Prometeo incatenato (Nicolas-Sébastien Adam, 1762)
I miti della scienza
di Giorgio Masiero
La scienza si oppone al mito, o piuttosto alcune sue teorie si basano su principi che altro non sono che nuovi miti?
Il mito, dagli albori dell’umanità, non è mai stato una favola per bambini, ma lo strumento con cui un popolo ordina la realtà, che altrimenti gli apparirebbe un turbinio d’immagini senza senso, e così può abitare il mondo, organizzare le sue istituzioni e crearsi un’identità. Nel racconto di come ebbero origine gli astri e la terra, le piante, gli animali e gli uomini, e di quali eroi abbiano istituito le regole della società in cui si trova a vivere, un popolo trova il suo posto nel mondo. Il mito (dal greco mýthos, racconto sacro) è la narrazione intoccabile della storia passata e presente d’un popolo, ed anche del futuro che immagina per sé. La scuola e i media invece, inseguendo Comte, c’istruiscono ad attribuire l’origine e la persistenza del mito all’ignoranza dell’uomo antico che, succube dell’incontrollabilità delle forze naturali, si sarebbe rifugiato in esso per sfuggire all’ansia e al terrore. Oggi non è più così, canta la dottrina “positiva”: noi viviamo nell’età moderna, l’ultimo stadio della storia in cui la scienza, dandoci la vera conoscenza della realtà e il dominio sulla natura, rende obsoleto il mito e discioglie le identità etniche nell’umanità globalizzata.
La scienza come opposizione al mito, ci dicono: ma è davvero così? o piuttosto anche gli scienziati possono essere moderni vati, cantori di narrazioni atte a interpretare l’esperienza secondo lo Zeitgeist? Sta alla filosofia il giudizio sulla scienza e i suoi principi, che sono gelosamente custoditi dagli esperti. In questa operazione di “disvelamento” (che è la parola greca per verità, à-létheia, e tramanda l’insegnamento che la verità si cela e che per intravederla occorre incidere la superficie), la scienza è spogliata dell’aura magica e torna ad essere un artefatto umano come altri.
Un’occhiata alla storia politica, economica e tecno-scientifica dell’Occidente dimostra che alcuni pochi miti, i cosiddetti paradigmi kuhniani, precedono la scienza in epoca moderna, proprio come altri la precedevano in antichità (e altri ancora la precederanno in futuro). I miti eccedono la dottrina, così come le cause comprendono gli effetti e gli originali le copie. E la scienza non libera dal mito, ma con la potenza della tecnica v’immerge i suoi cultori fino a non vederlo, in esso risiedendo la perla del mistero come nel naòs del tempio. Cosicché tutti, credenti e non, costruttori e iconoclasti, saggi e folli, abbiamo i nostri miti, anche chi nega di averne. Solo abbiamo miti diversi, più e meno coerenti, ed una diversa o nulla consapevolezza di possederli.
I grandi miti della scienza moderna sono tre: il meccanicismo, l’evoluzionismo e l’emarginazione dell’umano. E, altrettanto degli dei di Omero, sono inconsistenti e utili soltanto alla conservazione sociale.
Il meccanicismo è l’idea donataci da Cartesio d’un mondo-macchina fatto come un orologio, che era nel ‘600 la macchina per antonomasia. Per il meccanicista ciò che la scienza osserva è pura materia, res extensa, le cui parti interagiscono attraverso forze attrattive o repulsive e dove il moto complessivo è stabilito dalla disposizione delle parti. Il successo del riduzionismo meccanicistico è stato spettacolare: dalla pubblicazione dei “Philosophiae Naturalis Principia Mathematica” (1687) di Newton fino agli inizi del XX secolo, esso fu considerato la chiave per aprire i cassetti dei segreti della natura, dal moto degli astri al funzionamento degli atomi. Lo schema si è esteso ben oltre la meccanica, fino ad abbracciare l’elettromagnetismo prima e la fisica dei quanti poi, anche se né l’uno né l’altra possono essere rappresentati in termini meccanici. Neanche la rivoluzione di Einstein, che buttò all’aria gli assiomi di Newton, ha ammazzato il paradigma: la relatività descrive, per mezzo di un sistema di equazioni differenziali, un universo che è ancora parzialmente meccanico in quanto predicibile come un meccanismo.
La falsificazione definitiva del meccanicismo si è avuta solo con la meccanica quantistica, che – a riprova della validità di un mito più antico, quello platonico della caverna – è chiamata “meccanica” anche se non è una meccanica. Le coordinate e le velocità, che nella fisica classica erano numeri determinati univocamente (almeno in linea teorica) dalle equazioni del moto, diventano in fisica quantistica operatori che, dalle canoniche regole di commutazione, estraggono solo una conoscenza probabilistica delle osservabili del sistema e della loro evoluzione temporale. Il vuoto quantistico poi – un ente dotato di proprietà fisiche, ma privo di struttura spazio-temporale – annacqua i concetti di corpo isolato, località e causalità. Attraverso il vuoto, la storia dell’universo invischia tutti i fenomeni (entanglement), in particolare quelli compresi nella zona mesoscopica della biologia, dove le condizioni al contorno pesano come le leggi d’invarianza. Non che la fisica quantistica dei campi sia l’ultima parola: c’è tanto lavoro da fare per i giovani fisici teorici che vogliano eliminare la sua incoerenza con la relatività generale e rimediare al disastro dell’attuale discrepanza tra teorie e dati, ma è pacifico che un ritorno al meccanicismo è escluso.
Il secondo mito, quello evoluzionistico, ha avuto invece una storia di fallimenti fin dall’inizio, perché non ha mostrato alcuna capacità predittiva, né applicativa. Esso è un caso unico nella storia della scienza naturale per questa sua nullità epistemica, tecnologica ed economica. Come si spiega che un postulato metafisico, ammantato di vesti scientifiche, abbia goduto di così calorosa e duratura accoglienza in ambito accademico? Darwin partì dall’ipotesi che le specie esistenti derivino da una o poche specie primitive attraverso catene di discendenza estesesi per milioni di anni. Anche tralasciando i meccanismi attraverso cui si sarebbe prodotta la differenziazione, è chiaro che Darwin concepì l’evoluzione biologica come un processo graduale che coinvolse innumeri forme intermedie, molte se non la maggior parte delle quali dovrebbe essere registrata nei reperti fossili. Invece, eccezion fatta per una manciata di campioni molto dubbi, non c’è traccia di tipi intermedi. Stephen J. Gould abbandonò il continuismo darwiniano proprio per questa ragione: “La maggior parte delle specie non mostrano alcuna mutazione durante la loro esistenza sulla terra. Esse appaiono nei reperti fossili sempre uguali a quando spariscono; i cambi morfologici sono solitamente limitati e senza una direzione”. Normalmente in scienza sperimentale questa lacuna basterebbe a falsificare il mito, e già Darwin si era rassegnato all’eventualità, in assenza di nuove scoperte fossili… Non Gould però, che rimase darwinista fino alla morte, né la biologia maggioritaria dei nostri giorni, secondo cui il “fatto” dell’evoluzione sarebbe accaduto a tal velocità ed in così specialissime condizioni che le forme intermedie sarebbero sparite senza lasciare traccia. L’evoluzionismo passa l’esame di Popper come i raccomandati i test di ammissione: non gli è permesso di fallire!
Matematicamente poi, l’evoluzione “si sostiene su dozzine e dozzine di migliaia di miracoli” (Marcel-Paul Schützenberger). Lo capisce anche un bambino. Consideriamo il flagello batterico, una sorta di remo usato dai batteri per muoversi nell’acqua e mosso da una macchina rotatoria molecolare alimentata da un acido. A seconda del microbo, il funzionamento coinvolge diverse decine e anche centinaia di tipi di proteine, che devono essere tutte presenti contemporaneamente al loro posto di lavoro perché il flagello svolga la sua funzione. Questo è l’esempio più “semplice” di ciò che Schützenberger chiamava “complessità funzionale”: un sistema organizzato di molte componenti, interagenti tra loro così da svolgere una funzione e tali che la mancanza di una sola componente impedisce al sistema di svolgerla. Questa nozione è cruciale per capire perché il darwinismo è un insieme infinito di miracoli. Tuttavia essa non avrà alcun peso per un darwinista, perché il mito è l’ultima cosa cui un uomo può rinunciare.
Naturale quindi che la Società italiana dei biologi evoluzionistici scelga a presidente non un ricercatore di un laboratorio chimico-biologico e nemmeno un fisico o un matematico, ma un filosofo con spiccate doti divulgative. I miti quanto più sono implausibili tanto più reclamano retori affabulatorî. E si capisce che i dipartimenti di biologia organizzino per gli studenti lezioni tenute da un giornalista, fan di Tolkien e scrittore di fantascienza. Per questo romanziere, l’idea di anelli mancanti nella catena fra le grandi scimmie e l’uomo è “ingannevole”, fraintende il “funzionamento vero” dell’evoluzione e, infine, supporta tutta “una serie di narrazioni errate sul posto che l’uomo occupa nell’universo”. Le peculiarità dell’essere umano dal bipedismo al linguaggio simbolico sarebbero tutti “errori” di trascrizione del DNA e l’evoluzione accaduta sarebbe stata solo una possibilità tra tante equiprobabili: “la Verità” – con la V maiuscola, precisa questo Signore degli anelli mancanti – starebbe nel “tempo profondo dell’evoluzione, un infinito corridoio buio, senza alcun segno che marchi una scala di riferimento” e dove può succedere di tutto. Compresa la serie di miracoli, chioso io, che non sono fatti accaduti in un “infinito corridoio buio”, ma fantasie assegnate ad un intervallo finito di 10^17 secondi, misurato dalla paleontologia e dalla fisica del carbonio.
Il terzo mito della scienza sta nel nocciolo del Principio cosmologico. Le equazioni della relatività e i dati astronomici non sono sufficienti a determinare la struttura globale dell’universo fisico, ne uscirebbero infiniti mondi diversi. Servono ipotesi addizionali, se vogliamo disporre di ufficiali incaricati di narrare la genesi “scientifica” del mondo reale in cui abitiamo. Seguendo Einstein, questi ufficiali, titolati cosmologi, adottano il postulato di uniformità spaziale nella distribuzione della materia. Ovviamente non un’uniformità rigorosa: qua c’è una stella (con la sua densità), là un pianeta (con un’altra densità), qua c’è un buco nero (con un’altra, altissima densità) e là il vuoto (con densità quasi pari a zero). Ma su larga scala, in media, essi predicano che il cosmo è come un gas di molecole, con una densità costante di tanti grammi per metro cubo. È questo “il vero Principio copernicano” – come lo chiamò il cosmologo Hermann Bondi – e non la storiella che s’insegna ai bambini sulla Terra che gira intorno al Sole. Ed è chiamato copernicano con piena ragione perché, anche se Copernico non sapeva nulla di densità spaziale media della materia, esso costituisce l’ultimo ripudio del geocentrismo e così porta a termine la rivoluzione intrapresa a suo tempo dal canonico polacco su… osservazioni astronomiche? No, su assunzioni teologiche neoplatoniche.
Altrettanto metafisiche sono le origini del Principio cosmologico: se l’universo a grande scala è dichiarato privo di struttura e di organizzazione e soggetto solo a fluttuazioni locali rispetto alla sua densità media come se fosse un gas, ciò non è la fine d’una catena di deduzioni derivanti dalle osservazioni astronomiche, ma è il principio – il Principio fondamentale della cosmologia – con cui la teoria interpreta i dati.
Quando Telmo Pievani, nella sua lettera aperta del 2013 a Enzo Pennetta, scrisse che “il non senso dell’evoluzione, cioè la sua mancanza di una direzione finalistica, appare a mio avviso limpidamente dalle conoscenze scientifiche attuali”, fece la stessa confusione tra ipotesi iniziali e conclusioni finali: l’ipotesi sposata dai darwinisti che il motore dell’innovazione biologica sia il caso implica necessariamente la conclusione del “non senso dell’evoluzione”. Le tesi che certi filosofi, biologi e cosmologi proclamano di dimostrare, non sono altro che le ipotesi da cui sono partiti e ciò che credono di ricavare dalle “conoscenze scientifiche” proviene soltanto dai loro pre-giudizi.
Einstein propose di estendere anche al tempo il principio di uniformità. Accortosi poi che le equazioni di campo non ammettono la stabilità d’un universo a-temporale, eterno, che collasserebbe invece sotto la gravità, le corresse con un termine addizionale, la costante cosmologica Λ. Presto però, un matematico sovietico e un prete belga dimostrarono indipendentemente l’esistenza di soluzioni del campo senza bisogno di costanti ad hoc, ma semplicemente lasciando variare nel tempo la densità della materia. I due avevano predetto l’espansione dell’universo, un cosmo della specie Big bang, e pochi anni dopo Edwin Hubble corroborò la predizione con osservazioni al telescopio. Einstein rinunciò allora al copernicanesimo temporale, scartò la costante cosmologica (“il più grande errore della mia vita”) e si adattò all’idea d’un universo iniziato ad espandersi una quindicina di miliardi di anni fa da una singolarità iniziale.
Non passò molto tempo però, che anche il copernicanesimo spaziale si scontrò coi dati. Oggi il divario tra teoria e osservazioni è diventato abissale, se Halton Arp – un astronomo restio a digerire teorie in contrasto con i dati – può dire: “I cosmologi trascurano le osservazioni che si sono andate accumulando negli ultimi 25 anni e che ora sono divenute schiaccianti”. Per esempio, si osservano galassie separate da miliardi di anni luce e si misurano velocità relative di allontanamento così basse che sarebbero richiesti centinaia di miliardi di anni – decine di volte l’età stimata dell’universo – per produrre quelle separazioni, se fosse vero il principio di densità uniforme. Un’altra difficoltà: non c’è sufficiente materia nell’universo per generare campi gravitazionali abbastanza forti da spiegare la formazione e la persistenza delle galassie.
Tali incongruenze sono superate dai cosmologi con trucchi che peggiorano le cose. Il problema è che essi non possono rinunciare al principio copernicano, pena la sopravvivenza della cosmologia. Come Kuhn ha bene spiegato, la prima preoccupazione della scienza ufficiale è di preservare il paradigma, di proteggerlo per così dire dai dati ostili. Cosa si fa allora se non c’è abbastanza materia nell’universo? La s’inventa, introducendo qualcosa di misteriosissimo chiamato materia oscura, una sostanza che non interagisce con i campi elettromagnetici e che di conseguenza risulta invisibile. La materia oscura è il provvidenziale god of the gaps che alza il campo gravitazionale ai livelli necessari a salvare il mito…, e con esso i posti di lavoro. Che poi non una particella di materia oscura sia mai stata osservata non importa. Se fosse osservabile, non sarebbe “oscura”, giusto? Anzi, si è costretti ad introdurre un secondo mistero doloroso, l’energia oscura, stavolta per spiegare l’accelerazione con cui l’universo si espande. Col risultato finale che il 95% di tutta la materia-energia dell’universo diviene “oscura”. Non è ironico che la scienza degli umani pretenda di parlare in nome di tutto l’universo trovandosi a rappresentare appena il 5%? Più antropocentrismo di questo…
A parlare per il convitato di pietra “oscuro”, la cosmologia copernicana resuscita Λ: così, la costante cosmologica prima introdotta dal panteismo di Einstein per narrare un universo senza storia e poi rimossa dall’osservazione di Hubble di un universo con storia, è ora reintrodotta per salvare il paradigma. Una servizievole duttilità, se si pensa che la prima volta Λ doveva servire ad evitare il collasso dell’universo ed ora, con un triplo salto mortale sulla 125ma cifra decimale, fa il servizio opposto di espandere l’universo senza però che le galassie si allontanino troppo.
Il principio copernicano è intimamente connesso con l’ideologia imperante di emarginazione dell’umano. Così nonostante le falsificazioni lo si conserva, anzi lo si estende, come un giocatore accanito che dopo ogni partita persa alza la posta: l’ultima versione è il principio di densità uniforme in media di vita nello spazio, cioè la credenza in un universo pullulante di specie aliene rispetto a cui l’intelligenza della razza terrestre si troverebbe a metà strada. Non importa che in 43 anni il programma SETI patrocinato dalla Nasa abbia dato esito zero, né che nessuno abbia mai incontrato un ET fuori dai set di Hollywood: la prova dell’esistenza di extraterrestri intelligenti è, ha annunciato trionfante un giornalista scientifico al telegiornale qualche giorno fa, che la CIA si occupa di Ufo da decenni. Come dire che la decisione USA d’intraprendere la seconda guerra del Golfo è la prova che Saddam possedeva armi di distruzione di massa.
E se noi uomini siamo una specie d’intelligenza mediocre in un universo popolato (al 33% ostile, per le leggi della probabilità), è giusto che lavoriamo a costruire macchine che ci superino ma al cui servizio possiamo sopravvivere. Che cos’è il transumanesimo in fondo, se non il super-mito che condensa in sé meccanicismo, evoluzionismo e copernicanesimo? Se poi le macchine non potranno mai avere sensibilità e coscienza, poco importa: in un’evoluzione decretata senza direzione, il sorpasso della macchina sull’uomo può avverarsi anche verso il basso, con persone deprivate di umanità e sempre più schiave della tecnica.
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77 commenti
Gentile Prof. Masiero,
seguo con interesse i suoi interventi. Chiedo scusa se il tema proposto lambisce solo vagamente questo articolo ma vorrei chiedere il suo parere sull’entusiasmo che da anni circonda la “morte definitiva del realismo locale”, celebrata dagli esperimenti citati, tra gli altri, in questi articoli de Le Scienze. Perdoni l’ingenuità: è veramente morto il “realismo locale”? Veramente “Einstein aveva torto” e la quantistica ha vinto ancora una volta?
http://www.lescienze.it/news/2015/10/22/news/realismo_locale_violazione_teletrasporto_quantistico-2812948/
http://www.lescienze.it/news/2016/04/27/news/violato_principio_realismo_fisica-3066939/
Grazie.
La invito a leggere il mio articolo https://www.enzopennetta.it/2017/05/il-giorno-del-feroce-attacco-di-einstein-alla-scuola-di-copenaghen/ dove è trattato specificatamente l’argomento.
È morta la “località”, non il “realismo”. Né potrebbe essere altrimenti, essendo il primo un concetto scientifico e il secondo filosofico.
Sì, avevo letto con interesse (e riletto ora con maggiore attenzione) il suo articolo precedente. Senza dubbio il “realismo” sta più nel campo della metafisica che non in quello della fisica, essendo fondato sulla certezza di un Essere per se stesso sussistente, che è in quanto è, e partecipa l’essere delle cose create. Tuttavia mi domandavo due cose: 1) quanto, alla luce del dibattito in corso, il ruolo di corroborante offerto dalla località al realismo sia considerabile come accidentale. 2) Lei giustamente scrive: “la MQ non relativistica è sostituibile con una teoria causale e senza indeterminismi, “razionale, chiara, esatta e sperimentalmente equivalente” (Bell, con riferimento alla teoria di Bohm dell’onda pilota) e allo stesso tempo esistono fenomeni fisici (detti di “entanglement”) in cui non vale la località, senza che ciò violi la relatività.”, sostenendo poi che possano esistere due MQ caratterizzate da implicazioni metafisiche molto distinte (casuale una, causale l’altra). Mi domando tuttavia quanto la via realista alla MQ sia fondabile e percorribile in un clima “scientifico” come quello esistente oggi e quanto fosse ancora valida la riflessione di Alberto Strumia in un
Ormai datato manuale di filosofia della scienza {“ La meccanica quantistica, nell’attuale formulazione, (come già fu l’astronomia tolemaica) per esempio, non si accorda facilmente con una visione realista e richiede di essere in qualche modo completata (Einstein) o rifondata a questo scopo o ritrovata come conseguenza di una meccanica più generale, come ad esempio la meccanica classica non lineare. Essa si presenta, nella forma attuale, piuttosto come uno strumento di calcolo (Bohr), così come l’astronomia tolemaica era considerata nel medio evo solo come uno strumento matematico per il calcolo della posizione dei pianeti, capace di salvare i fenomeni e non una spiegazione fisica che descrivesse la dinamica in base alla quale i pianeti effettivamente si muovono. [26] Il problema di riconsocere un contenuto di verità, ovvero la qualifica di spiegazione fisica ad una teoria matematica applicata alla natura piuttosto che ad un’altra, che pur salva i fenomeni sembra in un certo senso eccedere le forze della fisica–matematica e chiedere l’intervento di una disciplina non matematizzata, quale classicamente era la filosofia della natura, la quale considerando gli aspetti entitativi dell’oggetto permetta di dare fondamento e collocazione anche allo schema quantitativo–relazionale della descrizione galileiana dell’oggetto stesso.”}
Credevo di avere commentato ma forse ho involontariamente cancellato il commento. Condivido la riflessione sul carattere metafisico del realismo e ho apprezzato l’articolo precedente. Mi chiedevo tuttavia quanto il carattere corroborante della località, sia accidentale per il realismo e quanto l’opzione realista della MQ (quella causale e non casuale) sia sostenibile nel clima cultural-scientifico attuale. Infine chiedevo quanto si ritenesse condivisibile, alla luce di questo, quanto sostenuto dal Prof. Strumia in un ormai datato manuale di filosofia della scienza {“ La meccanica quantistica, nell’attuale formulazione, (come già fu l’astronomia tolemaica) per esempio, non si accorda facilmente con una visione realista e richiede di essere in qualche modo completata (Einstein) o rifondata a questo scopo o ritrovata come conseguenza di una meccanica più generale, come ad esempio la meccanica classica non lineare. Essa si presenta, nella forma attuale, piuttosto come uno strumento di calcolo (Bohr)”}
1. Non c’è legame tra località e realismo. Per 250 anni, dalla gravitazione di Newton alla relatività di Einstein, il mondo, cioè la filosofia e la fisica, hanno visto convivere felicemente l’azione immediata a distanza e il realismo. Oggi, quando misuriamo di una particella spin +1/2, sappiamo che la sua gemella entangled ha, non importa a quale distanza si trovi, spin -1/2.
2. Non sono d’accordo con la posizione citata di Strumia. Trovo molto più ragionevole credere che lo spin +1/2 della prima e -1/2 della seconda ce l’avessero da quando si sono staccate e che io osservatore non ho gli strumenti scientifici per saperlo con certezza prima della misura eseguita sulla prima (realismo), piuttosto che credere (come la scuola di Copenaghen) che la meccanica quantistica è completa e che la mia operazione di misura sulla prima particella ha provocato un’azione non locale sulla seconda.
3. Certo, la meccanica quantistica e la relatività vanno “rifondate”, quantomeno perché non sono reciprocamente coerenti e in spiacevole compagnia di un 95% di materia-energia “oscura”…
Grazie, tutto chiaro. Alla prossima,
Per quanto riguarda il punto 2, forse sono io che non ho capito il teorema di Bell e le successive verifiche sperimentali di Aspect, le quali dimostrano che le proprietà fisiche microscopiche NON pre-esistono all’atto di misura ma vengono appunto da esso create. Oltre a tutto, proprio questo mi sembra uno degli argomenti più forti, anzi risolutivo, contro la visione meccanicistica, cioè il primo mito.
Ha ragione, Cordani, mi sono espresso male. Dagli studi di David Bohm
a partire dagli anni ’50 e di John Bell
dagli anni ’60, nonché le evidenze sperimentali di Alain Aspect degli anni ’80, risulta che la MQ non relativistica è sostituibile con una teoria causale e senza
indeterminismi, “razionale, chiara,
esatta e sperimentalmente equivalente” (Bell, con riferimento alla teoria di
Bohm dell’onda pilota) e allo stesso
tempo esistono fenomeni fisici (detti di “entanglement”) in cui non vale la località, senza che
ciò violi la relatività.
Grazie per i suoi contributi…
Mi lascia però con un dubbio… chi è il giornalista fan di Tolkien che tiene lezioni per i dipartimenti di biologia?
Ho trovato un riferimento per l’ “infinito corridoio buio, senza alcun segno che marchi…”, ma non mi ritrovo con i suoi indizi
Grazie a Lei.
Quanto al giornalista, preferisco non fargli pubblicità. Non la merita.
Vorrei attirare l’attenzione dell’autore, su questo testo che mostra chiaramente come abbia frainteso il pensiero del citato Gould: http://www.stephenjaygould.org/library/gould_fact-and-theory.html
Aggiungo inoltre che la posizione ufficiale della Chiesa cattolica e che l’evoluzione sia un fatto. Poi, si può discutere sul ruolo della selezione naturale, ma pretendere che le voluzione non sia avvenuta, non è evidentemente ragionevole.
Il link che Lei riporta conferma ciò che ho scritto su Gould, laddove vi leggiamo: “… they [scienziati] are arguing that most evolutionary events may occur far more rapidly than Darwin envisioned”. Potrei riportare molti altri passi – ci ho scritto anche un articolo su CS – per dimostrare che Gould, pur dichiarandosi darwinista, non credeva al continuismo di Darwin.
La Chiesa cattolica si occupa di fede e la sua “posizione ufficiale” – fin dai tempi di Darwin, al contrario delle chiese protestanti – è che l’ipotesi dell’evoluzione non è contraria alla fede cristiana. Su ciò sono d’accordo, come ho ribadito in molti articoli. Ma la Chiesa tace sulla domanda se l’evoluzione sia accaduta o no, ciò non la riguarda.
Lei ha citato Gould (e solo Gould) nel contesto della critica al gradualismo come punto saliente della critica più generale all’evoluzione. Gould invece afferma che:
“Scientists regard debates on fundamental issues of theory as a sign of intellectual health and a source of excitement. Science is—and how else can I say it?—most fun when it plays with interesting ideas, examines their implications, and recognizes that old information might be explained in surprisingly new ways. Evolutionary theory is now enjoying this uncommon vigor. Yet amidst all this turmoil no biologist has been lead to doubt the fact that evolution occurred; we are debating how it happened. We are all trying to explain the same thing: the tree of evolutionary descent linking all organisms by ties of genealogy. Creationists pervert and caricature this debate by conveniently neglecting the common conviction that underlies it, and by falsely suggesting that evolutionists now doubt the very phenomenon we are struggling to understand”
Quindi il punto è sul come, non su “se” sia avvenuta, cosa piuttosto evidente.
Evidente al punto che un messaggio alla Pontificia Accademia delle Scienze, del Papa Giovanni Paolo II recita:
“Nella sua Enciclica Humani Generis il mio predecessore Pio XII aveva già affermato che non vi era opposizione fra l’evoluzione e la dottrina della fede sull’uomo e sulla sua vocazione, purché non si perdessero di vista alcuni punti fermi (cf. (Pio XII, Humani Generis,1950: AAS 42 [1950] 575-576)” (quella a cui lei fa riferimento)
E aggiunge:
“Oggi, circa mezzo secolo dopo la pubblicazione dell’Enciclica, nuove conoscenze conducono a non considerare più la teoria dell’evoluzione una mera ipotesi. È degno di nota il fatto che questa teoria si sia progressivamente imposta all’attenzione dei ricercatori, a seguito di una serie di scoperte fatte nelle diverse discipline del sapere. La convergenza, non ricercata né provocata, dei risultati dei lavori condotti indipendentemente gli uni dagli altri, costituisce di per sé un argomento significativo a favore di questa teoria.”
E ancora:
“Il Magistero della Chiesa è direttamente interessato alla questione dell’evoluzione, poiché questa concerne la concezione dell’uomo, del quale la Rivelazione ci dice che è stato creato a immagine e somiglianza di Dio (cf. Gen 1, 28-29).La Costituzione conciliare Gaudium et spes ha magnificamente esposto questa dottrina, che è uno degli assi del pensiero cristiano. Essa ha ricordato che l’uomo è “la sola creatura che Dio abbia voluto per se stesso” (Gaudium et Spes, n. 24). ”
Qundi la Chiesa non tace sulla questione, ma ne afferma la rilevanza, l’essenza e l’interesse.
Succede anche a me, Massimo, che Disqus – un software, quindi un ente privo d’intelligenza – blocchi gli interventi. Quindi stia sereno. Le rispondo.
Che Gould sia un evoluzionista, l’ho scritto prima di Lei, anche in questo articolo. Che la maggioranza dei biologi sia evoluzionista l’ho scritto prima di Lei, anche in questo articolo. Di che discutiamo, Massimo?
Io sostengo solo che il gradualismo (insito nella parola ‘evoluzionismo’) è falsificato,
e lo sostengo con argomenti di cui amerei avere da Lei e dagli altri evoluzionisti controargomentazioni. Sostengo inoltre, con riferimento a Gould e
ad altri evoluzionisti saltazionisti, che non si può essere bianchi neri, A e
non A. Lei chiama evoluzione il salto di regime del 1917 in Russia? Io la
chiamo “rivoluzione”.
Tirare in campo la Chiesa a sostegno dell’evoluzione la trovo poi un’operazione
comica, mi perdoni, nel nostro secolo. Il saluto di un Papa ad un convegno di
scienziati non rappresenta la “posizione ufficiale” della Chiesa. Né può esistere una “posizione ufficiale” della Chiesa su una teoria scientifica! Vogliamo tornare ai tempi di Galileo, in cui la Chiesa giudicava sulla scientificità delle teorie?
Se poi, invece di fermarci ai punti (da Lei) evidenziati in grassetto, si leggono gli altri passaggi del saluto, Lei vedrà che al Papa interessa solo di staccare l’uomo dall’evoluzione delle altre specie e di considerare l’uomo il culmine della Creazione. È evoluzionismo questo?
Colgo l’occasione di questo spazio per dare l’augurio di un buon anno a tutta la redazione di CS.
Sono mesi che non scrivo più ma non ho smesso e non smetterò di seguirvi.
Un caro saluto e grazie, Prof. Pennetta, per l’impegno e la dedizione che mette nel mantenere aperto, libero, interessante e utile questo spazio.
Saluto e ringrazio anche lei dott. Masiero per la sua… inestimabile presenza. Penso che senza di lei CS non sarebbe la stessa cosa.
Vorrei salutare e ringraziare il carissimo Htagliato (perdonate, sono affezionato ai vecchi nick). I miei migliori auguri e complimenti per il lavoro svolto (e ancora da svolgere) con lo stimatissimo dott. Giuliani.
Auguri e ringraziamenti anche alla Sig.ra Emanuela, al dott. Vomiero e la redazione tutta di CS (chiedo venia se ho omesso qualcuno).
Il pensiero e l’augurio va anche a tutti i commentatori e in particolare agli “storici”.
Mudgeridge, ViaNegativa, Cipriani, Simon, Minstrel, Greylines, sto coi frati (Maurizzio mi perdoni, sono nostalgico), Valentino, Max e tutti quanti.
Buon 2018… e oltre.
Paolos
Ora la smetto di tediare ulteriormente per qualche altro mese e vado a leggermi quello che so sicuramente essere il “solito” splendido articolo del dott Masiero.
Grazie a Lei, Paolo.
Grazie Paolo, ricambio gli auguri per un ottimo 2018 e oltre.
A presto.
Grazie ViaNegativa.
Ora che ho capito come funziona disqus (stavolta mi ci sono messo d’impegno e non mi sono arreso subito come tempo fa) forse parteciperò come un tempo… per sfortuna vostra :-)… Tanto, cose intelligenti da dire non ne ho granché. Mi sono rifatto vivo perché avevo piacere a salutarvi e non volevo fare la figura di quello che sparisce. E ho approfittato dell’anno nuovo.
A proposito…
Aléudin! Mi perdoni… Tanti saluti e auguri.
Grazie Paolos,
aggiungo che senza affezionati amici come te CS non sarebbe la stessa!
Ricambio gli auguri di buon anno.
Ringrazio il prof.Masiero per aver argomentato, in modo come sempre magistrale ed esaustivo, un tema così importante e che personalmente mi sta molto a cuore. Ma senza nulla togliere alla solidità e all’autorevolezza di questo articolo nel suo complesso, vorrei soltanto sollevare qualche spazio di opinabilità su alcuni punti trattati che potrebbero stimolare poi la discussione. Si è parlato di miti, ma anche di pregiudizi, io credo che tutti noi, chi più e chi meno, siamo pieni sia di miti che di pregiudizi, spesso sbagliati, e che quindi anche gli scienziati, in quanto persone umane, possano correre questo rischio. Tuttavia a mio avviso c’è una grande differenza tra la forma di conoscenza chiamata scienza e tutte le altre, che non posso qui riesaminare, ne consegue logicamente che lo scienziato, proprio perché addestrato a ragionare in un certo modo, generalmente sa gestire meglio di altri sia il mito che il pregiudizio. E questo è già un buon punto di partenza. Non so se converrà con me, prof.Masiero, ma io credo che se anche la scienza, più per ignoranza che per ideologia, dovesse generare qualche falso mito (che prima o poi andrà superato dalla prova dei fatti) ci troveremmo sempre e comunque in un piano concettuale fortunatamente ancora ben diverso da quello dei miti perenni e incrollabili che caratterizza invece discipline quali la teologia o la filosofia. Ed è questo aspetto sempre evolutivo e peculiare della scienza a costituirne la sua vera forza, aspetto che si percepisce chiaro e forte anche nel suo articolo, quando va a menzionare la successione storica e concettuale della varie grandi teorie che hanno caratterizzato la storia recente della scienza. Dei tre miti recenti da lei elencati io per esempio direi che il primo, quello del meccanicismo, è già stato superato negli ultimi decenni oltre che dallo sviluppo della teoria dei quanti, anche da una nuova epistemologia derivata dallo studio dei sistemi complessi. Ma è riguardo gli altri due “miti” che esprimo maggiormente le mie perplessità, in quanto dal mio punto di vista si tratta semplicemente di due ampissimi programmi di ricerca interdisciplinari in cui è quasi impossibile per il momento ricavare delle teorie unificanti e/o dei definitivi modelli standard, al di là dai sempre facili proclami mediatici e divulgativi.
Grazie, dott. Vomiero.
Ci sono nel Suo intervento diversi punti sui quali, detto schiettamente, non concordo. Le faccio, almeno per il momento, due domande:
1) quali sono, a Suo avviso, i “miti perenni e incrollabili” della filosofia?
2) non è anche questo Suo intervento, tutto filosofico, la dimostrazione che non si può fare a meno della filosofia, perché anche per criticare una filosofia (la mia) Lei ha usato un’altra filosofia?
Io le avevo semplicemente “chiesto” se condivideva o meno il fatto che, riguardo il mito, la scienza generalmente si collocasse su un piano concettuale diverso rispetto alla filosofia e alla teologia ed ho semmai opinato sulla definibilità di mito a proposito di evoluzionismo e cosmologia. Nessun attacco alla sua filosofia mi pare. Chiarito questo, è sicuro che ogni essere umano faccia della filosofia, credo, così come è altrettanto sicuro e documentato che ogni essere umano faccia la sua personale filosofia, essendo la filosofia anche un modo di pensare, credo. E’ questa la mia critica generale alla filosofia, rispetto alla scienza, e anche lei nella seconda domanda che mi ha posto sembra darmi ragione. Quindi venendo alle sue domande. 1)Certo, le filosofie a mio avviso sono piene di miti e lo dimostra il fatto che in 2500 anni di filosofia si è detto tutto e il contrario di tutto, ognuno di noi è la filosofia. Qualcuno apprezzerà Platone, qualcun altro Aristotele, qualcuno darà ragione a Eraclito, qualcun altro a Parmenide, la filosofia è la nostra visione stessa della vita, per ognuno diversa. 2)Concordo, e, come dicevo, la domanda stessa include la risposta che le ho dato per il primo punto, tutti facciamo filosofia. Da questa impostazione concettuale, traggo la conclusione che anche la scienza e gli scienziati fanno inevitabilmente anche filosofia, ma come già detto generalmente la sanno gestire meglio di altri. Per evitare confusione, prof.Masiero, chiarisco che io per mito non intendo soltanto la narrazione fantastica, ma anche la rappresentazione ideale o ideologica della realtà.
La filosofia è esercizio di critica anche del pensiero altrui. Quindi si può criticare la filosofia di X o di Y – io in questo articolo critico esplicitamente Comte e il positivismo -, ma non si può, ritengo, fare una “critica generale” alla filosofia, dott. Vomiero…, perché lo si farebbe usando ancora la filosofia!
Quanto al resto, ho dettagliato in questo articolo le diverse ragioni per cui meccanicismo, evoluzionismo e copernicanesimo cosmologico sono dei miti non più veritieri degli dei di Omero, e come non sia facile disfarsene da parte di chi è stato educato a crederci. Sono aperto a recepire le critiche specifiche alle mie ragioni.
Non mi pare proprio che il meccanicismo sia stato superato, Vomiero. Una delle più grandi multinazionali al mondo, Google, ha un programma di R&S sull’intelligenza artificiale per creare dei robot superiori agli umani, e il suo capo Kurzweil è uno dei più impegnati transumanisti al mondo. A Silicon Valley hanno già pronte le chiese e i fedeli per adorare la nuova super-macchina. E poi ci sono in ogni università ricerche, programmi e proclami per l’invenzione di macchine che ci sorpassino.
Bene fa Masiero, secondo me, a fare debunking su questo filone pseudo-scientifico, o mitico-scientifico, mostrando che il transumanesimo è proprio la sintesi di meccanicismo, evoluzionismo e disprezzo dell’umano.
Io credo che lei, Nadia, abbia ragione nel citare un vero e proprio “mito” che spesso salta fuori in ambito di ricerca tecnologica più che scientifica direi. Direi anche però che scienza e tecnica non debbano essere confuse, anche se, come è evidente, sono molto legate l’una all’altra. Lei ha citato Google e la Silicon Valley, certamente in questi casi esiste anche una forzatura ideologica di ragioni scientifiche per orientare l’opinione pubblica a credere che certi traguardi tecnologici siano utili e
alla portata, per poi riuscire a vendere gli eventuali gadget prodotti. Ma io per scienza intendo qualcos’altro, intendo prima di tutto la ricerca di base, le pubblicazioni scientifiche, i programmi di ricerca internazionali, riconosciuti dalle comunità scientifiche di settore e i migliaia di ricercatori anonimi che operano nei laboratori e sul campo per contribuire quotidianamente a un miglioramento della nostra attuale descrizione del mondo. La fisica teorica che conosco io o la biologia, per esempio, parlano oramai da tempo di un certo superamento del meccanicismo settecentesco. Poi naturalmente è ovvio che ci sono anche gli interessi economici, ma un conto è l’utile che giustamente deve ricavare la produzione di un farmaco salvavita e un conto è la speculazione prodotta sui “miti” tecnologici che piacciono sempre tanto alla gente, tanto per essere chiari.
Per non parlare delle società che ti surgelano post-mortem in attesa di fantascientifiche tecniche di resurrezione. Quando però si parla di IA una differenza va fatta la Debole esiste già io ci sto scrivendo, recentemente hanno trovato due belle falle (Spectre e Meltdown) nel suo sistema predittivo e, opinione mia, si può sperare di raggiungere un grado di complessità tale da rendere davvero quasi-umana l’esperienza con la macchina.
Grazie, professore, per questo ennesimo magistrale articolo.
A-letheia = de-bunking. Bello, non lo sapevo. Anche su questo non abbiamo inventato niente di nuovo rispetto agli antichi greci!
Grazie a Lei, Nadia.
Grazie, Masiero, per questo contributo che – non posso far a meno di notare – trae chiaramente spunto da un ottimo scritto di qualche anno fa firmato da Wolfgang Smith (“Science and Myth”), autore che mi sembra esser non troppo conosciuto (purtroppo) e che meriterebbe sicuramene maggior attenzione.
Per quella che è la mia esperienza personale, devo anche a scritti come questi l’aver intrapreso un percorso, in tutta onestà decisamente impervio, che mi ha condotto al cd “problema dei fondamenti” della scienza e al conseguente ripensamento delle posizioni convenzionaliste/strumentaliste con cui simpatizzavo un tempo, per spostarmi invece sul terreno (minato, di sicuro) del realismo scientifico di marca (per ora) strutturalista. E chi l’avrebbe detto!
Con l’occasione auguro buon proseguimento e buon lavoro agli autori del blog e buon anno a tutti.
Grazie, ViaNegativa. Conto sul Suo autorevole contributo, da cui molto ho imparato.
W. Smith è un gigante, poco conosciuto purtroppo, come Lei lamenta. Spero anche in futuro di trovare argomenti con cui attingere al suo pensiero interdisciplinare, fisico-filosofico.
En passant, Le devo confessare che il mio cammino è stato opposto al Suo, essendo passato dal realismo scientifico della gioventù ad una posizione convenzionalistico-strumentale della scienza in età più matura. Merito delle letture di Heidegger!
Grazie, articolo da leggere e rileggere.
Un ulteriore mito potrebbe essere la comparsa della vita? Oppure è da intendere nel calderone della evoluzione?
L’abiogenesi non può chiamarsi “mito”, Alèudin, finché non ne sarà dimostrata l’impossibilità. Certo, a proposito dell’origine della vita, miti (piccoli, ridicoli) sono la panspermia (che sposta solo il problema), Matrix (che è infalsificabile) o la tesi iper-darwiniana della nascita per caso (che è invocazione di un miracolo).
Si puó dimostrare scientificamente un impossibilitá?
Si certo che si può poichè prima della dimostrazione tu non lo sai è dopo il momento probatorio che arrivano le conclusioni; quindi sono ex-post e non ex-ante altrimenti non avrebbe senso cercare di dimostrare qualcosa che già sai. Da ultimo DIMOSTRARE è una parola davvero grossa da applicare all’ambito scientifico naturale cioè al reale; e infatti è mutuata dall’ambito matematico che NON studia il reale! Per ragioni ignote però i mezzi matematici sono in grado di descrivere bene i fenomeni reali, perciò a me a statistica medica hanno insegnato che non bisogna mai parlare di DIMOSTRAZIONE questo perchè ha un valore assoluto o quasi è invece più corretto parlare di ipotesi suffragate da etc…etc… difatti l’esperimento che ribalta la tua “dimostrazione” è sempre dietro l’angolo!
Gödel, su altre questioni, ha dimostrato due teoremi d’impossibilità, Blas.
Sono in linea con lo spirito dell’obiezione, Blas, ma la domanda (retorica) andrebbe posta meglio. Io avrei scritto così:
“una impossibilità metafisica è passibile di spiegazione scientifica?”
Risposta: ovviamente no, se è davvero tale.
Mi rendo conto, ViaNegativa, della Sua “correzione”. Io non sono esperto come Lei di metafisica, e mi accontenterei di una dimostrazione scientifica d’impossibilità (che sospetto esistere).
La scienza é limitata a quello che si puó sperimentare, secondo puó arrivare a dire non conosciamo le condizione in cui sarebbe possibile qualche cosa. Ma questo non constituisce una prova di impossibilitá.
Quelle di Gôdel sono dimostrazioni matemátiche io intendevo scienze sperimentali come la biologia.
Penso, Blas, che la biologia (ed ogni altra scienza sperimentale) non possa violare le leggi fondamentali della fisica, come i 3 principi della termodinamica per es. Certo, si tratta epistemologicamente di un’impossibilità diversa da quella logica, matematica o metafisica. Ma, a meno di ammettere che la biologia terrestre può violare la fisica – ciò che ne farebbe una scienza sperimentale con un suo statuto speciale, “vitalistico” – per me, se si dimostrasse che l’abiogenesi implica la violazione di una legge fondamentale della fisica, la considererei una dimostrazione della sua impossibilità.
Questo articolo di Masiero è un vero capolavoro, uno dei più belli che si siano letti su CS e che chiarisce con una sintesi efficace molte delle questioni che trattiamo fin dall’inizio, davvero il modo migliore per iniziare il nuovo anno.
Se ne potrebbe fare un manifesto di CS.
Riporto e ripropongo uno dei passaggi che personalmente più mi hanno colpito per efficacia e umorismo:
“L’evoluzionismo passa l’esame di Popper come i raccomandati i test di ammissione: non gli è permesso di fallire!”
Bellissimo!
Anche “il triplo salto mortale sulla 125ma cifra decimale di lambda“, giocando sulla quale i cosmologi ottengono predizioni opposte a seconda del pregiudizio che vogliono raccomandare non è male!
Mi aiuti a trovare un fossile che non rientri in nessuna filogenesi, che cioé non sia anello tra forme più primitive ed altre più evolute e lo facciamo fallire io e lei su Nature assicurandoci un IF tendente all’infinito. Mica male come idea …
La filogenesi non è prova di evoluzione (intesa come mutazione graduale di una specie in altre), ma di speciazione asincrona, possibile anche per trasformazione (cioè mutazione di intere reti genomiche) sempre più complessa.
Infatti non si può provare una teoria, al massimo la si può falsificare. E non sto dicendo che le filogenesi provino alcunché, solo che l’assenza di una filogenesi sarebbe una falsificazione. Da cui evoluzionismo e Popper
D’accordissimo. L’evoluzione è falsificata dalla paleontologia e, prima ancora, confutata dalla matematica. Questo è ciò che io ho scritto. E Lei, Luca, dovrebbe controargomentare su ciò che ho scritto, non attribuirmi ciò che non ho mai scritto né pensato.
Mi dispiace ma ho l’impressione che le sue falsificazioni non tengano. Se tenessero dovrebbero essere in grado di giustificare i dati paleontologici, stratigrafici, paleoambientali, radiocronologici che l’evoluzionismo oggi é in grado di accomodare. Questo é il contesto corretto, non altri.
Io non sono un paleontologo, in questo campo ho solo citato Gould, che lo era di mestiere. Io, per la preparazione matematica che ho, sono più che soddisfatto delle confutazioni di Schützenberger.
Se Lei vuole argomentare paleontologicamente, Se la prenda con Gould. Se vuole controargomentare a Schützenberger, sono tutt’orecchi.
Gentile prof.Masiero, perdoni questo mio ulteriore commento di perplessità, ma penso converrà con me che lo scopo di queste discussioni in questa interessante arena sia anche quello di cercare di capire e, se possibile, di imparare anche qualcosa di nuovo e di utile. Nel frattempo ho riletto anche il suo articolo “elogio della filosofia”, ma non ho trovato ancora gli elementi di convincimento che cercavo. Mi pare che lei colga nella filosofia un’identità che io invece trovo già nella scienza. Ecco perché non sento quasi mai il bisogno di confrontarmi soggettivamente con le variegate opinabili filosofie, senza nulla togliere alle importanti intuizioni che qualcuno è riuscito ad avere nel passato, seppure nel mezzo di un oceano di banalità, e mi scuso eventualmente per la mia franchezza. Ma spero avremmo modo di riparlarne, magari anche con l’aiuto del sempre gradito Vianegativa. Piuttosto volevo chiederle qualche delucidazione sulla sua visione dell’evoluzionismo, in quanto fino ad ora pensavo che la sua posizione fosse simile a quella del prof.Pennetta e quindi sostanzialmente evoluzione sì, darwinismo o neodarwinismo no. Sinceramente il suo accostamento al mito questa volta dell’evoluzione biologica (non mi piace il termine filosofico di evoluzionismo) mi ha un po’ spiazzato. Vorrei capirne qualcosa di più. Un’ultima cosa, ma se lei legittima pienamente la filosofia come “guardiana” della scienza, cosa su cui io invece nutro qualche dubbio, e sembra condividere, almeno per quanto scrive, il principio di falsicabilità inventato da un altro filosofo che è Popper, come mai poi critica il fatto che il presidente della SIBE sia proprio un filosofo epistemologo? Guardi che le mie domande non hanno minimamente lo scopo di irritarla, ma soltanto di ottenere delle risposte utili da una persona che stimo molto per la sua immensa cultura. Grazie.
In questo momento sono impegnato, dott. Vomiero. Le risponderò nel pomeriggio.
Non Si preoccupi, dott. Vomiero, Lei non mi irrita mai, al contrario dialogare con Lei mi arricchisce e mi stimola.
1. La filosofia? Sì, per me, come esercizio della ragione pura viene prima e sopra tutto. E per filosofia intendo qui, non la concezione di Tizio e Caio, ma l’apprendimento dell’arte della definizione, l’analisi della logica e la corretta procedura argomentativa, a cominciare dal rispetto dell’aristotelico principio di non contraddizione che proibisce di affermare contemporaneamente A e non A.
2. La parola evoluzione è strettamente connessa a gradualismo, a successione di piccoli cambiamenti. Per le ragioni che ho più volte spiegate, non solo in questo articolo, ma anche in tanti precedenti e che non mi sono mai state controbattute dagli evoluzionisti, il gradualismo in biologia è falsificato. La più recente, ulteriore falsificazione del gradualismo viene da una scoperta recente, di cui parlerò in un prossimo articolo. Io penso che si debba passare ad una teoria della trasformazione biologica, dove il passaggio da una specie all’altra avviene per cambio di reti intere del genoma, con la comparsa improvvisa di nuove funzioni e ammettendo una direzione della trasformazione verso specie sempre più complesse. La TRE può costituire il grande frame di riferimento, la teoria delle reti e la meccanica quantistica potrebbero trovare il bandolo della matassa, come ho mostrato in altri articoli.
3. La società dei fisici ha per presidente un fisico, quella dei chimici un chimico, quella dei biologi un biologo, quella degli ingegneri un ingegnere, dei medici un medico, dei dentisti un dentista, dei psicologi un psicologo, degli artigiani un artigiano, ecc., ecc. Perché quella dei biologi evolutivi un “filosofo dell’evoluzione”, ateista (non ateo, non scettico, ma un militante?) Per la mia interpretazione, si deve al fatto che l’evoluzione non è una scienza, ma una concezione filosofica particolare, una variante del naturalismo.
Grazie prof.Masiero per la risposta. Quindi una visione un po’ tecnica della filosofia, la sua, mi sembra di capire, intesa in questo senso, e non nelle soggettive concezioni di Tizio e Caio, comincio allora a sentirne anch’io una certa utilità. Riguardo l’evoluzione invece, naturalmente le nostre visioni divergono un pò, anche se non completamente, ci sarebbero moltissime cose da dire e/o da ribadire, cercando anche di stabilire dei punti fissi almeno, magari a partire dalla definizione, ma ora non c’è nè tempo, nè spazio. Attendo con piacere il suo nuovo articolo e casomai poi ne riparliamo.
Grazie a Lei. Penso anch’io che le nostre concezioni di come possa essere avvenuta la speciazione e di quanta strada abbiamo ancora davanti per saper pesare la contingenza, la necessità e una dose di ignoranza umana insuperabile non siano così distanti.
LA SCIENZA E’ UN MITO ?
C’é una differenza ovvia tra le narrazioni del mito e le narrazioni della scienza. Lungi da me dal sottovalutare l’importanza ed il valore delle narrazioni mitiche. Daltra parte l’uso dei simboli nelle scienze, e persino nella matematica hanno una funzione paragonabile a quella degli episodi mitologici. In particolare in geologia dove é comune l’uso di metafore.
Detto questo forse bisognerebbe anzitutto far chiarezza sulle differenze di merito. Altrimenti é la scienza in quanto tale a diventare un mito.
Purtroppo é davvero così per gli scienziati, per il pubblico, nella divulgazione scientifica:
– la scienza diviene davvero mito nell’abuso che ne fanno alcuni scienziati quando si ergono a teologi o tuttologi, uscendo perciò dal loro contesto (es Hawking per un verso, Zichichi per quello opposto);
– diviene mito nella testa del pubblico quando le affermazioni della scienza vengono percepite ed usate come assoluti.
– Personalmente penso che il ruolo principale della divulgazione
scientifica sia esattamente quello di aiutare il pubblico a ricollocare
le affermazioni della scienza nel loro contesto, altrimenti anche la
divulgazione finisce per appiattire le differenze essenziali tra mito e scienza ma purtroppo non é sempre così e i divulgatori forse più degli scienziati finiscono per cedere al fascino della tuttologia. Non sempre, di sicuro in questa occasione e provo aq spiegarmi
Innanzitutto si pongono sullo stesso piano concetti totalmente eterogenei. Il meccanicismo e l’emarginazione dell’umano sono concetti filosofici mentre l’evoluzionismo é una teoria scientifica. Mi limito a porre qualche punto fermo sull’evoluzionismo che conosco piuttosto bene. Masiero dice che non é in grado di prevedere alcunché. Peccato che sia stato in grado di prevedere e tutt’ora preveda che ogni nuovo fossile posto sotto osservazione si collochierà entro alberi filogenetici precisi ed oramai piuttosto stabili nel loro disegno. Un disegno che nel suo complesso va in modo abbastanza ordinato da forme semplici a forme complesse. Questo tipo di osservazioni ci permette oggi di correlare gli strati geologici tra Milano, Roma, la California, il Giappone. Tutto questo vi pare poco ?
in questa osservazione sta il nocciolo della questione. La qualità delle narrazioni, sia quelle che discendono direttamente da dati scientifici che quelle che discendono dlla riflessione filosofica si giudicano alla luce della ragione non in astratto Non come Verità assolute ed intoccabili, ma alla luce di quello che producono, non solo nel campo delle previsioni ma anche come generatori di un contesto fruttuoso allo sviluppo di nuove idee. Su questo secondo piano sì che una teoria scientifica può essere assimilata ad un concetto filosofico. Allora bisogna perlomeno riconoscere al meccannicismo il ruolo che ha avuto nell’esplorazione della realtà fisica, in particolare nella ricerca delle cellule, delle molecole, dei quanti. Lo stesso credo occorra ammettere per il principio cosmologico rispetto all’esplorazione dell’universo.
Ecco perciò al nocciolo la ragione della mia opposizione a Masiero: estrapola alcuni concetti dal loro contesto rendendoli lui per questo solo fatto “mitici”. Se esistono, come sicuramente anche Masiero riconoscerà, differenze essenziali tra mito e pensiero razionale, temo che stia rendendo un cattivo servizio alla ragione. Un sano empirismo, quello che guida (quasi) tutti i lavoratori in campo scientifico, richiederebbe una valutazione ben diversa.
LA SCIENZA E’ MITO ?
Lungi da me sottovalutare il valore dei miti. Anche nella
scienza l’uso dei simboli, l’uso di un linguaggio metaforico, è uso di
strumenti di narrazione paragonabili a quelli del mito. Tuttavia la narrazione
della realtà attraverso i miti o attraverso la narrazione scientifica é cosa
radicalmente diversa. Se non lo chiariamo la confusione diventa quantomeno
imbarazzante ed è la scienza stessa a diventare mito.
Purtroppo lo è già nei fatti e su diversi piani.
Lo è nell’abuso che alcuni scienziati fanno della loro
autorevolezza quando estrapolano i loro dati per dire cose totalmente fuori
contesto, invadendo ad esempio il campo della teologia o cedendo alla
fascinazione della “tuttologia” (penso ad esempio ad Hawking per un verso,
Zichichi per quello opposto). Lo è anche nella testa del pubblico quando le
affermazioni degli scienziati vengono assunte come degli assoluti (l’INGV ha
detto che posso continuare a dormire tranquillo in casa …). In questo senso il
ruolo della divulgazione scientifica dovrebbe essere appunto quello di aiutarci
a contestualizzare il ruolo delle affermazioni scientifiche, ma purtroppo la
fascinazione della tuttologia diventa nella divulgazione ancora più pericoloso
e pervasivo, e questo a me sembra anche il caso dell’articolo di Giorgio Masiero.
Provo a spiegarmi.
Innanzitutto si pongono sullo stesso piano concetti
eterogenei: il meccanicismo e l’emarginazione dell’umano sono concetti
filosofici mentre l’evoluzionismo è una teoria scientifica. Parto dall’evoluzionismo,
che conosco abbastanza bene. Si afferma che non è stato in grado di prevedere
niente ed una ben strana affermazione. E’
stato in grado di prevedere e promette di continuare a prevedere come ogni
nuova osservazione di vita fossile si collochi all’interno di una precisa
filogenesi. Le filogenesi hanno ormai un disegno piuttosto stabile e rispetto a
queste ogni fossile corrisponde all’osservazione di un anello mancante. Ha cioè
un prima ed un dopo, e nel complesso questa sequenza ordinata va da forme di
vita semplici a forme via via più complesse. Esistono “anelli” tanto importanti
non solo tra specie ma addirittura tra classi, se oggi gli uccelli vengono
fatti risalire addirittura ai dinosauri, come del resto i coccodrilli.
Qui allora sta il nocciolo della questione: se vogliamo fare
un discorso razionale, ogni affermazione può essere giudicata solo nel rispetto
del contesto che l’ha generata e a partire dai frutti che a sua volta ha
generato. Se oggi possiamo ricostruire la storia della terra, correlare strati
geologici non solo tra Milano e Roma ma anche tra Milano la California ed il
Giappone … vi pare poco ? Questi si può fare solo grazie alla biostratigrafia e
rappresenta il frutto, la previsioni azzeccata dall’evoluzionismo. Se una
teoria scientifica si giudica così, un’idea filosofica si giudica nei confronti
di quanto ha prodotto nei termini di contesto di senso per le idee successive.
Allora il meccanicismo deve essere giudicato solo a partire da quel che ha
suggerito come possibilità di esplorazione della materia (cellule, molecole,
atomi, quanti …) egualmente il principio
cosmologico rispetto all’esplorazione dell’universo. Sapendo bene ovviamente
che la narrazione della realtà fisica può passare dal meccanicismo alla
probabilità, ma sapendo che questo avviene semplicemente su basi empiriche. Il
metodo scientifico poi è intrinsecamente e necessariamente un motore fortemente
conservativo, tendenzialmente impermeabile alle nuove ipotesi. Tuttavia la
(relativa) facilità con cui la fisica può passare da una filosofia
meccanicistica ad una probabilistica resta uno dei migliori esempi della bontà
del metodo. Lo sanno bene (quasi) tutti i lavoratori della scienza, starei
attento Sig Masiero ad attribuire loro abilità filosofiche o di narrazione che
non sono loro proprie.
Ecco allora perché non sono d’accordo con Masiero: perché
estrapola i concetti dal loro contesto rendendoli lui, così facendo, dei miti. Operazione
ahimé grave e pericolosa.
LA SCIENZA E’ MITO ?
Lungi da me sottovalutare il valore dei miti. Anche nella
scienza l’uso dei simboli, l’uso di un linguaggio metaforico, è uso di
strumenti di narrazione paragonabili a quelli del mito. Tuttavia la narrazione
della realtà attraverso i miti o attraverso la narrazione scientifica é cosa
radicalmente diversa. Se non lo chiariamo la confusione diventa quantomeno
imbarazzante ed è la scienza stessa a diventare mito.
Purtroppo lo è già nei fatti e su diversi piani.
Lo è nell’abuso che alcuni scienziati fanno della loro
autorevolezza quando estrapolano i loro dati per dire cose totalmente fuori
contesto, invadendo ad esempio il campo della teologia o cedendo alla
fascinazione della “tuttologia” (penso ad esempio ad Hawking per un verso,
Zichichi per quello opposto). Lo è anche nella testa del pubblico quando le
affermazioni degli scienziati vengono assunte come degli assoluti (l’INGV ha
detto che posso continuare a dormire tranquillo in casa …). In questo senso il
ruolo della divulgazione scientifica dovrebbe essere appunto quello di aiutarci
a contestualizzare il ruolo delle affermazioni scientifiche, ma purtroppo la
fascinazione della tuttologia diventa nella divulgazione ancora più pericoloso
e pervasivo, e questo a me sembra anche il caso dell’articolo di Giorgio Masiero.
Provo a spiegarmi.
Innanzitutto si pongono sullo stesso piano concetti
eterogenei: il meccanicismo e l’emarginazione dell’umano sono concetti
filosofici mentre l’evoluzionismo è una teoria scientifica. Parto dall’evoluzionismo,
che conosco abbastanza bene. Si afferma che non è stato in grado di prevedere
niente ed una ben strana affermazione. E’
stato in grado di prevedere e promette di continuare a prevedere come ogni
nuova osservazione di vita fossile si collochi all’interno di una precisa
filogenesi. Le filogenesi hanno ormai un disegno piuttosto stabile e rispetto a
queste ogni fossile corrisponde all’osservazione di un anello mancante. Ha cioè
un prima ed un dopo, e nel complesso questa sequenza ordinata va da forme di
vita semplici a forme via via più complesse. Esistono “anelli” tanto importanti
non solo tra specie ma addirittura tra classi, se oggi gli uccelli vengono
fatti risalire addirittura ai dinosauri, come del resto i coccodrilli.
Qui allora sta il nocciolo della questione: se vogliamo fare
un discorso razionale, ogni affermazione può essere giudicata solo nel rispetto
del contesto che l’ha generata e a partire dai frutti che a sua volta ha
generato. Se oggi possiamo ricostruire la storia della terra, correlare strati
geologici non solo tra Milano e Roma ma anche tra Milano la California ed il
Giappone … vi pare poco ? Questi si può fare solo grazie alla biostratigrafia e
rappresenta il frutto, la previsioni azzeccata dall’evoluzionismo. Se una
teoria scientifica si giudica così, un’idea filosofica si giudica nei confronti
di quanto ha prodotto nei termini di contesto di senso per le idee successive.
Allora il meccanicismo deve essere giudicato solo a partire da quel che ha
suggerito come possibilità di esplorazione della materia (cellule, molecole,
atomi, quanti …) egualmente il principio
cosmologico rispetto all’esplorazione dell’universo. Sapendo bene ovviamente
che la narrazione della realtà fisica può passare dal meccanicismo alla
probabilità, ma sapendo che questo avviene semplicemente su basi empiriche. Il
metodo scientifico poi è intrinsecamente e necessariamente un motore fortemente
conservativo, tendenzialmente impermeabile alle nuove ipotesi. Tuttavia la
(relativa) facilità con cui la fisica può passare da una filosofia
meccanicistica ad una probabilistica resta uno dei migliori esempi della bontà
del metodo. Lo sanno bene (quasi) tutti i lavoratori della scienza, starei
attento Sig Masiero ad attribuire loro abilità filosofiche o di narrazione che
non sono loro proprie.
Ecco allora perché non sono d’accordo con Masiero: perché
estrapola i concetti dal loro contesto rendendoli lui, così facendo, dei miti. Operazione
ahimé grave e pericolosa.
“La scienza è mito?”. Certo che no, Luca. Ho detto questo? Lei crede che io creda che le tecnologie sono sorte per caso, per successioni di miracoli? Io credo invece che ci sono teorie scientifiche serissime e corroboratissime dietro le tecnologie, teorie che sono tutt’altro che miti. Per es. teorie come la relatività, la fisica quantistica, ecc., quelle di ricerche mediche, ecc., e anche la deriva dei continenti, ecc. La invito, se vuole continuare il dialogo con me, a non crearSi degli strawmen di comodo, ma a riferirSi a ciò che scrivo. Ed io ho parlato di tre miti specifici retrostanti ad alcune teorie scientifiche: il meccanicismo, l’evoluzionismo e il principio cosmologico di densità media uniforme della materia nello spazio.
La filogenesi non è prova di evoluzione graduale (falsificata), ma di speciazione asincrona verso specie sempre più complesse. Di un trasformismo direzionale, dico io, piuttosto che di un evoluzionismo graduale, che è confutato dalla matematica, falsificato dalla paleontologia e anche da altre scoperte recenti di cui parlerò prossimamente.
Io mi sto riferendo a quanto da lei scritto Masiero e soprattutto da quanto NON scritto e che porterebbe a conclusioni decisamente diverse. Quelli che lei descrive non sono affatto miti, é lei a definirli tali e tali effettivamente diventano se estratti dal loro contesto di senso. Sono strumenti filosofici e teorie che vanno compresi nel loro contesto di razionalità, pena affermare appunto che TUTTA la scienza é un mito. Diventano miti in sé se si pretende di potere far assumere ai concetti scientifici valenze assolute e definitive, di tipo teologico anziché empirico. Ci vorrebbe credo più rispetto per la scienza e anche per la storia della scienza.
Proprio perché ho il massimo rispetto per la scienza vera, me la prendo, Massimo, con le superstizioni passate per scienza. Tali considero le 3 citate in questo articolo. E sono sempre pronto a ricredermi là dove trovi contro-argomentazioni valide, e non come nel Suo caso, finora, solo appelli alla fede. Credo che la Sua preparazione scientifica potrebbe fare molto meglio che ripetere questi appelli.
La matematica dice lei. Ha provato a calcolare quante probabilità ci sono che le regolarità quotidianamente verificate nelle successioni stratigrafiche NON siano il prodotto di un processo continuo (che tra le altre cose implica la graduale trasformazione delle specie viventi) ?
Non lo dico io, lo dicono matematici del calibro di Schützenberger (e altri).
Quanto al processo stratigrafico non ho alcun dubbio che sia “continuo” (a livello atomico). Dove Lei sbaglia, qui, è quel “implica la graduale trasformazione delle specie viventi”, che è solo un atto di fede, smentito dalla paleontologia e dalla matematica.
Siamo ad un punto morto dove ognuno ribadisce il suo concetto senza nemmeno cercare di ascoltare. Le faccio solo osservare che se tutto quello che lei sta dicendo, se le forme di vita fossero tout court incapaci di evolvere (i meccanismi biologici non sono stati tirati in ballo) una montagna di dati scientifici perderebbero di razionalità e accettare un vulnus simile per me vuol dire assumere un’ipotesi fideistica (mitica).
Allo stato la quasi totalità dei paleontologi é evoluzionista e per accettare questa ipotesi basta assumere come chiave di lettura il principio dell’attualismo e il rasoio di Occam, mentre per le sue ipotesi peraltro niente affatto chiare cosa serve ? Boh. Mi limito a discutere il piano della divulgazione qui condotta: non mi sembra affatto convincente, anzi decisamente fuorviante. Convincente lo potrebbe diventare solo se lei accettasse di discutere quelli che sembrano proprio assiomi (tre affermazioni della scienza sarebbero niente altro che miti …). Lo sono se evoluzionismo, meccanicismo e principoio cosmologico si fondassero su affermazioni fideistiche mentre io dico che si basano su osservazioni empiriche e razionali. A quanto pare lei non é disposto né ad ammetterlo né a controargomentare. Ammettere la razionalità delle correlazioni biostratigrafiche o giustificarle secondo principi diversi.
Ho argomentato nell’articolo. È Lei che non ha controargomentato agli argomenti di Gould né di Schützenberger, né di Arp, né sull’entanglement. Ma Si è limitato ad affermazioni fideistiche.
Ora Lai fa anche un po’ di confusione. Per es., dice: “Il principio cosmologico [di densità uniforme in media della materia nello spazio] si basa su osservazioni empiriche e razionali”. Questa è, mi perdoni, una stupidaggine, per cui verrebbe bocciato all’esame uno studente delle medie. Mi dice una, dico una sola, osservazione empirica (ignoro che esistano “osservazioni razionali”) che confermi il principio cosmologico?
Su una cosa convengo con Lei: siamo ad un punto morto.
PS. Lei continua a mettermi in bocca le Sue immaginazioni. Io non dico che “le forme di vita sono incapaci di evolvere”, perché entro la stessa specie ammetto che lo fanno (microevoluzione). Dico che le specie non si evolvono con continuità, ma si trasformano per salti. Chi di noi due “non ascolta” l’altro?
Per la verità ho descritto il principio cosmologico come una proposizione filosofica, non scientifica. Ho poi detto che proposizioni di questo tipo servono solo a creare un contesto di senso per la ricerca e ho detto che il principio cosmologico ha il merito di porre pone possibili criteri di lettura dell’universo. Ora se quello che osserviamo nelle teorie cosmologiche ha un senso non compiuto e razionale va dato semplicemente merito al principio cosmologico di averne aperto o facilitato la strada. Quello era il suo unico compito e su questa sola base va giudicato (bene o male non sta a me giudicare). E’ al contrario il suo giudizio astratto e decontestualizzato che non permette di comprenderne il senso trasformandolo ipso facto in un mito.
Trovo un cambio di tono, Luca, anche se in un linguaggio non sempre chiarissimo. Bene. Cmq, se il principio cosmologico va giudicato per le sue predizioni, come Lei consente, finora esso è un fallimento totale, per le varie ragioni che ho elencato e cui Lei non ha controreplicato (nemmeno ad una sola).
Non ho bisogno di controreplicare alcunché né ho cambiato tono e mi dispiace per i possibili malintesi. Il mio pensiero l’ho espresso credo con sufficiente chiarezza ieri ma inspiegabilmente é stato cancellato due volte ed ora é in attesa di approvazione, penso che in questa condizione non sia possibile dialogare. In ogni modo, il nocciolo della mia posizione:
– lei ha pienamente diritto di dare il suo giudizio documentato e ben scritto sui tre argomenti scientifici in discussione. Prendo atto dei suoi argomenti ma resto della mia opinione perlomeno sull’evoluzionismo, in compagnia con la quasi totalità dei miei colleghi e anche dei suoi (esempio Giuliani e Damasco)
– ma non può sostenere che si tratta di miti sinché si rifiuta di prendere in considerazione le ragioni della grandissima maggioranza degli uomini di scienza che ad essi si riferiscono oggi o si sino riferiti in passato. Pena squalificare la Scienza stessa. E non per sottovalutazione della miti o sopravvalutazione della scienza, ma proprio perché sono ambiti del tutto diversi. Penso sia lei a dover perlomeno prendere atto.
Non dica bugie: Lei è in buonissima compagnia, Glielo concedo, ma non di Giuliani né di Damasco, che come me puntano
– alla congettura scientifica (non al “fatto”) di una speciazione
– per salti, nella quale il caso/contingenza ha avuto un ruolo marginale rispetto a cause fisiche al momento ignote e
– direzionale, culminata nella specie umana.
A queste 3 condizioni, come ho spiegato a Nadia due ore, non mi impicco ai termini. Se vuole chiamarla evoluzione, non ho nulla in contrario.
La bugia é quella di sostenere che chi non la pensa come lei (la quasi totalità degli scienziati) é un mitomane anziché uno scienziato e questo lo considero incredibilmente grave, un modo di squalificare la scienza nella sua interezza.
Poi se lei parla di evoluzione e qualcuno, poniamo come me e Nadia, non capisce di cosa stia parlando … al suo posto qualche domanda sulla completezza o accuratezza o chiarezza di quel che scrive io me lo porrei.
Oltretutto poche settimane fa abbiamo interrotto una discussione proprio sulla tre e anche in questo caso é possibile che io non abbia capito bene ma sta di fatto che né in quella occasione né in altre similari dalle parole di Damasco (che parla di risonanza “evolutive”, e sottolineo evolutive) ho potuto ricavare quel che lei dice. Solo ignoranza mia o anche in questo caso cattiva comunicazione da parte vostra ?
Ignoranza da parte Sua, in particolare del significato di risonanza fisica.
Nessuna bugia da parte mia, invece, che ho sempre riconosciuto anche in questo articolo come la pensano la maggior parte degli scienziati. Piuttosto volubilità da parte Sua, che prima afferma il “mio pieno diritto ad esprimere il mio giudizio” e subito dopo mi accusa di essere bugiardo.
La chiudo qua. Addio.
Questa dei salti dal punto di vista paleontologico e con un minimo di nozione di cosa siano i dati nelle scienze della terra é una sciocchezza. Quando gli antichi postulavano natura non facit saltus in qualche modo proponevano semplicemente quello che oggi é il principio dell’attualismo. E non vuol dire – come ha cercato di suggerire nell’ultima discussione sviando dal nocciolo della questione – che non esistano discontinuità ma semplicemente che alla nostra interpretazione devono bastare le sole discontinuità in atto oggi stesso sotto i nostri occhi. La TRE (ESATTAMENTE COME DARWIN) questo fa e la TRE ha senso solo se vogliamo giustificare l’evoluzionismo.
Lo dica a Gould, paleontologo, non a me che i salti in paleontologia sono una sciocchezza. Io li vedo ogni volta che entro in un museo paleontologico, Lei no?
Quanto alla storiella antica che natura non facit saltus, Lei è ancora fermo alla fisica classica. Questa trasformazione:
n -> p + e + antineutrino
che cos’è, secondo lei?
Una reazione nucleare con legge dipendente dalla concentrazione dello ione genitore di tipo logaritmico e con tempi di dimezzamento che dipendono dalla specie atomica. Qualcosa perciò che accade istante per istante in modo continuo sotto i nostri occhi e non si capisce cosa c’entri.
Vorrei comprendesse che non sto discutendo qui con lei dati e interpretazioni scientifiche ma il suo modo di fare comunicazione che a me pare scorretto. In modo indipendente dalle legittime interpretazioni o opinioni personali. Credo nessuno nè in campo scientifico nè in nessun altro campo possa seriamente permettersi di assumere un’nterpretazione della realtà minoritaria (eufemismo) senza prendere in nessuna considerazione le
Opinioni opposte, limitandosi anzi a dileggiarle come “mitiche”
I salti biologici più grandi io li vedo non nei musei di paleontologia, che mostrano una raccolta di fossili, ma tutti i giorni nell’arte, la matematica, la filosofia, la scienza, le tecnologie, ecc., in tutte le espressioni del linguaggio simbolico, che staccano infinitamente l’uomo da tutte le altre specie. Ci sarà una ragione, caro Luca, se Tattersal, Lewontin, Chomsky e altri 5 scienziati chiamano questo salto un mistero!
Ha perfettamente ragione, Nadia. Lo stesso Monod considerava il linguaggio simbolico umano un’eccezione cosmica.
Comunque io non sono interessato con i darwinisti a disquisire sui nominalismi. Vogliono parlare di evoluzione (interspecifica) invece che di trasformazione? Lo facciano, ma a 3 condizioni:
1) purché si tratti di ipotesi scientifica e non di “fatto”,
2) purché si tratti di mutazioni discontinue (cioè per salti di interi geni e anzi di reti di geni) e
3) di un’evoluzione orientata ad una complessità crescente al cui culmine c’è l’uomo.
Il mito insomma è l’evoluzionismo darwiniano, fatto di piccole mutazioni casuali e senza direzione, che s’insegna a scuola e si divulga alle masse.
La matematica dice lei. La matematica non può confutare un bel niente, é solo uno strumento di descrizione e dipende dai numeri che ci mette dentro. Ad esempio la TRE tanto cara a questio sito (e tanto mal spiegata a mio avviso) pone i suoi calcoli delle probabilità su un piano nuovo e molto diverso.
Vedi sopra. Mi aspetto decisamente molto di più da Lei, da cui sono sicuro avrei molto da imparare.
Approfitto dell’articolo per riprendere una riflessione sul stesso tema “evoluzionismo” che avevo lasciato in un articolo precedente (non ho potuto continuare la discussione per qualche giorno, poi i commenti sono stati chiusi). Intanto rilancio il problema poi se ne può discutere prossimamente, dato che è un tema caldo su questo sito.
Il problema è il riflesso culturale della visione darwiniana/gradualista del mondo. Si teme che la sua concezione miri ad avvallare una visione dell’uomo riduzionista, che tenda cioè ad “appiattire” l’uomo sulla sua animalità, e con lui tutte le sue scelte e le sue opere. Si potrebbe dire che, per molti la filosofia naturale di Darwin avvalla la filosofia dell’uomo di Nietzsche e i sui risvolti etici (anche se la seconda è stata elaborata più tardi). Ora, a mio parere il problema etico-filosifco esisterà finché qualcuno avrà interesse ad avvallare la visione di Nietzsche. Dubito che teorie dell’evoluzione diverse possano cambiare questo paradigma.
Faccio un esempio concreto: posso ipotizzare la nascita del primo uccello da un piccolo dinosauro piumato seguendo Darwin, immaginando qualcosa come 30.000 generazioni con piccoli cambiamenti casuali. Posso spiegare lo stesso passaggio con un’altra teoria, magati con la TRE, come avvenuto in 3 generazioni con complessi cambiamenti a cascata di reti di geni. Ma ciò non impedirà a scienziati e intellettuali (in buona o cattiva fede) a considerare un uccello come “di fatto un dinosauro”. E di conseguenza queste stesse persone potranno continuare a considerare l’uomo la famosa “scimmia nuda”. Personalmente preferisco affrontare la questione in un altro modo, ma forse sarà più consono parlarne in un articolo più incentrato sul darwinismo e le sue implicazioni filosofiche e sociali.
Comprendo la Sua posizione, Zimisc, ma per me non è così. La mia concezione della scienza sperimentale non è epistemica, neanche per le teorie più corroborate, ma solo convenzionale, operativa, strumentale, tecnologica. Io mi oppongo al darwinismo in termini puramente scientifici, di congettura che considero falsificata oltre che assurda, non per le sue conseguenze metafisiche o etiche, che considero nulle. E sono nulle anche le conseguenze metafisico-etiche della Tre, della meccanica quantistica, ecc, insomma di ogni altra teoria scientifica.