Convergenze scientifiche. Atto III
di Giorgio Masiero
Il 29 giugno 3123 a.C. un asteroide del diametro di 1.300 metri impattò la località di Köfels in Austria con un’energia equivalente ad un milione di bombe di Hiroshima…
Nel 1849 l’archeologo Henry Layard trovò a Mosul in Iraq, tra le rovine del Palazzo dei re assiri, una tavoletta circolare in caratteri cuneiformi risalente al VII secolo a.C. La tavoletta sta ora al British Museum di Londra, dov’è catalogata con la sigla K8538. È divisa in 8 settori e contiene testo e disegni di costellazioni e di altri corpi celesti, il cui significato si è cercato per 150 anni d’interpretare. Nel 2007 finalmente, Alan Bond, direttore della Reaction Engines Ltd al Culham Science Centre di Abingdon e Mark Hempsell, docente d’ingegneria astronautica all’università di Bristol, col supporto di esperti in varie scienze umane di università e musei europei e con l’impiego determinante di software non commerciale per la simulazione di traiettorie spaziali, hanno decrittato la tavoletta. I risultati del loro lavoro sono stati pubblicati l’anno dopo nella monografia “A Sumerian Observation of the Köfels’ Impact Event”. Il lavoro di Bond e Hempsell costituisce un esempio delle vette cui può giungere la ragione umana quando superi le barriere della specializzazione per integrare metodi e linguaggi di discipline diverse, tecniche ed umanistiche.
Oltre alle due costellazioni, nei settori dei Gemelli e del Cancro la tavoletta indica in posizioni precise i pianeti e contiene disegni di nuvole: è quindi la registrazione d’una notte specifica da un sito specifico, non una mappa generale dell’universo. È una vista sinottica a 360° del cielo notturno fino ad un’altezza di 50°, presa alla latitudine di 31-33° poco prima dell’alba.
In base alle posizioni dei pianeti e ad altri elementi, il momento di osservazione potrebbe essere fissato all’alba d’uno dei primi giorni del gennaio 650 a.C. Dalle posizioni dell’equatore celeste e della stella Polare però, la cui combinazione è compatibile solo con la fine del IV millennio, Bond e Hempsell ricavano che la tavoletta, anche se prodotta nel periodo assiro (VII-VIII sec. a.C.), sia copia d’un lavoro sumero antecedente. L’uso del cuneiforme più antico corrobora l’ipotesi. Il momento dell’osservazione è allora ricalcolato tra gli ultimi di giugno e i primi di luglio nel calendario giuliano, l’unica finestra in cui sono visibili contemporaneamente tutte le costellazioni segnate. Le posizioni dei pianeti poi, fissano la data più precisamente alle 1:23 UT del 29 giugno 3123 a.C. ed il sito d’osservazione in una di tre città sumere: Uruk, Nippur o Kish.
Passando all’informazione contenuta nel settore dei Pesci e in quello successivo (denominato da Bond e Hempsell “Path”, traiettoria), l’unica interpretazione possibile è il passaggio d’un “Near-Earth Object” – un asteroide o una cometa del sistema solare, la cui orbita può intersecare pericolosamente quella della Terra –. La descrizione delle proporzioni dell’oggetto volante, ovviamente osservato ad occhio nudo, c’informa indirettamente d’un corpo di grandi dimensioni. Il testo aggiunge che “sfreccia via vigorosamente”: ciò non si concilia con il moto apparente d’una cometa – che è lento, essendo richiesti di norma giorni per registrare ad occhio nudo spostamenti percettibili – e resta così solo la possibilità d’un asteroide di grandi dimensioni, in moto ad alta velocità. Specificatamente, un asteroide della famiglia Aten (secondo la classificazione NASA), con raggio orbitale leggermente inferiore alla distanza media Terra-Sole e moventesi per lo più all’interno dell’orbita terrestre, visto dai sumeri nell’ultima fase di precipitazione sulla Terra.
A sinistra, stilizzazione della tavoletta K8538. A destra, l’informazione decrittata da Bond e Hempsell, con riferimento a traiettoria dell’asteroide, punto d’impatto e traiettoria della scia
5 secondi prima di passare sopra l’equatore celeste dell’osservatorio sumero, l’asteroide entrò nel cono d’ombra della Terra e fu perso di vista. Esso continuò la sua corsa vertiginosa per altri 30 secondi verso i Balcani, poi sopra la Grecia entrò nell’atmosfera terrestre e ridivenne visibile, dapprima per il fronte d’urto ionizzato e poi per la massiccia palla di fuoco in cui si era trasformato, di un’intensità luminosa pari a quella del Sole. In un minuto sorvolò la costa dalmata, l’Istria e le Venezie.
L’impatto del bolide di 1.300 metri di diametro avvenne sulle Alpi Retiche alle 1:26 e rilasciò un’energia equivalente a 1,4 x 10^10 tonnellate di tritolo, pari a quella d’un milione di bombe di Hiroshima. Seguì immediatamente un enorme fungo di fumo, gas e detriti, la cui scia salì con un angolo di 55° in direzione Sud Est fino a 900 km di altezza, prima di ricadere sul Sinai e l’Egitto settentrionale 20 minuti dopo.
In quale punto preciso delle Alpi avvenne l’impatto? I dati contenuti nella tavoletta hanno permesso di calcolare la traiettoria dell’asteroide con un’incertezza inferiore ad 1°, tale da eliminare, in congiunzione alle evidenze geologiche attuali, ogni candidato diverso dalla località di Köfels, in Austria. Per il basso angolo d’impatto (di appena 6°), la palla di fuoco decapitò prima di toccare il suolo la cima del Gamskogel, acquisendo una dimensione di 5 km di diametro. L’onda di pressione polverizzò le rocce sottostanti, tanto che l’impatto finale a terra fu quello d’una massa fluida incandescente che, invece di scavare un cratere, generò la gigantesca frana (tecnicamente, “Sturzstrom”) di Köfels e la depressione in cui si trova l’abitato odierno.
L’evento, immediatamente prima e per lungo tempo anche dopo l’impatto, dovette provocare morte e distruzione in buona parte del mondo gravitante intorno al Mediterraneo, con una mortalità del 100% degli animali di ogni specie per diverse aree di migliaia di kmq sotto la scia, sia nelle Alpi che nel Medio Oriente. Alla distruzione immediata seguirono le conseguenze di medio e lungo termine d’un brusco cambiamento climatico. L’evento dovette avere un’influenza sociale, culturale e religiosa su tutti coloro che vi assistettero sopravvivendogli. È perciò coerente con la teoria di Bond e Hempsell che se ne trovi traccia tra i miti e gli artefatti antichi, sia europei che asiatici. Nel viaggio di andata, volando sopra l’Adriatico, l’asteroide potrebbe aver ispirato le immagini della ceramica neolitica di Hvar, in Croazia, raffiguranti in apparenza la traiettoria spezzata ad angolo acuto (la caduta dell’asteroide e la risalita della scia) d’un corpo luminoso accanto alla Luna. Alcune incisioni rupestri dei Camuni, che stanziavano nelle vicinanze dell’area d’impatto, possono essere derivate dalla stessa visione. Anche la distruzione delle città di Sodoma e Gomorra, narrata nella Bibbia, richiama la scia di ritorno: “Il Signore fece piovere dal cielo sopra Sodoma e sopra Gomorra zolfo e fuoco … distrusse queste città e tutta la valle con tutti gli abitanti delle città e la vegetazione del suolo … Abramo … contemplò dall’alto Sodoma e Gomorra e tutta la distesa della valle e vide che un fumo saliva dalla terra, come il fumo di una fornace” (Genesi 19, 24-28).
A sinistra, traiettoria dell’asteroide, punto d’impatto e area (in tratteggio) di caduta della scia. A destra in alto, ingrandimento della zona d’impatto; in basso, il Gamskogel visto da Köfels, con disegno del centro della traiettoria e grandezza dell’asteroide al momento di decapitazione della cima del monte
Da alcuni indizi nell’ottante Nord-Ovest-Ovest della tavoletta (“Plume”, scia), in gran parte cancellato, sembrerebbe che i sumeri abbiano registrato anche delle osservazioni post impatto, ma non ne abbiamo certezza…
Abbiamo invece molte registrazioni pre e post impatto d’un altro Near-Earth Object, anzi un Near-Jupiter Object: la cometa Shoemaker-Levy 9, che impattò su Giove nel 1994 d.C. Questa cometa doveva aver orbitato regolarmente intorno al Sole fino a due dozzine di anni prima, poi la sua orbita entrò in risonanza con quella di Giove e ne fu agganciata. La scoperta della cometa avvenne solo nel marzo 1993 dal sito del monte Palomar, quando ormai, dopo una decina di rivoluzioni intorno a Giove, la gravitazione l’aveva allungata e spezzata in una collana di frammenti, che si sarebbero schiantati sul pianeta gigante tra il 16 e il 22 luglio ’94, l’uno dopo l’altro. Gli impatti principali, ben 22, previsti con largo anticipo, poterono – questi sì – essere accuratamente registrati dai moderni osservatòri terrestri e spaziali, compresi il telescopio Hubble e la sonda Galileo che era serendipicamente in rotta proprio verso Giove con un rendez-vous previsto per il 1995.
Il maggiore dei frammenti di Shoemaker-Levy 9 formò su Giove una macchia scura grande quasi come la Terra, 12.000 km, e sprigionò un’energia equivalente a 6 × 10^12 tonnellate di tritolo, ovvero 400 milioni di bombe di Hiroshima o un migliaio di volte l’energia dell’intero arsenale nucleare mondiale. Come l’Aten di 5.000 anni prima aveva ispirato l’arte e la religione, così Schoemaker-Levy 9 ispirò film quali “Deep Impact” e “Armageddon”, o la canzone “Jupiter Crash” dei The Cure.
1: la cometa Schoemaker-Levy 9 dopo la cattura di Giove viene frammentata in una collana di perle; 2: ingrandimento dei frammenti, da cui si vede la polverizzazione della cometa per effetto della gravitazione gioviana; 3: fotomontaggio della successione di impatti dei frammenti della cometa su Giove; 4: i crateri su Giove prodotti dagli impatti (Foto 1, 2 e 4 del telescopio Hubble)
La tavoletta K8538 risulta insomma la preziosa testimone d’un rilevante evento accaduto sul finire del IV millennio a.C. Un team di astronomi sumeri, eseguendo un’osservazione di routine da un sito dedicato, registra un sistema di nuvole provenienti da Sud Est e le posizioni di costellazioni, pianeti, Sole e Luna; improvvisamente un oggetto luminoso appare da dietro le nuvole, “sfrecciante” verso Nord Ovest ad una velocità superiore a quella di qualsiasi corpo da essi mai osservato in cielo; lo vedono per circa 4 minuti e mezzo, durante i quali ne annotano con accuratezza traiettoria e aspetto. Ciò consente oggi, a 5.000 anni di distanza, di ricostruire le caratteristiche dell’astro e la sua orbita, fino all’impatto finale sulla Terra in un punto preciso.
Ad una quarantina di km da Köfels c’è il Tisenjoch, quel passo tra le valli dell’Adige e dell’Inn dove nel settembre del 1991 fu trovata la mummia di Ötzi. Poiché l’analisi al carbonio 14 ne fa risalire l’età ad un’epoca (3200 circa a.C.) compatibile con la data (3123 a.C.) dell’impatto dell’Aten a Köfels, è possibile che la causa della morte violenta dell’Uomo del Ghiaccio sia stata proprio l’asteroide, prima con la sua onda d’urto che non gli avrebbe lasciato scampo, e subito dopo con l’onda di calore che ne avrebbe disseccato completamente le membra. L’esposizione al calore, seguita dall’onda opposta e repentina di gelo tipica di un’ondata termica anomala, può spiegare la perfetta conservazione delle spoglie per 52 secoli.
È solo una possibilità, le ragioni della morte di Ötzi possono essere state tutt’altre. Anche la frana di Köfels può essere stata innescata da cause diverse da quelle d’un evento cosmico, quali piogge persistenti, terremoti o azioni vulcaniche. Ci sono radio-datazioni che fanno risalire l’età della frana molto più addietro del 3123, addirittura all’undicesimo millennio a.C., ma esse non falsificano l’ipotesi dell’Aten perché sono in qualche modo circolari: assumendo cause terrestri quasi normali della frana, escludono a priori l’impatto d’una massa di plasma a condizioni fisiche estreme, per le quali ogni analisi al carbonio 14 eseguita finora risulta inaffidabile.
La stessa interpretazione principale della tavoletta K8538, secondo cui un Near-Earth Object fu osservato dai sumeri sul finire del IV millennio, potrebbe essere sbagliata: in fondo, la teoria si fonda per un terzo sui dati trascritti dai sumeri, per un terzo sulle combinazioni ipotizzate tra quei dati e le evidenze astronomiche e geofisiche attuali e per un terzo su simulazioni software. In particolare, dirimente per la teoria di Bond e Hempsell è l’assunzione che la tavoletta assira non sia la registrazione originale d’una notte di Ninive, ma la copia d’una nota sumera (di 2.500 anni prima).
A mio parere però, questi dubbi nulla tolgono alla scientificità del loro lavoro. Anzi, incertezze ed errori – insiti in ogni attività scientifica – sono in questo caso, paradossalmente, la misura della grandiosità dell’impresa interdisciplinare guidata da Bond e Hempsell, che lega in uno stesso filo 5.000 anni di storia umana, dal sumero LUGALANSHEIGIBAR (“il grande uomo che osserva i cieli”) del 3123 a.C. a noi uomini di oggi che aneliamo di sapere.
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5 commenti
Molto interessante e molto affascinante. Certamente un evento catastrofico del genere, impatto di un meteorite di 1300 mt. di diametro, non può certo essere passato inosservato in termine di tracce di tipo geologico, paleoclimatico e biologico. Purtroppo in tutte le mie letture sul clima, non ho mai trovato un chiaro riferimento a questo tipo di evento. Pertanto le chiedo prof.Masiero, nella sua ricerca, si è imbattuto anche in altri lavori scientifici che parlano di questo fenomeno?
Grazie, dott. Vomiero.
È possibile che un evento di questa grandezza abbia causato un cambiamento climatico osservabile, e c’è evidenza geologica di un improvviso e importante cambiamento climatico verso la fine del terzo millennio, come pure di un importante cambio culturale da evidenze archeologiche. Questo cambiamento è largamente discusso da H.N. Dalfes et al. in “Third Millennium BC Abrupt Climate Change and Old World Order Collapse” (1997).
C’è evidenza anche di un brusco e importante cambiamento climatico intorno al 3100 a.C., chiamato oscillazione di Piora, anche se la discussione di questo periodo è meno estesa. Di nuovo ci sono i dati geologici, per es. i cambi di anelli negli alberi (M. Bailie, “Exodus to Arthur”, 1999), ed evidenze archeologiche come la sparizione della cultura calcolitica nel Levante, l’unificazione dell’Egitto e la fine del periodo Uruk presso i Sumeri.
L’Aten potrebbe essere insomma una ragione anche dei collassi dell’età del bronzo.
Grazie, Professore, meglio di un film.
Non finisce di stupirmi l’ignoranza sul nostro passato; di tanto in tanto, a seguito di sforzi giganteschi, saltano fuori storie come questa, ma sono talmente scollegate dal nostro sradicato presente, da apparire irreali. Sarei davvero curioso di saperne di più; ad esempio, si conosce qualcosa – oltre ai dati che ha riportato – della portata e dell’estensione della devastazione? Considerata la località delle culture passate, deve essere stata, letteramente, la FINE DEL MONDO.
P.s.
Certo, Professore, che vedere citati “The Cure” in un suo articolo, dà qualcosa di surreale. 😉
Grazie a Lei. Come per tutti gli eventi irriproducibili, dove la scienza naturale è solo indiziaria, l’unica prova del loro accadimento starebbe in una testimonianza storica affidabile – che in questo caso non abbiamo. Certo, se l’evento è veramente accaduto, c’è tutto un mosaico di tessere riguardanti le scienze della terra e l’archeologia – come ho descritto nell’articolo e nella risposta a Vomiero – che acquista significato.
Affascinante, un vero piacere leggere questa triologia.