L’Ultimo uomo: una specie culturalmente modificata

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Su “OFF” l’Ultimo uomo, un libro contro la narrazione politicamente corretta.

Di Fabrizio Fratus su OFF del 24/04/2018

La narrazione contemporanea del confronto politico e culturale in atto negli ultimi anni tende inquadrarlo nella cornice di una contrapposizione tra un populismo arretrato e frutto di ignoranza da una parte, e dall’altra di un progresso magnifico e ineluttabile fatto proprio dalle menti più illuminate. Leggendo però il tutto con altri termini, che per questo verranno classificati come politicamente scorretti, si può invece parlare di un confronto tra una concezione che vede la rivendicazione del primato della persona e delle identità nazionali da una parte e quella degli interessi economici impersonali di realtà oligarchiche e apolidi dall’altra.

In ultima analisi si può inquadrare la situazione attuale nell’ambito di uno scontro antropologico, cioè in quella di una lotta per l’affermazione di uno dei due modi differenti di concepire l’essere umano. È infatti sul prevalere di un determinato tipo umano che si basano le possibilità di affermazione di una società con al centro l’economia e quindi governata e governabile con le sole leggi del mercato o di quella con al centro la persona che governa il mercato come uno strumento al proprio servizio. La transizione da un mondo tradizionale e antropocentrico, oggi guardato con fastidio dal pensiero politicamente corretto, ad uno ritenuto moderno, oggettivo e ineluttabile che orbita intorno al mercato, è avvenuta a partire dall’Ottocento quando il capitalismo anglosassone ha iniziato ad imporre i propri modelli di riferimento plasmati sulla società inglese dell’epoca, strutturata a sua volta sul primato delle aristocrazie finanziarie nate e consolidate con l’affermarsi del capitalismo e del liberismo.

L’ultimo uomo (L’ultimo uomo. Malthus, Darwin, Huxley e l’invenzione dell’antropologia capitalista, Circolo Proudhon Edizioni, 2017, 117 pagine, n.d.r.) è il nuovo interessantissimo libro di Enzo Pennetta, già autore di libri interessanti sul mito degli extraterrestri e sulle politiche darwiniste dell’ONU; il testo prende il titolo da una frase di Nietzsche che così denominava il tipo umano che ha abbandonato il suo stato originale per dirigersi verso la condizione ritenuta desiderabile dal filosofo tedesco di “oltre uomo”, ma in questo passaggio l’uomo è contemporaneamente peggiore di quello che era in partenza e anche di quello vorrebbe essere una volta giunto al punto di arrivo, esso si trova come sospeso su una “corda tesa sull’abisso”, espressione dello stesso Nietzsche, che segna il trovarsi lungo il percorso che lo porterà ad un cambiamento finale irreversibile quanto profondo. È dunque il sogno/incubo di Nietzsche il cammino lungo il quale si è incamminato l’Uomo a partire dal XIX secolo, una trasformazione in cui il primo passo venne compiuto con la ridefinizione di essere umano come animale tra gli animali veicolata con quella narrazione di straordinaria potenza che fu la spiegazione darwiniana della natura e esposta nel libro L’origine delle specie. La cosa non sfuggì aMarx ed Engels, che nelle loro lettere riconobbero l’operazione culturale in atto nell’Inghilterra vittoriana e la supportarono comprendendo che essa sarebbe stata certamente una giustificazione del capitalismo ma al tempo stesso la premessa della lotta comunista allo stesso capitalismo. Da quel momento in poi i passi lungo la corda nietzschiana sarebbero stati compiuti facendo ricorso a raffinate conoscenze di sociologia e psicologia delle masse, se l’Uomo doveva essere trasformato l’operazione sarebbe stata possibile solamente sviluppando la conoscenza dei suoi meccanismi psicologici e piegandoli poi alle necessità del nuovo modello di società.

Non è quindi casuale che un ruolo centrale in questo esperimento sociologico lo ebbero le teorie di un grande nome che insieme a Darwin ha segnato i grandi mutamenti culturali degli ultimi due secoli e che con esso viene associato ad una specie di “rivoluzione copernicana” che avrebbe detronizzato l’uomo spostandolo dal centro dell’universo alla periferia. Il riferimento è a Sigmund Freud e precisamente alle tecniche che dalle sue teorie derivò il nipote Edward Bernays universalmente riconosciuto come il padre della moderna propaganda.

Quello che ha caratterizzato sin dall’inizio gli strumenti impiegati per operare la mutazione antropologica, termine impiegato da Pierpaolo Pasolini, è stata la pretesa di scientificità del modello proposto, o meglio l’appropriazione dell’autorevolezza della scienza impiegata come strumento di persuasione e di vera e propria coercizione della popolazione ad uniformarsi ai dettami del modello umano adatto alla piena realizzazione della distopia liberista.

Nel libro vengono ripercorsi i passaggi culturali che sono stati attuati e le tecniche di condizionamento impiegate sin dal secolo XIX per imporre l’antropologia dell’ultimo uomo nietzschiano, un tipo che coincide largamente con l’individuo atomizzato che popola la società liquida denunciata da Zygmunt Bauman. In un momento storico come quello attuale in cui emerge con inedita chiarezza lo scontro tra le rivendicazioni dell’uomo identitario e quelle di dominio del mercatismo liberista e intrinsecamente antiumano, la consapevolezza di quanto è accaduto e del modo in cui è stata resa possibile la mutazione antropologica, costituisce la premessa indispensabile per una risposta sia personale che politica non solo consapevole ma anche efficace.

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