Ilaria Bifarini è una giovane scrittrice che nel corso di questo anno ha riscosso un notevole successo in seguito alla pubblicazione di “Neoliberismo e manipolazione di massa – storia di una bocconiana redenta”, un libro nel quale vengono mostrati i meccanismi psicologici e socioeconomici con i quali la società neoliberista viene edificata e fatta apparire senza alternative.
La vicinanza con quanto sostenuto in numerosi interventi qui su Critica Scientifica è molta, la grande accoglienza avuta dal libro testimonia quanto questo messaggio sia immediatamente riconosciuto come vero e necessario alla comprensione della società contemporanea e alla formazione di una corretta opinione sugli avvenimenti politici, sociali ed economici.
ep
Quando nell’aprile di quest’anno è stato pubblicato “Neoliberismo e manipolazione di massa – storia di una bocconiana redenta” abbiamo assistito a un vero caso editoriale, un libro che senza nessuna promozione e senza una casa editrice alle spalle si è imposto all’attenzione con un considerevole successo.
Cosa ha spinto Ilaria Bifarini a scriverlo e qual è il messaggio principale del libro?
La pubblicazione del libro ha rappresentato per me il punto di approdo di un cammino interiore, fatto di osservazione e presa di coscienza dei meccanismi manipolatori di cui siamo tutti, più o meno direttamente, vittime.
A seguito di esperienze lavorative e personali ho cominciato a percepire quanto fosse ingannevole la narrazione neoliberista, che io conoscevo molto bene e di cui ero inconsapevolmente imbevuta in ogni azione e scelta quotidiana. Così, in un percorso a ritroso, ho rielaborato tutti gli insegnamenti che avevo appreso nel corso del mio percorso formativo di tipo economico: laurea all’università Bocconi, master alla SIOI e corso di liberalismo presso l’Istituto Einaudi. Insomma, una formazione neoliberista doc., che mi ha consentito di individuare il “nemico occulto”, ossia l’ideologia attraverso cui opera il sistema.
Il processo è stato lungo e complesso, una vera redenzione dal pensiero unico dominante, che richiede una volontà ferrea per arrivare alla consapevolezza e allo smascheramento del processo manipolatorio su cui è basato l’intero sistema socio-economico. Per farlo è necessaria una conoscenza, almeno basilare, delle leve utilizzate per manipolare le masse e dell’uso della psicologia sociale ai fini economici e politici. Nel libro utilizzo quindi un approccio multidisciplinare, che spazia dalla sociologia alla storia e alla psicoanalisi, proprio perché per comprendere il neoliberismo bisogna andare oltre la semplice categoria economica.
La scelta dell’auto-pubblicazione, senza sponsor e senza case editrici, spesso politicizzate, è un segnale di dissidenza e contravvenzione alle regole del mainstream, e questo il pubblico lo ha compreso e apprezzato.
Ha avuto modo di analizzare quanto successo in questi mesi e dare un’interpretazione dei motivi di tanto interesse intorno al suo libro?
Sicuramente l’interdisciplinarietà e l’uso di un linguaggio semplice e accessibile a tutti hanno rappresentato la chiave del successo presso il pubblico. Siamo abituati a una complessità artificiosamente voluta nel trattare temi che ci riguardano nella vita di tutti i giorni. In particolare, come spiego nel libro, l’economia ha da tempo perso il suo connotato di scienza sociale, che si occupa dell’uomo e dei suoi bisogni, per essere trattata alla stregua di una scienza esatta, come la matematica, con l’utilizzo di un vocabolario e una metodologia per addetti ai lavori. Per molti si riduce alla finanza o alla contabilità ed è percepita come una materia complessa e impenetrabile: assistiamo all’uso della metodologia quantistica e a simulazioni econometriche, che in realtà sono solo ipotesi, per spiegare concetti spesso del tutto intuitivi anche al lettore medio, il cosiddetto uomo della strada. Questo ha fatto sì che la gente comune si allontanasse dalla scienza economica e che l’èlite del potere, quell’1% della popolazione che trae beneficio dal sistema neoliberista a discapito dei più, potesse continuare imperterrita e indisturbata a riproporre lo stesso modello economico palesemente fallimentare. Quello che faccio nel mio libro è spiegare l’economia in modo chiaro e diretto, riportandola a una dimensione umana.
Se dovesse dare un suggerimento su come contrastare a livello personale gli effetti negativi del neoliberismo e della manipolazione di massa, quali sarebbero i primi passi da fare?
Combattere innanzitutto l’apatia e il senso di impotenza sulla quale si fonda il sistema. Già la Trilaterale in un documento del 1975 aveva indicato come, per assicurare il preservamento del sistema, fosse necessario che una parte di popolazione rimanesse volutamente ai margini dalla partecipazione alla vita democratica attiva. Come in passato il diritto di voto era riservato a una minoranza, mentre una buona parte della popolazione non aveva possibilità di espressione, così oggi, attraverso la cosiddetta democrazia apatica, una parte della popolazione è totalmente alienata e disinteressata alla vita pubblica, per rassegnazione o senso di impotenza. Questo atteggiamento va combattuto in tutti i modi: oltre al voto dobbiamo utilizzare ogni strumento democratico (ancora) a nostra disposizione. Occorre informarsi, ma con consapevolezza e sviluppando il più possibile il senso critico, per non cadere nelle trappole occulte e onnipresenti della propaganda manipolatoria su cui si regge il sistema neoliberista.
Ritiene che a livello politico ci sia consapevolezza di questa realtà e, in caso affermativo, ritiene che ci sia da parte di qualche soggetto la volontà di contrastarla?
A differenza di alcuni sostenitori di una teoria del complotto generale, credo che solo una ristretta parte di chi prende le decisioni, ossia il vertice più alto della piramide globale, sia davvero consapevole di ciò che sta infliggendo alla popolazione. E’ sempre quella sparutissima fascia di persone, difficilmente identificabili dietro enti e istituzioni internazionali, per lo più finanziarie, che dal preservamento dello status quo trae tutti i benefici. Gli altri, compresi i politici, non fanno che attenersi alle linee guida da eseguire e per cui si trovano a ricoprire determinate posizioni. Purtroppo devo constatare come anche l’opposizione politica spesso non abbia chiaro il disegno complessivo e si trovi a replicare le stesse ricette liberiste che stanno portando l’economia al disastro. Questo avviene perché decenni di propaganda e d’indottrinamento al pensiero unico hanno sedotto, più o meno irreversibilmente, la mentalità di ognuno. Inoltre, ai pochi che dissentono davvero dall’ideologia dominante, viene concesso poco spazio di espressione e di carriera, anche perché la gente, nella fattispecie l’elettorato, tende istintivamente a diffidare da chi si discosta troppo dalla “normalità” cui è abituata e respinge inconsciamente chi mostra una verità dura da accettare.
La psicologia delle folle è un punto centrale su cui si gioca l’affermazione di un determinato modello socio economico, cosa potrebbe oggi spingere le folle a rifiutare i modelli attuali imposti come inevitabili e quali sono le contromisure che potrebbero essere prese per neutralizzare questa possibilità?
L’unico molla che potrebbe portare a una vera rivoluzione è lo stato di povertà e disperazione sempre più diffuse. Ma anche qui il sistema è stato abile a trovare dei rimedi, che sono solo dei meri palliativi. Un esempio sono i bonus una tantum concessi dal governo Renzi, oppure l’attuale progetto del “reddito di dignità”. Questi strumenti non offrono una reale soluzione ai problemi grave della disoccupazione e della povertà, sempre più diffusi a livello nazionale, ma spingono il cittadino a credere che si possa continuare ad andare avanti e sopravvivere, e per questo mostrarsi anche grato, o quanto meno mansueto, verso il governo “benefattore”, che in realtà lo deruba della dignità. Inoltre, con l’aumento della massa dei disoccupati disposti a lavorare a qualsiasi condizioni e dei problemi di integrazione che stanno sfociando in conflitti sociali, dalla lotta tra classi del passato si è passati a una lotta intra-classe, che distoglie la popolazione dall’individuare i responsabili dell’attuale decadenza socio-economica.
In che modo le politiche scolastiche e le nuove tecnologie possono essere impiegate per indebolire l’opposizione critica al sistema neoliberista ed è possibile invece usarle in senso contrario?
Sicuramente gli insegnanti, come i genitori, hanno un ruolo centrale nella costruzione delle difese di giovani e giovanissimi alla violenza del pensiero unico e del nichilismo imperante. Purtroppo non è un compito semplice, poiché la loro autonomia è sempre più marginale e la loro incisività compromessa dagli innumerevoli e ambigui messaggi esterni. Pensiamo alla sedicente “Buonascuola” caldeggiata da Renzi, per cui i giovani anziché dedicarsi appieno alla formazione e allo sviluppo delle competenze vengono catapultati in un ambiente lavorativo spesso non a loro consono, senza possibilità di scegliere o di sottrarsi, secondo una forma di nuovo schiavismo. Oppure alle parole del ministro Poletti, che invita i ragazzi a non dedicare troppo tempo allo studio ma piuttosto a sviluppare, tramite il calcetto, quella rete di relazioni oggi necessarie a trovare un lavoro.
Inoltre, la diffusione delle tecnologie e della rete tra i ragazzi rende il loro livello di attenzione e di concentrazione sempre minore, bombardati come sono da una moltitudine di stimoli e di messaggi manipolatori che non sono in grado di filtrare. La classe docente che voglia farsi portatrice di un cambiamento ha una sfida molto ambiziosa davanti: quella di “insegnare”, o meglio avvicinare, gli alunni a sviluppare un pensiero autonomo e un senso critico che li vaccini dall’accettazione passiva e dall’omologazione che li renderà dei cittadini “apatici”. La nuova tecnologia, se utilizzata in modo intelligente e sotto una guida, può rappresentare uno strumento utile che ormai è parte delle nostre vite.
Cosa dobbiamo aspettarci nel futuro prossimo?
Molto dipenderà dalla capacità di repressione del dissenso da parte del sistema e dalla consapevolezza della popolazione di essere la stragrande maggioranza. Oggi, come ai tempi di Le Bon, la cosiddetta massa torna a farsi sentire e l’élite ne avverte la minaccia. Tuttavia, pur essendo numericamente sempre più ridotta e polarizzata, la classe dominante è più potente e meno identificabile, nascosta dietro l’anonimato del potere finanziario, che opera attraverso la finanza ombra, e presiede tutti i centri decisionali e di comunicazione tramite il sostegno del mainstream. Spetta ai cittadini sviluppare la cognizione dell’inganno universale di cui sono vittime e la consapevolezza di detenere una schiacciante superiorità: il 99% della popolazione, seppure molto frammentario e ancora poco coeso, contro il dominio di un misero un 1%.
Neoliberismo e manipolazione di massa: Storia di una bocconiana redenta
.
.
.
20 commenti
Non ho letto il libro pubblicato da questa scrittrice e mi ripropongo di farlo nei prossimi mesi, tanto di cappello per essere arrivati a queste conclusioni dopo aver vissuto per molti anni sotto “il cappello” dell’ideologia neoliberista.
Mi chiedo però se queste tematiche non sono già state affrontate in modo esteso e documentato da molti altri autori (i primi che mi vengono in mente sono Naomi Klein in Shock economy, John Perkins in Confessioni di un sicario dell’economia o in italia Gianluca Marletta e Enrica Perucchietti in Governo globale / La fabbrica della manipolazione) ed il libro della bocconiana sia solo una ripetizione.
Buonasera Calcas, personalmente ho letto molti altri libri sull’argomento, tra cui Governo Globale dell’amico Marletta, ovviamente alcuni argomenti sono gli stessi ma la trattazione non è ripetitiva bensì complementare.
Sono rimasto impressionato molto favorevolmente e per questo ho poi voluto contattare l’autrice per l’intervista.
Grazie della risposta, le proporrei di pubblicare un documentario che riassuma per punti-snodi chiari questo intreccio fra neoliberismo, darwinismo sociale, esoterismo e propaganda che permetta anche al “grande pubblico” di capire questa terribile ideologia che sta dominando il tempo in cui viviamo. (già l’intervista con Messora ha avuto un’ottima diffusione su youtube)
Lei, come Marletta, Bifarini (o anche Fusaro e Blondet per fare qualche altro nome italiano) potreste essere intervistati dividendovi le varie sezioni. Forse desiderare una cosa simile è troppo? Secondo me un’azione corale di questo genere fatta attraverso un documentario potrebbe essere incredibilmente potente per risvegliare molte coscienze assopite 🙂 la prego di valutare un progetto simile
Che bello quando una persona “si sveglia” e acquisisce consapevolezza della realtà… e che bello quando la verità prorompe accecante a liberarci dalla tenebre dell’ignoranza.
PS: Nel caso specifico pare appropriato dire bella e brava!
Concordo, e fornire elementi a più persone per “svegliarsi” è in fondo l’attività dei siti di informazione libera.
Spero di poter comprare il libro. Io chiederei – se fosse possibile – che tutti coloro che criticano ( a ragione) il liberismo e finanziarismo, si impegnassero anche a proporre un nuovo modello economico. Spero non il comunismo o socialismo. Detto questo, vorrei suggerire all’autrice, senz’altro preparata di NON utilizzare l’espressione “massa” perché questa espressione ha un connotato negativo. La massa si usa – così mi avevano insegnato a scuola – per i corpi inanimati. Essi hanno una “massa”. Le persone, ovvero il popolo sovrano, NON sono una massa. Già parlare di “massa” mi sa tanto da puzza sotto il naso, di qualcosa di elitario. Capisco che viene dalla Bocconi ma può rimediare chiamandoli ” i cittadini” oppure ” il popolo”. Grazie per l’ospitalità.
Riappropriarsi dello Stato (facendolo tornare ad essere “stato organico” e non più solo fantasma giuridico) facendo sloggiare abusivi e parassiti e subito dopo riappropriarsi del potere di EMETTERE MONETA senza interesse in virtù del principio di valore indotto della moneta (Auriti docet) e, ancora successivamente, statalizzare il sistema di accesso al credito a mio parere sono passaggi necessari.
Senza di questi non c’è nessuna speranza e per ottenerli occorre una presa di consapevolezza ed un convergere del popolo verso questo fine…
Sarebbero cambiamenti epocali… non sono semplici riformette…
Semmai CON QUESTI non c’è speranza. L’emissione di moneta deve essere privata che non vuol dire un corso forzoso stabilito dalla banca ma che sei tu a scegliere se scambiare pane per conchiglie o pelli o monete d’argento o d’oro.
Chissá perchè non mi stupisce la sua posizione…
Non le rispondo perchè perchè non ne vale la pena…
In estrema sincerità perchè non avendo una formazione economica che si sia spinta oltre IL PAESE DELL’UTOPIA di Auriti può permettersi il lusso di credere quel che le piace e non già di cercare ciò che è vero e buono e giusto. Per criticare il suo idolo basta dire che non ha inventato nulla di nuovo, semplicemente riprende una idea di Silvio Gesell. Lei sa cos’è una moneta di Gesell? Probabilmente no, è una moneta a scadenza come quella postulata da Auriti. Ora cosa compromette secondo lei una moneta a scadenza e cosa incentiva? Ci rifletta e magari partorirà da se la verità.
Ho letto anche di Gesell e l’ho trovato molto interessante.
Auriti è andato oltre, ma non mi stupisce che uno con la sua “formazione economica” non lo apprezzi… 😀
Pensi pure quel cavolo che vuole.
Meno male che non ho la “formazione economica” che piace a lei ^^
W Auriti 😀
Guardi la rassicuro che non ho nessuna formazione (intesa come laurea) economica. Mi sono solo accostato ad alcuni scritti della scuola austriaca di cui ho sposato buona parte delle idee e il metodo tomista. In economia si va sempre oltre perchè economia non è una scienza empirica sperimentale bensì sociale e umana.
Approvo, io ho pevisto la crisi nel 2004, ho venduto case e sono andato ia dall’Europa, unico insegnamento valido e’ la scuola austriaca. Tutto il resto e’ ignoranza, invito Enzo Pennetta ad introdurre fra le sue letture siti austriaci, come Mises.it
Ho provato più volte a far presente la versione austriaca dell’economia, ma il socialismo piace troppo sembra…. Infatti si è scelto il cavallo della SOVRANITA’ MONETARIA che alla fine altro non fa che riproporre il medesimo errore europeo. Si passa così da un keynesismo internazionale a uno nazionale ma alla fin dei conti quello è. Per carità uno stato più piccolo è meglio è ma un male minore non diventa bene resta male anche se più piccolo.
Cosi è solo un delirio e un ritorno sostanziale al baratto.
E poi sarei io l’utopista 😀
Invece è proprio quello che accade! Quando una moneta muore e con essa il sistema economico e il sistema dei prezzi che ci è stato costruito sopra si riparte da una economia premonetaria dalla doppia coincidenza di bisogni dallo scambio diretto o baratto che dir si voglia. Invece hai visto gisuto, poi se vuoi sapere storicamente la libera elezione di moneta si è fermata all’oro ciò non significa che debba restare là ma sicuramente si ripartirebbe da là
A mio parere c’è molta confusione in quello che scrive e su Auriti…
Mi fermo qua perchè su ste questioni c’ho perso il fegato a sufficienza…
Attendo solo di vedere il degenero finale…
Quello che impropiamente si chiama liberismo è in realtà “socialismo a mezzo banca” che ha trovato in Keynes la massima espressione. Mi stupisco infatti di come non si comprenda che la tanto sbandierata SOVRANITA’ MONETARIA non faccia altro che riproporre in scala nazionale l’errore europeo.
Approvo
Riguardo alcune questioni toccate negli interventi ripropongo un articolo di I. Bifarini:
http://ilariabifarini.com/2017/10/06/liberisti-o-comunisti/
.
Liberisti o comunisti?
l liberalismo, di cui il liberismo è diretta espressione, nasce in funzione anticomunista e antisocialista. Eppure l’odierna sinistra ha sposato in pieno il modello liberale.
Secondo la definizione di Wikipedia – la Treccani 2.0 che, se da una parte ci offre un’informazione esaustiva e accessibile nell’immediato, dall’altra ci fa pagare lo scotto dell’anonimato delle fonti e della loro accuratezza – “il liberalismo è di solito considerato, insieme alla democrazia moderna, una filiazione dell’Illuminismo.”
Nulla di più fuorviante se vogliamo comprendere le basi teoriche di questo movimento, dalla portata così dirompente da essere assurto a una sorta di “teoria del tutto”.
Per capirne la valenza dobbiamo far riferimento a un personaggio centrale del XX secolo, l’illustre economista austriaco Friedrich von Hayek (1899-1992), padre indiscusso del liberalismo moderno. Tema principale delle opere di von Hayek è l’abuso della ragione, tanto cara agli Illuministi, che nei suoi confronti nutrirono una fiducia sconfinata.
La sua teoria del liberalismo – che possiamo far coincidere con la nascita del liberalismo modernamente inteso – si pone in netta antitesi con tutte quelle teorie incentrate sul ruolo della ragione come potenza fattrice: dal socialismo al comunismo, passando per il vecchio liberalismo. Ritenere che si possa operare una ricostruzione razionale della società è, per Hayek, l’errore che compiono i pianificatori centralistici: l’unica pianificazione fruttuosa secondo l’economista austriaco è la categoria di pianificazione centrale rappresentata dalla concorrenza.
La concorrenza è la strada maestra in tutti i campi sociali, non solo in quello economico; la sola in grado di condurre spontaneamente l’umanità a grandi scoperte, grazie alla massimizzazione delle capacità e delle conoscenze legata alla libera iniziativa del singolo.
Con spirito avveniristico, Hayek afferma poi che “l’uomo, dato che ha creato egli stesso le istituzioni della società e della civiltà, deve anche poterle alterare a suo piacimento in modo che soddisfino i suoi desideri e le sue aspirazioni”.
Condizione imprescindibile, ma anche logica conseguenza, il liberale è anche un liberista, poiché “la libertà economica fornisce i mezzi materiali necessari per il perseguimento di tutti i nostri scopi”.
Di fronte a quella che, più che una teoria economica si presenta come una filosofia politica – i cui punti cardine sono la concorrenza, la libertà del singolo e il rifiuto della pianificazione centralizzata – il comunismo, che pure aveva le stesse rivendicazioni di teoria immanente, appare come una “superstizione”, destinata a capitolare di fronte alla complessità della società moderna. Infatti, secondo Hayek, comunismo e socialismo possono essere in grado al più di governare società semplici, come quelle tribali, ma sono fallimentari in quelle complesse.
Nel 1947 von Hayek fonda la MPS (Mont Pelerin Societè) il più grande think thank del movimento liberale che permeerà il pensiero economico mondiale. Senza voler abusare della ragione, non si può negare che, appena terminato il conflitto bellico, la paura folle del mostro comunista e il senso di riconoscenza verso i benefattori americani, che da questo spauracchio ci avevano protetto, abbiano rappresentato delle condizioni piuttosto favorevoli al successo e all’affermazione delle teorie liberali.
(Ilaria Bifarini su SE, settembre 2016)