« Noi andremo al rogo, moriremo bruciati, ma non rinunceremo mai alle nostre convinzioni»
La storia di un martire della scienza testimonia come questa sia soggetta alle ideologie.
«Noi andremo al rogo, moriremo bruciati, ma non rinunceremo mai alle nostre convinzioni». Profetiche parole quelle pronunciate nel 1939 dal più grande genetista russo, Nikolaj Ivanovic Vavilov (1887-1943), botanico che ebbe la sorte di entrare in contrasto col più influente Trifin Denisovic Lysenko (1898-1976). Quest’ultimo, che Vavilov aveva inizialmente appoggiato, faceva coincidere gli obbiettivi della scienza con quelli generali della società, e solo ciò che serviva alla rivoluzione era degno di ogni sforzo scientifico. Con queste parole Italo Calvino, sull’Unità del 31 dicembre 1948, elogiava la figura e l’opera di Lysenko e descriveva il dibattito in corso all’epoca, contrapponendo la scienza proletaria a quella borghese.
Le teorie di Lysenko promettevano risultati rapidi contrapposti a quelli di Vavilov che seguiva le teorie di Mendel considerate idealiste e che seguiva rigorosi protocolli con accurati test. Ma proprio le teorie “idealiste” di Vavilov si dimostrarono essere le più praticabili a fronte di quelle di Lysenko, fantasiose e disastrose per l’agricoltura sovietica.
«E’ almeno strano il rifiutare Mendel dopo quarant’anni di prove – scriveva Vavilov-. È particolarmente strano per me da quando i miei lavori mi hanno obbligato ad essere ben consapevole della storia della genetica. Ho avuto l’opportunità di studiare a lungo in Inghilterra dove ho osservato le lotte che hanno accompagnato l’affermarsi delle teorie di Mendel».
Ma gli scienziati che non si piegavano alla volontà del partito e che non utilizzavano la scienza a fini ideologici, venivano allontanati o arrestati e condannati a morte. C’era sempre qualcuno pronto a rimpiazzarli piegando le teorie scientifiche alle premesse ideologiche marxiste.
Vavilov fu accusato assieme ad altri, di seguire le idee della genetica classica mendeliana in contrasto con la dottrina Stalin-Lisenko e arrestato il 6 agosto 1940 con l’accusa di spionaggio. Dopo estenuanti interrogatori si dichiarò colpevole di tutto meno che di spionaggio. La condanna a morte fu attesa, secondo quanto racconta A. Solzenicyn nel primo volume di Arcipelago Gulag (pag. 448), in una cella sotterranea priva di finestre e venne commutata, anche grazie a pressioni internazionali, in venti anni di carcere. Vavilov, ormai incapace di camminare, di li a poco morì di fame nel carcere di Saratov. Fu sepolto in una fossa comune e il suo nome rimosso dai Membri dell’Accademia Sovietica delle Scienze nel 1945.
Assieme a lui altri scienziati respingevano le folli tesi di Lysenko e subirono trattamenti simili: Solomon Levit (1894-1943), direttore dell’Istituto Medicogenetico, Nikolai Tulajkov(1873-1937), direttore dell’Istituto dei cereali, Georgiј Dmitrievič Karpečenko (1899-1941), Nikolaj Vladimirovič Timofeev-Resovskij (1900-1981). Le teorie scientifiche piegate all’ideologia portarono a disastri specialmente in campo agricolo e furono causa e concausa di carestie e di milioni di morti ormai ben documentati.
Vavilov può essere considerato a tutti gli effetti il primo martire della genetica (James F. Crowe, N.I. Vavilov, Martyr of genetic truth, Genetics 134: 1-4, Maggio 1993), il suo nome fu riabilitato grazie agli sforzi della moglie, E. I. Barulina. Assieme al figlio Yury soffrì le privazioni per essere la moglie di un “nemico pubblico”, ma, dopo la morte di Stalin, si adoperò anche per la pubblicazione di alcune sue opere fondamentali. Barulina morì a Mosca nel 1957 e il loro figlio, laureato in Fisica e Matematica vive a Mosca.
Andrea Bartelloni
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