Verso una nuova psichiatria basata sulla neuroscienza

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Ricevo e volentieri pubblico un articolo dello psichiatra Paolo Cioni nel quale si affronta la questione dell’oggettività della medicina e dei possibili condizionamenti esterni.

Il caso della psichiatria.

Verso una nuova psichiatria basata sulla neuroscienza

di Paolo Cioni

La psichiatria, tra le varie discipline mediche, basa ancora la diagnosi sull’anamnesi raccolta dal paziente, ed eventualmente dai familiari, sui sintomi riferiti nel colloquio e con l’ausilio di eventuali test psicodiagnostici. La psicopatologia (branca della psichiatria che si occupa dei criteri diagnostici e classificativi) rimane ad oggi la base che impronta lagire dello specialista, che attinge le proprie informazioni secondo tre livelli: 1) osservazione diretta del comportamento del paziente; 2) partecipazione empatica ai vissuti del paziente, siano o meno comunicati sul piano verbale; 3) introspezione dei propri vissuti (E. Poli, P. Cioni, Psicopatologia Generale in: G.B. Cassano, A. Tundo (a cura di): Psicopatologia e Clinica psichiatrica, UTET, Torino, 2007).

Il DSM-5 (2013) dell’American Psychiatric Association (APA) è l’attuale manuale classificativo di riferimento internazionale e nasce come manuale nosografico in cui i disturbi mentali vengono descritti come quadri sintomatologici convenzionali raggruppati su base statistica, per consenso riguardo a gruppi di sintomi clinici tra specialisti del settore. Nella figura da me realizzata appaiono riportate le “etichette diagnostiche” dalla prima edizione del 1952 (66) a quella attuale in cui sono diventate oltre 450 (“Verso l’infinito ed oltre! diceva Buzz Lightyear in Toy Story). Dobbiamo chiederci se questo aumento esponenziale nel tempo delle etichette (unito alla soppressione di alcune) è giustificato da recenti scoperte nel campo scientifico o comunque da esigenze in campo terapeutico e la risposta più appropriata è: NO! Le commissioni di psichiatri che rivedono il trattato sono pesantemente finanziate dalle multinazionali del farmaco e da lobbies varie con forte potere politico e la logica sottostante è trovare un modo per assegnare a quanti più possibile una diagnosi da essere trattata con psicofarmaci.

Uno dei principali dibattiti in psicopatologia, riguarda la natura dei costrutti psicopatologici e se questi debbano essere descritti secondo una prospettiva categoriale o dimensionale. Il modello categoriale suddivide le malattie mentali, appunto, in etichette nosografiche rappresentanti categorie diagnostiche onnicomprensive: es. schizofrenia, depressione, disturbo bipolare, etc.. Lapproccio dimensionale cerca invece di scomporre gli stati psicopatologici in singole funzioni che possono manifestarsi in gradienti di intensità diversa, dalla normalità alla patologia. Le malattie sono cosi distribuite secondo variazioni quantitative relative a varie funzioni mentali con le loro alterazioni fisiopatologiche elementari: ansia, umore, impulsività, memoria, attenzione, etc, fino a definire profili individuali. Le varie edizioni del DSM si sono strutturate sullordinamento categoriale e la classificazione è diventata una lista di entità diagnostiche in cui ogni disturbo è nettamente separato luno dallaltro. Tuttavia a livello clinico capita spesso di trovarsi di fronte a disturbi con caratteristiche sintomatologiche variegate e complesse difficilmente inquadrabili in uno schema predefinito e che portano di fatto il medico a porre diagnosi multiple (disturbi in comorbidità) con sovrapposizioni diagnostiche. Questi ed altri aspetti problematici hanno portato di recente alla diffusione e valorizzazione della descrizione psicopatologica secondo il modello dimensionale di fatto condizionando anche la ricerca in campo psicobiologico e psicofarmacologico. Per anni specifiche classi di farmaci sono state utilizzate su specifiche categorie ma gli studi più recenti hanno dimostrato come diversi parametri neurochimici, neurofisiologici e neuromorfologici possono essere comunemente sovrapposti in disturbi mentali diversamente classificati.

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