Achille Damasco ha proposto nella sua teoria rivoluzionaria un nuovo approccio al paradigma evolutivo darwiniano. La tesi, basata su principi della Fisica della materia, potrebbe sostituire e superare le comuni teorie evoluzionistiche.
Trascorsi ormai più di centocinquant’anni dalla sua formulazione la teoria darwiniana sembra perdere sempre più consensi; troppi, ormai, i colpi inferti a questo “paradigma” per non riflettere seriamente riguardo alla sua reale e concreta validità. Achille Damasco, giovane fisico napoletano, ha di recente formulato una teoria capace di spiegare l’evoluzione delle specie prescindendo dall’analisi darwiniana e gettando, di fatto, nuova luce su di un argomento a dir poco ombroso. Parliamo della “TRE-Teoria delle Risonanze Evolutive”, lanciata e consacrata sulle pagine di una delle riviste scientifiche più prestigiose al mondo: Physica A. Dopo il notevole clamore suscitato nella comunità scientifica è parso doveroso intervistare il giovane studioso – cui vanno i nostri ringraziamenti – innanzitutto per la grande autorevolezza del suo lavoro, poi perché siamo stati i primi a dar credito e pubblicare testi di autori marcatamente critici nei confronti della teoria darwiniana (si vedano le pubblicazioni di Gabriele Zuppa ed Enzo Pennetta). Abbiamo perciò intervistato Damasco, ma l’abbiamo fatto a modo nostro: non ci siamo limitati a chiedergli della sua teoria o a fargliela esporre in modo didascalico – interviste di questo tipo ne sono state fatte molte ultimamente, potete trovarne un po’ ovunque – ma abbiamo voluto stuzzicarlo anche su quelle che a suo giudizio potrebbero e potranno essere le implicazioni etiche, sociali, economiche e politiche di un eventuale e realistico “cambio di paradigma”, se cioè la sua teoria riuscirà davvero a scalzare quella di Darwin nell’immaginario comune.
Achille Damasco – Evoluzione e risonanza
Prima di chiederti di esporre la tua teoria vorrei chiederti, innanzitutto, cosa non ti convince di quella di Darwin. Secondo il biologo britannico l’evoluzione della specie è un processo lento, graduale, determinato sostanzialmente da due fattori: la selezione naturale, attraverso la famosa lotta per la sopravvivenza, ed i mutamenti contingenti, casuali. Grazie a questi due processi, le specie viventi hanno una loro evoluzione, ma possono anche avvenire passaggi da una specie all’altra. Ecco, vorrei che prima della pars costruens, mi esponessi la tua pars destruens. Esistono davvero la selezione naturale e le mutazioni dovute alla semplice contingenza? È vero che dei mutamenti determinati dal caso, se si reiterano per alcune generazioni, portano a caratteri che diventano ereditari? Infine: sono possibili i passaggi di specie?
La selezione naturale e le mutazioni casuali in quanto tali esistono, non è su questo che si muove la nostra pars destruens. Affrontiamo quindi prima i problemi della selezione naturale. La sopravvivenza del più adatto tra più possibilità esistenti di caratteri (fisici o comportamentali) non la può negare nessuno, non perché ampiamente corroborata, ma perché non può che essere tale in quanto tautologica. Parafrasando lo scrittore Michael F. Flynn, la selezione è quel principio per cui se (in qualche modo) un carattere (in qualche modo) cambia e se tale cambiamento (in qualche modo) comporta un vantaggio nella lotta per la sopravvivenza, allora si diffonderà in una popolazione vivente. Tale diffusione però è conseguenza dell’impulso stesso di sopravvivere, per cui con la selezione si postula l’effettiva sopravvivenza di chi è in grado di sopravvivere. Le mutazioni genetiche casuali, per definizione, mutano, il loro limite è di natura quantitativa: siccome ogni essere vivente è tale grazie al complesso di interazioni tra proteine, il cui numero però è al di sopra dell’umana comprensione, allora un cambiamento casuale viene tollerato da un essere vivente solo finché provoca variazioni entro certi limiti di tale complesso. Alla luce di ciò, non riteniamo possibile che mutamenti reiterati (benché ereditari) portino al passaggio verso una nuova specie.
Molti credono che la teoria di Darwin sia una legge intoccabile, una verità definitiva ed incontrovertibile. Se dovessi provare a metterla in discussione in una conversazione qualsiasi, mi guadagnerei al massimo sarcasmi ed ironie. Eppure, già all’inizio del Novecento era caduto un forte discredito sulla teoria darwiniana e moltissimi scienziati autorevoli ne avevano contestato i fondamenti: il genetista di fama internazionale William Bateson ed il grande biologo italiano Umberto D’Ancora tra i tanti. Insomma, durante la prima metà del Novecento la teoria di Darwin era considerata datata e anacronistica. Come contestatore di Darwin, sei in buona compagnia. Ora, senza indagare qui le motivazioni sociali, politiche ed economiche che portarono molte eminenze grigie a veicolare in modo mediaticamente efficacissimo una teoria che in sede scientifica era molto traballante, ti voglio chiedere: com’è possibile che gli scienziati abbiano, perlomeno alcuni di loro, continuato a propugnare una teoria che pure aveva dei limiti scientifici così evidenti? Esistono pavidità ed acquiescenza in seno a certi ambienti della comunità scientifica?
La crisi del darwinismo che lei ha citato riguardava la consapevolezza che la selezione naturale, in quanto mero filtro, è inutile a spiegare l’evoluzione se non è accoppiata da un fenomeno che spieghi la nascita di nuovi caratteri. All’epoca citata, dopo aver appurato che i cambiamenti lamarckiani basati sull’uso e il disuso di un organo non sono ereditabili (li cito perché Darwin li aveva inglobati nella sua teoria), dopo aver constatato che la “normale” variabilità presente in una qualunque specie ha dei limiti già noti a tutti gli agricoltori e allevatori, allora non si poteva andare avanti col darwinismo. La rinascita fu merito dellascoperta delle mutazioni casuali (usando un linguaggio moderno successivo alla scoperta del DNA), i cui limiti sono già stati affrontati nella risposta precedente. Per quanto riguarda la situazione attuale, non credo che dovremmo ricorre a spiegazioni basate su pavidità ed acquiescenza, perché reputo le problematicità più strutturali: da un lato, siccome una qualunque variazione della frequenza con cui compare un certo carattere viene già considerata “evoluzione”, esistono innumerevoli ricerche formalmente riconosciute come studi (corroborazioni) del neodarwinismo anche se non vi è comparsa di una nuova specie. Da un altro lato, per un qualunque scienziato impegnato a spiegare l’evoluzione, risulta naturale andare a caccia di tutti i possibili fattori capaci di modificare un carattere, perdendo di vista la grande ma sottaciuta evidenza che le specie in realtà sono sistemi estremamente stabili. Può sembrare controproducente partire dalla stabilità per spiegare l’evoluzione, ma proprio questo è stato il nostro approccio.
Ora veniamo al tua lavoro: cosa prevede, se puoi esporla sinteticamente, la Teoria delle Risonanze Evolutive?
La TRE prevede innanzitutto che l’effetto combinato della selezione naturale e delle mutazioni genetiche casuali sia solo un cambiamento di tipo oscillante, in cui ciò che oscilla è il tipo di carattere più diffuso in una popolazione (con una frequenza che possiamo considerare “propria”, cioè dovute a caratteristiche intrinseche della specie). Il secondo principio afferma che, preso un certo parametro ambientale (cioè esterno alla specie), se questo passa da un particolare valor medio ad un altro, allora durante il passaggio intermedio oscilla, con una frequenza tanto maggiore quanto più è forte la differenza tra i due valori. Il principio che dà il nome alla teoria si basa sul considerare prima un ulteriore sottoinsieme dei possibili cambiamenti esterni alla specie, cioè quelli capaci di un tipo di cambiamento dei caratteri detti “epigenetici” (perché provocano un modo diverso con cui un certo gene si esprime, senza però modificare il DNA). Se quindi un cambiamento oscillante di questo tipo ha una frequenza che è uguale a quella “propria” della specie, si ha un fenomeno di risonanza (detta “evolutiva”) che biologicamente consiste nella trasformazione di una specie in un’altra. Applicando poi altre proprietà delle risonanze e tenendo conto delle interdipendenze tra i caratteri, si giunge a vari corollari atti a spiegare altri fenomeni evolutivi, in modo coerente con i tre principi enunciati.
Ora mi piacerebbe riflettere con te sul tema, a mio avviso misconosciuto e sottovalutato, ma di importanza vitale, delle implicazioni filosofiche che ha avuto la teoria darwiniana. Penso ci sia un passo tratto da Delitto e Castigo molto significativo: Luzin, personaggio superficialmente attratto dalle idee europee, espone la teoria di Darwin e la collega al liberismo economico sostenendo che se ciascuno fa il proprio interesse, badando esclusivamente alla propria sopravvivenza, alla fine ne beneficiano tutti. E Raskolnikov, protagonista del romanzo, prontamente gli risponde: “Traete le conseguenze di quello che avete appena predicato e ne verrà fuori che si può benissimo sgozzare la gente…”. Mi sembra che in poche righe si sia mostrato benissimo il legame tra darwinismo biologico e liberismo economico così come la terribile legittimazione dell’arbitrio, della libertà di “sgozzare la gente” che si dovrebbe supporre se si seguissero queste teorie dalle premesse alle conclusioni più estreme. Se vivo in un sistema economico che mi spinge a perseguire solo il mio utile, che male faccio uccidendo qualcuno; e se so che la natura è regolata secondo una lotta di sopravvivenza, cosa me ne faccio delle categorie morali? Vedi anche tu questa implicazione? E d’altro canto, se la tua teoria riuscisse a scalzare quella di Darwin, pensi che questo potrebbe provocare un cambiamento, oltre che nella consapevolezza della comunità scientifica, anche in quello della gente comune?
Penso che stia immaginando qualcosa che quasi sicuramente va troppo oltre la teoria in sé, vista come costrutto intellettuale atto a descrivere un’ampia classe di fenomeni naturali. Credo che non siano le teorie scientifiche a cambiare le mentalità delle persone, perché tutte le teorie per loro natura si rivolgono esclusivamente ai loro oggetti d’indagine. Credo che sia sempre un pre-esistente apparato di potere, incluso quello mediatico, a trovare di volta in volta qualcosa per la giustificazione razionale della propria esistenza. Può essere la filosofia, la religione, l’economia o la scienza, su questo aspetto tutto dipende solo dal secolo di riferimento. Inoltre, più la scienza progredisce, più si complica, per cui senza un opportuno apparato divulgativo che strizzi l’occhio ai valori dominanti di una certa epoca, non avviene l’impatto sulla mentalità delle persone. Per esempio, se si escludono vari tipi di spiritualisti che sfruttano concetti di meccanica quantistica per giustificare la propria filosofia, tale teoria non ha cambiato il nostro modo di pensare alla nostra collocazione nel mondo e nella società come è riuscito a fare il consumismo. Al contrario, domina ancora un’idea ottocentesca di materialismo fatto di palline colorate che si scontrano. Tornando all’evoluzione, ciò che veramente rischia di diffondersi nella società non è un’idea darwiana o lamarckiana (o altra) dell’evoluzione, ma magica. Penso alla fiaba in cui una proto-scimmia scende da un albero, si mette in piedi, sfrutta le mani libere per cacciare, mangia la carne e quindi le sostanze in essa contenuta le sviluppano il cervello rendendola intelligente. Bisogna essere fortunati quando invece si trova una persona che crede che noi siamo comparsi sulla Terra per caso o per combinazione. Che valga il darwinismo o no, che tale modo di vedere noi stessi abbia un fruttuoso impatto pedagogico lo trovo impossibile.
Ora vorrei sollecitarti a parlare della figura dello scienziato. Credo che oggi questa figura abbia un peso, d’influenza ma anche banalmente mediatico, molto forte. Gli scienziati diventano dei guru, dei maitre a penser, vengono adorati ed emulati, certi loro atteggiamenti esistenziali vengono presi ad esempio da seguire: penso alla dieta vegetariana di Umberto Veronesi o all’ateismo proverbiale e militante di Margherita Hack, per citarne alcuni. Ora, cosa pensi di questa estensione della sfera d’influenza dello scienziato, di una certa sua mitizzazione mediatica?
Penso che sia dannosa per la scienza, perché il suo rigore che tanto ci affascina e il potere applicativo di cui godiamo sempre più i suoi frutti siano conseguenza del suo limitarsi a ciò che è quantitativo e osservabile. Purtroppo, le cose più importanti e belle della vita non sono né quantitative né spiegabili con ciò che (eventualmente) ci possono dire i cinque sensi. Inoltre, la scienza ha bisogno dei suoi tempi, sia per quanto riguarda la fase speculativa (o meglio creativa) del suo lavoro, sia per quella sperimentale. Aspettarsi pareri su cose come l’etica oppure che arrivi subito, se non ogni giorno, una nuova scoperta significativa o una nuova applicazione, è una negazione delle realtà che ho segnalato. Infine, la mitizzazione dello scienziato non la trovo molto educativa, perché come tutte le mitizzazioni creano quell’idea fatalista per cui “fai ciò che sei” (se sono un genio, farò qualcosa di grande, altrimenti no), mentre noi esseri umani, liberi e autocoscienti, dovremmo insegnare l’opposto, “sei ciò che fai” (se studio, medito, mi impegno e imparo dagli errori, produrrò un risultato importante). Spero di essermi spiegato su quest’ultimo punto.
Molti dicono che la scienza, in un mondo di relativismo, è l’ultima verità “forte”. Ma è davvero così? Scrive Nietzsche in Al di là del Bene e del Male: “Oggi cinque o sei cervelli cominciano a rendersi conto che anche la fisica è soltanto un’interpretazione e una sistemazione del mondo (secondo noi! Se ci è lecito dirlo) e non una spiegazione del mondo; ma nella misura in cui essa si fonda sulla fede nei sensi, essa ha un valore superiore e a lungo andare ne dovrà avere ancora di più, dovrà valere, cioè, come spiegazione. Essa ha a suo vantaggio gli occhi e le dita, essa ha l’apparenza e la tangibilità; ciò esercita un effetto magico su un secolo il cui gusto dominante è plebeo, un effetto di persuasione, di convinzione(…)”. Ma alcune conclusioni a cui approda la scienza sono realmente “verità”. Voglio dire: se Copernico dice che la terra gira intorno al sole, e non viceversa, non si può più tornare indietro al modello tolemaico, quella scoperta è una verità. Ma altre teorie scientifiche, come quella darwiniana, sono confutabili e confutate. La scienza dà verità definitive o provvisorie, fatti o interpretazioni? In questo senso, pensi che la TRE sia una teoria ancora emendabile, o che approdi a degli esiti definitivi?
Posso rispondere usando un’altra citazione di Nietzsche che apprezzo molto: i fatti sono stupidi. In questo caso, seppur esagerando nel linguaggio, il filosofo nichilista per antonomasia ci ricorda che un fatto in sé e per sé è solo un dato, in scienza in particolare tipicamente è solo un numero. Nel suo esempio, il baricentro del sistema rotante Sole-Terra è largamente spostato verso il Sole, è un fatto indiscutibile, ma preso da solo, non spiega niente. Occorre una teoria della gravitazione (prima di Newton, poi di Einstein, domani chissà) per dare una spiegazione scientifica del sistema in esame. Il guaio delle spiegazioni scientifiche è che, per essere scientifiche, devono poter essere vere solo fino a prova contraria (inclusa la TRE). In sintesi, con fatti stupidi da un lato e spiegazioni provvisorie dall’altro, le verità forti non possono provenire dalla scienza. Che ne siamo consapevoli oppure no, per poter vivere, siamo costretti a dover postulare (cioè da trattare come vero per principio) tantissime cose, che siano un complesso di proprietà da attribuire a fattori evolutivi oppure anche solo il semplice fatto che il Sole domani sorgerà.
.
.
.
23 commenti
“In sintesi, con fatti stupidi da un lato e spiegazioni provvisorie dall’altro, le verità forti non possono provenire dalla scienza”
Magnifico!
È vero. Ma possiamo in genere aspettarci qualche tecnologia dalle teorie scientifiche. Se invece, come nel caso del darwinismo o del multiverso o di Supermatrix o dell’AGW, non ne viene nessuna applicazione (in medicina, nelle nuove energie, nei trasporti, ecc.) siamo alla superstizione. Nuda e pura.
Certo, ma penso che aspettiamo tutti dal discorso scientifico accresciuta efficacia del nostro agire nel e sul mondo.
Ma non quello di dirci una verità in quanto tale: il discorso scientifico ci racconta un mito (il che non è una favola! Il darwinismo è una favola, la relatività generale è un mito perfettamente operazionale) che non ha la pretesa di essere vero ma solo di non essere ancora dichiarato errato.
L’articolo qui sopra ha il merito di mettere in evidenza lo stretto legame culturale tra il discorso scientiifico e la capacità che ha una società a recepirlo e a svilupparlo.
Ad esempio neanche la meccanica quantistica è ancora perfettamente recepita nella società attuale la quale continua a riflettere in termini di palline di biliardo ottocentesche come ber ricorda Achille qui sopra. E questo perché la società nella quale siamo non è capace di ragionare in termini aristotelici ma solo in un quadro di logica booleana-newtoniana. Quindi le applicazioni puramente quantistiche non impattano ancora efficacelente il modo di pensare della nostra società: solo sbarazzandoci dall’idealismo ottocento e novecentesco e tornando ad un sano realismo lo permetterebbe: e chiaramente non siamo su questa strada per ora.
Premessa: non ho letto l’articolo piú esteso sulla TRE pubblicato su CS in precedenza al presente.
Sulla TRE quindi ho solo letto la sintesi dell’autore presente in questo articolo.
Mi pare di capire quindi che, rispetto a Teoria Sintetica & Co, la “novità” della TRE sia nella presenza nell’equazione evolutiva la presenza necessaria di un “fattore esterno ambientale” il quale, se di entità “sufficiente”, genererebbe una oscillazione evolutiva in una tal specie tale da consentire il salto di specie e quindi, di conseguenza aggiungo io, l’introduzione della necessaria NUOVA informazione genetica necessaria al salto di specie.
Domande:
1. Ho ben compreso la sintesi?
2. L’autore avrebbe fornito qualche esempio di questo princìpio?
Qualche esempio di “fattore ambientale esterno” adeguato?
Se c’è risonanza non c’è “Nuova” informazione introdotta.
Al massimo c’è l’apparire della preponderanza fenomenologica di una frequenza particolare già preesistente nei due sistemi che entrano, per l’appunto, in risonanza, non l’introduzione di una “nuova” frequenza.
Tommaso, provo a rispondere alle sue pertinenti domande dopo aver riletto l’articolo originale, peraltro molto interessante ma relativamente al quale, personalmente, mi pongo con la dovuta prudenza. Innanzitutto gli autori stessi parlano nell’articolo di modello (alternativo) basato sulla risonanza più che di teoria e questa puntualizzazione secondo me è molto importante per collocare il lavoro scientifico nella sua giusta posizione. Da quanto ho capito si parla di informazione genetica e selezione naturale “solo” riguardo l’oscillazione armonica dell’individuo o della specie entro limiti definiti (microevoluzione). Per i fenomeni macroevolutivi (risonanza) si parla di informazione epigenetica, riconoscendo di fatto a questa tipologia di ereditarietà un’ipotetica importanza fondamentale che allo stato dell’arte mi pare non sia invece ancora del tutto ben definita. Riguardo gli avvenimenti ambientali in grado di esercitare eventualmente effetti epigenetici ereditabili si fa menzione in modo generale a parametri quali temperatura, umidità, concentrazione di gas, densità di individui o di specie e via dicendo, senza nessun esempio specifico. Riguardo l’estinzione dei dinosauri viene per esempio ripresa l’ipotesi plausibile del meteorite e conseguenti cambiamenti climatici. Gli autori stessi infine riconoscono al momento la mancanza di prove sperimentali auspicando un impatto positivo del loro modello, peraltro matematicamente ben supportato, presso la comunità scientifica. Se ha letto gli articoli precedenti avrà anche preso visione, oltre che degli entusiasmi, anche delle obiezioni sollevate per esempio da me o da Greylines che hanno avuto risposte soltanto parziali da parte dell’autore per il momento, al quale ho già rivolto comunque i miei complimenti e la mia ammirazione.
La ringrazio Fabio, finalmente una risposta pertinente.
Avevo intenzioni di guardarmi i commenti agli articoli precedenti proprio per vedere se la domanda da me posta lo fosse già stata da qualcun’altro ma per ragioni di tempo non l’ho ancora fatto.
A causa della mia ignoranza in materia le chiederei:
la precisazione che la TRE sia un modello e non una teoria, significa che non sarebbe sperimentabile?
Lo chiedo perchè leggendo la sua pertinente risposta alla mia domanda (vedi “temperatura, umidità, concentrazione di gas, densità di individui o di specie e via dicendo … l’ipotesi plausibile del meteorite e conseguenti cambiamenti climatici”) ora mi sarei chiesto se non fosse possibile quindi a livello sperimentale riprodurre le condizioni ambientali che ipoteticamente dovrebbero produrre una “risonanza” adeguata a produrre l’ipotetico salto di specie e se gli autori della TRE si fossero posti l’obbiettivo, se fosse realizzabile e se ci stessero lavorando.
La risposta al mio quesito comunque per il momento (e non certo per una sua mancanza), mi risulta piuttosto superficiale e vaga ma forse nel paper originale si approfondiscono maggiormente tali parametri anche se lei mi anticipa che non vengono fatti esempi specifici.
Appena avrò più tempo mi guarderò anche i commenti rilasciati negli articoli precedenti che ora che ne apprendo l’esistenza rendono superfluo probabilmente continuare qui la questione.
Comunque la ringrazio, ha di certo risposto al mio quesito.
Se volesse magari fugarmi l’ultimo sopracitato dubbio sulla questione “modello ma non teoria” la ringrazio in anticipo.
Ah giusto, solo una precisazione: la questione dell'”informazione genetica” era una mia personale aggiunta alla mia sintesi esplicativa della teoria/modello della TRE perchè a prescindere da quale sia il modo o il meccanismo attraverso il quale si dovrebbe realizzare il salto di specie, rimane condizione imprescindibile che tale meccanismo debba essere in grado di produrre la necessaria “nuova informazione genetica” per realizzare la transizione da una specie A ad una specie B laddove la specie B dovrebbe essere più “complessa”, o comunque risultare in un “progresso”, della specie A (macroevoluzione).
“rimane condizione imprescindibile che tale meccanismo debba essere in grado di produrre la necessaria “nuova informazione genetica” “ : questo è fisicamente e concettualmente impossibile.
Se tu sapessi come funziona un sistema risonante con un altro, non porresti questa domanda: la frequenza di risonanza è già presente nello spettro delle risonanze dei due sistemi ognuno preso a parte; è dal loro incontro che essa diventa una frequenza “egemone”, solitamente distruggendo le frequenze ad essa perpendicolari nello spazio di fase considerato, cioè in parole povere, distruggendo informazione.
In altre parole, un sistema più “complesso” è in realtà un sistema più povero in informazione e non più “ricco”.
Il titolo dell’articolo originale è “A resonance based model of biological evolution”, quindi che si tratti di un modello e non di una vera teoria credo sia abbastanza chiaro. E un modello proprio perché è una rappresentazione semplificata della realtà è sicuramente testabile e sperimentabile. In questo caso gli autori, ben consapevoli delle difficoltà della sperimentazione, nell’introduzione infatti fanno giustamente riferimento al fatto che l’evoluzione è un processo storico unico, auspicano che il problema possa essere superato almeno con la possibilità di una verifica sperimentale su un sistema molto semplice e in circostanze altamente artificiali. I parametri ambientali citati infatti sono tutti almeno teoricamente quantificabili.
E ci sono in cantiere esperimenti?
Simon:
Non ho mai detto che produrre “nuova informazione genetica” sia possibile, ho bensì detto che sarebbe condizione imprescindibile per un progresso in complessità.
Non ho nemmeno mai detto di sapere “come funziona un sistema risonante con un altro” e non era questo il mio quesito (che non staró a ripetere per lei inutilmente) che da questa premessa nemmeno dipende…
“In altre parole, un sistema più “complesso” è in realtà un sistema più povero in informazione e non più “ricco”.
Questa si che é una vera “panzana”, ma probabilmente quest’assurdità deriva dall’accezione che lei usa per “complesso” ed “informazione”…
Le rendo noto che comunque le implicazioni di quanto lei afferma sono che l’informazione COMPLETA fosse disponibile in princìpio, il che é uno scenario ammissibile solo in un modello creazionistico, che in questo sito viene a priori escluso…
In questo scenario inoltre per spiegare la variabilità osservabile non sono necessarie spieagazioni macroevolutive… la microevoluzione é sufficiente ma a patto di ammettere le famiglie tassonomiche già formate dal principio…
Purtroppo il solo che ho visto scrivere panzane qui sei stato tu, ma certamente in buona fede.
In realtà una organizzazione più è complessa più è specializzata e più è specialzzata meno tratta informazione. Forse due grandi esempi ti possono illuminare e farti toccare con il dito la tua incomprensione della nozione che rilega in modo inversamente proporzionale informazione con complessità.
Il primo esempio è l’universo stesso che è una struttura altamente complessa: eppure tutta l’informazione contenuta in questo universo e molto più lo era già nelle simmetrie al momento del bigbang, dove tutte le particelli edi campi si confondevano tra di loro e quando l’universo era semplicissimo. Come ben vedi, in questo esempio una situazione complessa è sorta da una situazione semplice e il prezzo da pagare è stata la perdita di informazione o quel che si chiama il Secondo Principio della Termodinamica.
Un secondo esempio è il quello del “rumore bianco” (white noise) dove tutte le frequenze hanno uguale probablità di apparire: tipicamente il rumore bianco è estremamente complesso, visto che prendendo qualunque campione non si può prevedere cosa contenga il prossimo campione, eppure a casua di ciò non contiene, per l’appunto, nessuna informazione.
Quindi è certo che uno chimpanzé (in risonanza secondo TRE) con il suo ambiente è più complesso che una zuppa di ammino adici nel suo ambiente, ma la quantità di informazione ivi contenuta è di molto inferiore.
Spero questo ti aiuti a porti le domande nel senso giusto.
“In realtà una organizzazione più è complessa più è specializzata e più è specialzzata meno tratta informazione.”
Quante assurdità in una sola frase…
Si tranquillizzi non ho certo bisogno del suo supporto, estremamente arrogante, per formulare le domande “nel modo giusto” (quello che piace a lei).
Come ho le già spiegato (invano) si stanno usando accezioni dei termini “complessità” ed “informazioni” differenti…
Le sue piuttosto astruse a mio parere…
Se vuole capire di che parlo si legga Dembsky ed ampli il suo ridottissimo concetto di “informazione”.
Ma non ho speranze vista la sua arroganza.
Mi ricorda un certo Leonetto che bazzicava su CS anni fa (e probabilmente pure ora, non mi sorprenderebbe)
Cordialità.
Come vuoi tu: non ti posso certo obbligare a voler capire.
Comunque non è per quella via li che dimostrerai la necessità di ID nella storia dell’universo.
A buon intenditore!
Ciao!
Nemmeno tramite teorie materialiste e naturaliste come la TRE…
Anni luce meglio Dembsky…
Adios.
In cosa l’informazione genetica non sarebbe da intendersi nel “senso comune introdotto da Shannon”?
Ci sono molte letture a riguardo degli esponenti dell’ID.
Le suggerisco la lettura di qualcosa di Dembsky.
La ringrazio per la sua attenzione ma mi è chiaro che non mi sa rispondere.
Vediamo se qualcuno che ha letto il paper della TRE potrá farlo.
Saluti.
Beh io vedo che tu non sai rispondere alle domande semplicissile fatte per chiarificare quel che mi sembra essere una tua mostruosa panzana, cioè supporre che l’informazione genetica non sarebbe della stessa “natura” di quella di Shannon.
Se non hai le idee chiare, allora è evidente il perché la tua “sintesi” appare come una fallacia.
E ti consiglio di legger l’articolo, ti costa solo 35 Euro.
Ciao!
Ok grazie della non risposta… Ciao.
È il concetto di “informazione” che è differente, non la “sostanza” (che non centra niente).
Si legga lei Dembsky per chiarirsi le idee e trovare risposta al suo quesito.
Sono solo interessato ad un esempio concreto di un possibile “fattore esterno” alla specie che possa produrre la necessaria “risonanza”, non a leggermi i dettagli tecnici della teoria.
Un semplice e banale esempio concreto ed ipotetico tratto da una reale e verosimile fenomenologia prensente in natura.
Non mi pare una richiesta strana.
Non ha senso spendere 35 euro per questo…
Cordialitá.
No, guarda Tommaso, io avevo già capito che non sapevi rispondere alla domanda circa la differenza di natura (la sostanza non c’entra niente ovviamente, chissà da dove tiri fuori questa astrusità) tra il concetto di informazione di Shannon e “quella” genetica (sic): non avevi bisogno di ripeterlo ancora una volta, ci ero già arrvato da solo!
Spiace che tu non voglia approfondire il soggetto sviluppato nella TRE, ma ti confiderò che non ne sono sorpreso…
Ciao di nuovo!
Cordialitá.
Attendo risposta da qualcuno che abbia letto il paper.