Senza un accordo su cosa sia la scienza, non può esservi progresso, semmai un ritorno alle spiegazioni tramite ricorso al mito.
Recentemente abbiamo tentato di indicare alcune regole del gioco imprescindibili per quanto riguarda il metodo sperimentale, cercando di stabilire qualche punto condiviso sulla scienza, a prescindere dai vari tagli che ci sono stati offerti dalla storia del pensiero epistemologico. Siccome molti ritengono che come cambiano i contenuti della scienza debba cambiare anche il modo in sé di farla, serviva un punto di vista aggiornato su uno dei temi più controversi, il ruolo del caso nella teoria dell’evoluzione.
Ci è stato segnalato un articolo del 2010 della rivista di divulgazione scientifica New Scientist, del paleoecologista Keith Bennett, intitolato The chaos theory of evolution. Questo saggio breve distrugge molti schemi di pensiero, anche quelli che si potrebbero ritenere intoccabili.
The chaos theory of evolution | New Scientist
www.newscientist.com IN 1856, geologist Charles Lyell wrote to Charles Darwin with a question about fossils. Puzzled by types of mollusc that abruptly disappeared from the British fossil … |
Riassumeremo prima tutto l’articolo, poi entreremo nei dettagli, riportando i passaggi chiave e aggiungendo le opportune osservazioni.
Studi approfonditi su periodi geologici relativamente brevi testimoniano che, pur in presenza di cambiamenti ambientali notevoli, non si assiste a fenomeni evolutivi. Tali dati sono stati interpretati come segno della necessità di una nuova spiegazione della macroevoluzione, non immaginata più come l’accumularsi di processi microevolutivi adattativi, ma tramite fenomeni strettamente interni ai geni e alle loro relazioni reciproche. I meccanismi presi in esame sono però estremamente complessi, per cui occorrerà un approccio metodologico diverso per poter fare discorsi riguardanti l’evoluzione. Qual è il nuovo approccio? Lo diremo a fine testo ai lettori più pazienti.
La prima affermazione dopo il titolo dell’articolo è schietta:
Forget finding the laws of evolution. The history of life is just one damn thing after another.
Sembra l’opposto dell’origine del metodo sperimentale. Sin dall’antichità gli uomini hanno sempre notato e appreso una grande regolarità nei fenomeni celesti, mentre per quelli terrestri, fatta eccezione per casi sporadici (come la legge di Archimede), è stato necessario un percorso filosofico molto più lungo, passando per Aristotele, Platone, la teologia medievale e approdando al metodo galileiano. Postulando che tutti i fenomeni potessero soddisfare leggi esprimibili in termini matematici, anche i fattacci che avvengono sulla Terra hanno avuto un loro ordine. Adesso invece si cancella la ricerca di una legge sull’evoluzione dei viventi e si torna al semplice succedersi di eventi.
La principale ragione di tale scelta risiede nell’impossibilità, a detta dell’autore, di predire la risposta di una specie ad i cambiamenti ambientali. Sibillina l’affermazione successiva:
That is not to say that evolution is random – far from it. But the neat concept of adaptation to the environment driven by natural selection, as envisaged by Darwin in On the Origin of Species and now a central feature of the theory of evolution, is too simplistic. Instead, evolution is chaotic.
L’evoluzione non è detta “random” (aleatoria), anzi, è qualcosa di molto lontano da tale concetto. L’evoluzione è “caotica”, un termine così vicino ad “aleatoria” che giunti a questo punto, per cogliere la sottilissima differenza, dobbiamo riconoscere che abbiamo bisogno di qualche esempio per capirci qualcosa.
Viene avanzata una critica al cuore della spiegazione darwiniana: viene ribadito il concetto della discendenza da un antenato comune, si riconosce la corroborazione del darwinismo per quanto riguarda i fenomeni microevolutivi, ma si mette in dubbio al sua validità per quelli macroevolutivi. Per fornire un preciso termine di riferimento, l’idea che una specie evolva in risposta ad un cambiamento ambientale perché c’è un adattamento guidato dalla selezione naturale è detta “adattazionismo”.
La critica scientifica all’adattazionismo viene compiuta riportando tre esempi. Sfruttando la granda mole di dati che la scienza moderna ha a disposizione, specialmente per i tempi relativamente recenti (gli ultimi 20’000 anni), si possono studiare i cambiamenti evolutivi in seguito a importantissimi cambiamenti ambientali, come l’inizio o la fine di un’era glaciale. Ci si aspetterebbe cambiamenti evolutivi legati a quelli ambientali, ma prendendo in considerazione tre specie vegetali del Nord America dopo l’ultima glaciazione, emerge che le singole tre risposte sono ogni volta diverse. Il secondo esempio riguarda il confronto tra le foreste dell’ultima era interglaciale e quelle attuali, le quali risultano molto differenti pur esistendo in condizioni simili.
L’esempio veramente duro da affrontare è quello che emerge da due studi rispettivamente sui mammiferi e sugli insetti:
Both studies show that most species remain unchanged for hundreds of thousands of years, perhaps longer, and across several ice ages. Species undergo major changes in distribution and abundance, but show no evolution of morphological characteristics despite major environmental changes.
Dati di questo tipo metterebbero in crisi qualsiasi teoria dell’evoluzione, perché come si fa a spiegare un fenomeno, se esso non avviene? Un’indifferenza all’ambiente è più grave di una risposta che cambia da specie a specie, perché non è possibile ricorrere a nessuna forma di adattazionismo (darwiniano o di un ipotetico altro tipo). Tolta la selezione naturale, tolto l’ambiente, cosa resta?
Ecco la proposta di Bennett:
I suggest that the true source of macroevolutionary change lies in the non-linear, or chaotic, dynamics of the relationship between genotype and phenotype – the actual organism and all its traits. The relationship is non-linear because phenotype, or set of observable characteristics, is determined by a complex interplay between an organism’s genes – tens of thousands of them, all influencing one another’s behaviour – and its environment.
La macroevoluzione è “spiegata” tramite la non-linearità tra genotipo e fenotipo. Anche al liceo insegnano che non c’è praticamente mai una corrispondenza 1 a 1 tra geni e caratteri, e ora precisiamo che l’ambiente influenza tale corrispondenza. Anche dal punto di vista quantitativo, se si prende per esempio i cambiamenti conseguenti alla variazione di un solo nucleotide, si va dalla totale assenza di conseguenze a cambiamenti consistenti.
Ho posto prima “spiegata” tra virgolette perché in realtà non viene detto niente veramente come avvenga la macroevoluzione. Si invoca la non-linearità, il cui problema non è che non esista, ma gli si attribuisce il potere di implicare la macroevoluzione solo in quanto tale.
Per chi vuole prima capire sia sia la linearità, apriamo una breve parentesi: una generica legge (rappresentata dalla lettera L) compita su due numeri, grandezze fisiche o altro (qui indicati con A e B) è detta lineare se vale la seguente proprietà: L(aA+bB) = aL(A) +bL(B) dove “a” e “b” sono costanti.
In altre parole, un fenomeno è lineare se posso studiare un certo fenomeno riguardante due elementi (A e B) semplicemente “sommando” il modo in cui si comporta con A e con B presi singolarmente.
Dire che un fenomeno non è lineare significa che non vale la proprietà appena citata. Ovviamente, ciò non vuol dire che non esistano altre proprietà oppure che siano impossibili da trovare; di sicuro sono più difficili da studiare e da descrivere. Il disaccordo nasce quando si usa l’argomento dell’impredicibilità per fare affermazioni non suscettibili del controllo sperimentale. A nostro avviso, per coerenza, non si possono fare affermazioni considerabili come scientifiche. Qui sta il pomo della discordia ed è un pomo epistemologico. Dire:
It follows that macroevolution may, over the longer-term, be driven largely by internally generated genetic change, not adaptation to a changing environment
significa trattare i meccanismi genetici e di scala immediatamente più alta come un cilindro da cui si può tirare fuori qualunque fenomeno senza dover dare spiegazioni, un ricorso alla magia.
È inutile ricordare che i vari elementi in gioco (DNA e proteine) sono materiali, perché in natura le interazioni tra elementi sono “concrete” quanto gli elementi stessi; se si dice che sono incapaci di essere descritti in un modello, allora vuol dire semplicemente che non li si ha descritti, spiegati, come succede con i trucchi di magia.
Anche la distinzione tra “random” e “chaotic” si perde se si assume che i meccanismi macroevolutivi siano tutti interni, senza nemmeno l’adattamento indiretto della selezione naturale all’ambiente, perché così l’adattamento (che comunque esiste) non viene più spiegato ma diventa una mera coincidenza. Le coincidenze esistono, ma con esse non si può fare scienza nel senso tradizionale.
Le precisazioni che Bennett pone proseguendo nel discorso (per cui i sistemi sono deterministici ma imprevedibili, ripetitivi come frattali ma non replicabili perché sensibili come il clima) sono giuste ma inutili ai fini della coerenza complessiva: non si può postulare sapendo di non poter essere smentiti. Non c’è rischio di smentita perché senza predizioni non possono esserci nemmeno falsificazioni, perché non c’è niente da falsificare.
In sostanza, è accettabile che un dato insieme di meccanismi sia imprevedibile, ma dire che implica la macroevoluzione è già un’ipotesi a tutti gli effetti, che si presume scientifica, una predizione, per cui deve essere soggetta a sperimentazione o ad osservazione in natura.
Purtroppo, nasce da qui un problema di principio, perché è come se ci fosse un’epistemologia “vecchia” e una “nuova”. La “vecchia” è quella incentrata sul metodo sperimentale come descritto nell’articolo Limiti citato all’inizio. La “nuova” non si basa sulla testabilità, ma su una procedura diversa a cui alludevo nella sintesi iniziale:
Consider any moment of the geological record of life on Earth: to what extent were the changes of the next 10 or 100 million years predictable at that time? With the benefit of hindsight, we might be able to understand what happened, and construct a plausible narrative for those events, but we have no foresight.
Dato un evento della storia evolutiva, con il senno di poi, cioè sapendo già cos’è successo, possiamo capire cos’è successo (ovviamente) e costruire una narrazione plausibile per quegli eventi (ma non quelli troppo in là nel tempo). Dopo che i fatti sono avvenuti, si può inventare una storia che li spieghi.
La macroevoluzione è quindi un processo in cui fattori imprevedibili implicano grandi cambiamenti in una specie e si verifica tramite storie convincenti. In base alla vecchia epistemologia, non abbiamo una spiegazione della macroevoluzione, in base alla nuova sì; ma siamo sicuri che sia veramente “nuova”?
Anche il mito faceva ricorso a storie che piacciono e convincono gli ascoltatori dell’epoca in cui viene narrato e non forniva predizioni, ma solo spiegazioni a fatti avvenuti prima della memoria d’uomo.
Si pensi alla catena montuosa dell’Atlante, che nella mitologia greca ha avuto origine perché Perseo trasformò il gigante omonimo, tramite lo sguardo magico di Medusa, in roccia. Nessuno può riprodurre lo sguardo pietrificatore, perché tutta la testa di Medusa è un sistema complesso, con complicate interazioni (sicuramente non-lineari) )tra l’occhio della donna e gli atomi del malcapitato. Non si può nemmeno riprodurre il fenomeno dell’origine della catena montuosa perché non ci sono le stesse condizioni iniziali, manca il gigante. La narrazione però è bella e all’epoca a qualcuna sarà pure parsa plausibile.
C’è chi dice che invece l’origine delle montagne può essere inquadrata in uno schema ricorrente, verificabile e falsificabile, ma questa spiegazione va inquadrata nel relativo contesto epistemologico, che come tutti i contesti filosofici, è suscettibile di opinioni, critiche e aggiornamenti.
Tornando seri, se davvero l’incipit (che ricompare nel finale) dell’articolo di New Scientist assomigliano all’inverso della nascita della scienza, forse la differenza tra la nuova e la vecchia epistemologia è solo nell’ordine delle premesse.
Dicono: non si può postulare ciò che non si trova.
Proponiamo: non si può trovare ciò che non si postula.
La prima affermazione è prudente e ricca di buon senso, il buon senso di chi sa che per esempio un corpo terrestre in moto prima o poi si ferma, perché questo è quello che si vede. La seconda affermazione è fideistica e irragionevole, come quella di chi afferma che in assenza di forze un corpo terrestre proseguirebbe indefinitamente a velocità costante, pur senza averlo mai visto (anche perché occorrerebbero tempi lunghissimi per vedere se è vero).
A voi la scelta.
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52 commenti
Non è l’ambiente ad influenzare i cambiamenti, la selezione ha un ruolo marginalee forse stabilizzante (aveva ragione Blyth!?!), allora qual è la spiegazione dell’evoluzione?
Si afferma che è un fenomeno non lineare ma non come avvenga.
“Dimenticate di avere una legge dell’evoluzione”, si afferma.
Bene, si afferma in poche parole dimenticate la scienza e torniamo alla mitologia, è quello che è già avvenuto a partire dal 1859, solo che quella greca era almeno molto più bella.
Purtroppo, prof., come dice Giorgio all’inizio del suo commento, se si cambia l’epistemologia (oppure ognuno si sceglie quella che gli piace di più), anche una non-spiegazione viene considerata scienza. Quale siano i vantaggi però non mi è molto chiaro.
Se espongo (ancora una volta) la mia epistemologia, spero che nessuno vorrà confutarmi! Tutt’al più chi non è d’accordo esporrà la sua epistemologia, diversa dalla mia, e… amici come prima.
Tutta la scienza naturale è mito, racconto plausibile per la comunità del tempo, ma è una cosa che ha poco a che fare con la realtà, anche quando fa predizioni sperimentalmente corroborate. Perché? Perché, come spiegò Popper, e Tommaso d’Aquino 7 secoli prima di lui, un’ipotesi scientifica A per il fatto di essere corroborata non esclude l’esistenza di ipotesi alternative B, C,… che spieghino gli stessi fenomeni in maniera diversa.
Un esempio? Aristotele-Tolomeo, e poi Newton, e poi Einstein! Tutte teorie che spiegano in maniere diverse, anzi opposte, gli stessi fenomeni, solo che quella che viene dopo spiega anche alcuni fenomeni che la precedente non spiega. Anzi questa è proprio la caratteristica della scienza: il progresso scientifico avviene infatti per falsificazioni delle teorie precedenti, tanto che potremo dire che se una teoria scientifica non fosse la storiella di oggi, non ci sarebbe progresso scientifico e tecnologico domani. Tra parentesi: questo spiega anche il ritornello dei grandi scienziati, quando vanno in pensione, a dire che il ramo scientifico su cui hanno lavorato è ormai arrivato al termine, al massimo: vorrebbero che le loro teorie fossero definitive!
Questa scienza-mito corroborata io la chiamo tecno-scienza, perché anche se non credo una virgola delle sue verità, mi servo tuttavia dei suoi gingilli tecnologici.
E le ipotesi che non si possono neanche corroborare, perché riguardanti fenomeni caotici, non lineari, complessi, storici, ecc., ecc.? Per me sono solo poesia, pura fantasia. Entertainment per chi la ama.
Ottimo commento che mette molti puntini sulle i. Siccome anche io la penso come te, a scanso di equivoci, preciso che quando nell’articolo parlo di “mito” intendo quelle che tu chiami “le ipotesi che non si possono neanche corroborare”.
Dottor Masiero, sono quasi d´accordo con lei. Io limiterei di piú la “scienza”. E conoscenza scientifica quello che si puó sperimentare nel laboratorio e dimostrare che partendo da A arrivo a B. Le spiegazioni di perche A passa a B, sono sempre storie possibili e odificabili quando troviamo che A´ invece che a B´ passa C. Ma per questo tutte queste storie dovrebbero incominciare con la frase: “Tutto accade come se …”. Purtroppo oggi si sono montati la testa e credono alle sue teorie come veritá dimostrate tanto da voler imporre dolorosi cambi nella societá basati in estrapolazioni di osservazioni.
Non ho capito, Blas, in che cosa Lei Si differenzi da me (quel “quasi” d’accordo) a proposito della scienza naturale.
Credo aver capito che lei intende come conoscenza scientifica le spiegazioni. Io la limito ai dati sperimentali.
Lei ha scritto che la conoscenza scientifica è anche “dimostrare che partendo da A arrivo a B”. E come ha fatto, secondo Lei, la Nasa a mandare degli uomini dalla Terra (A) alla Luna (B) e poi farli tornare indietro ad A? senza una teoria della gravitazione, una teoria termodinamica, la teoria della meccanica quantistica, ecc., ecc.?
Nessuna di quelle teorie sono necessarie per mandare un uomo alla luna. Bastano le formule empiriche che descrivono quei fenomeni e la fede che si comperanno nelle condizioni del viaggio.
E come hanno trovato la “formula empirica” che descrive la traiettoria usata per andare dalla Terra alla Luna? Inserendo i dati di chi ci era già stato?!
Forse è meglio chiuderla qui, Blas.
Li puó aver trovati via la teoria de la gravitá di Newton, de la relativita di Einstein o la teoria gravitazionale di Le Sage. Tutte ottengono, o meglio spiegano le stesse formule.
Poi si sono basati in calcoli geocentrici, perché molto piú semplice fare i calcoli. Avrebbero otenuto gli stessi risultati considerando il sole statico o partendo dal centro gravitazionale del sistema solare ma sarebbero glistessi calcoli aggiungendo parametri che non cambiano il risultato.
Ok, allora serve anche una, almeno una, teoria che funzioni! Senza una teoria, anzi molte, non potremmo nemmeno stare qui a discutere via web.
A questo punto mi pare che possiamo dirci d’accordo su tutto, senza “quasi”.
Come scrissi dalle prime battute su questo blog, il mio obiettivo è quello di capire il motivo di un atteggiamento che ho trovato “distruttivo”, deprimente, piuttosto che costruttivo. Evidenziai come trovassi quell’atteggiamento improduttivo perché anziché proporre un modo per fare più luce su un fenomeno, si limitava ad esacerbare le critiche per inibire un approccio.
Ravvedo il fenomeno ancora una volta: Htagliato scrisse un testo in cui puntava il dito sul concetto di “casuale”, criticandolo in senso epistemico. Gli feci presente il testo (in effetti non solo quello) che qui espone e commenta, perché gli fosse più chiaro cosa si pensi oggi per “caso”. Egli pare aver intuito il punto, ma, anziché costruire su ciò, affinando il suo precedente scritto, critica semplicemente l’approccio, sostenendo l’audace riflessione per cui, siccome il sistema è caotico, allora una ipotesi vale l’altra e la selezione naturale sarebbe ragionevole come la mitologia greca.
Come dire che siccome la meteorologia tratta sistemi caotici, allora tanto vale dire che il fulmine lo lancia Zeus.
Credo sia piuttosto evidente la perniciosità di un atteggiamento deprimente: ottenebra la mente, deprime la formazione di brillanti ipotesi sperimentali. Deprime soprattutto il dialogo, che può avvenire solo se, anziché voler cassare una questione più rapidamente possibile, si cerca in letteratura cosa ne pensino voci autorevoli e alla luce di esse, si discute. Diversamente, se la comunità scientifica non fosse tale, si dovrebbe ridiscutere ogni cosa da capo, rallentando il progresso e ostacolando chi si prodiga per promuoverlo, rendendo più difficile la formazione di forme mentali prodrome a spiegazioni efficaci di fenomeni e infine la loro divulgazione.
Si finisce, come per il famoso e tranciante modello dell’uno su dieci alla tre milioni, a dire “tanto non si capirà mai nulla, un mito vale l’altro tanto vale credere a X” e si può far passare qualsiasi messaggio, qualsiasi mito.
Fortunatamente non è così; gli autori di questo blog mi sembrano purtroppo persi nella suddetta “depressione epistemologica”, mentre proprio perché il caos non è il caso assoluto, ovvero la causa c’è, meglio sarebbe iniziare a modellare in modo costruttivo. Cercare le componenti principali del sistema, ricordare l’idea mentre di formulano ipotesi, ricercare strutture che possano generare fenomeni caotici. Un esempio, ma se ne potrebbero fare altri: la recente osservazione che i network biologici sono scale-free e in quanto tali legati al caos, ma anche proni a svelare quali siano gli hub amplificatori, possibilmente le suddette componenti principali. C’è il bisogno di buone idee, idee coerenti per creare modelli utili. La selezione naturale può essere uno di questi fattori, oggi pare chiaro non l’unico, ma altrettanto chiaramente non da escludere.
Quello che mi pare sfugga in questo blog è che le idee legate alle spiegazioni della macroevoluzione puntano alla comprensione di fenomeni essenziali al progresso umano (medico, industriale, agricolo, ecc.) e che i modelli sono già abbastanza complessi da creare senza che si cerchi di scartare aprioristicamente alcune ipotesi per motivi ideologici. Motivi religiosi, ma anche equivalenti pretese di epistemologia deterministica assoluta, che non ha senso in sistemi caotici, almeno fino alla totale descrizione del sistema stesso, che potrebbe rivelarsi impresa non pratica, mentre un approccio probabilistico potrebbe essere sufficiente quando il margine di errore è accettabile.
Si badi che la comunità, cui ho già fatto riferimento, è attiva sul cammino di autocritica, che non c’è a tal riguardo alcuna “legge” assolutamente condivisa, ma un vivo dibattito condotto su basi quanto più possibile verificabili sperimentalmente, con modelli matematici o esperimenti di laboratorio.
Constato che Giorgio Masiero che cita Popper, pare aver del tutto ignorato i riferimenti che ho fatto al lavoro di Angelo Vulpiani, che evidenzia come Popper non abbia afferrato il significato epistemologico della probabilità. Gli approcci probabilistici infatti sono utili alla comprensione di modelli non lineari, come quelli della meccanica quantistica, che Htagliato, che leggo essere un fisico, dovrebbe conoscere, ma che pare non gli sia venuto in mente di discutere, per quanto mi sembrerebbe utile e piuttosto ovvio fare.
In ultima analisi, seguendo le vicende di questo blog, ho sempre più l’impressione che non vi sia un atteggiamento costruttivo, ma un “deprimersi alla giornata”. Articolo che arriva, critica che si scrive. Senza costruire sugli sforzi pregressi, senza formulare una ipotesi costruttiva, considerare che magari sulla questione dell’epistemologia dei fenomeni caotici ci sono centinaia di articoli e che sarebbe utile cercare quelli più autorevoli, leggerli e alla luce di essi commentare quello che la comunità scientifica pensa a riguardo. Un articolo scientifico, soprattutto di “revisione” ha dozzine e dozzine di riferimenti e si giudica anche in base a quelli “dimenticati”, indice talvolta di incompletezza.
Cio detto non mi sorprende che alla fine ad Htagliato sia sfuggita la frase conclusiva del testo che commenta “We still have much to learn about how life evolved but we will not develop a full appreciation until we accept the complexity of the system.”; egli infatti non accetta la complessità del sistema, che riduce ad un mito, ed ecco concretizzato quel timore che manifestai nel mio primo messaggio: l’inibizione delle idee e della partecipazione al dibattito scientifico considerandone le voci più autorevoli.
Se è così, è Vulpiani che non ha capito Popper, il quale conosceva benissimo l’importanza scientifica della probabilità (v. ciò che ha scritto sulla scientificità della MQ). Io prendo una medicina non perché mi aspetti da essa la certezza della guarigione, ma perché suppongo che sia stata testata e che ci sia una buona probabilità della sua efficacia. Ma se non è testabile a priori, perché la dovrei prendere?!
A deprimere la scienza vera, quella riproducibile e testabile (anche statisticamente), non siamo noi, ma coloro che dicono di fare scienza con ipotesi irriproducibili e incontrollabili. Fantasie inutili, buone per i plot di Hollywood e per gli ingenui che ci credono.
dott. Masiero, é ingeneroso il suo commento e mi chiedo come abbia potuto essere consigliere economico per il governo quando “la scienza economica” si presta proprio alle sue critiche.
Qui si parla, GIBI_1973, di scienze naturali. Comunque, sì, la scienza economica è forse la più “malata” di tutte le scienze: inaffidabile, condizionabile e spesso corrotta. Io, in quell’incarico, ho cercato di fare del mio meglio, o del meno peggio, da onesto artigiano.
Dott. Masiero,
Leggo sempre con interesse i suoi articoli e i suoi commenti perché mi fanno comprendere quanto ignorante sono su tanto aspetti.
L’ultimo dei suoi commenti mi é sembrato fuori dal suo stile e troppo tranchant, sopratutto se in chiusura di una discussione che francamente ho trovato molto molto bella.
Buona Pasqua dottore Masiero e le confesso che mi piacerebbe molto avere degli amici con la cultura che ho trovato in questo blog. (Complimenti a tutti)
Buona Pasqua anche a Lei. Sarà sempre per me una grazia confrontarmi con la Sua umiltà sapiente, da cui posso solo imparare, piuttosto che con la superbia saccente, da cui non ho mai imparato nulla.
Salve Nando, non potrà esserci MAI esserci dialogo costruttivo se lei ripetutamente:
1) cerca di “capire le nostre intenzioni”, come se lei fosse uno psicologo (“Motivi religiosi, ma anche equivalenti pretese di epistemologia deterministica assoluta”, assolutamente NO, non è questo lo scopo)
2) ci mette in bocca parole che non condividiamo:
“sostenendo l’audace riflessione per cui, siccome il sistema è caotico, allora una ipotesi vale l’altra ” non sono io a dirlo, ma chi afferma che non si possono fare predizioni: senza predizioni, non si possono confrontare due ipotesi;
“la selezione naturale sarebbe ragionevole come la mitologia greca.”
La SELEZIONE NATURALE, da sola, NON è un’ipotesi, è una TAUTOLOGIA, è sempre vera e l’articolo non si riferiva a quella da sola, anzi, è proprio l’autore a metterla molto in secondo piano!
“Gli approcci probabilistici infatti sono utili alla comprensione di modelli non lineari, come quelli della meccanica quantistica, che Htagliato, che leggo essere un fisico, dovrebbe conoscere, ma che pare non gli sia venuto in mente di discutere, per quanto mi sembrerebbe utile e piuttosto ovvio fare.”
Conosco bene la MQ e l’approccio probabilistico usato in essa (e i fenomeni emergenti che ho studiato) non sono affatto come i biologi li descrivono.
“egli infatti non accetta la complessità del sistema, che riduce ad un mito, ed ecco concretizzato quel timore che manifestai nel mio primo messaggio: l’inibizione delle idee e della partecipazione al dibattito scientifico considerandone le voci più autorevoli.”
IO CREDO nella complessità del sistema, non lo ripeterò più. Il mito è postulare qualcosa (la macroevoluzione) e poi candidamente precisare che ci si sta ancora lavorando con la spiegazione scientifica…quindi stiamo dicendo la stessa cosa: manca una teoria dell’evoluzione. Per quanto riguarda le voci “autorevoli”, è inutile considerarle se partiamo da basi epistemologiche diverse.
Le consiglio una cosa: rilegga il mio articolo senza i pregiudizi evidenziati in questo commento, DIMENTICHI tutto quello che crede di sapere su di me e sugli altri autori di CS.
Concordo, costui fa la critica della critica, un esercizio che non ci interessa.
Htagliato, la cosa più interessante di questo blog, ne converrà, è la critica a ciò che questo blog pensa essere il pensiero della comunità scientifica. In particolare c’è un tema che in questo blog è ricorrente, ovvero la ricerca di argomenti che possano contrastare l’idea che l’evoluzione segua un percorso casuale (e ora s di cosa parlo) guidato da eventi tra i quali la selezione naturale è uno dei fattori.
Comprenderà che capire il motivo per cui non riusciate a condividere un’idea così diffusa diventa piuttosto importante, anche perchè per rifiuatare un’intuizione così semplice da diventare ai suoi occhi tautologica, si riscontrano spiegazioni molto discutibili (il modello di Giorgio) e frasi come l’essenza del suo scritto, che lei stesso (o forse il curatore Pennetta) riassume con “Senza un accordo su cosa sia la scienza, non può esservi progresso, semmai un ritorno alle spiegazioni tramite ricorso al mito.”, dando ancora una volta a intendere che il testo di Benneth abbia analogo valore epistemologico del nubi dell’Olimpo.
Come fa a dire che avere dinnanzi un sistema caotico equivalga a non poter fare previsioni mi sfugge, ma mi fa intuire che il concetto non le è chiaro. E’ infatti vero che di fronte ad un sistema caotico è ancor di maggiore importanza avere buone intuizioni, perchè un errore non porta ad uno su dieci alla tre milioni, ma anche peggio. Se lei credesse nella complessità non potrebbe esimersi dal riconoscere che quindi il problema è ridurla e per ricercare i fattori più influenti serve una buona idea e spesso l’idea migliore è la più ovvia, quasi tautologica.
Fatico a dimenticare quello che leggo su questo blog perchè è l’unica cosa che posso consultare per farmi un’idea di cose crei questa isola di persone più o meno pratiche di scienza che però su una questione partono su una tangente. Leggo un testo in cui un notevole sforzo è profuso per ridurre il tempo della generazione del pianeta a sei giorni terrestri e qualche domanda me la pongo, rispetto a tutta la letteratura che non mi pare venga citata.
Leggo poi un commento sotto che evidenzia come il testo di Bennett non dica molto e onestamente mi trova un po’ perplesso. Stiamo parlando di un giornale divulgativo. Come mai al commentatore, che si ripropone di scrivere un articolo a sua volta, non viene in mente di cercare la letteratura più autorevole che tratta del valore epistemologico della teoria del caos? Forse per lo stesso motivo per cui non è venuto in mente a lei o per lo stesso motivo per cui Enzo evidenzia che non vi interessa la critica delle vostre critiche. Ma vede htagliato, forse il gruppo che si ostina su un’idea che non vuole davvero discutere non la comunità scientifica (e le indicai un Nature sulla necessità di riflettere sul concetto di evoluzione), ma la vostra.
P.S. se vorrà mi spiegherà cosa i biologi sbaglierebbero nella “loro” idea di probabilità e caos nella MQ e avrà la gentilezza di indicarmi dove nella comunità finisce il biologo ed inizia il fisico, perchè come saprà ci sono master in biofisica.
Continua a non capire il senso della nostra critica, anche perché non capisce proprio i nostri testi a livello linguistico. Non la voglio offendere, è proprio evidente:
” per rifiutare un’intuizione così semplice da diventare ai suoi occhi tautologica, si riscontrano spiegazioni molto discutibili (il modello di Giorgio)”
Se la spiegazione è tautologica (che è quello che crediamo) allora DEVE essere rifiutata in quanto inutile (anche se vera, proprio perché è vera sempre, non aggiunge informazioni, NON spiega). Il “modello di Giorgio” serviva a dimostrare l’incapacità del caso da solo a implicare l’evoluzione, NON è un’enunciato in cui Giorgio crede!
Analogamente quando scrive “Se lei credesse nella complessità non potrebbe esimersi dal riconoscere che quindi il problema è ridurla e per ricercare i fattori più influenti serve una buona idea e spesso l’idea migliore è la più ovvia, quasi tautologica.” NON possiamo essere d’accordo perché la selezione naturale NON spiega niente NEMMENO secondo Bennett!
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“Come fa a dire che avere dinnanzi un sistema caotico equivalga a non poter fare previsioni mi sfugge, ma mi fa intuire che il concetto non le è chiaro.”
È il contenuto del testo di New Scientist che descrive lo stato attuale della Teoria dell’Evoluzione, non sono io a dirlo.
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” Leggo un testo in cui un notevole sforzo è profuso per ridurre il tempo della generazione del pianeta a sei giorni terrestri e qualche domanda me la pongo”
Nessuno qui crede che la Terra (se non l’Universo) si sia formata in 6 giorni, chiariamolo.
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“se vorrà mi spiegherà cosa i biologi sbaglierebbero nella “loro” idea di probabilità e caos nella MQ e avrà la gentilezza di indicarmi dove nella comunità finisce il biologo ed inizia il fisico, perché come saprà ci sono master in biofisica.”
D’accordo. In MQ il risultato di ogni misura è accompagnato da una probabilità che questa si riscontri, MA le probabilità sono deterministicamente fornite dalla teoria. Il fatto che tutto sia accompagnato da una probabilità non impedisce di scoprire (fino a prova contraria) le proprietà di atomi, molecole e corpi macroscopici come i metalli. Si sale di scala e con la stessa teoria si recupera la capacità di fare predizioni anche con un numero di Avogadro di particelle.
Invece nel testo di Bennett ci si ferma prima, all’incapacità di fare predizioni, si considera ciò una cosa normale per i sistemi in esame MA si pretende di aver fornito al lettore comunque una risposta al come avviene una macroevoluzione.
In base ai miei studi, matematicamente, non esiste un “caso buono”, che permette di ottenere la complessità e l’evoluzione, e un “caso cattivo” corrispondente all’assenza di cause. L’unico caso che conosco è quello che consiste nell’incapacità di risolvere un sistema di equazioni differenziali perché troppo numerose e/o troppo sensibili alle condizioni iniziali, ma in biologia non si applicano le equazioni differenziali, per cui qui il caso è solo ignoranza sui meccanismi in esame.
Le possibilità allora sono due: o si ammette l’ignoranza e quindi che NON abbiamo una teoria dell’evoluzione capace di fare predizioni che non siano tautologiche (il più adatto sopravvive); oppure si nega l’ignoranza e allora si forniscono delle regole FALSIFICABILI. Delle due, l’una.
Lascia perdere, HT. Quando uno arriva a ribattermi che una tautologia “è l’unica ipotesi scientifica seria” e ora arriva a mettermi in bocca perfino la credenza nella Terra giovane (come mette in bocca a te parole di Bennett), vuol dire che è arrivato qui in CS già talmente cotto dai pregiudizi da non capire quello che scriviamo.
Va bene, Giorgio, accetterò il tuo consiglio.
Non sono io che non capisco htagliato, è in generale su questo sito che non si ha presente cosa pensi oggi la scienza (e non sorprende giacché i riferimenti alla letteratura sono rari) e poi lei che nello specifico non ha capito cosa pensa Bennett. Inoltre quel che mi preoccupa è che lei assume che Bennett stia parlando di una cosa che non avrebbe senso, una tautologia, che non servirebbe a nulla e in questo non ci vede nulla di strano, non le viene in mente che forse per avere i titoli di Bennett occorre essere un po’ più acuti di così e che lei sta leggendo un testo divulgativo che non può per questo essere utilizzato come mezzo privilegiato per interpretare Bennett che presumibilmente ha scritto testi più dettagliati e complessi che dovrebbe conoscere chi vuole discutere le sue idee.
Io infatti le feci presente questo testo come un testo introduttivo riguardo al concetto di caos, caso e probabilità.
Se vuole capire Bennett dovrebbe leggere il uso lavoro intitolato “Is the number of species on Earth increasing or decreasing? Time, chaos and the origin of species.” pubblicato su Palaeontology nel 2013.
Troverà anche che, come per la MQ, che se non i biologi i biofisici capiscono bene, là dove una proprietà emerge da una distribuzione di probabilità, si può immaginare lo stesso principio per altri contesti complessi ma non stocastici in modo deterministico ancorchè con un margine di prevedibilità dovuto al modello e dove buone idee sono essenziali per affinarlo (e.g. selezione naturale, ovvero il peso determinante di taluni fattori, nonostante la componente caotica).
Lì capirà meglio cosa Bennett intenda per limiti di predicibilità per la caoticità a livello di specie e di ecosistema e da lì se vuole potremo discutere di qualcosa di concreto.
Sempre se vorrà discutere, perchè noto da più parti inviti a lei rivolti a non discutere con me, come se il dialogo non fosse cosa gradita in questo sito.
In effetti Giorgio Masiero mi ha già detto che non desidera discutere con me e io lo accontento, anche se poi commenta i miei messaggi, mi mette in bocca frasi che non ho mai detto mentre si lamenta della stessa cosa nei suoi confronti. E poichè è lei htagliato che solleva la questione, le faccio presente che in un recente testo di Giorgio, c’è scritto: “Prima di concludere però, sento il dovere di aggiungere che scienziati diligenti e pii hanno ulteriormente affinato i calcoli, fino a far coincidere esattamente i 13,798 miliardi di anni dell’universo secondo la Nasa con i 5 giorni e mezzo per la creazione di Adamo secondo gli esegeti della Torah. ” e lei però mi dice “Nessuno qui crede che la Terra (se non l’Universo) si sia formata in 6 giorni, chiariamolo.” e in effetti ha ragione, non sono 6, sono 5 e mezzo. Conto non le sfugga l’aggettivo “pii” su cui gradirei un suo commento.
Spero quindi ora capirà htagliato come mai sono curioso di capire cosa motivi gli interventi in questo sito, notando che un commentatore si firma come un personaggio biblico, mostrando di non aver affatto afferrato la differenza tra caso e caos e lei lo ringrazia per l’intervento.
Gentile Nando, naturalmente seguo sempre con molto interesse i suoi interventi, che spesso peraltro condivido ampiamente in termini generali, e che ritengo essere anche importanti per stimolare il dibattito su questo blog. Ma visto che mi ha chiamato in causa nel suo commento e per capire fino a che punto lei ragiona da scienziato imparziale o si lascia a volte sopraffare dai pregiudizi (è umano per carità) le volevo chiedere, se ha tempo di rileggere il mio commento che era inerente all’articolo di Bennett e non allo stato dell’arte in materia, cosa c’è secondo lei di sbagliato su quanto ho detto in merito? Le chiedo inoltre, ha letto il mio ultimo articolo proprio sul caso e la contingenza? Cosa ne pensa? Non le sembra che a volte sia un po’ azzardato e superficiale mettere tutto e tutti dentro lo stesso calderone, ma piuttosto servano di volta in volta analisi specifiche e imparziali? Il mio pensiero è spesso evidentemente diverso rispetto ad alcuni autori di questo blog, veda per esempio gli articoli sul clima, eppure il prof.Pennetta mi ha sempre dato ospitalità lo stesso, intelligentemente e onestamente, capendo che la diversità di vedute se portata avanti con spirito costruttivo può anche essere una ricchezza culturale per tutti.
Salve Fabio. Ho letto il suo testo e lo condivido a grandi linee (il passaggio “mai completamente determinato” mi pare un po’ forte, ma ne posso dare una interpretazione divulgativa). La cosa che mi sorprende è che possa essere sfuggito ad htagliato, perchè fattolo suo non credo avrebbe scritto il testo sulla “torta casuale”, che mi ha indotto a suggerigli Bennett e poi anche Vulpiani. Bennett lo suggerisco anche a lei, come ho fatto appena sopra ad htagliato, per dirle che l'”errore” che lei fa (e che mi pare diffuso in questo sito) è quello di fermarsi ad un necessariamente superficiale testo divulgativo e -in presenza di perplessità- non pensi ad approfondire con testi più sostanziosi dello stesso autore, che è piuttosto ovvio esistano (v. riferimento a Palentology sopra).
Quanto a mettere tutti nello stesso calderone, sto più che altro cercando di capire come si possa formare un piccola comunità con una certa tendenza all’isolazionismo, -non parlare con questo, con quello-, che cita con una parsimonia impressionante e che di conseguenza tratta i testi con predilezione per quelli divulgativi e raramente recenti e autorevoli. La ricchezza culturale, spero ne converrà, viene dal confronto aperto e sopratutto dalla ricerca approfondita, piuttosto che superficiale, cercando di capire l’altro, ed è quello che sto cercando di fare io e quello che suggerisco di fare con gli inviti che faccio ad approfondire la letteratura, che in passato qui è stata ridotta a “carte” in generiche tonnellate.
Grazie Nando, sono contento che lei condivida il contenuto del mio articolo sul caso e sulla contingenza. Sull’uso del “mai completamente determinato” ha ragione, detto così potrebbe suscitare in effetti qualche perplessità epistemologica. Non mancherò, come da suo suggerimento, di approfondire la produzione scientifica di Bennett, la mia analisi era infatti riferita soltanto all’articolo divulgativo citato.
Se Nando si deprime è un problema suo.
Qui si fa analisi critica delle notizie che riguardano la scienza, per cui se leggendole ne deriva depressione potrebbe più propriamente andare a prendersela con chi quelle notizie-teorie deprimenti mette in circolazione non con noi.
“Quando il saggio indica la luna lo stolto guarda il dito” Proverbio cinese.
Gentile Enzo, ovviamente per depressione non parlo di psicologia. La rimando per il resto alla mia risposta ad htagliato e qui mi limito a ricambiare la sua cortesia facendole notare che la “luna” che stiamo guardando in questo articolo ve l’ho indicata io e in effetti tra un New Scientist e un Nature che indicai, stiamo parlando del primo. Veda lei…
Ringrazio Htagliato di essersi occupato di questo articolo, in quanto anch’io dopo averlo letto, sono rimasto abbastanza perplesso, devo dire. In realtà come già trattato da Htagliato, ma come si evince anche dal commento del prof.Pennetta, non è che l’articolo aggiunga molto in merito alla ricerca sul campo che ci dovrebbe invece condurre a capire qualcosa di più sui reali meccanismi biologici che stanno alla base dei processi macroevolutivi, su questo siamo d’accordo. Forse l’unica nozione degna di nota è che, così come suggerito da alcuni studi di paleoecologia, i processi macroevolutivi potrebbero essere, in determinate circostanze, meno sensibili alle variazioni climatiche rispetto a quanto si pensasse. Sulla non prevedibilità e non linearità dei processi evolutivi e sulla quasi assenza di leggi generali in biologia evolutiva (le leggi descrivono classi di eventi e non singoli eventi), non si aggiunge niente di nuovo. Faccio presente inoltre che in questo lavoro sono state considerate pochissime specie (ne esistono attualmente 10-12 milioni), tempi relativamente brevi, e condizioni ambientali corrispondenti alle sole variazioni climatiche (essenzialmente di temperatura), delle quali peraltro si ha ancora una conoscenza molto approssimativa. Riguardo invece alle interpretazioni epistemologiche, quella un po’ più prudente di Htagliato e quella più tassativa del prof.Masiero, come sapete io la penso un po’ diversamente, ma essendo impossibile argomentare adeguatamente in poche righe, magari mi riservo di parlarne eventualmente prima o poi, sperando di avere tempo e ispirazione e se il prof. Pennetta riterrà opportuno, in un prossimo mio articolo, magari cercando anche di dimostrare che la scienza naturale, con il mito, non ha proprio nulla da spartire.
Aspetto di leggere il Suo articolo, dott. Vomiero, e spero sinceramente che Lei mi faccia cambiare idea. Non tanto sulla definizione (più o meno estesa) di scienza naturale, che è una convenzione e pertanto una questione irrilevante; ma piuttosto sulla distinzione – per me evanescente e per Lei profonda – tra la scienza naturale riproducibile e corroborata da un lato e il mito dall’altro, che è questa sì una questione epistemologica rilevante!
Non capisco, Masiero… Non sosteneva di aver un grande rispetto per la scienza naturale? E adesso me la retrocede tutta a mito? se capisco bene in modo spregiativo… Mi sfugge qual è la logica.
Io rispetto della scienza naturale le “applicazioni”, le tecnologie: gli aerei, le medicine, il pc, la plastica, la telefonia, ecc., ecc. Nella tecnica, c’è progresso continuo, senza un solo attimo di regresso e nemmeno di pausa. Anzi la tecnica è la sola attività umana dove c’è avanzamento.
Le teorie scientifiche sono racconti, ipotesi…, in attesa di essere smentite da nuovi racconti (o miti): questa è la massima aspirazione dei ricercatori, smentire le teorie esistenti. Rispetto anche le teorie, naturalmente, ma solo in quanto permettono riproduzioni con impatto tecnico, non perché affermino qualcosa di vero sulla realtà. La realtà non è pane per la scienza naturale. Come per Quine, per me “gli atomi non hanno maggior esistenza degli dei di Omero”. Le è chiara adesso la mia epistemologia, Giuseppe?
Chiarissimo sulle applicazioni… Un po’ meno riguardo agli atomi paragonati agli dei di Omero, che mi fa pensare che quanto oggi insegnano sugli atomi sia per lei tutta una mitologia.
Per quanto riguarda gli atomi, la citazione di Quine può essere contestualizzata in base a ciò che è successo storicamente: all’inizio si credeva al modello a “panettone” (corpo con cariche sparse tipo uvetta e canditi), poi il modello “a sistema solare”, poi quello con gli orbitali, poi si scoprì che anche protoni e neutroni sono strutture composte, perché il percorso dovrebbe essere considerato concluso per sempre?
Capisco cosa si vorrebbe significare, ma il paragone con la mitologia è per me davvero forzato e fuorviante.
Nient’affatto: né forzato, né fuorviante. Perché piuttosto, Giuseppe, invece di giurare la Sua fede atomistica, non ci dice “come sono fatti gli atomi davvero”? o se lo fa dire da un fisico, e poi ce lo spiega qui, in un articolo su CS?!
Democrito, Lucrezio, Lavoisier, Thompson, Rutherford, Bohr, De Broglie, Gell-Mann, M-brane, …? Tra 100 anni sorrideranno di noi, come noi sorridiamo di Bohr, e Bohr sorrideva di Thompson, e…
Insomma, lei sostiene che sappiamo della struttura di un atomo quanto sapevano gli antichi dei loro dei mitologici… Può darsi, però l’atomo non è mitologico in sé, quanto, mi par di capire, in ciò che la scienza dice riguardo a come esso sia fatto… Sbaglio?
Gli dei di Omero non esistevano nella realtà, solo nelle menti dei Greci. I miti religiosi avevano una funzione unificante nella conservazione delle costituzioni delle polis.
Gli atomi non esistono nella realtà, solo nelle menti dei fisici e dei chimici. Le teorie momentanee sugli atomi hanno una funzione predittiva nella conservazione di alcune quantità fisiche.
“La fisica non sa cosa sia la realtà, si limita a fare predizioni su alcuni fenomeni misurabili” (S. Hawking). Se la fisica non sa cosa sia la realtà, non può dire ciò che esiste “in realtà”, atomi compresi. Se Le interessa l’argomento, Giuseppe, Si rilegga il mio articolo “I due tavoli di Eddington” (e tanti altri).
Forse si potrebbe dire che la fisica non sa cosa sia ” l’ essenza ” delle cose, che è la vera realtà delle stesse. Si limita a mettere in relazione le cose tramite dati quantitativi espressi in termini matematici. Man mano che le teorie soppiantano le precedenti ampliando l’ ambito di applicazione, le stesse si fanno sempre più astratte ed eteree, volendo riunire la molteplicità sono costrette ad allontanarsi dall’ unicità. Rimangono magnifiche costruzioni della mente umana che lambiscono, senza mai possederla, la verità delle cose!
Non sono d’accordo, Cacioppo. Ciò che Lei scrive valeva per i fenomeni della fisica classica, ma nei fenomeni della fisica atomica e delle particelle l’astrazione scientifica è andata molto oltre – come ho spiegato ne I due tavoli di Eddington -. Che cosa “osserva” nei laboratori del Cern, per giunta non direttamente ma con la mediazione di sofisticatissimi strumenti, un fisico atomico e delle particelle oggi? Solo una cosa: variazioni di campo elettromagnetico. Particelle, atomi e gli stessi altri 3 campi della fisica sono solo magnifiche creazioni matematiche delle menti dei fisici teorici – quindi esistenti solo nell’intelletto e non nella realtà – per far combaciare dati, fornire predizioni ed ottenere applicazioni.
Se mi sbaglio, o mi sfugge qualcosa, prego HT, che è un fisico giovane e molto più aggiornato di me, di correggermi.
Nulla da correggerti, Giorgio, anzi, a scale superiori i fisici introducono addirittura particelle che PER DEFINIZIONE non esistono, le cosiddette “quasi-particelle”!
In modo imperfetto, non essendo io un fisico, intendevo cose simili. Man mano che le teorie evolvono, l’ astrazione aumenta, la realtà a noi visibile scompare e resta un mondo fatto di formule matematiche. Resta il problema di comprendere in cosa consista la realtà matematica, se sia semplicemente una costruzione dell’intelletto o abbia una esistenza propria come sembrerebbe nei casi in cui rami astratti della matematica trovino applicazioni inaspettate e sorprendenti in fisica.
Concordo con la sua epistemologia, ma mi sembra che il paragonare le teorie scientifiche agli antichi miti sia un po’ forte. Oltre al fatto che i due concetti (mito e teoria scientifica) hanno chiaramente obiettivi culturali differenti (come lei stesso giustamente
evidenzia)) è soprattutto il giornalismo pseudo divulgativo ha trasformare le teorie scientifiche in mitologia (con i fini da lei richiamati). Non crede?
Magari fosse così, Longagnani! Ma oggi, con la maggior parte dei paper di medicina o di psicologia o di astrofisica o di neuroscienze non controllabili, quando non manipolati dagli interessi dell’industria; con decine di migliaia di paper di fisica dedicati agli alieni, al multiverso, alla teoria delle stringhe, a matrix, ai viaggi nel tempo, ecc.; con la teorizzazione che è scienza ogni ipotesi anche non riproducibile, quando si tratta di sistemi “complessi”; con le carriere accademiche fondate sui kg di paper pubblicati; con la confusione tra i protocolli dei metodi delle varie scienze e le concezioni filosofiche dei diversi scienziati; ecc., ecc., con tutto ciò io non accuso più gli ignoranti giornalisti, ma accuso la comunità scientifica in maggioranza – con l’eccezione di chi ha ancora il coraggio di dire “non sappiamo (ancora)” e lavora alle sue ricerche con l’umiltà e la serietà di un artigiano – di aver fatto della scienza il mito della nostra società.
Prego, Vomiero, come Giorgio, aspetterò il suo articolo.
Grazie HTagliato per questa chiarissima esposizione.
Evidentemente certi commenti mostrano che ci sono oggettivi limiti intellettuali , culturali, proprio di forma mentis e apriorismi di ogni qual sorta che impediscono alcuni nostri interlocutori di avere una concezione razionale e solidamente fondata su un’epistemologia sensata e condivisa. Amen.
Mi è capitato anni fa di fare del parapendio in particolare lanciandomi dal ghiacciaio dei Diablerets su per giù a quota tremila….. poi ci si innalza anche più in alto e si ha una vista magnifica di monti, ghiacciai, valli, riviere e fiumi come il Rodano, laghi come il Lemano e laghetti.
C’è chi vedendo questa meraviglia dice: tutto questo è casuale, i processi sono troppo complessi e avrebbe potuto essere tutto differente questo paesaggio e quindi quel che vediamo è dovuto al dio Caso.
C’è chi vedendo questo paesaggio sa che è stato modellato da alcune leggi basilari come la gravità e che, se anche dovuto a volte ad avvenimenti contingenti, le stesse leggi applicandosi sempre, anche se il paesaggio non sarebbe stato perfettamente identico, esso sempre sarebbe pur sempre composto di ghiacciai (differenti), monti (differenti), valli (differenti), riviere(differenti), fiumi (differenti), laghi e laghetti (differenti). E quel che vediamo non è il risultato del caso, ma della complessità di azione delle oggettive leggi della natura che sottintendono tutti i processi nel nostro universo.
So che predico alla corale e non ho bisogno di convincerti, mentre gli altri non possono o non vogliono capire: però provare vale sempre ma pena, almeno sul piano etico.
Grazie a lei per averci offerto questa similitudine atta ad integrare i concetti che stiamo sostenendo.
Grazie Simon, ottimo esempio che condivido in pieno; ci sono delle leggi, che portano ai risultati che osserviamo, fine.
É cosi peché la “Scienza” non puó determinare quale delle due visioni sia “vera” diventando una questione metafisica o meglio di Fede.
È comunque ineluttabile che quel paesaggio sarà un paesaggio di montagne, riviere, valli e laghetti… nulla è li per caso… e tutta l’acqua dei ghiacciai sempre scende verso il mare indipendentemente dalle circostanze.
I nostri amici sono un po’ come quelli che confondono il dito colla luna che esso indica: si soffermano sul fatto che in un luogo dato non c’è laghetto perché il suolo roccioso non lo ha permesso e quindi l’acqua scorre immediatamente nella valle sottostante. E da questa constatazione ne deducono che la situazione è talmente complessa che prevedere se il suolo è roccioso o argilloso o altro è impossibile e, quindi, casuale … dimenticando che l”essenziale in un discorso scientifico sarebbe di capire perché le acque scelgono sempre il gradiente di maggior pendio: il fatto che questo principio sia applicato su un suolo di una certa natura piuttosto che di un altro essendo semplice circostanza particolare che in nulla implica l’inesistenza del principio generale e cioè che tutte le acque vanno al mare.
Questi signori sarebbero dello stile a dire che se un ruscello scende in altezza più rapidamente in una cascata che in una piana impaludata dove l”acqua sembra praticamente immobile allora la legge di gravità non sarebbe la stessa nelle circostanze imprevedibili della cascata dove sarebbe fortissima o della palude dove sarebbe debolissima…. e che ciò sarebbe dovuto al dio Caso….