottenute fossero funzionali.
Delle circa 4000 versioni testate solo una si è dimostrata compatibile col funzionamento tanto della versione moderna quanto di quella ancestrale del recettore: quella che conteneva le mutazioni P “storiche”, cioè realmente avvenute nel corso dell’evoluzione. Tenuto conto che il passaggio dalla forma ancestrale a quella moderna del recettore non può essere avvenuta attraverso una forma intermedia inattiva e che le mutazioni P non possono essere state favorite dalla selezione, i ricercatori hanno stabilito che i recettori per il cortisolo, così come è possibile osservarli oggi nei moderni vertebrati, possono essere frutto solo di un unico e improbabile percorso evolutivo, in cui la comparsa casuale delle mutazioni P è stata seguita dalla comparsa altrettanto casuale di quelle F.
L’esperimento in questione condotto sui meccanismi del neodarwinismo ha dunque sostanzialmente fallito su due punti:
– Solo la versione “storica” si è dimostrata funzionante e il meccanismo casuale non è riuscito a produrre risultati utili.
– La selezione non può aver favorito le mutazioni P necessarie al funzionamento.
Cosa resta della Sintesi Moderna se il caso non produce nulla e la necessità non serve a niente?
Ma invece gli autori dello studio vengono condizionati dal loro paradigma, proprio come previsto dalla teoria sulle rivoluzioni scientifiche di T. S. Kuhn, e di fronte al fallimento delle forme alternative del gene interessato, anziché constatare che il caso non genera alternative funzionali, giungono alla conclusione che siamo di fronte ad un cammino “unico e improbabile”. E per finire ecco le conclusioni riportate su Pikaia:
Gli autori sottolineano nella loro argomentazione che un recettore per il cortisolo si sarebbe probabilmente potuto evolvere anche attraverso mutazioni in una porzione (dominio) differente dello stesso recettore ancestrale, rispetto a quella presa in esame dallo studio; o addirittura a partire da una proteina del tutto diversa. Ma forme di vita con questo recettore alternativo sarebbero un’altra vita rispetto a quella che oggi conosciamo. E se le conclusioni dell’esperimento si dimostrassero valide in senso generale, questo varrebbe per qualunque altra proteina osservabile nei viventi attuali.
Le combinazioni degli aminoacidi di una proteina sono talmente tante che ipotizzare di imbattersi in una forma alternativa funzionale va contro ogni probabilità statistica, e si concorda con l’articolo quando afferma che questo varrebbe per qualsiasi altra proteina.
Ma il paradigma è molto radicato, e allora, anziché mettere in discussione la teoria neodarwiniana, si giunge alla conclusione che, con le mutazioni casuali, anziché ottenere le prevedibili combinazioni nonsenso, si giungerebbe ad altre tipi di vita. Insomma, per dirla con un famoso paragone, un esercito di scimmiette battendo su una tastiera in un tempo paragonabile alla durata dell’Universo non riuscirebbe a scrivere la Divina Commedia, ma non dobbiamo pensare che scriverebbe qualcosa senza senso, no, secondo la teoria neodarwiniana le scimmiette produrrebbero comunque un’altra opera che però sarebbe scritta in un altro linguaggio rispetto a quello che oggi conosciamo.
Quale linguaggio darebbe un senso al libro scritto dalle scimiette? Trovatelo voi, mica possono fare tutto i neodarwinisti…
Integrazione dell’articolo.
Quando ci si riferisce ad una probabilità su circa 4000 compatibile con il funzionamento della proteina, non si intende 1/4000 in assoluto ma si intende dire che sono circa 4000 le varianti testate e che tra esse solo quella di partenza (storica) era funzionale.
Quindi correttamente si deve dire che la probabilità di trovare una variante funzionale deve essere minore di 1/4000 (in realtà 3.660) ma non si sa quanto minore, certamente di molto, un valore lo si potrebbe ottenere solo dal calcolo delle probabilità. Per chi non ha accesso al’articolo originale ecco il punto in cui questo viene chiarito:
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50 commenti
Buongiorno, vorrei solo sottolineare che una probabilità di 1/4000 significa che è molto probabile che prima o poi in una popolazione di vertebrati si fissasse la giusta combinazione di mutazioni P per deriva casuale. La casualità riguarda a chi dei tanti sia capitata. Se il tempo tornasse indietro, potrebbe non essere più l’antenato dei mammiferi ma l’antenato di alcuni pesci, per dire. Questo si intende per percorso altamente improbabile. Come dire, se si partecipa in 4000 ad una lotteria con un solo premio, la probabilità di vincere è trascurabile, ma la probabilità che qualcuno vinca è 1/1. Ciò che lascerebbe perplessi è accorgersi che, come sostenuto da alcune posizioni non scientifiche, non esistono forme intermedie funzionanti.
Buongiorno Matteo,
in questo momento non posso rispondere dettagliatamente, ma vedrà che la questine della probabilità su 4000 non è come viene presentata.
Una volta i darwinisti ci dicevano (per es. Bellone): fateci vedere i numeri, a noi non risulta che l’evoluzione per mutazioni casuali sia così improbabile. E poi, comunque, ci sono i “tempi profondi” (Pievani)…
Adesso cominciano anche loro a fare qualche calcolo, non di quelli sofisticati (non conoscono molta matematica, e ancora meno la fisica) e allora che fanno?
Prima (Dawkins e più recentemente s’è fatto vivo un certo Vicentini) hanno tentato di “dominare” il caso, eliminando l’indipendenza delle mutazioni (cioè proprio la loro casualità!!), così cascando nella brace dell’odiato ID…
Accortisi dell’errore, adesso si rifugiano in un’ovvietà: anche gli eventi implausibili (come la congiunzione di due eventi improbabilissimi) non sono impossibili!
Certamente: ma non è un compito della scienza quello di “spiegare” i fenomeni meravigliosi e complessi della natura, a prima vista improbabili, piuttosto che dire Mah, sarà un caso…
Salve, non mi risulta che la biologia evolutiva sia estranea alla matematica e alla fisica, tutt’altro. Un piccolo esempio di livello accademico-medio http://www.robertasinatra.com/pdf/tesi_triennale_sinatra.pdf
Poi vorrei ripetere che 1/4000 significa molto probabile, visto l’enorme numero di popolazioni di vertebrati esistenti ed esistite. L’improbabilità sta solo nell’assegnazione del “premio”, avvenuta senza una ragione precisa. Se in un gruppo di 100 c’è una persona che vince alla roulette, la scienza non deve spiegare il perché, non deve scervellarsi a trovare una ragione più profonda per cui proprio a quella persona e non ad un’altra sia capitato. E’ un caso, non deve spaventare ammettere questo.
@Salve Matteo,
posso solo consigliarle, se non l’ha già fatto, la lettura dell’articolo:
http://www.enzopennetta.it/2014/06/la-scienza-non-puo-provare-il-caso-ne-escludere-lintelligenza/
Non ho mai detto, Matteo, che “la biologia evolutiva sia estranea alla matematica e alla fisica”. Al contrario gli ultimi 3 articoli di biologia evolutiva (“La vita è fisica, Parte I, II, e III”, nella rubrica Tavola Alta), che ho scritto sono pieni di matematica e fisica!
Ciò che io affermo è che la spiegazione darwinistica dell’evoluzione ricorre solo al caso ed ignora la fisica e la matematica.
Quanto ai calcoli di probabilità, che Lei troverà in molti altri articoli (per es. “I 3 salti dell’essere”), non è questione di 1/40.000, ma di 10^(-149), cioè 1/10000…000(149 zeri) per produrre “a caso” una sola proteina di 200 aminoacidi, tenuto conto di tutta l’età dell’Universo e di tutta la sua materia-energia.
Ho letto qualcosa sulle vostre interessanti tesi prima di commentare, ma il pdf che ho postato come esempio si riferisce alla teoria dell’evoluzione attuale, che anche fa grande uso di metodi matematici.
La matematica infatti non smentisce a priori la plausibilità dell’evoluzione secondo meccanismi darwiniani. Tuttavia di questi tempi, la questione si gioca sul piano sperimentale, e questo studio ne è un esempio.
Se, data una qualunque disposizione delle mutazioni permissive P a partire dal recettore ancestrale, non esistesse alcuna successione di singole mutazioni F che porta al recettore attuale senza passare per forme intermedie non funzionanti, questo indicherebbe che più mutazioni F siano avvenute simultaneamente, il che raggiunge l’improbabilità di cui parla. Magari in rari o rarissimi casi si può ammettere che ne siano capitate 2 o 3 insieme, ma poi si scenderebbe nel ridicolo. Altrettanto ridicolo sarebbe scoprire che la sequenza delle mutazioni permissive ha così tante permutazioni da non essere probabile azzeccare quella giusta nemmeno in milioni di anni di deriva casuale.
Ai futuri esperimenti l’ultima parola.
Non esistono, Matteo, “meccanismi darwiniani” diversi dal caso. Così come non esistono nell’ID diversi dall’intelligenza. Se Lei conosce qualche altro meccanismo darwiniano che giustifichi una successione con successo delle mutazioni, siamo tutto orecchi.
Quindi, possiamo stare tranquilli: mai nessun esperimento futuro potrà smentire il caso (o l’intelligenza) e il darwinismo (e l’ID) sono in una botte di ferro. Per questo noi diciamo che non sono teorie scientifiche dell’evoluzione e che non avranno mai un’applicazione concreta: perché non sono popperianamente falsificabili!
Matteo, il PDF da quanto ho visto si riferisce alla ricostruzione delle distanze genetiche negli alberi genealogici ma non si occupa di spiegare come queste differenze siano sorte, si accontenta di dire che si spiegano con gli errori casuali ma non entra nel merito della scientificità di questo assunto.
Come ho mostrato nell’integrazione che ho fatto all’articolo, le probabilità nell’esperimento da cui prende spunto quest articolo sono molti inferiori a 1/4000.
Non può essere invece accettato il paragone con il biglietto della lotteria in quanto in tal caso si assume che tutti e 4000 biglietti siano stati venduti e quindi l’evento “vincita” sia certo.
Ma nell’evoluzione solo un’infinitesima parte delle mutazioni possibili può effettivamente avere avuto luogo e quindi sarebbe come dire che se su una lotteria da 4000 biglietti ne sono stati comparti ad es. 5 è sicuro che qualcuno vincerà.
Il che evidentemente non è corretto.
Già leggendo l’articolo poco approfondito di Pikaia ho immaginato che non fosse stato possibile provare tutte le possibili mutazioni P nel dominio in questione, ora grazie al Suo approfondimento ne ho la conferma. Ho detto 1/4000 per semplicità, ma mi rendo conto che la stima della probabilità sia molto minore, però non penso così tanto da renderla una coincidenza improbabile persino su miliardi di “tentativi” in milioni di anni.
Concordo con l’osservazione che, dal punto di vista epistemologico, sia impossibile provare o smentire la casualità, ma dal punto di vista della credibilità scientifica, questa visione può guadagnare o perdere valore proprio in base a considerazioni del genere di quelle che stiamo apportando adesso.
Professor Pennetta, se ho ben inteso, Lei sta affermando che non ci furono abbastanza tempo e spazio per “tentare” per deriva casuale tutte le combinazioni di mutazioni P.
Oppure che non tutte le mutazioni P possono avvenire?
Nel secondo caso mi pare di capire il contrario dall’articolo, ovvero che le mutazioni permissive siano tali proprio perché possono avvenire, nel primo caso invece la discussione è aperta, dipende innanzitutto da quante sono le combinazioni di mutazioni P.
@Matteo, facciamo un calcolo molto semplice che venne proposto da Isaac Asimov e ripreso da Dawkins nell’Orologiaio cieco.
La sequenza dell’emoglobina, che è composta da 146 aminoacidi i quali sono a loro volta 20, è una tra le 10^190 possibili.
Se consideriamo che dalla nascita dell’universo sono passati per eccesso 10^18 secondi, la nostra ‘lotteria’ ci consentirà di vincere con una probabilità di 10^-172. Ripreto: una probabilità su 10 alla 172, cioè 10 seguito da 172 zeri.
Ritiene ancora che sia così plausibile la speranza di pescare casualmente la combinazione giusta?
E ovviamente all’inizio dell’universo non è partito nessun sequenziatore di emoglobina, anzi per avere il sistema solare si è dovuto aspettare 8.000.000.000 di anni e l’idea che si sia tentata una diversa combinazione al secondo è del tutto irreale.
E consideriamo che ad esempio il corpo umano è fatto da 100.000 proteine.
Aggiungiamo che i passi intermedi non erano selezionabili (come avviene nel caso dell’articolo).
Alla luce di tutto questo, come i può dire che in un universo con le caratteristiche del nostro, tutto sommato, la formazione per puro caso delle proteine può essere ritenuta soddisfacente?
Siamo davvero davanti ad una forma di miracolismo materialista.
Questo mi è chiaro. Il fatto è che in questa sede non abbiamo apportato alcun dato sull’emoglobina per poter fare un discorso concreto.
Servirebbe un esperimento analogo a questo in cui si parte da una forma ancestrale dedotta e si cerca di arrivare a quella attuale.
Faccio un esempio ipotetico, supponiamo che il risultato dello studio sia in seguente:
“A partire dalla forma ancestrale, ogni mutazione F singola porta a una proteina non funzionante, e sono stati individuati 12 posizioni nucleotidiche che possono ospitare mutazioni P. Solo una delle possibili combinazioni dei 4 amminoacidi in queste 12 posizioni permette l’emergere di una serie di mutazioni F che porta all’emoglobina attuale per selezione cumulativa.”
In tal caso allora è lecito impostare il semplice conto: 4^12 che fa circa 16 milioni. Dopodiché ci sarebbero diversi aspetti da considerare per valutare se nei milioni di anni a disposizione ci sia stato il tempo per provare tutte queste combinazioni per fissazione casuale nelle popolazioni di vertebrati esistite (il cui numero è davvero elevatissimo).
Se invece di 12, l’esperimento trovasse 20-30 posizioni, allora sarebbe chiaro che non c’è speranza per i meccanismi neodarwiniani.
““A partire dalla forma ancestrale…” Ma il calcolo parte dall’inizio dell’universo, quindi bisogna inserire tutti e 146 gli aminoacidi. Partire da una forma ancestrale significa avere già un’emoglobina.
Nel suo esempio poi il calcolo non dovrebbe essere 4^12 (quattro sono le basi non gli aminoacidi) ma 20^12 che fa ben più di 16 milioni e cioè 4 milioni di miliardi di combinazioni.
L’argomento che chiude il discorso sulla possibilità che la teoria del “gran colpo di c…” come dovrebbe essere chiamata quella neodarwiniana, è la constatazione che non basterebbe la massima fortuna possibile ad aver solo esplorato tutte le combinazioni dll’emoglobina, come evidenziato da Giorgio Masiero in un suo articolo:
“La scala temporale minima dettata dalla meccanica quantistica è il tempo di Planck, ~10-43 secondi: nessuna reazione chimica può avvenire in un tempo inferiore. Quindi, nel tempo di ~10^18 secondi (che è l’ordine d’età della Terra e dell’Universo) non possono avvenire localmente più di ~10^61 reazioni, che moltiplicate per tutti gli atomi della Terra (~10^50) danno un maggiorante di 10^111 reazioni chimiche globali terrestri. Nell’Universo, dove il numero di particelle è ~10^82, il maggiorante delle reazioni chimiche accadute in ogni tempo e luogo sale a 10143. Dunque, nel caldo brodo primordiale terrestre ospite delle prime forme di vita e nelle fredde nubi molecolari delle galassie giganti dell’Universo non possono essere accadute più di 10^111 e 10^143 reazioni chimiche rispettivamente.”
Sulla terra dalla sua formazione non possono essere avvenute più di 10^111 reazioni chimiche, le combinazioni della sola emoglobina sono 10^190.
Devo insistere, voler difendere la sintesi moderna è la più potente forma di fede mai sperimentata nella storia dell’umanità.
Ma perché poi,Enzo,passi anche una botta di c…,ma di quanti eventi implausibili stiamo parlando?
Quanti eventi implausibili e ‘quanto’ implausibili, per questo parlo della più potente forma di fede che si sia mai vista fin dai tempi degli antichi sumeri.
Bisogna dirlo con perseveranza che i veri credenti sono i neodarwinisti, prima o poi la gente incomincerà a capire.
Prof. Pennetta,
A questi numeri destano uno spropositato senso di stupore e meraviglia per il mondo che ci circonda!
Quanto hanno da dire pochi, semplici calcoli sugli ordini di grandezza!
Incredibile!
Law non posso che unirmi alle tue considerazioni, certe cifre nella loro fredda imponenza lasciano senza parole.
No io intendevo 4^12 considerando i nucleotidi, quindi 20^4 considerando le triplette (ed escludendo le sinonime).
Ho l’impressione che qui si voglia rimanere sui discorsi a priori, che prescindono totalmente dai meccanismi della biologia. Scientificamente invece si dovrebbe procedere per gradi, risalire di passo in passo fino alla proteina ancestrale appartenente a L.U.C.A. (il massimo obiettivo scientifico che la teoria dell’evoluzione si pone, dopodiché si parla di teorie/ipotesi dell’abiogenesi).
Se si riuscisse a ricostruire l’intero percorso evolutivo di una proteina a partire da singole mutazioni F (o al più 2-3 insieme in rarissimi casi) e combinazioni non troppo improbabili di mutazioni P, passando sempre per forme con una qualche funzionalità, allora sarebbe un grande passo.
Se si dimostrasse inesistente la suddetta serie di mutazioni, allora dovremmo davvero invocare la botta di c… oppure, più onestamente, cercare un’altra spiegazione.
Il discorso a priori sulla proteina prodotta a caso però da solo non significa nulla.
Matteo, lei fa una gran confusione.
Quello che intendeva non è evidentemente quello che ha scritto.
Lei ha parlato di posizioni nucleotidiche ma poi si esprime con un riferimento “ai 4 aminoacidi” confondendo evidentemente gli aminoacidi con i nucleotidi del DNA.
Nel momento in cui poi parla di mutazioni P, deve riferirsi agli aminoacidi (come chiaramente indicato nell’articolo), quindi parlare di “12 posizioni nucleotidiche che possono ospitare mutazioni P” è semplicemente errato.
Poi afferma: “intendevo 4^12 considerando i nucleotidi, quindi 20^4…” ma 4^12 fa oltre 16 milioni, 20^4 fa 160.000, come si fa a dire “4^12 quindi 20^4” come se il risultato fosse lo stesso?
Come poi faccia a ricavare quel 20^4 è un mistero, con quel calcolo lei ottiene le combinazioni di 20 aminoacidi in gruppi di 4, che è il numero delle basi nucleotidiche, ma questo è un calcolo che non indica nulla di reale. Cosa significa disporre gli aminoacidi in gruppi d 4? Glielo dico io, significa trovare quanti peptidi posso fare con 4 aminoacidi. E che c’entra?
Questo passaggio dimostra solo una grande confusione.
Dopo aver fatto tutto questo casino viene a pontificare che “Ho l’impressione che qui si voglia rimanere sui discorsi a priori, che prescindono totalmente dai meccanismi della biologia.”
Vede Matteo, prima di parlare di biologia sarebbe meglio che la studiasse e si accertasse di averla capita, prima di quel momento cercherei di essere un po’ umile e lasciar perdere discussioni per le quali non si è preparati.
Non aggiungo altro.
Non era mia intenzione sembrare arrogante, me ne scuso. Ho solo comunicato una mia personale impressione.
Avrei dovuto esplicitare meglio i conti:
4^12 = (4^3)^4 = 64^4
Questo nell’ipotesi che i 12 nucleotidi con mutazioni P costituiscano 4 triplette (a titolo puramente esemplificativo, mi rendo conto che non deve essere per forza così).
Quindi, escludendo le triplette sinonime, ci sono 20^4 combinazioni di amminoacidi.
Con questo chiarimento sulle mie precedenti affermazioni tolgo il disturbo.
Matteo,
prendo atto del fatto che non intendeva essere arrogante.
Il suo calcolo fa un lungo giro per arrivare ad una conclusione che si poteva trarre immediatamente, infatti non aveva bisogno di partire dai nucleotidi perché, se tolte le mutazioni non codificanti o ridondanti, restano 20^4 combinazioni, quello che conta sono gli aminoacidi mutati.
E allora tanto valeva fare subito 20 (gli aminoacidi) elevato alla 4 (le posizioni degli stessi sulla proteina), cioè quel 20^4 che è il risultato finale del calcolo da lei eseguito.
Un calcolo che comunque, come da lei premesso, non indica necessariamente una situazione reale.
Quello che in realtà emerge mi sembra che sia un tentativo insistito di nascondere le difficoltà che la matematica (cui la scienza è indissolubilmente legata dal tempo di Newton) pone alla teoria neodarwiniana.
E così non si accorge che seguendo il suo ragionamento se davvero ogni proteina fosse riconducibile a LUCA ci troveremmo ad una prima cellula progenitrice di tutti i viventi dotata di un patrimonio genetico in cui erano già presenti tutte le milioni di proteine esistenti, una specie di “mostro” la cui apparizione farebbe impallidire ancora una volta i miracoli biblici.
Eppure la soluzione è così evidente, basta solo volerla vedere: il neodarwinismo non spiega l’origine delle specie.
PS per il resto nessun disturbo…
Io sono partito dai nucleotidi e sarei rimasto sui nucleotidi, Lei poi è passato a parlare di amminoacidi sostenendo che 4^12 mutazioni neutrali portano a 20^12 diverse sequenze di amminoacidi, con il mio fugace calcolo volevo solo mostrare che non è necessariamente così.
Comunque, sì, si discuteva solo di un esempio ipotetico, vagamente ispirato allo studio in questione.
Il mio intento era esemplificare un eventuale modo di procedere quando si calcola la probabilità che una proteina si evolva in un’altra per effetto di mutazioni casuali, la discussione è quindi innanzitutto sul metodo, e per continuarla sui calcoli effettivi servirebbero dati sperimentali.
La mia tesi non è quindi dimostrare che l’evoluzione dell’emoglobina sia un fatto probabile, questo non si può discutere a priori. Quello che si può discutere a priori è appunto la metodologia con cui si potrebbe determinare se sia o no un fatto probabile.
L’esempio di tentare a caso tutte le combinazioni possibili, sempre secondo la mia tesi, non lo è, poiché non è così che funziona la selezione cumulativa unita a deriva neutrale. Lo sarebbe se ci fosse unicamente la deriva neutrale.
Riguardo a LUCA, la filogenesi proteica non prevede che ogni proteina sia in relazione biunivoca con la rispettiva proteina ancestrale, ma al contrario che moltissime proteine diverse che osserviamo oggi siano riconducibili ad una manciata di forme proteiche ancestrali. Le proteine prendono strade evolutive diverse così come le specie si diversificano una volta divise dalla popolazione iniziale. Ma non solo, anche all’interno del singolo individuo ci sarebbero delle proteine che svolgono funzioni differenti ma che in origine erano una sola. L’origine di questa differenziazione è spiegabile con un iniziale fenomeno di duplicazione genica, che sappiamo essere possibile e anche selezionabile positivamente di per sé.
Tutte ipotesi non verificabili sperimentalmente, questo lo sa vero?
Lei è partito dai nucleotidi ma sia la ricerca che l’esempio dell’emoglobina si basano sugli aminoacidi, perché spostare il discorso senza alcuna utilità se non quella di introdurre passaggi inutili?
Poi afferma: “Lei poi è passato a parlare di amminoacidi sostenendo che 10^12 mutazioni neutrali portano a 10^12 diverse sequenze di amminoacidi, con il mio fugace calcolo volevo solo mostrare che non è necessariamente così.”
Devo contraddirla, 10^12 mutazioni di aminoacidi portano proprio a 10^12 diverse sequenze (ovviamente non si tiene conto delle mutazioni che annullano una mutazione precedente, caso fra l’altro reale e che allunga ulteriormente i tempi dell’evoluzione neodarwiniana).
Lei cerca un metodo per stabilire se l’evoluzione sia stata casuale o no proprio quando in headline c’è un articolo del prof. Masiero sull’impossibilità di stabilire se un percorso evolutivo sia stato casuale o no.
Poi dice: “La mia tesi non è quindi dimostrare che l’evoluzione dell’emoglobina sia un fatto probabile, questo non si può discutere a priori.”
E invece sì!
Poveri matematici statistici, perderanno tutti il lavoro se non si può stabilire a priori se un evento sia probabile o no.
Si può stabilire se è o no probabile l’uscita di testa o croce in un lancio di moneta? Lo statistico dice di sì e calcola questa probabilità in 1/2.
Poi può fare tutti gli esperimenti che vuole per confermarlo, e sa cosa succede se lanciando una moneta esce per 1.000 volte testa? Si arriva alla conclusione che la moneta è truccata (cioè l’ipotesi di partenza è da rivedere).
Cosa fa invece il darwinista?
Se esce per 10^190 volte testa dice che sì, in fondo in teoria può anche succedere…
E infine il discorso sulla selezione cumulativa dice solo che nel caso in cui le mutazioni fossero selezionabili (e nello studio in questione la maggior parte non lo sono) si giungerebbe più velocemente alla “frase bersaglio di Dawkins”, ragionamento che però, proprio per l’impossibilità di fissare per selezione tutte le mutazioni) è più vicino all’ID che non al darwinismo.
E come la mettiamo poi con le mutazioni che, in assenza di selezione, cambiano casualmente gli aminoacidi giusti ma ancora non selezionabili?
Ma tutto questo non basta ad intaccare la fede nell’onnipotenza del caso.
” Lei cerca un metodo per stabilire se l’evoluzione sia stata casuale o no proprio quando in headline c’è un articolo del prof. Masiero sull’impossibilità di stabilire se un percorso evolutivo sia stato casuale o no.
Poi dice: “La mia tesi non è quindi dimostrare che l’evoluzione dell’emoglobina sia un fatto probabile, questo non si può discutere a priori.”
E invece sì! ”
Prima di rispondere a qualunque altra considerazione è fondamentale che io chiarisca ancora meglio il mio intento, che è stato frainteso:
Io non intendo stabilire se l’evoluzione sia stata casuale o no, bensì stabilire, assumendo PER IPOTESI che sia stata casuale, se è vero o no che servirebbe davvero una dose spropositata di fortuna.
E il metodo corretto per determinare ciò può essere discusso a priori. Quello che io indico come metodo è molto sinteticamente il seguente:
1 – dedurre con i metodi della filogenesi, a partire da varie proteine attuali imparentate, una probabile forma ancestrale funzionante da cui si possa ipotizzare che le attuali derivino.
2 – Trovare una catena di forme intermedie tra quella ancestrale e una di quelle attuali. Tutte le forme intermedie devono essere testate sperimentalmente e risultare funzionanti. Come dimostra lo studio scientifico protagonista di questo articolo, saranno necessarie delle mutazioni P inizialmente non selezionabili.
3 – Calcolare la probabilità che le mutazioni P, per deriva genetica (ipotizzata casuale), si fissino nell’esatta configurazione
4 – Confrontare questa probabilità con i casi possibili, ovvero stimare il numero di popolazioni venute alla luce nei milioni di anni in questione.
Gli ultimi punti sono ragionamenti matematici probabilistici, ma non vengono fatti a priori, bensì alla luce dei dati sperimentali forniti nei primi due punti.
Io ho solo una perplessità: perché assumere PER IPOTESI l’evoluzione come fenomeno casuale in scienza, quando la scienza, PER IPOTESI, postula che dietro ogni fenomeno fisico, chimico, biologico ci sia una legge pur complessa ma ben precisa?
Vabbèh casuale starà per aleatorio..possiamo dire il risultato/l’azione indeterminato/a di agenti dinamici.
Una mutazione casuale,per esempio, è casuale ma per la scienza cause le ha,anche se non si conoscono,come giustamente Law sottolinei..
Capisco che ormai su questa cosa sia stato fatta talmente confusione..
Ad ogni modo il problema di quello che scrive Matteo è un’altro,Enzo un po’ ha cercato ddi spiegarlo.
Per me è chiaro.Vediamo se darà ulteriori spiegazioni che magari faran comprendere anche Matteo meglio la faccenda…
All’università ho dato anche un esame di calcolo delle probabilità, e i termini “casuale” ed “aleatorio” erano usati come sinonimi. Il risultato di un lancio di un dado è prevedibile se si conoscono il momento torcente e la risultante delle forze impressi, la posizione del dado, le condizioni aerodinamiche della porzione di spazio in cui avviene il lancio e il coefficiente di elasticità dell’urto con il suolo, ma poiché il lanciatore non conosce questi dati, e anche conoscendoli non riuscirebbe ad averne un controllo sufficientemente fine, si dice che il lancio di un dado è un esperimento aleatorio, quindi dall’esito casuale.
Law, dipende cosa intende per “ben precisa”. Il caos deterministico, un concetto elementare di fisica, dimostra che conoscere una legge non vuol dire sempre conoscere un’esito, e in certi casi non ha alcun senso tentare una previsione.
sì Matteo,come già detto.
Giusto un articolo e svaiati commenti di recente..
Ciò ha sicuramente creato purtroppo un po’ di confusione,come sicuramente in questo caso.
Infatti come ho scritto era abbastanza evidente il tuo riferimento alla casualità..
Bene Matteo,
La sua risposta ha fugato i miei dubbi.
È che a suon di discutere di certe cose (recentemente), mi è venuto involontario darne una certa interpretazione.
Me ne scuso.
Matteo, allora proprio perché non è possibile conoscere tutte quelle condizioni l’unico metodo è quello del calcolo delle probabilità che è attendibilissimo (in caso contrario scommetterebbe 1000 euro alla pari sull’uscita consecutiva di 100 volte della stessa faccia di una moneta?).
La sua proposta se ci pensa bene non porta a nulla, infatti la probabilità della formazione casuale di una proteina è data solo dal numero finale degli aminoacidi, (un po’ come avviene per le funzioni di stato), che poi partendo da un certo punto in poi ci siano un maggiore o minore numero di aminoacidi da sistemare sposta solo prima o dopo l’improbabilità massima dell’evento.
Ci sono mutazioni che non vanno considerate nel conto perché portano subito a rami morti, poi ci sono quelle neutrali (quelle vere, non P ma N, come ad esempio le sinonime) che vanno bene in qualunque disposizione, poi ci sono quelle immediatamente selezionabili positivamente e che quindi si ordinano secondo la massima fitness in tempi molto rapidi (come dimostrato in svariati esperimenti su colture di procarioti ed eucarioti). Poi ci sono le duplicazioni, traslocazioni etc che probabilmente nell’emoglobina hanno contribuito, infatti l’attuale emoglobina è costituita da quattro moduli molto simili.
Questi sono i motivi per cui il numero iniziale che ci fornisce la combinatorica viene diviso per quantità molto elevate.
La “fortuna totale” da calcolare sta solo nelle mutazioni permissive, questa categoria appena istituita, che in effetti scombina le idee ultradarwiniste.
Secondo gli ultradarwinisti, infatti, esiste sempre una catena di graduali mutamenti tutti selezionabili positivamente (la catena si può trovare a posteriori, ma a priori ci sono tantissime possibilità, tantissime strade che possono essere imboccate a seconda della contingenza ambientale di quel momento).
Se gli esperimenti avessero confermato sempre questa idea, allora la dose di fortuna sarebbe davvero bassissima, sarebbe come su 1000 giocate alla roulette scegliere un vincitore, clonarlo, fargli fare altre 1000 giocate, scegliere di nuovo un vincitore, riclonarlo, e fare così per 100 volte. Come risultato avremmo una persona che ha vinto cento volte di fila alla roulette, ma non la considereremmo particolarmente fortunata.
Io mi trovo qui perché gli esperimenti non indicano ciò, e allora la discussione è aperta. La selezione naturale, ovvero ciò che nella mia metafora è la persona che sceglie e clona, si presenta solo dopo che i giocatori sono rimasti a giocare liberamente diverse partite.
1- Ma la forma ancestrale come è nata? Perché non conteggiare la dose di fortuna necessaria per arrivare a quel punto?
2- Il passaggio dalla forma ancestrale a quella intermedia può testare solo la microevoluzione della stessa proteina (probabilisticamente molto più facile), punto sul quale però siamo tutti d’accordo.
3- Poiché partiamo da una proteina funzionante si tratterà solo di variazioni microevolutive.
4- Trattandosi di microevoluzione le popolazioni sono in realtà sempre della stessa specie.
Matteo, lei, che ne sia consapevole o no,continua a ragionare in termini finalistici,infatti se invece pensiamo alla macroevoluzione, il meccanismo da lei proposto per accorciare i tempi è lo stesso proposto da Dawkins, che però ha il difetto che ritenendo selezionabile ogni singola mutazione che servirà ad una cosa ancora da venire cade nel progetto intelligente, ogni mutazione utile tende ad una frase bersaglio.
Inoltre continua a non tenere conto della possibilità che in attesa che diventi utile, una mutazione favorevole ma non selezionabile possa essere persa per successiva mutazione, ancora una volta questo può essere escluso solo ricorrendo ad una frase bersaglio che vincola a non cambiare le posizioni ‘indovinate’.
1- Giustamente Lei mette in luce il grande limite sperimentale di non poter ricostruire il percorso evolutivo delle specie, né delle proteine, abbastanza a ritroso da arrivare alle prime “macchine chimiche autoreplicantesi” (o quello che erano). Bisogna quindi accontentarsi di ciò che si può fare attualmente. Nello studio in questione si è risaliti fino a 500 milioni di anni fa. Se la probabilità di evoluzione tra la forma ancestrale e l’attuale si rivela a conti fatti molto elevata, per induzione possiamo supporre che sia lo stesso per i restanti 7/8 del tempo trascorso dall’origine della vita, ma nulla di certo. In cambio, se si rivelasse di per sé già un evento di un’improbabilità colossale, sarebbe sufficiente per dimostrare che la tesi darwiniana è errata, non credibile.
2- Perché microevoluzione? Qui si parla di 500 milioni di anni. Tutti i vertebrati appartengono alla stessa specie?
3- Sì, si parte da una proteina funzionante, ma aspecifica, il cui profilo del sito attivo si rivela via via più adatto per legare il cortisolo ad ogni mutazione F positiva, che però deve avvenire a monte della giusta combinazione di mutazioni P
“Inoltre continua a non tenere conto della possibilità che in attesa che diventi utile, una mutazione favorevole ma non selezionabile possa essere persa per successiva mutazione”
Avevo presente questo fatto ma ho commesso un errore. E’ sbagliato prendere le X combinazioni e dire che su X popolazioni sottoposte a deriva casuale, in media ci si attende che una ottenga la combinazione X. Non bisogna considerare le X combinazioni ma gli Y percorsi evolutivi possibili nel tempo a disposizione, e quanti di questi portano alla combinazione X, e poi prendere Y/X popolazioni per avere un valore atteso (media) 1.
Questo complica i conti ma in linea di principio non dice nulla, servirebbero i numeri effettivi. Non è che nell’articolo su nature c’è scritto quante erano le possibili mutazioni P in tale sito?
1- passare in 500 MLN di anni da una forma generica ad una specializzata è indice di una piccola modifica che però appare molto improbabile, come l’esperimento dimostra, quindi per proiezione la macroevoluzione risulterebbe incompatibile con l’età stessa dell’auniverso.
2- La microevoluzione è riferita alla proteina in questione che si è specializzata, non è passata a fare tutt’altra cosa.
3- Ho risposto al punto 2.
Infine, a mio avviso, tutte le possibili precisazioni sui dettagli del caso specifico preso in esame potrebbero incidere molto poco sul calcolo delle probabilità sin qui considerato e che quindi è da considerarsi valido.
Sono sorpreso del fatto che si possa definire microevoluzione quella che ha portato all’evoluzione di tutti i recettori glucocorticordei che osserviamo nei vertebrati.
C’è molta meno distanza genetica tra la sequenza HAR1 dello scimpanzé e quella dell’uomo, ed essendo HAR1 quella che maggiormente si è diversificata, dovremmo ammettere che ogni singolo gene del genere homo e del genere pan sono frutto di sola microevoluzione.
O forse non è la distanza genetico-morfologica ma la distanza funzionale a determinare se si tratta di micro o macro? In tal caso allora dovremmo ammettere che l’evoluzione dei ribosomi è micro, in quanto dai batteri all’uomo svolgono la stessa funzione, seppure in percentuale siano mutati moltissimo, a partire da una piccola molecola basale aggiungendo varie sovrastrutture.
“Infine, a mio avviso, tutte le possibili precisazioni sui dettagli del caso specifico preso in esame potrebbero incidere molto poco sul calcolo delle probabilità sin qui considerato e che quindi è da considerarsi valido.”
Decisamente no, anche solo l’osservazione sul fatto che esistono mutazioni sinonime/neutrali toglie più di metà degli zeri al numero 10^190. Il “numero dell’emoglobina” non è stato pensato per avere un significato biologico, va bene per esprimere il fatto che l’idea di un mondo “a forza bruta”, dove si provano tutte le strade possibili finché non esce qualcosa di funzionante (già nell’antica Grecia esisteva questa concezione filosofica), non è compatibile con i tempi dell’universo. E di qui però il discorso deve andare avanti:
– Mutazioni neutre-sinonime
– Mutazioni dannose che si autoeliminano
– Mutazioni vantaggiose che si diffondono e combinano molto in fretta
sono tutti fattori a denominatore con una grande quantità di zeri, non si può escludere senza dati e calcolatore alla mano che si rientri in un numero di cifre compatibili con i limiti di spazio-tempo.
certo e’ che il nostro dottor Pennetta e’ comunque documentatissimo,io da ignorante lo sto a sentire cosi come ascolto i neodarwiniani,l’unica cosa che non capisco e’ come il mondo scientifico non si soffermi a riflettere su quello che propone questo sito probabilmente gli altri sono troppo sicuri di cio’ che sanno secondo me
Buonasera Gabriele,
riguardo a quanto scritto nel suo intervento penso che le cose stiano nel seguente modo: in biologia ricercatori non si interessano della teoria dell’evoluzione perché è una teoria che non cambia nulla nelle loro ricerche (ce lo conferma Alessandro Giuliani ricercatore di livello internazionale presso l’ISS).
Gli unici che si occupano di evoluzione sono quindi gli specialisti del campo i quali da parte loro non ci pensano proprio a mettere in discussione le proprie teorie sulle quali hanno costruito intere carriere accademiche per dichiarare di punto in bianco al mondo che si sono sbagliati (come spiega il filosofo T.S. Kuhn nella sua teoria sulle rivoluzioni scientifiche).
Tutto qui, nella sua semplice banalità.
L’inutilità scientifica del darwinismo, Enzo, l’ha anche esplicitamente dichiarata il premio Nobel Renato Dulbecco nella sua intervista del 23 aprile 2004 a La Repubblica, quando ha detto candidamente al giornalista: “Di certo si possono apprendere tutti gli elementi per la conoscenza dell’uomo e degli altri esseri viventi anche senza studiare Darwin”.
Tale dichiarazione è coincisa con un’occasione in cui Dulbecco, insieme ad altri uomini di cultura, faceva appello a non rimuovere l’insegnamento del darwinismo dalle scuole italiane! Evidentemente, nella sua semplice banalità come dici tu, la contraddizione si spiega con l’inerzia kuhniana di ogni paradigma scientifico…
A proposito di Dulbecco riprendo dall’intervista in questione:
“E’ molto triste che una delle ipotesi sulla nascita della vita sulla Terra venga semplicemente eliminata dai programmi scolastici. La si può criticare, se non si è d’ accordo: la teoria dell’ evoluzione di Darwin e le idee che da essa sono scaturite formano un sistema tutt’ altro che perfetto. Esistono dei punti oscuri, delle fasi di passaggio non facilmente decifrabili. Ma si tratta di limiti che supereremo probabilmente in futuro, man mano che amplieremo le nostre conoscenze. Non certo di contraddizioni in grado di inficiare la teoria dell’ evoluzione nel suo complesso»”
Dulbecco parla di “una delle ipotesi”, già questa sarebbe un’affermazione intollerabile per i darwinisti, poi prosegue con “La si può criticare, se non si è d’accordo”, ma per esperienza sappiamo che se la critichi vieni bollato come creazionista o criptocreazionista nemico della scienza.
Ammette infine ce esistono dei problemi che però non sono in grado di inficiare la teoria. Ovviamente questa è la sua legittima opinione.
Afferma poi:
“«Si può avere un’ istantanea della situazione attuale. Di certo si possono apprendere tutti gli elementi per la conoscenza dell’ uomo e degli altri esseri viventi anche senza studiare Darwin. Ma più problematico sarebbe spiegare quali sono le connessioni fra le varie specie.”
La frase completa ci fa capire che l’utilità del darwinismo sarebbe nel far capire le connessioni tra le specie, ma quali connessioni farebbe mai capire una teoria basata sul caso?
Le connessioni tra le specie si potevano capire già con Linneo quando era evidente che due individui dello stesso genere erano più simili di due che appartenevano a ordini diversi.
Un’affermazione infondata, ma Dulbecco qualcosa a favore del darwinismo doveva pur dirla…
Secondo me, Enzo, Dulbecco confonde – probabilmente in maniera inconscia – nel discorso della “connessione tra le specie” il darwinismo con l’evoluzione. In fondo e’ quello che fanno quasi tutti, compreso il nostro Matteo.
Questa confusione e’ creata ad arte dai darwinisti per supportare la loro speculazione non scientifica e/o per veicolare il loro naturalismo filosofico (non si chiama “Portale dell’evoluzione”, per es., il sito di Pievani?) e a questa confusione contribuiscono i cosiddetti creazionisti, che prendono la Bibbia come un libro di geologia e di biologia.
Io, che non sono nato ieri e che mi giudico di avere una certa preparazione filosofica e scientifica, ho capito la differenza tra evoluzionismo e darwinismo appena 2 anni fa, per merito tuo, di Forastiere e Giuliani!
Giorgio, quello che è giusto sottolineare è infatti che il darwinismo si tiene in piedi solo finché la gente non approfondisce, non si deve pensare che siano tutti in malafede.
Io stesso fino agli anni ’90 insegnavo le storielle darwiniane pensando che fosse scienza…
C’è un corollario importante però, Enzo, in questa equazione di Dulbecco ‘darwinismo = evoluzionismo’. Se, come egli ammette, “si può criticare, se non si è d’accordo… [perché] il sistema è tutt’altro che perfetto. Esistono dei punti oscuri, delle fasi di passaggio non facilmente decifrabili…”, Dulbecco sta mettendo in dubbio l’evoluzione tout court? ha dubbi cripto-creazionisti, per usare il linguaggio colorato dei nostri amici?!
Mah..
Al di là del fatto che se Enzo ,e noi tutti con lui,siam “kriptocreazionisti,complottisti o che altro,forse anche rettiliani, non so…Dulbecco a rigor di logica con tali affermazioni dovrebbe essere crocifisso in sala mensa..
Ora,io non so se ho perso qualche passaggio,ma mi pare che non ci sia,da parte di Dulbecco,l’uguaglianza neodarwinismo=evoluzione
Mi sembra parli di teoria di Darwin e di teoria dell’evoluzione,più o meno interscambiandole.
Ma teoria dell’evoluzione != evoluzione….
Cerco di riassumere alcuni concetti e magari fare quello che ritengo essere il punto.
Con evoluzione,conseguentemente all’etimologia della parola,si va ad intendere in senso generale:
1)Una successione di qualcosa nel tempo
2)Un processo di trasformazione, graduale e continuo, per cui una data realtà si passa da uno stato all’altro in cui il successivo in base a qualcosa si può vedere come un progresso verso un certo obiettivo(raggiungere un punto,completare un esercizio,sviluppare caratteristiche,essere più efficiente etc…)
Non è un caso che la teoria della ricapitolazione di Haeckel fosse ritenuta LA prova della teoria di Darwin.
Già ai tempi di Darwin,come già altre volte ricordato,in campo della biologia evoluzione indicava prettamente lo sviluppo dell’embrione(punto 2).
Detto ciò si possono distinguere,con riferimento alle ‘specie’:
A)il fatto dell’evoluzione
B)la congettura ragionevole dell’evoluzione
C)lE teoriE dell’evoluzione
La ‘A’ indica la successione di gruppi tassonomici di ogni tipo, nel tempo( o anche in diverse epoche storiche ),cosa ammessa anche da Cuvier con il suo “catastrofismo”,e in un qualche modo anche dalla creation science, sulla base delle considerazioni su geologia e fossili.
La ‘B’, forte di come,da Spencer in poi,è stata intesa la teoria di Darwin,o meglio da come è stato inteso il trasformismo da Lamarck in poi,indica l’evoluzione come una ‘generica’ trasformazione da una ‘specie’ A ad una ‘specie’ B.
La C…
Quì va detto che coincide di fatto col neodarwinismo.
http://dizionari.corriere.it/dizionario_italiano/E/evoluzione.shtml
Faccio un passo indietro a Dulbecco e all’insegnamento a scuola del neodarwinismo.
Si insegnano,ovviamente, anche Lamarck,Tolomeo,Rutherford..è ovvio che non si possono insegnare tutte le teorie ‘cadute’,ma un minimo di storia della scienza è d’uopo,anche perché è molto probabile che aiuti a comprendere meglio lo stato attuale delle cose senza che questo venga sbattuto lì come cascasse dalle nubi..
Ma c’è di più,infatti il neodarwinismo funziona.
Ovvero funziona con la microevoluzione,dove certo ci saran passaggi poco chiari qualcosa che potrà riessere definito,ma possiamo considerare che regga.
Uno potrebbe pensare che il chihuaua,il lupo,il coyote,il mastino siano animali a sé tutti così da sempre,idem i fringuelli delle Galapagos,ma con la teoria di Darwin si comprendono le ” connessioni tra le specie “.Quando fa comodo però, perché con Neanderthal,Sapiens etc..si fa un po’ gli “gnorri”..
http://www.enzopennetta.it/2013/10/il-cranio-di-dmanisi-nonostante-le-smentite-e-un-importante-punto-a-sfavore-della-teoria-neodarwiniana/
Quindi la ‘C’ essendo una teoria che dovrebbe spiegare l’evoluzione, il fatto,coincide oggi col neodarwinismo,che da una versione della B vorrebbe spiegare il fatto,ma se “spiega” la microevoluzione non è in grado di affrontare abiogenesi e macroevoluzione.
Siccome però il neodarwinismo non fa questa ammissione di colpa e non si ridimensiona,anche perché per come è impostata la concezione dell’evoluzione non “può” fare questo aggiustamento.
Come banalmente,sinteticamente e un po’ insospettabilmente si vede scritto anche in un sito universitario della Bologna che non era uscita benissimo dalla recensione di Max:
http://www.sma.unibo.it/erbario/c21.html
“Molti autori sostengono che la macroevoluzione non è altro che lo sviluppo nel tempo della microevoluzione. Questa opinione è però confutata da altri.La teoria secondo la quale la macroevoluzione altro non è che la microevoluzione estesa nel tempo, e quindi i meccanismi che la spiegano sono i medesimi, viene chiamata “neo-darwinismo”, od anche “teoria sintetica dell’evoluzione”
La ‘B’ e la ‘A’ non sono la ‘C’ e molti in verità confondono tutte come se fossero tutte la ‘C’.
Non ci sono altre C oggi,quella che c’è non funziona.Ma c’è.
P.S.
Su evoluzione,fin da subito feci notare che ,quanto a definizioni,lì si che esiste davvero l’uguaglianza evoluzione=neodarwinismo:
http://www.enzopennetta.it/2011/10/avvertimenti_ideologia/#comment-734
ma anche:
http://www.grandidizionari.it/dizionario-italiano/parola/e/evoluzione.aspx?query=evoluzione
e
http://www.garzantilinguistica.it/ricerca/?q=evoluzione
Ma anche,e ne abbiamo visti casi proprio in questi giorni,c’è chi pensa che tante just so stories,tante ipotesi,tante congetture,tante ricostruzioni,tanti miti,tutti subordinati ed interamenti dipendenti al paradigma neodarwiniano siano un fatto e spesso e volentieri li usano addirittura per dimostrare lo stesso paradigma neodarwiniano..
Una esposizione dell’argomento completa e chiarificatrice Leonetto.
A me non resta che sintetizzare il fatto che Dulbecco, pur sapendo bene qual è la differenza tra evoluzion e darwinismo li distingua o li impieghi come sinonimi secondo le convenienze della situazione.
Usando le parole di Orwell, sono certo che avrebbe detto che si tratta di un caso di “bipensiero”.
@ Law
Alla Sua domanda penso che i darwinisti darebbero 2 risposte:
Darwinista cristiano: l’origine della vita e l’evoluzione delle specie sono due fenomeni così complessi che, pur stando nelle leggi della fisica e della chimica, sono avvenuti (per volontà di Dio) sotto la congiunzione di così tanti eventi particolari irreplicabili (tipo moti della pallina alla roulette) che non potremo mai ricostruire;
Darwinista ateo: non esistono leggi perché non esiste un Legislatore. Tutto è frutto del Caso. Anche le cosiddette “leggi” di questo universo.
Naturalmente sono entrambe due assunzioni filosofiche, la prima teista rinunciataria, la seconda naturalista rinunciataria.
E allora professore, parafrasando una sua personale domanda, mi chiedo: cosa significa fare scienza per chi…
A) pensa che non si possano conoscere, nemmeno parzialmente ed aleatoriamente, alcune leggi naturali (che eppure per lui esistono)?
B) crede che le leggi siano per caso ma necessariamente quelle dello specifico universo in cui si trova?
In questa visione (B) in particolare mi viene da pensare che si possa sempre pensare a un universo parallelo dove l'”inspiegabile” -la falsificazione ad esempio della relatività di Newton/Galileo- non è avvenuto, perché in quell’universo la luce ad esempio rispetta quel principio e non c’è stato bisogno di un Einstein che riformulasse tutto.
Applicando questa operazione (metafisica) ogni volta che in questo universo si falsifica qualche teoria scientifica non equivale forse a dire “è così perché è così”?
Dove lo stupore, dove la meraviglia di penetrare nel mistero della nostra esistenza (che andando avanti si rivela sempre più grande) e del mondo che ci circonda?
Dove la forza propulsiva per far progredire la conoscenza scientifica?
Dove, infine, la nostra sensibilità umana?