Dopo aver raccontato le strategie degli LGBTQ contenute nel libro “After the ball”, l’autrice passa alle conclusioni e considerazioni finali.
Quali considerazioni si possono trarre dalla lettura di questo libro?
Leggendo i tre metodi illustrati nella prima parte (desensibilizzazione, bloccaggio e conversione) e le otto strategie della campagna Waging Peace, salta subito all’occhio che tutti quanti sono stati utilizzati non solo dagli attivisti LGBT, ma anche da tutti quegli altri gruppi che aspirano al bollino di vittima ufficiale in modo da poter reclamare diritti inesistenti o speciali a discapito della maggioranza dei cittadini (vedasi il movimento femminista, ad esempio).
Negli ultimi anni i media sono stati inondati da personaggi della galassia LGBT, tanto che ormai diventa sempre più difficile trovare film, serie TV o spettacoli di intrattenimento in cui non siano presenti e ritratti in maniera positiva e simpatetica. Ovviamente, chiunque osi dissentire dalle loro posizioni viene trattato alla stregua di un nazista e zittito, anche quando si tratta di omosessuali (vedasi i casi di Dolce e Gabbana o di Platinette).
Persino la strategia numero 7 (Fa’ in modo che i gay sembrino buoni) comincia a essere messa in pratica. Tempo fa mi capitò di vedere su Facebook una foto di Alan Turing con sotto una scritta che diceva più o meno “Se oggi puoi usare il computer lo devi a questo gay” (peccato che il primo programmatore della storia fu Ada Lovelace, figlia del poeta George Byron, ma dato che non era lesbica probabilmente non conta). Inoltre, come si può leggere in questo articolo la California sarà il primo Stato americano a usare libri scolastici LGBT-inclusive, in cui verrà specificato non solo quali personaggi storici erano omosessuali, ma anche quelli di cui si sospetta soltanto che lo fossero. Tanto (come spiegato da Kirk e Madsen) sono morti, quindi non possono replicare.
Le scuole, infatti, sono ormai il terreno di battaglia degli attivisti. In molti paesi “civili” tutte le scuole di ogni ordine e grado prevedono lezioni di indottrinamento sul tema LGBT e in alcuni casi si sta anche pensano di renderle obbligatorie. La motivazione è sempre la stessa: ridurre il “bullismo antigay” e l’omofobia. Negli ultimi anni, infatti, pare che “bullismo omofobo” sia diventato l’emergenza numero uno delle scuole, il che è piuttosto strano dato che chiunque abbia frequentato una scuola sa che si può essere presi in giro per qualsiasi motivo: perché si è grassi (pare che l’essere grassi sia la causa principale delle prese in giro), perché si portano gli occhiali o l’apparecchio ai denti, perché si ha un nome o un cognome buffo, perché si hanno i capelli rossi o le orecchie a sventola, perché si è troppo alti o troppo bassi… Nessuno, però, propone di fare corsi contro questi altri tipi di bullismo (e in ogni caso anche se li facessero sarebbe inutile, perché i corsi antibullismo non servono a niente).
Inoltre, come consigliato nella prima parte (pag. 136), possiamo anche vedere come la comunità LGBT si tenga alla larga da qualsiasi argomentazione logica, scientifica o razionale, ma faccia solo discorsi destinati a colpire la pancia del pubblico. La cosa strana è che poi gli stessi autori (come abbiamo visto nella terza parte) criticano questo modo di fare da parte dei portavoce della comunità gay, per cui viene il dubbio che Kirk e Madsen fossero un po’ dissociati o sofferenti di bipensiero.
Il problema è che l’attivismo gay si basa su una serie infinita di menzogne (d’altronde sono stati gli stessi autori a spiegare che i gay hanno una forte tendenza a mentire), una delle quali è appunto l’omofobia. Per quello che riguarda l’Italia, recenti dati OSCAD , ad esempio, smentiscono l’esistenza in Italia di qualsivoglia “emergenza omofobia”, così come i dati OSCE. Quindi, in mancanza di reati omofobi, gli attivisti sono costretti a inventarseli: qui, qui e qui si possono trovare numerosi casi (completi di fonti) di finte aggressioni omofobe. Tra l’altro, come avevamo già illustrato in questo articolo, anche uno dei più famosi crimini d’odio omofobi, l’omicidio di Matthew Shepard, non aveva nulla a che fare con l’omofobia (altri casi di finta omofobia si trovano anche nel libro Unisex, di E. Perucchietti e G. Marletta).
Il motivo per cui gli attivisti si sono inventati l’omofobia è che solo attraverso di essa possono sperare di far passare leggi che criminalizzino il dissenso (come esistono già in altri Paesi), per cui anche il semplice fatto di avere posizioni diverse da quelle della comunità LGBT diverrà un “hate crime”. E l’hate crime e la “discriminazione” servono alla comunità LGBT perché è solo attraverso di essi che gli attivisti riescono a spiegare tutti i problemi che gli omosessuali hanno (depressione, consumo di alcol e droghe, suicidi, ecc.). Nel momento in cui si dovesse scoprire che non esiste né omofobia, né discriminazione, gli omosessuali sarebbero costretti a cercare altrove le cause dei loro problemi, e questo loro non vogliono/possono farlo.
Questo problema è legato all’altra grossa bugia su cui si basa tutta la narrativa gay, cioè “si nasce così” e “non si può cambiare”. Come abbiamo visto negli articoli precedenti, sono gli stessi attivisti a dire che omosessuali non si nasce, per cui se la moderna comunità LGBT proprio non ce la fa ad accettare “studi omofobi” come quello del dr. McHugh, potrebbe perlomeno dare retta ai suoi stessi componenti. Il fatto è che (come ben spiegano Kirk e Madsen) tutta la battaglia per i “diritti” si fonda proprio sul fatto che l’omosessualità sia non solo innata, ma anche immutabile. Se la comunità LGBT non avesse nulla da nascondere, accetterebbe un confronto aperto su studi, ricerche e dati, e tratterebbe con rispetto chi la pensa diversamente da loro (d’altronde non sono proprio loro a inneggiare alla “diversità”?). Invece l’unica cosa che sanno fare è insultare, minacciare (come ad esempio è successo agli autori del libro Unisex), gridare all’omofobo, invocare la censura o provvedimenti disciplinari e, in certi casi, anche vandalizzare autobus e picchiare, e questo nonostante Kirk e Madsen avessero sconsigliato l’uso della violenza (altri casi di “tolleranza” LGBT qui, qui, e qui). Verrebbe quasi il dubbio che continuino a usare il Mein Kampf come libro guida, e non il love is love…
La biglie, dunque, non è quella di cui gli autori parlano all’inizio del libro (gli omosessuali sono pochi), ma quella in cui gli attivisti pretendono di far vivere non solo gli omosessuali, ma anche il resto della società.
In realtà, se proprio vogliamo trovare l’omofobia, forse dovremmo cercarla tra gli stessi omosessuali. Il tasso di violenza all’interno delle relazioni omosessuali, infatti, è altissimo. Secondo uno studio del 2007, ad esempio, più del 32% degli omosessuali ha dichiarato di aver subito violenza da uno o più partner. Anche tra gli adolescenti il rischio di violenza da parte del partner è molto alto. Tra le lesbiche la situazione non è diversa. Ovviamente l’unica spiegazione che riescono a darsi è… la discriminazione e la cultura “eteronormativa”. Insomma, ti riempio di botte ma la colpa non è mai mia, è sempre degli altri (vedasi anche questo recente caso inglese). Tra l’altro non è neanche vero (come alcuni sostengono) che la scoperta di questo problema è recente e che quindi non ci sono studi sull’argomento. Già negli anni ’90, infatti, uscirono ben due libri sul tema: Men Who Beat the Men Who Love Them: Battered Gay Men and Domestic Violence (1991) e Violence in Gay and Lesbian Domestic Partnerships (1996). Se in quasi trent’anni, e (come vedremo) con tutti i soldi ricevuti, la comunità LGBT non è riuscita a risolvere un problema così grave, evidentemente o non le interessa risolverlo, o ne cerca le cause nel posto sbagliato (o entrambe le cose).
After the Ball, però, ci permette anche un’altra riflessione. Nella seconda parte gli autori descrivono lo stato della comunità gay nel 1989, una comunità divisa al suo interno, poco interessata alle battaglie e soprattutto senza soldi. Se questa era la situazione negli USA, possiamo supporre che nel resto del mondo occidentale le cose non andassero meglio. Ora, in Europa il primo Stato a legalizzare i matrimoni gay (e la scomparsa di termini come “padre” e “madre”) fu l’Olanda nel 2000, seguita da Spagna e Canada nel 2005. Dal 1989 al 2000 sono passati solo 11 anni. Com’è stato possibile che in soli 11 anni la comunità gay sia riuscita non solo a trovare i soldi per la campagna Waging Peace, ma addirittura a portarla avanti con successo?
Il caso dei matrimoni gay è particolarmente interessante, poiché in realtà a chiedere il matrimonio è solo un’esigua minoranza degli omosessuali. Nel già citato Unisex si parla dello 0,1% degli omosessuali americani. Nel libro Non nel mio nome. Un omosessuale contro il matrimonio per tutti, l’autore dice che, prima della legge Taubira, di tutte le coppie francesi solo lo 0,6% era formato da coppie dello stesso sesso. Addirittura gli omosessuali francesi erano così contrari al matrimonio per tutti che si sono riuniti in un collettivo chiamato Homovox . Queste cifre così basse sono confermate anche dal numero di matrimoni celebrati. Questo articolo, citando un sondaggio Gallup, mostra che addirittura negli USA, dopo la legalizzazione dei matrimoni gay a livello federale, non solo non c’è stato nessun picco di matrimoni, ma addirittura c’è stato un aumento di omosessuali single. Qui si possono trovare i dati relativi a Olanda, Belgio e Spagna e per quello che riguarda la Francia, anche lì, dopo un boom iniziale, i matrimoni tra persone dello stesso sesso sono in calo. Addirittura gli omosessuali argentini erano talmente poco interessati a sposarsi che la prima coppia di sposi era finta. Gli omosessuali, infatti, sanno quello che a noi etero viene tenuto nascosto (ma che abbiamo appreso dalla lettura di After the Ball), e cioè che le unioni tra omosessuali sono piuttosto precarie, quindi gli omosessuali non sono interessati né a sposarsi, né a mettere su famiglia. Di conseguenza la domanda nasce spontanea: come mai i capi di stato e di governo dei paesi occidentali sono scesi in campo in prima persona per legalizzare qualcosa che interessa meno dell’1% dei loro cittadini (compromettendo anche la loro carriera, dato che molti di loro poi non sono stati rieletti alle successive elezioni)? Perché non hanno mostrato la stessa sollecitudine per varare leggi che interessano tutti i cittadini (omosessuali compresi), tipo leggi su lavoro, scuola, pensioni, sanità, ambiente, cultura, disabili, patrimonio edilizio, ecc.?
A queste domande si può rispondere perlomeno in parte col vecchio adagio “segui i soldi”. Di recente è infatti emerso che tra le varie associazioni finanziate dalla Open Society Foundations di George Soros vi sono anche associazioni LGBTQ, come l’ILGA e l’italiana Arcigay (qui la lista completa dei beneficiari di Soros). Nel libro Unisex vengono elencate molte altre società ed enti che hanno finanziato e finanziano associazioni LGBT, come la MacArthur Foundation, la fondazione della casa automobilistica Ford, la Goldman Fund, la Rockefeller Foundation, e gruppi come Kodak, Hewlett-Packard, American Airlines, Apple, AT&T, BP, Chevron, Citigroup, Credit Suisse First Boston, Daimler Chrysler, Dell, Deutsche Bank, Ernst & Young, Estée Lauder, Intel, IBM, JP Morgan, Chase & Co, Johnson & Johnson, Levi Strauss & Co, Merril Lynch, Met-Life, Microsoft, Nike, Pepsi, Toyota, UBS, Xerox, Motorola e la Fondazione Playboy. Donazioni ai comitati pro matrimoni gay americani sono venute anche da Jeff Bezos di Amazon e Bill Gates. (Al contrario, quando Brendan Eich, ex AD di Mozilla Firefox donò soldi suoi ai comitati contro i matrimoni gay, lo scandalo fu tale che Eich dovette dimettersi).
È chiaro, dunque, che la campagna Waging Peace e i politici che hanno approvato matrimoni gay e unioni civili sono stati comprati con questi soldi (insieme a istituzioni, scuole, media, ecc.). Un tale fiume di soldi spiega anche come sia stato possibile che nel giro di un paio d’anni il movimento transessuale abbia guadagnato addirittura più “diritti” degli stessi omosessuali, tanto che oggi c’è gente che perde il lavoro se sbaglia pronome o afferma che il sesso non si può cambiare perché il DNA non si può cambiare. E si potrebbero fare tantissimi altri esempi al limite della follia (tipo il servizio sanitario inglese che offre test per il cancro alla cervice agli uomini che sono “diventati donna” e la legalizzazione del “terzo sesso” in Germania). Anche qui, se non ci fosse niente da nascondere, perché bloccare una ricerca su tutte quelle persone che si sono pentite di aver “cambiato sesso” e vogliono tornare indietro? Chissà, forse perché anche il “cambiamento di sesso” non ha alcuna base scientifica (come d’altronde tutto il resto del castello LGBTQ).
Insomma, ai politici non interessa nulla né degli omosessuali, né del resto della popolazione. D’altronde ce l’hanno detto in tutti i modi che noi per loro siamo solo feccia. Possibile che gli omosessuali siano così ingenui da pensare il contrario? I politici sono solo dei burattini che obbediscono ai loro burattinai e la prova ne è ciò che è successo in Grecia. La Grecia è sull’orlo del baratro (o forse ci è già sprofondata ) però… ha le unioni civili. I cittadini muoiono di fame e non hanno i soldi per curarsi (lo scorso dicembre hanno dovuto persino restituire la tredicesima), ma potranno morire uniti civilmente al loro partner.
Così come noi donne siamo state e siamo ancora ingannate e manipolate dal movimento femminista, allo stesso modo omosessuali e transessuali vengono ingannati e manipolati dagli attivisti LGBT (d’altronde i finanziatori sono gli stessi), utilizzando l’antica e sempre funzionale logica del divide et impera. Agli omosessuali è sempre stato fatto credere che il problema fosse fuori di loro: quando avremo derubricato l’omosessualità dal DSM saremo felici; quando l’omosessualità non sarà più un reato saremo felici; quando potremo sposarci saremo felici; quando potremo adottare figli saremo felici; quando avremo fatto il lavaggio del cervello a tutti quelli che non la pensano come noi saremo felici… Ma la felicità, come abbiamo visto, continua a sfuggirgli. Forse è ora che la maggioranza degli omosessuali non ideologizzati si faccia un serio e onesto esame di coscienza (usando il proprio cervello) e si chieda cos’è che vuole davvero. Allo stesso tempo farebbe bene a prendere le distanze dagli attivisti e dai militanti, perché se prima l’omofobia non esisteva, oggi l’atteggiamento violento e liberticida dei militanti rischia di rendere gli omosessuali sempre più insopportabili. Nel già citato Non nel mio nome, l’autore Jean-Pier Delaume-Myard riporta il pensiero di un suo vecchio amico omosessuale: “Prima vivevamo tranquilli. Adesso si cominciano a sentire riflessioni omofobe sempre più violente, cosa che era inconcepibile solo pochi anni fa. Ecco il risultato dell’irresponsabilità di queste lobby microscopiche, ma il cui potere di nuocere è inversamente proporzionale al loro peso reale.” Ad esempio, proprio di recente, sempre in Francia, diversi omosessuali hanno non solo preso apertamente posizione contro la strumentalizzazione degli omosessuali per estendere a tutti le tecniche di riproduzione assistita, ma hanno anche preso le distanze dal “monopolio delle associazioni cosiddette LGBT, rappresentanti autoproclamatesi delle persone omosessuali, nella pretesa di incarnare l’insieme delle loro voci.”
Ci sarebbero molte altre considerazioni da fare su After the Ball, in particolare sull’attacco che l’attivismo gay e trans ha sferrato nei confronti dell’infanzia, da cui traspare un odio così cieco e viscerale verso i bambini da essere indegno di qualsiasi essere umano, soprattutto se l’essere umano in questione si considera “civile” e si riempi tutti i giorni la bocca con la parole “amore”. Il tempo e lo spazio non ci concedono di andare oltre, ma su questo blog si trovano molti articoli sull’argomento (faccio solo notare, en passant, che nella terza parte del libro gli autori confermano che maschi e femmine sono diversi, al contrario di certe teorie “moderne”). La cosa fondamentale, in ogni caso l’abbiamo detta: la lobby LGBT si basa su un cumulo di menzogne, tenute in piedi da istituzioni varie e politici comprati coi soldi di grossi finanziatori (spesso di dubbia fama). Facendo un ulteriore sfoggio di bipensiero, Kirk e Madsen condannano l’uso di bugie “troppo grosse”: “La seconda sinistra caratteristica della propaganda è il suo frequente uso di bugie, una tattica di cui non abbiamo bisogno, né condoniamo. Nel lungo termine le bugie molto grosse funzionano solo per i propagandisti degli stati totalitari, che possono tenerle in piedi esercitando un controllo quasi completo sull’informazione. Nelle società pluralistiche come la nostra, però, chi dice in continuazione bugie su temi controversi viene inevitabilmente scoperto e screditato dai suoi opponenti” (pag. 162).
Ora la domanda è: la nostra è una società pluralistica o totalitaria?
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