L’emergenza demografica ha ormai radici culturali e antropologiche, non basteranno più leggi e agevolazioni economiche per superarla.
By Alfonso Pozio
Qualche tempo fa dedicammo un contributo al rapporto tra popolazione e povertà e cercammo di spiegare perché a distanza di due secoli le teorie maltusiane continuano a dominare le scelte di politica internazionale (CS2015).
Tra le altre cose evidenziammo il fatto che la paura legata al sovrappopolamento avesse portato l’occidente ad elaborare strategie di pianificazione familiare suicide. Ad esempio, citammo il memorandum messo a punto negli anni 60 da Frederick Jaffe, presidente del Guttmacher Institute dal 1968 al 1978 e vicepresidente della International Planned Parenthood Federation, istituto e federazione attivi nella promozione di campagne contraccettive ed abortiste.
Come spiegammo, Jaffe mise a punto per conto di queste istituzioni un pacchetto di proposte utili per ridurre la fertilità umana. Queste proposte, attraverso Bernard Berelson presidente della Population Council, diventeranno oggetto di analisi (B. Berelson, F.S. Jaffe, “Fam Plann Perspect”, 2/4, 1970, 25-31 e “A strategy for implementing family planning service in US”, Am J Public Healt, 58/4, 1968, 713-725) anche da parte dell’OMS prevedendo in tal modo di limitare a livello sociale la fertilità mediante alcuni strumenti di azione.
Un contributo successivo sempre su CS (CS2017) fu dedicato alla traduzione del documento originale. Quello che in sostanza facemmo osservare era che questo memorandum aveva trovato in molti paesi occidentali una applicazione abbastanza puntuale e che questo stava producendo una propensione alla denatalità molto pericolosa.
Le proposte del memorandum erano suddivise in tre parti, una prima parte ad “impatto universale” basate su una de-strutturazione della famiglia, una sorte di ingegneria sociale atta a scardinare la propensione alla natalità di questa oppure su un vero e proprio controllo della fertilità. La seconda parte ad “impatto selettivo” doveva agire in funzione della condizione economica (deterrenti economici) con un meccanismo che consentisse maggiore natalità ai ricchi. La terza parte si focalizzava su “controllo sociale” attraverso estensione dei metodi di contraccezione ed aborto.
A distanza di tre anni dal nostro contributo ciò che sembrava ad alcuni commentatori di CS un esagerazione, si è dimostrato al contrario un enorme problema per il mondo per l’Europa e per l’Italia. La propensione alla denatalità è ormai realtà su scala globale [[1]].
Qui in Italia a lanciare l’allarme sono stati di recente Gian Carlo Blangiardo, docente di demografia presso l’Università di Milano Bicocca e Alessandro Rosina, docente di demografia all’università Cattolica che, sulla base dei dati Istat del 2017, hanno parlato di una crisi demografica senza precedenti. I due elementi più rilevanti messi in luce dai due esperti sono (come avevamo evidenziato nel contributo di CS) il calo della natalità e l’invecchiamento della popolazione. Blangiardo dice [[2]]:
“Le famiglie italiane fanno pochi figli perché incontrano innumerevoli difficoltà e devono arrangiarsi in tutto, stante che il sistema non li aiuta anche se ne beneficerebbe. Chi, eroicamente, fa la scelta di investire in una famiglia di più di due figli, si trova di fronte a un clima diffuso che non dà gratificazioni, ma mortifica.”
Per quanto riguarda l’invecchiamento della popolazione i due demografi osservano che
“L’età media degli italiani è 45 anni, con una popolazione anziana in aumento. Al 1 gennaio 2018, il 22,6% della popolazione ha un’età compiuta superiore o uguale ai 65 anni, il 64,1% compresa tra 15 e 64 anni, il 13,4% ha meno di 15 anni. All’inizio del 2018 gli ultra 65enni sono poco più di 13 milioni e mezzo ma arriveranno a quasi 20 milioni nel giro di 30 anni e supereranno il 30% della popolazione. Allo stesso modo, quelli che hanno almeno 90 anni sono oggi 700mila e diventeranno quasi 2 milioni e mezzo entro quarant’anni. Percentuali pesanti su un Paese che continua a mantenersi stabile attorno ai 60milioni di abitanti”.
La prima conseguenza di questa situazione è secondo gli esperti che vi saranno grossi problemi nel mantenimento dei servizi di welfare:
“È evidente che vanno affrontati nuovi equilibri e nuove regole sul fronte del welfare, che necessiterà di un ripensamento dai costi ingenti.
Secondo i due demografi, ci si sta prospettando un futuro sempre più difficile da governare e più aspettiamo e più il prezzo da pagare si farà alto.
A rincarare la dose si aggiunge Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano secondo cui:
“siamo di fronte a una sorta di neo-malthusianesimo”. Riguardo il calo del numero dei nati [[3]] Campiglio osserva che “la generazione dei baby boomers sta invecchiando e appare quindi già impossibile che la natalità cresca in modo tale da compensare l’aumento della mortalità che naturalmente ci sarà. Il minimo storico del saldo naturale è quindi destinato ad ampliarsi, stiamo andando verso un periodo molto particolare, in cui la diminuzione della popolazione diventerà un dato inevitabile. Le condizioni dei giovani sono state talmente frammentate, divenendo incerte, da modificare in modo sostanziale i piani di vita delle persone. Affidarsi a una ripresa dell’attuale generazione è indispensabile, ma non è più sufficiente a colmare un divario che è diventato ormai una voragine: abbiamo un vuoto demografico impressionante.”
Le cause per Campiglio sono da attribuire forse anche ad un clima culturale ma soprattutto a scelte politiche.
Dal canto suo, la politica italiana ha reagito a queste notizie mettendo in campo una serie di promesse di azione radicale tese a supportare la natalità [[4]]. Lodevoli iniziative che purtroppo coincidono con l’appuntamento elettorale e pertanto al momento sono scontate.
Altre voci si sono nel frattempo aggiunte, la Neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta Mariolina Ceriotti Migliarese fa osservare che; “Dietro il calo delle nascite c’è un’idea limitata di felicità” [[5]].
Secondo la Ceriotti il problema non è solo economico:
“credo possibile affermare che avere dei figli non appare più tra le scelte che colleghiamo all’idea di felicità: i figli ci appaiono più come un vincolo che come una risorsa; sentiamo i loro bisogni come contrapposti ai nostri bisogni e la responsabilità nei loro confronti come una pesante restrizione della nostra libertà e delle nostre opportunità.”
Se la Ceriotti ha ragione allora le misure di impatto universale del memorandum Jaffe hanno funzionato in pieno. Non serve neanche a questo punto cercare di invertire la tendenza alla denatalità attraverso incentivi economici, aiuti alle donne, etc (reazione contro l’impatto selettivo). L’immagine della famiglia è stata alterata.
Lo conferma il giornalista Marco Guerra che analizzando la situazione in Francia scrive che gli incentivi economici non bastano più, il tema antropologico e culturale deve essere alla base della valutazione di qualsiasi normativa in materia di sostegno alla famiglia [[6]]:
“Fine dell’eccezione francese. Era il paese in cui nascevano più figli, 2 per coppia in media, rispettando il tasso di sostituzione. Ma da tre anni consecutivi il numero di figli diminuisce. Eppure la Francia ha il sistema di welfare per le famiglie più generoso (e preso ad esempio) d’Europa. Le cause sono altre, soprattutto culturali.”
Gli fa eco Massimo Calvi dalle pagine di Avvenire che acutamente osserva sul problema economico [[7]]:
“Quello che si nota oggi, tuttavia, è che la mancanza di figli caratterizza sempre di più anche gli uomini e le donne con istruzione elevata e carriere migliori. Investire molto sulle proprie competenze sposta così tanto in avanti il momento per costituire una famiglia che a risentirne è la natalità. D’altra parte oggi ci sono più persone, sia uomini che donne, che non intendono rinunciare alla carriera o ad altre cose per far posto a dei bambini. E’ un cambio culturale con il quale si deve fare i conti”.
E continua, invitando a non illudersi troppo:
“Occupazione, politiche per la conciliazione e un welfare più attento ai figli sono le strade per provare a far ripartire un po’ le nascite. Ma senza illusioni: il dato di 2,1 figli per donna – il tasso di sostituzione della popolazione – è diventato un livello che i Paesi sviluppati riescono ad avvicinare solo grazie a chi arriva da Paesi più poveri”
Sull’attingere risorse dai paesi in via di sviluppo sempre Campiglio fa osservare che, questo espediente unito al fatto che:
molti giovani stanno lasciando l’Italia, sostituiti in parte da immigrati giovani, non promette molto bene per il Paese. Perché significa che il potenziale di sviluppo umano del Paese continua a diminuire e a essere sia nella componente interna, che in quella immigrata, non adeguato a modelli di sviluppo che sempre più a livello mondiale si vanno qualificando per essere orientati a un innalzamento delle competenze. Insomma, il capitale umano dell’Italia non cresce.
Volendo andarne a ricercare la cause storiche Antonio Socci è abbastanza chiaro, la denatalità ha la sua radice nella destrutturazione della famiglia, sì proprio quella postulata da Jaffe & Co. [[8]]:
“La dissoluzione della famiglia è un evento epocale perché la famiglia è – di fatto – la più antica istituzione umana, precede tutte le organizzazioni sociali (tribù, stati, imperi, regni, repubbliche) e a tutte era finora sopravvissuta. Nel Novecento è stata aggredita dai diversi totalitarismi che trovavano in essa un ultimo argine al dilagare del loro indottrinamento ideologico verso le nuove generazioni. Sta riuscendo invece nell’opera di demolizione il nichilismo relativista esploso con il ’68. Sta vincendo anche in Italia dove la storica solidità della famiglia era già criticata da certe correnti ideologiche che ne hanno fatto a lungo una grottesca caricatura fino a considerarla un fenomeno di arretratezza civile e di asocialità. Adesso il nostro Paese – nel disinteresse assoluto dei governanti – ha il record nella triste classifica europea del crollo demografico. Secondo alcuni studi, con gli attuali tassi di natalità, entro la fine di questo secolo l’Italia perderà l’86 per cento della sua popolazione.”
Socci ci introduce ad un aspetto essenziale che vale la pena analizzare più a fondo in rapporto al problema della denatalità. L’opera di demolizione della famiglia all’interno di una nazione, di uno stato.
Vale la pena fare qualche considerazione sull’equilibrio società/famiglia. La famiglia è stata definita dagli economisti e dai sociologi stessi come una sorgente critica di capitale sociale [[9]]. Tra la famiglia, le istituzioni e la società esistono delle interazioni importanti che costituiscono i pilastri fondanti, il cemento armato della collettività [[10]]. La famiglia provvede fondamentalmente a due tipologie di funzioni: interne ed esterne. Le funzioni interne sono erogate a favore dei componenti del nucleo familiare, mentre quelle esterne sono orientate alla collettività.
Tutte le azioni prodotte dalla famiglia hanno comunque una ricaduta diretta sul sistema socio-istituzionale. Una macro classificazione delle funzioni erogate dalla famiglia può distinguere tra funzione sociale, riproduttiva, educativa ed economica della stessa.
La funzione sociale.
La famiglia eroga funzioni di natura sociale, di protezione e di cura contribuendo così in maniera determinante al benessere ed allo sviluppo armonico dei suoi componenti. Caratteristica fondamentale della famiglia è quella di essere un soggetto elastico, capace cioè di restringersi e di dilatarsi secondo le necessità contingenti delle persone che gravitano attorno al nucleo familiare. La famiglia è stata e continua ad essere un potente ammortizzatore sociale, agendo da sistema di protezione dei propri componenti nei passaggi cruciali delle fasi del ciclo di vita e diventa anche una risorsa fondamentale per la comunità stessa, perché riesce ad attivare al proprio interno una solidarietà intergenerazionale favorendo l’inclusione di soggetti e gruppi a rischio di esclusione. È luogo della crescita, della gratuità, della solidarietà disinteressata, della prima socializzazione in cui si instaurano i legami tra le generazioni. Esercita la funzione di tutela a favore di minori, anziani, ammalati, portatori di handicap e di ammortizzatore sociale per tamponare e/o prevenire problemi contingenti di alcuni “componenti deboli” del nucleo familiare (situazioni di disagio di figli/parenti, casi di devianza minorile, malattie croniche ecc.).
La funzione riproduttiva.
La famiglia è una realtà che produce capitale umano, l’essenza del suo processo produttivo è infatti i figli. I figli producono delle ricadute sociali molto importanti poiché sono fonte di reddito e garantiscono il ricambio generazionale. Questa funzione è talmente fondamentale che la famiglia dovrebbe essere fortemente incentivata a svolgerla dalla collettività stessa. Per l’elevato impatto sociale, i figli dovrebbero essere considerati a tutti gli effetti dei beni pubblici. Campiglio scriveva profeticamente nel 1995 [[11]]:
“Se ciascuna famiglia decidesse di non avere figli nell’aspettativa che saranno i figli delle altre famiglie a lavorare per pagare le loro pensioni, il risultato sarebbe quello di un repentino declino demografico accompagnato da un collasso della finanza pubblica e privata”.
La funzione educativa.
La famiglia costituisce per i suoi componenti la prima agenzia educativa ed esercita una funzione formativa e educativa molto importante per la collettività, perché, di fatto, attiva quello che nel mercato privato è considerato l’avviamento della persona al mercato del lavoro, ma non solo. L’avviamento più importante, di fatto, è di formare persone critiche e consapevoli, capaci di inserirsi attivamente nel mondo del lavoro, del servizio, del volontariato. A questo riguardo è rilevante il richiamo all’articolo 30 della Costituzione Italiana il quale stabilisce che “è diritto e dovere dei genitori mantenere, istruire e educare i figli”. La famiglia è quindi il soggetto sociale primario preposto alle funzioni educative e di cura nei confronti dei propri componenti. Il singolo individuo costruisce la propria identità e la propria capacità di mettersi in relazione con gli altri a partire dal contesto affettivo familiare, che ha una storia e che si qualifica come un intreccio di relazioni asimmetriche ma reciproche. La reciproca dipendenza mira a favorire la reciproca autonomia. La famiglia è un’unità complessa di legami, la quale si struttura e si sviluppa ciclicamente secondo una successione di fasi. Nell’evoluzione di questi legami e nel rapporto d’interdipendenza e di circolarità con l’altro, chi educa viene anche educato, genera e si auto genera.
La funzione economica.
La famiglia è una risorsa perché è un soggetto economico: al suo interno matura molte decisioni sui consumi, sugli investimenti, sull’avviamento e collocamento nel mondo del lavoro. Oltre che essere ammortizzatore sociale, la famiglia è anche ammortizzatore economico poiché mitiga gli impatti, a volte devastanti, delle difficoltà economiche dei suoi componenti (disoccupazione). La famiglia riequilibra inoltre la distribuzione del reddito (prestiti per l’avviamento di attività lavorative, per l’acquisto della casa ecc.). Essa è inoltre la fonte principale del risparmio, che tramite l’intermediazione creditizia è uno dei principali indicatori dello stato di salute di una nazione .
Il giurista Jean Bodin, tra i primi a porre le basi teoriche dello stato di diritto, già nel XVI secolo definirà la famiglia “vera origine dello Stato e parte fondamentale, luogo della identità dei singoli”. Nella sua analisi Bodin va oltre affermando che: “Come le fondamenta possono esistere senza che ancora sia formata la casa, la famiglia può sussistere da sola, senza città né Stato invece lo Stato non può sussistere senza famiglie, come la città non può sussistere senza case né la casa senza fondamenta”. E tanto per continuare la similitudine, “come una nave può essere mutilata in più parti o bruciata completamente, così il popolo può essere disperso in luoghi diversi o anche del tutto estinto pur rimanendo intatta la sua sede territoriale; non è infatti questa né la popolazione a fare lo Stato, ma l’unione di un popolo, anche composto di tre sole famiglie.” Insomma la famiglia non surroga la società civile pur essendone una parte costitutiva, non se ne può fare a meno: è a fondamento dell’organizzazione generale della società, ma non in senso “progressista”, cioè come se la presenza della famiglia in seguito debba essere superata e surrogata da altri.
La famiglia vera origine dello Stato e parte fondamentale affermava Bodin. Quindi, distrutta la famiglia ovvero la propensione a fare famiglia su cosa si baserà lo Stato? Forse sui singoli? In Inghilterra cercano di correre ai ripari con l’istituzione del “ministero per la solitudine” che dovrebbe risolvere i problemi di uno Stato – non-Stato costituito da singoli [[12]].
E’ una pia illusione. Quando la struttura familiare si sfascia, vengono meno le funzioni interne ed esterne che abbiamo elencate e gli effetti si riflettono primariamente sulla vita dei singoli e subito dopo sull’intera comunità. In altre parole, tutti noi paghiamo un costo per l’azione di destrutturazione della famiglia.
Ignorando questo principio siamo destinati, come sta avvenendo, a subirne le conseguenze sociali e individuali su diversi piani: aumento dell’alienazione e solitudine degli individui e conseguente incremento di violenza, crimine ed infelicità, diminuzione della produttività e della ricchezza, aumento del costo sociale in termini medici, legali e assistenziali, calo demografico.
Infine, riflette poeticamente sulla questione anche Alessandro D’Avenia che, nella rubrica sul Corriere si chiede che cosa le passate generazioni non abbiano saputo trasmettere [[13]]:
“ragazzi e ragazze generati alla vita ma non al senso della vita, riempiti di oggetti ma privi di progetti, dimenticati da una politica divenuta impotente (nel senso di sterile) di fronte alle cifre spaventose della dispersione scolastica, della disoccupazione giovanile e della crisi demografica. C’è una paternità che nutre i figli perché siano migliori dei padri e una invece che, come Saturno, li divora per paura che i figli caccino i padri.”
D’Avenia parla di una generazione privata del senso della vita e di una paternità che come Saturno sta divorando i figli per paura.
Saturno sta divorando la Terra. Houston abbiamo un problema…
[1] http://www.lanuovabq.it/it/demografia-e-emergenza-dalla-cina-alleuropa#.WmmJm7n4fQE.facebook
[2] https://agensir.it/italia/2018/02/17/lallarme-di-blangiardo-bicocca-crisi-demografica-senza-precedenti/
[3] http://www.ilsussidiario.net/News/Economia-e-Finanza/2018/2/9/CROLLO-NASCITE-Campiglio-e-in-gioco-la-sopravvivenza-dell-Italia/805903/#.Wn2-3MkVcCw.facebook
[4]http://www.secondowelfare.it/primo-welfare/famiglia/verso-le-elezioni-politiche-per-la-famiglia-visioni-e-programmi-a-confronto.html
[5] https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/dietro-il-calo-delle-nascite-unidea-limitata-di-felicit
[6] http://www.lanuovabq.it/it/francia-con-meno-figli-la-fine-di-un-mito-europeo#.WmhMqdjddmM.facebook
[7] https://www.avvenire.it/attualita/pagine/crisi-lavoro-precario-e-donne-sfavorite-perch-la-natalit-non-riesce-a-ripa
[8] http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=5046
[9] M. M. Bubolz, “Family as source, user, and builder of social capital”, Journal of Socio-Economics 30 (2001) 129–131
[10] P. Donati. “Linee e proposte emergenti per una politica locale di sostegno e promozione sociale della famiglia;. AA.VV. “Strategia di politiche familiari”. Franco Angeli. Milano, 1999.
[11] L. Campiglio. “Cittadinanza alla famiglia”. Città Nuova, 1995
[12] https://www.avvenire.it/mondo/pagine/sanit-a-pezzi-e-may-crea-il-ministro-della-solitudine
[13] http://www.corriere.it/alessandro-davenia-letti-da-rifare/18_febbraio_11/alessandro-d-avenia-letti-da-rifare-non-paese-figli-padri-57454284-0f44-11e8-9d69-9be999237a8e.shtml
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