Ospite di “Un’ora d’autore” su Radio 5.9 il professor Enzo Pennetta autore, assieme all’economista Ettore Gotti Tedeschi, del libro “Contro il politicamente corretto. La deriva della civiltà occidentale” edito da Giubilei e Regnani.
Il politicamente corretto è un metodo per omologare l’opinione pubblica, è un modo di pensare che separa i “buoni” dai “cattivi” svuotando queste parole di significato e rivestendole di accettazione sociale o riprovazione, e se vuoi sentirti incluso devi scegliere di stare tra i buoni.
I campi di applicazione sono tutti quelli che riguardano la vita sociale e le scelte politiche della nostra epoca, ne abbiamo parlato per una mezz’ora su Radio 5.9, qui di seguito il link al podcast.
5 commenti
Buongiorno Professore
volevo chiederle se “l’omologazione dell’opinione pubblica” ha il fine di dirottarci verso il “pensiero unico obbligatorio”. Se ciò fosse il vero fine allora, una volta decisi chi sono i buoni e i cattivi, lei pensa che arriveremo a riscrivere il “reato di opinione”? Mi viene in mente, ad esempio, quando qualche anno fa fu boccia la legge sull’omofobia. Nessun giornale scrisse che la legge prevedeva in maniera subdola il “reato di opinione” e questo fu uno dei principali motivi per cui non passò in parlamento. Ma mi domando ancora: se un reato del genere inizia ad allargarsi ad ampio spettro non rischia di essere anticostituzionale? La libertà di opinione sancita dalla nostra costituzione non è forse a rischio?
Cito l’articolo contestualmente al mio intervento:
https://www.tempi.it/leggi-contro-omofobia-creano-un-nuovo-reato-di-opinione-e-minano-la-democrazia/
Ci siamo già al reato di opinione solo che orwellianamente si chiama hate speech.
Quando le sardine chiedono di equiparare la violenza verbale a quella fisica mostrano semplicemente come si potrà arrivare a sanzionare le opinioni.
Il linguaggio è manipolatorio in modo intrinseco.
Scopo del parlare e dello scrivere (per limitarci alla verbalizzazione) è trasferire informazioni da una mente all’altra. “Informare” vuol dire “dare forma”, ergo, quale che siano il contenuto dell’informazione e il suo scopo, la mente del ricevente non può non subire una mutazione. Sulla natura specifica delle varie modalità di informazione, qui non posso neppure accennare; certamente, proprio per le generalissime, la gamma va dall’informazione tossica, a quella benefica e persino salvifica, passando attraverso tutte le fasi intermedie. Sto scrivendo, gentile JONIOBLU, affinché il contenuto del presente post in-formi la sua mente, in maniera tale da agevolare la sua comprensione dei processi di comunicazione e della natura del linguaggio. E, quindi, per modificare il suo assetto cognitivo; ma “modificare + assetto cognitivo”, è sinonimo di manipolazione.
Questo è il primo punto.
Di per sé, in tutto ciò non v’è nulla di negativo, anzi, giacché, in condizioni normali, la trasmissione avviene nei due sensi. Io cambio te e tu cambi me; cosa che fa crescere sapere e cultura.
La capacità ed il talento nell’uso del linguaggio, tuttavia, sommati alla disponibilità di mezzi per la trasmissione delle informazioni, possono trasformarsi (e si trasformano sempre) in uno strumento per imprigionare le altrui menti. Da opportunità di crescita o di gioco creativo, finiscono per diventare strumenti di guerra. In primo luogo alla verità, e quindi alla libertà, e quindi alla dignità.
E questo è il secondo punto.
Tornado al tema dell’articolo del prof. Pennetta, il “politicamente corretto” nasce nelle officine-pensatoio dei circoli radicali americani, saturi, da una parte, dell’eredità dell’iper moralismo pseudo biblico, puritano e bigotto, patologicamente ossessionato dalle questioni di etichetta, e suscettibile alle minime deviazioni dalla forma. Dall’altra, vi confluisce, paradosso solo apparente, tutta la violenza ideologica del marxismo, di cui le élites universitarie americane sono succubi. Ecco, questa è la miscela tossica. Scopo preliminare di entrambe le componenti, è, attraverso un uso intimidatorio della didattica, creare un assetto mentale che, una volta consolidato, rimane inespugnabile. Scopo finale è formare un esercito di soldati-burattini, pronti a difendere le posizioni proprie e ad offendere quelle altrui, con la medesima incrollabile fede e determinazione che fu dei martiri.
Parlare con questa gente è una perdita di tempo, cercare il dialogo nella pretesa di un uso reciproco, seppur minimale, della razionalità, vuol dire non avere capito.
Conclusione. Una volta che questa peste mentale si è impiantata nelle menti di una massa critica di persone, solo uno sconvolgimento sociale di genere catastrofico può liberare la società da questa malattia.
Non sono buone notizie.
Mi sono segnato un tu passaggio Francescom: “Scopo finale è formare un esercito di soldati-burattini, pronti a difendere le posizioni proprie e ad offendere quelle altrui, con la medesima incrollabile fede e determinazione che fu dei martiri..
La conclusione è drammaticamente vera ma spero sempre nell’imprevedibilità dei sistemi complessi.
Scrivi:
“La conclusione è drammaticamente vera ma spero sempre nell’imprevedibilità dei sistemi complessi”.
Verissimo, la tua speranza è fondata, anche se non credo si possano azzardare ipotesi in termini temporali. Da scienziato quale sei, correttamente, parli di sistemi complessi, da filosofo metafisico, come se non mi venisse da ridere mi definirei, parlo di sistemi aperti. La differenza sta in questo: un sistema complesso (in ambito scientifico) può evere un livello di complessità tale da renderne imprevedibile il comportamento; tuttavia, per quanto complesso, e forse anche non definibile in termini di ratio, rimane un sistema finito. Un sistema aperto, in senso metafisico, è in realtà una specie di ossimoro, essendo la caratteristica dei sistemi in quanto tali (anche iper complessi) la chiusura dovuta alla finitezza. E dunque, si dovrebbe piuttosto usare il termine più generale “processo” che, essendo aperto a influenze extra umane, è virtualmente infinito oltre che indefinibile (ossia, non suscettibile di definizione). Per farla breve e dirla come fossimo al bar, se non ci salva Cristo in persona, di questo sprofondare non si vede il fondo.