L’sola di Valaam
Non credo possa fare a meno di una premessa.
Con ogni evidenza, questo non è articolo scientifico, non avendo lo scrivente una preparazione scientifica. Nemmeno potrebbe essere considerato di taglio filosofico, se non in senso molto lato.
Prendendo spunto dalla traduzione che il Prof. Masiero ci ha fatto la gentilezza di pubblicare, sulla questione cancro, mi sono tornate in mente alcune esperienze in margine al nostro tema, da me avute con esponenti qualificatissimi di culture molto diverse dalla nostra, soprattutto nel secondo caso, caratterizzate da una forte eterogeneità nell’approccio all’argomento (rispetto a quello da noi imperante). Qui mi limiterò a riportarne due.
I fatti che resoconterò risalgono a molti anni fa. Mi rendo perfettamente conto del grande azzardo cui mi espongo nell’introdurre tematiche che eccedono di parecchio ciò che, in mancanza di una definizione migliore, chiamerò “mentalità occidentale”. D’altro canto, credo si sia oramai compreso che il mondo non finisce alla staccionata del nostro orticello. Altre menti, formate da culture molto più antiche, e non meno ricche della nostra, “costruiscono” il mondo – e le soluzioni ai suoi problemi – partendo da modalità, la conoscenza delle quali, a parer mio, non può che arricchirci. Io ho dedicato la mia vita a seguire l’aristotelico precetto “segui la Verità ovunque ti porti”.
Mi auguro che, almeno limitatamente al nostro tema, i risultati di questo lungo viaggiare possano offrire spunto per una riflessione.
Molti anni fa, dicevo, ebbi la fortuna e il privilegio di trascorre alcune ore (nove esattamente, tre ore per tre pomeriggi) conversando di questioni spirituali con un monaco ortodosso, presso il monastero di Valaam. In modo del tutto fortuito, ad un certo punto, venne fuori il tema della malattia, e, da qui arrivammo al cancro. Il monaco cui ero stato affidato, prima dell’abbandono della vita secolare, si era appena laureato in medicina, ed aveva sempre coltivato interessi filosofici. Molto in breve; mi disse che secondo lui la diffusione quasi pandemica del cancro nella nostra epoca aveva a che vedere (cercherò di sintetizzare il nocciolo di quei ricordi) con una specie di “dissonanza” fra la compagine animica in tutte le sue componenti (credo si riferisse alla tripartizione platonica, nell’accavallarsi delle domande e risposte non potei approfondire), e il suo precipitato (parlammo in inglese, e usò proprio il termine “precipitate”) corporeo, ossia il corpo come comunemente concepito. Qui entrammo in considerazioni generali che riguardano il rapporto mente corpo, ma che tralascio, perché non direttamente pertinenti al tema. Questa dissonanza, a parer suo, era dovuta a una corruzione nel rapporto con quel principio organizzativo del vivente conosciuto come Entelechia. Credetti di aver capito cosa intendeva, ma gli chiesi lo stesso di specificare e approfondire. Fece lunghi riferimenti alla ratio seminalis di cui trattano Agostino e Bonaventura, ed anche al logos spermatikòs dei neoplatonici (lo stesso concetto, fra l’altro, è presente nello stoicismo). Dunque, abbiamo qualcosa di universale (in realtà, il termine corretto sarebbe “generale”, l’universale pertenendo solo la sfera metafisica), che attiene a un principio organizzativo della forma-funzione, e che, per quanto io ne so, non è mai stato esattamente definito nella cultura occidentale; mentre trova collocazione organica nelle grandi culture asiatiche, come vedremo appresso. Ebbene, secondo il mio interlocutore, qualcosa si era corrotto, non tanto in tale principio (nota* in calce), ma nell’essere umano, che dovrebbe creare in sé le condizioni di equilibrio per cui tale principio possa agire. In parole semplici la corruzione partiva dalla chiusura dell’uomo moderno alla spiritualità; chiusura che aveva delle ricadute a cascata in ogni ambito e ad ogni livello delle sfera umana e animale (sviluppo appresso questo punto). Ecco, qui siamo giunti ad un punto che la mente moderna, nella misura in cui centrata nell’individualismo atomizzante, ha scarse possibilità di cogliere. Secondo questo sant’uomo, l’essere umano è organismo sotto un duplice rapporto; quello singolare, come ente relativamente auto-sussistente, e quello collettivo, quale parte (organica, appunto) di quella rete di rapporti che è una società e una cultura. Se sia singolarmente, che collettivamente, l’essere-umano recide il suo legame col Principio, non può che avviarsi verso la disintegrazione; sia nella sfera del mentale, che in quella del soma. Mi chiese di far caso come i più grandi affari le case farmaceutiche li facessero con gli psicofarmaci e i chemioterapici. (Difficile dargli torto). Sì, ma perché proprio il cancro? Beh, credo dovrebbe già essere intuibile (almeno nell’ottica adottata); perché, secondo il monaco, nella maniera più evidente, la proliferazione cancerogena è perdita di forma, sfaldamento del modello. Fui invitato a non commettere l’errore di limitare l’azione del disordine solo alla sfera psicofisica; come in una specie di esclusiva causalità verso il basso mente > corpo. Ci tenne avessi chiaro che la mente è cieca senza la “Luce di dentro” che viene dallo Spirito, se questo viene negato, tutto ciò che ne dipende si avvia lentamente, ma ineluttabilmente, verso la dissoluzione, nel senso letterale di scioglimento, liquefazione (della forma, dei legami, del tessuto sociale, ecc…).
A quel punto, gli chiesi come mai il cancro affliggesse anche persone di elevatissima qualità spirituale, e, se la sua congettura era giusta, come si giustificava il cancro in creature innocenti come bambini e animali. Gli obiettai anche che il cancro non nasce in concomitanza con l’abbandono o l’eclisse dl sacro; ma ci sono prove che sia stato presente anche in altre epoche.
Le riposte che ne ebbi, almeno alle prime due questioni sollevate, potrebbero apparire sconcertanti; potrebbero, o magari no. Sia come la si valuti, furono, di fatto, identiche a quelle che ebbi circa un anno e mezzo dopo in India, in una specie di capanna tra i tamarindi, alle falde della sacra montagna Arunachala, da un altro sant’uomo.
Partimmo dal terzo punto, e mi rispose che certamente era così; ma che il nocciolo della questione riguardava l’incidenza di tali patologie in età premoderna e nei mondi antichi, non metteva in dubbio che fossero state sempre presenti. (Per comodità, e anche per rendere meglio conto dei fatti e agevolare la lettura, d’ora in avanti, usando il corsivo, il mio interlocutore sarà M, e io F. Naturalmente, i dialoghi sono frutto di ricostruzione, ma credo di poter assicurare che riportano molto fedelmente non solo la sostanza dei contenuti, ma anche, per quanto possibile, la forma. Come si vedrà, via via, la discussione si sposterà sugli altri due punti).
M“Certo che il cancro è sempre esistito, proprio come è sempre esistita la malattia. Per sempre, intendo da quel momento, a cavallo tra la Storia e la metaStoria, in cui l’essere umano perse quella condizione di plenitudine, connotata simbolicamente dallo stato edenico. E’ da lì che nell’umano fecero ingresso dolore, malattia, morte, e, soprattutto … soprattutto (fece una lunghissima pausa, durante la quale l’aria attorno a me sembrò solidificarsi, il tempo rallentare, mentre quei grigio-azzurri, metallici, insondabili, implacabili, occhi nordici mandavano lampi di una purezza tale da paralizzare e terrorizzare) … la progressiva perdita di senso. L’uomo non è sempre stato come lo vediamo ora; già l’uomo del Medio Evo è così distante da noi, che solo una straordinaria capacità di denudamento culturale potrebbe darcene un’idea. Quell’uomo, pur ben lontano dalla plenitudine edenica, viveva ancora ancorato al Principio Celeste, il suo mondo, la sua società, ogni attività e gesto, per quanto inconsapevolmente nei molti, erano svolti in funzione del Fine Eterno, e da esso dipendevano. Pur, ovviamente, pagando il prezzo della perdita dell’equilibrio primordiale”.
F” Se capisco bene, sta dicendo … mi perdoni se arrivo al punto, magari in un modo che spero non le sembrerà troppo rozzo. (Mi fece cenno di continuare) Quindi, insomma, meno si prega e più ci si ammala?”
M”Effettivamente, questa è una semplificazione eccessiva. Non è che dici due Ave Maria, e di colpo ti passa la gastrite. Gli effetti dello sradicamento dal Sacro assomigliano a un’onda lunga, tanto lunga che è impossibile, nella scala di una vita umana, poter percepire il moto oscillatorio tra cresta e ventre. E’ nell’arco delle generazioni che se ne apprezzano gli effetti; ma, vivendo noi in una frazione di quell’arco, abbiamo l’illusione che tutto, più o meno, salvo piccoli dettagli secondari, sia stato come lo vediamo adesso. E’ per questo che, ad esempio, le giovani generazioni, non hanno, né possono avere, la più pallida idea di cosa fosse la fede dei loro nonni, delle persone semplici. Di cosa fosse una società senza fretta, nella quale non si viveva per divorare, nella quale la consapevolezza intellettuale ed etica del limite … ecco … limite, capisce (?), dicevo, questa consapevolezza portava la quiete e il contentamento, e queste portavano e mantenevano ordine. Nella mente e nel corpo. Il cancro, ci pensi, usi l’immaginazione … la linea di confine di una cellula che si frantuma. La scienza potrà magari spiegare attraverso quali meccanismi ciò accade, e poi entrare dentro ciascuno di questi meccanismi, e poi ancora dentro i dettagli dei dettagli di tali meccanismi; riportandone sempre un “come”, mai un perché. “Perché” è una questione che non la riguarda, sempre che non arrivi a dire che è una questione senza senso. E’ metafisica, nel migliore dei casi; fantamedicina, fuor di etichetta. Eppure, tutto parte dal fatto che il limite, la “forma” di quella cellula, a un dato momento cedono. E Il limite, la sua funzione e la sua sacralità, è ciò che ha perso l’uomo delle società metropolitane, nella sfera dell’etica, in quella gnoseologica, nel suo rapporto con la natura … l’etica piegata all’utile, la conoscenza serva del potere, la natura oggetto di saccheggio. Il mito della crescita continua, la compulsione a spostare sempre più in là ciò che è sempre stato qua; e qua è stato perché c’è un posto per ogni cosa, perché c’è una Legge che trascende il capriccio e l’arbitrio. Dov’è questa Legge, oggi? Quanto si deve essere ciechi per non comprendere che la differenza tra dentro e fuori e del tutto arbitraria? Che il caos è l’ingiustizia nella società là fuori sono perfettamente speculari al caos e all’ingiustizia che abbiamo qua dentro? E se dovesse definire con una sola parola il cancro, non le verrebbe in mente caos?
F”Sì, ha ragione, caos, disordine, sinonimi, insomma, mi verrebbe in mente un termine del genere. Per questo prima parlava di Entelechia, giusto?
M”Sì”.
F”Secondo il suo punto di vista, quindi, nella misura in cui l’uomo si allontana dallo Spirito, viene meno l’azione di quel principio organizzativo che potremmo chiamare Entelechia?”
M“Sì, in modo analogo a come se non ti nutri muori. Non è forse stato scritto: non di solo pane vive l’uomo…”. Se provi a vivere di solo pane, alla lunga ti ammali. Quali che poi si pensa siano le cause, conosce una sola persona che non sia d’accordo nel dire che la società di oggi è malata? Purtroppo, nella maggior parte dei casi, la cura proposta è l’aumento nella somministrazione delle stesse cause che hanno prodotto la malattia: ancora più solo pane, tacitando sempre più il divino”
F”Uhm … capisco. Potrebbe provare quanto afferma?
M“Perché chiede una prova, ci crede o no? Per meglio dire, è persuaso o no?”
F“Uhm … (effettivamente ero un po’, perplesso) sono propenso a crederci, quello che ha detto è convincente, il discorso sul limite tiene è consistente, ma non persuaso”
M“Mi rendo conto. Di sicuro, l’Entelechia, la Ratio Seminalis, e il logos Spermatikòs, non li troverà mai lì, sotto le lenti di un microscopio; tuttavia, se avrà cura di informarsi presso qualche storico della medicina o della scienza, vedrà che troverà confermato che, effettivamente, tanto più si va indietro nel tempo, quanto minore è la diffusione dei tumori, per non parlare dei disturbi mentali. Fermo restando, come abbiamo detto, che tumori e disturbi mentali ci sono sempre stati. Non so in quale senso usa il termine prova. Una prova scientifica, se è questa che cerca, non la troverà mai, perché Sacro e Spirito non hanno significato alcuno nel discorso scientifico. Però, troverà una evidente correlazione tra la presenza o assenza del Sacro e la diffusione dei tumori. Una correlazione, costante, ubiqua, potrebbe essere o assomigliare a una prova logica; certamente non scientifica, né forense”.
(Effettivamente, al mio ritorno in Italia, mi diedi da fare per raccogliere delle informazioni. Avevo un conoscente oncologo all’Istituto nazionale dei tumori di via Venezian, a Milano. Quando gli esposi la mia richiesta, mi guardò di quello sguardo che viene spontaneo verso i picchiatelli, insomma come dire…, poi mi indirizzò da tale, che non mi parve molto convincente, per cui arrivai ad un altro, il quale, finalmente, confermò quanto affermato dal monaco. Da allora, non ho più pensato a questa cosa, fin adesso. Per scrupolo, ho cercato informazioni su Internet, e le ulteriori conferme sono numerose. “La conclusione sembra essere che nell’antichità fosse oggettivamente molto meno comune ammalarsi di tumore rispetto oggi”. Da https://oggiscienza.it/2016/08/18/cancro-antico-fossili-ominidi/, chi ha voglia di navigare ne troverà altri).
F “Va bene, poniamo che sia come sostiene, proprio in forza del suo assunto, come si giustifica il tumore in persone dedite alla vita spirituale, o in creature innocenti come i bambini e gli animali?”
(Qui partì una lunga, ma pertinente, digressione su uno dei più celebri e profondi duelli dialettici della Storia della letteratura mondiale, forse il più grandioso di tutti: il confronto dell’ateo Ivan Karamazov col mistico fratello Alioscia, a proposito della teodicea; nello specifico, la giustificazione della sofferenza dei bambini nell’ottica della giustizia e onnipotenza divina. Sarebbe molto interessante riportare tutto per intero, ma appesantirei troppo l’articolo. Posso però dire che solo alla fine capii che il monaco, pur essendo un contemplativo puro in odore di santità (odore in senso letterale, come vedremo), una tra le personalità più carismatiche da me mai incontrate, dovette riconoscere nella figura tragicissima e dolorante di Ivan, l’ateo, il vincitore di quel duello col mistico fratello. La penso allo stesso modo; ma questo è altro discorso).
M”Riguardo agli spirituali e i bambini le ho risposto, implicitamente, quando parlammo del duplice rapporto secondo cui l’essere umano è organismo, che le ricordo, è una struttura nella quale l’interdipendenza delle parti, rappresentabile in qualche modello, è pressoché sinonimo di tutto; tanto che la disfunzione di una o più parti coinvolge, in misura maggiore o minore, ogni altra parte e il tutto. In questa prospettiva, ossia quella della società come organismo, nella quale le parti sono legate da rapporto di interdipendenza, e nella quale, pertanto, il singolo è parte (organica, appunto) di quella rete di rapporti che è una collettività e una cultura, nessuno può sottrarsi all’azione delle patologie presenti nel sistema. Si tratta di una legge, sempre che legge sia il termine adatto, di carattere del tutto impersonale; come quando, ad esempio per quanto sani si possa essere, se l’ambiente in cui stai è inquinato, il rischio di ammalarti e molto più alto che se l’ambiente fosse pulito e sano. Ogni ecosistema è tale, per via della reciproca interazione delle sue componenti. Nel senso da me proposto, tuttavia, un ecosistema non si limita alla materia vivente o non vivente; ma comprende tutte le componenti non corporee e non materiali di cui abbiamo discusso prima, e che fanno dell’essere umano un ente diverso da un automa biologico. Ora, santi, oranti, virtuosi, bambini, per il semplice fatto di far parte di tale ambiente, sono esposti a subirne gli disquilibri. Dell’aspetto puramente metafisico della questione, abbiamo discusso prima, parlando dei Karamazov”.
Il monaco fece una pausa, una di quelle che solidificavano l’aria e rallentavano l’orologio. Guardò fuori, da una finestrella, dove il bianco sovrastava il rado verde, nei colori duri e taglienti del 62° parallelo. Uno stormo di uccelli passò basso, radente, mi smosse.
F”Ecco, sì, ne farò materia di riflessione. Ma gli animali? Malattia e sofferenza anche per loro, perché?”
M”Perché ci sono stati affidati, e seguono il nostro destino”.
F”Ma si ammalavano e soffrivano anche prima della comparsa dell’uomo, comunque sia avvenuta”.
M”Certo, ma esattamente come per la minor incidenza del cancro in epoche precedenti alla nostra – ma su questo, temo, non potrà trovare riscontro in alcuna disciplina – per le stesse ragioni, è presumibile pensare che si ammalassero meno, e meno fossero esposti alla sofferenza. Veda, l’animale non è un ornamento futile del mondo, non sta lì a casaccio, o per uno di quei capricci randomizzati che piacciono ai darwinisti. La sua posizione nell’ordine delle cose è periferica rispetto a quella umana, che è centrale, essendo immagine della Divinità; ma proprio per questo, e per quanto periferia – se così mi concede di esprimermi – l’animale fa parte dello stesso mondo, anche se nella posizione gerarchica che gli compete. (Sorrise) Purtroppo, certo cristianesimo li considera poco più che pupazzi animati, dimenticando che Francesco li chiamava fratelli. Solo in Paradiso non si soffre, mio caro amico”.
Il metallo di quegli occhi sembrò sciogliersi, per poco. Mi vidi bambino, all’improvviso e d’incanto, giocare con le mie sorelle. Poi fu silenzio, e il monaco mi consentì di sprofondare con lui in un abisso di carità.
Rimanemmo così, forse per un paio di minuti, poi:
M”Mi spiego ancora meglio: anche se fosse trovata una cura per il cancro, una specie di vaccino capace di prevenirli tutti, la dissonanza di cui abbiamo parlato all’inizio, questa specie di profonda perturbazione nell’ordine profondo delle cose, troverebbe il modo e la via per manifestare i suoi effetti nell’umano, con flagelli di non minore portata dello stesso cancro.”
In quest’ultima frase sta l’epitome ultima del pensiero di questo monaco (riguardo al nostro tema).
Concludo.
Ci sono cose che ciascuno di noi, nell’ultima e raccolta stanzetta del tribunale della propria coscienza – dove si è soli, come giudice, avvocato, testimone e giuria – classifica come impossibili, improbabili, probabili, quasi certe, vere in modo evidente. Ebbene, in questo luogo intimo e inviolabile, chiunque abbia letto con la mente, ma anche col cuore, il resoconto di quei fatti lontani, saprà che valutazione dare. Mi si permetta, come che sia, di non scordare quanto raccomanda il “folle” Amleto all’amico Orazio, in “Amleto”, atto 1°, scena 5°:”… Ci sono più cose tra Cielo e Terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia…”.
P.s.
Ho esitato, ma alla fine ho risolto di aggiungere questa nota.
Poco dopo i dialoghi sopra riportati, il mio tempo col monaco giunse a conclusione. Non sapevo quale sarebbe stata la forma del congedo. Stavo per porgergli la mano, ma lui non stese la sua; mi guardò (che nessuna parola potrebbe mai descrivere quello sguardo), mi sorrise e mi abbracciò. In quel momento, mi sentii penetrare da un profumo ancora più indescrivibile dello sguardo. Lo sentii con tutti e cinque i sensi (anche se so sembri un’insensatezza), e potrei dire con tutto il corpo. Se fosse stato musica, solo Bach o Mozart avrebbero potuto darne una lontanissima approssimazione.
Quel profumo rimase con me per settimane. Era reale, irreale, quegli strani scherzi della mente, suggestione? Bene, successe che, nelle settimane seguenti, quattro persone, tra le moltissime che si incontrano nella vita sociale, lo sentì, ciascuna con reazioni diverse. Una, in particolare, mi colpì. Una donna delle pulizie incontrata sulle scale del mio condominio. Non facevo mai le scale, quel giorno fui obbligato, perché l’ascensore era guasto. Incontrai questa donna – che sempre mi aveva dato l’impressione vivesse sfidando le leggi della biologia; magrissima, smunta, sfinita, cadaverica – su un pianerottolo. Appena mi vide si fermò, fissandomi. Mi disse: “Cos’è, cos’è, cos’è?” Chiuse gli occhi, lasciò cadere la scopa, mi prese una mano, l’altra, si avvicinò, e poggiò la testa sul mio petto, abbracciandomi. (In quel momento, con gran rumore di tacchi, scese dal piano di sopra una signora tutta ciccia e pelliccia, che mi lanciò una sguardo di disprezzo; farsi sorprendere abbracciato da una tale disgraziata!). La donna delle pulizie, poco dopo, si staccò, mi guardò, pareva ringiovanita di almeno cinque anni, e mi disse: “Avevo deciso di farla finita oggi. Cos’è questo profumo che ha addosso? Cos’è? Tornerò a casa, dai miei figli”. Riprese in mano la scopa, e sparì giù, lungo le scale.
Qualche mese dopo, avrei traslocato; ma ci incontrammo ancora qualche volta, salutandoci sorridendo e nient’altro, come complici in qualcosa. Sembrava un’altra persona, come si può immaginare la trasfigurazione di un morente, dopo un’immersione nella fonte della giovinezza.
E lei, Adelina, non avrebbe mai saputo chi aveva salvato la sua vita, la sua salute, e la sua anima.
Nota* (pressato dalla sintesi, sono costretto a tagliare i seguenti concetti con l’accetta).
Se tale principio, Entelechia, sia individuale o sovra individuale, prevalentemente immanente (Aristotele), o trascendente (Platone); se, trascendente o immanente che sia, espleti la sua azione solo a livello del singolo, oppure se essa viene estesa a tutta una collettività o non; se (immanente o trascendente che sia) dia forma alla totalità delle collettività che costituiscono la specie umana o non; se, oltre che di una sola specie, esso sia il legame formativo-normativo che rende vivente e organico l’intero ecosistema terrestre, o non; se, infine, per estensione, sia ciò che viene definito “anima mundi” (soprattutto Platone, Timeo, ma anche tutto il neoplatonismo, lo stesso Scoto Eriugena, fino al “sensismo” di Campanella, e più avanti ancora Shelling, Novalis o Coleridge), dispiegandosi nell’intera sfera del manifestato/creato, o non; (il se di tutto quanto precede) non è materia di questo articolo. Se ci campiamo, se ne abbiamo voglia, e se il Prof. Pennetta ce lo consente, se ne può magari riparlare.
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9 commenti
Grazie, Francesco. Mi ha aperto le porte su un altro mondo, che però fa parte del mondo. Mi ha fatto rivedere molte cose in un modo di cui avevo perso l’uso. Io non posso aggiungere nulla, tanto sono fuori esercizio. Penso solo di rileggere il Suo racconto, perché sono certo che vi troverò altre cose umane, quindi anche mie, che avevo perso.
Gentile Professore,
non mi riconosco la capacità di aprire quelle porte; evidentemente erano già state aperte – Lei solamente può sapere come – e questo breve scritto ha solo richiamato la Sua attenzione sulla loro esistenza.
Approfitto per segnalare un’omissione nel mio articolo, su un tema importantissimo affrontato col monaco: quello dell’espiazione vicaria, avente nella figura del Cristo il suo prototipo terreno e il suo archetipo celeste. Essa è una costante presso tutte le civiltà; qui, da noi, uno degli ultimi esempi illustri è stato quello di Padre Pio. Come vedremo, col secondo e ultimo articolo sul nostro argomento generale, proprio su questo punto ci sarà una delle convergenze non meno che strabilianti coi temi affrontati nel corso dei miei colloqui col Pandit indù.
Ringrazio anch’io Francesco per quest’articolo (che più propriamente è una eccezionale testimonianza di vita) che mi ha commosso e fatto riflettere, ma non meravigliato: da sempre grandi pensatori sostengono che l’armonia interiore passa anche attraverso una vita sobria, che favorisce la salute spirituale e quindi materiale. I filosofi antichi erano quasi tutti vegetariani (i pitagorici addirittura lo erano per prescrizione esplicita). Dopo aver letto il Suo articolo ho quindi pensato: visto che anche tanti oncologi raccomandano di ridurre al minimo cibi di origine animale e dolci (forse nell’antichità non si parlava di dolci perchè lo zucchero è un’invenzione moderna), visto che ricerche scientifiche continuano a confermare statisticamente una forte correlazione tra alimentazione di un certo tipo e cancro, vien da pensare che il nostro monaco ortodosso ritenga che i disordini alimentari producano prima di tutto un malessere dell’anima (la “dissonanza”) poi, come conseguenza, la malattia fisica.
Caro Francesco, ad evitare fraintendimenti, desidero precisare che, nonostante il riferimento ai pitagorici, non credo nel vegetarianesimo integrale, tantomeno a livello ideologico, ma in un’alimentazione sobria e naturale, che contribuisce in modo determinante alla predisposizione spirituale.
Gentile Sig. ADASON,
mi ero premurato di risponderle già ieri, ma mi sono accorto che il mio scritto è stato cancellato (Disqus!). In breve, per determinare il valore, il disvalore, la neutralità, del vegetarianesimo, occorrerebbe un punto di riferimento, se non assoluto, quantomeno talmente autorevole da non poter essere discusso. A mia conoscenza, tale riferimento non esiste. Limitandoci solamente alle qualità morali, non sono forse esempi sommi e insuperabili Gesù e Shakiamuni? Ebbene, il primo fu onnivoro, il secondo quasi (nel senso che autorizzò il consumo di carne presso alcune condizioni). Certamente, il vegetarianesimo attuale, quasi esclusivamente ideologico, si azzoppa e sia affossa con le sue stesse premesse. Altra cosa ancora è la zootecnia moderna, che ho già definito un crimine morale, un’agghiacciante mostruosità senza attenuanti.
(Recuperato come spam)
Gentile Sig. ADASON,
la questione del vegetarianesimo sarebbe
semplice, se non fosse stata resa difficile dalla sua degenerazione
ideologica. A monte (come si usava dire tra gli eskimi), mi sono andato
persuadendo, fino alla certezza, che il monaco aveva ragione (se avrà
pazienza, sentirà anche la campana indù); la causa primaria sta nella
dissoluzione della “forma”, in tutti gli ambiti dell’umano; dissoluzione
che è conseguenza dela resezione del legame tra Cielo e Terra, Divino e
umano. Certamente, nella catena causale che porta, come ultimo anello,
alle neoplasie (notasi l’etimo rivelatore: neoplasia = “nuova
forma-zione”) concorrono numerosi fattori intermedi; uno tra gli ultimi –
mia opinione del tutto soggettiva – è il
regime alimentare Un regime alimentare innaturale, non può che esaltare
gli squilibri provenienti a cascata da piani che, nella speranza di non
essere equivocato, potrei definire “sottili”.
Comunque, ricordo che Cristo, prototipo dell’uomo perfetto, e archetipo dell’uomo-Logos trascendente, fu onnivoro.
Ringrazio Francesco m per questo suo articolo che ho accolto con interesse ricordando quanto diceva un mio maestro, Stanislao Nievo, riguardo al fatto che la conoscenza è fatta anche di una dimensione “sapienziale” che non è riducibile alla sola scienza sperimentale.
Per questo motivo ho aperto una nuova sezione dedicata all’antropologia, una disciplina che riguarda tutto ciò che è parte del patrimonio umano.
Volevo anch’io esprimere il mio gradimento per questo articolo di Francesco m, una testimonianza così profonda che non può lasciare indifferenti, comunque la si pensi. Mi piace molto anche lo stile impresso da Francesco a questo racconto, mi pare che si introducano aspetti e concetti filosofici anche importanti, ma con la giusta e intelligente cautela, giustamente nel rispetto di quello che ognuno, in fondo, può pensare “nell’ultima e raccolta stanzetta del tribunale della propria coscienza”. Sa allora il compito della filosofia rimane quello di proporre delle prospettive di pensiero senza la presunzione, secondo me infondata, di “definire delle verità”, allora anche uno come me può apprezzarne tutto il suo indubbio valore.
Gentile Dr. Vomiero,
chi pensa di poter imporre la verità (o Verità), ipso facto, prova due cose:
1°, di non avere la minima idea di cosa essa (Essa) sia;
2°, di essere dominato dallo spirito della superbia, che è la peggiore di tutte le malformazioni morali e intellettuali.
L’errore capitale della cattiva filosofia coincide con un’illusione: quella di per poter possedere la verità (o Verità). E’ la verità che possiede noi – se glielo permettiamo – non il contrario; come ben insegnò Platone.
Tornando al punto, visto che Lei è uomo di scienza, potrebbe esistere la possibilità, mi pare, che quei “campi” di cui parlo nell’articolo, e di cui si sono occupati molti filosofi, possano essere colti e perfino matematizzati; almeno stando a uno scienziato, Rupert Sheldrake, che li definisce “campi morfici” (qualche utente ne ha accennato, qui, sul blog, a proposito della TRE). Ovviamente, “colti” nell’unico modo in cui può la scienza; ossia sotto l’aspetto quantitativo e solo per quanto matematizzabile.