“Per i fisici il concetto di causa riposa su un’ipotesi di invarianza delle leggi fisiche rispetto allo spazio-tempo, e dunque la legge fisica, e la causa, non escludono il caso, la fluttuazione, il qui e ora del singolo evento. Si tratta piuttosto di concetti complementari” – Ignazio Licata.
“Eppur esiste”, verrebbe da dire riprendendo e parafrasando una celebre frase di qualche secolo fa. Il caso infatti è un fenomeno noto e certamente rappresenta anche un’esperienza molto comune nella nostra vita di tutti i giorni. Sembra strano quindi che, nonostante ciò, ci siano ancora molte persone che guardano con sospetto o addirittura con dichiarata riluttanza a questo concetto. Una idiosincrasia spontanea, la cui origine però, può essere verosimilmente ricercata nell’ambito di almeno due principali e diffuse dimensioni concettuali: una di natura filosofico-religiosa, all’interno della quale il concetto di casualità viene a trovarsi in perfetta antitesi con quelli di finalità, destino, progetto, scopo, l’altra, all’interno dello stesso pensiero scientifico, associata invece ad una visione, oramai un po’ naif, di un mondo perfettamente deterministico e quindi completamente predicibile. Visione che, pur in un contesto culturale profondamente mutato, stenta ancora a prendere atto delle novità epistemologiche introdotte invece dalla meccanica quantistica prima e dallo studio dei sistemi complessi poi. Pensiamo a termini come indeterminazione, incertezza, probabilità e caso appunto, che si pongono per così dire di traverso, a quelli di certezza, causa, predicibilità, e al sogno ormai infranto di un metodo riduzionistico che possa essere unico e universale. Risulta chiaro allora che se si vuole tentare di avvicinarsi con la dovuta serenità ed efficacia esplicativa al concetto oggettivo di casualità, diventa assolutamente necessario cercare di liberarsi preliminarmente di questi ingombranti bias cognitivi, come minimo. Una volta stabilito quindi che il caso esiste, e si potrebbero citare decine di esempi, dal numero estratto alla roulette o dalla tegola che cade sulla testa del passante, fino al moto browniano e alla serendipity, proviamo allora a sviluppare progressivamente una possibile linea definitoria di caso oggettivo, nonostante il dibattito in corso appaia tuttora complesso e articolato. Operazione per niente facile, visto che non abbiamo a che fare con un parametro misurabile, ma piuttosto con un concetto, peraltro vasto e dalla semantica quantomeno ambigua. I matematici per esempio si guardano bene dal farlo, esattamente come in geometria sorvolano su ciò che debba intendersi per punto. Si limitano però a precisare le regole del gioco; grazie agli strumenti della statistica e del calcolo delle probabilità, infatti, riescono generalmente a domare con successo ciò che invece è sfuggente e apparentemente inaccessibile.
Comunque sia, per caso o evento casuale, si potrebbe intendere il verificarsi di un evento singolo, del tutto imprevisto e impredicibile, che accade senza alcuna necessità. Com’è noto peraltro, specialmente in biologia, si tende ad utilizzare un termine un po’ più sottile di caso, quello di contingenza, che sembra riuscire a prendere meglio le giuste distanze dalla fuorviante idea di un “puro caso”, cieco e onnipotente dove tutto è possibile in egual misura, per avvicinarsi invece maggiormente alle idee di storia e di possibilità. Perché se è vero, come diceva Galileo, che il libro della natura è scritto in caratteri matematici, è altrettanto vero che lo stesso libro non può nemmeno esimersi dall’essere contemporaneamente anche un libro di storia in cui le particolari condizioni al contorno che di volta in volta si vengono a creare, permettono il verificarsi di particolari eventi anziché di altri nell’ambito di una griglia di possibilità che è permessa e allo stesso tempo imposta dai vincoli e dal dominio delle leggi della fisica e della chimica. Anche il biochimico ed epistemologo Mario Ageno per esempio nei suoi scritti si è spesso soffermato a sottolineare il carattere storico dei sistemi oggetto di studio della biologia e di tutti gli altri sistemi complessi, come per esempio quelli cognitivi e sociali, per distinguerlo da quello di “legalità” della fisica. La contingenza quindi si verifica quando due o più catene di eventi causali dalle dinamiche indipendenti si incrociano tra di loro in maniera accidentale e non necessaria, producendo un evento del tutto inaspettato i cui effetti vanno a modificare in un certo modo, piuttosto che un altro, il corso degli eventi successivi.
L’asteroide che 65 milioni di anni fa colpì il nostro pianeta producendo fenomeni a catena che probabilmente andarono a decretare l’estinzione di gran parte dei dinosauri, permettendo così ai piccoli mammiferi primitivi di poter estendere la loro nicchia ecologica, fu un evento contingente, che in qualche modo cambiò il corso degli eventi. E più aumenta l’ordine di complessità, pensiamo agli organismi viventi e alla loro storia evolutiva, più è decisiva l’importanza della contingenza. Si badi bene che così definiti i concetti di caso e di contingenza non sono affatto in contrasto con l’idea di causalità, anzi, da un certo punto di vista sono proprio il suo naturale complemento, nella misura in cui se una legge fisica descrive classi di eventi, la casualità è sempre relativa ad un evento singolo, il “qui e ora” della singolarità. Ogni fenomeno fisico infatti ha sempre una o più cause, anzi la multifattorialità è la regola nel comportamento dei sistemi reali, il problema però è che molto spesso l’insieme di queste cause, per mancanza di conoscenza perfetta, non è completamente determinabile. Una mutazione genetica per esempio viene definita casuale, non perché non abbia delle cause, ma perché queste ultime, oltre a non essere spesso determinabili nel dettaglio, saranno anche di fatto indipendenti dagli effetti che avrà poi la mutazione stessa nell’organismo. Dal punto di vista epistemologico, quindi, potremmo dire che la casualità da una parte fornisce una misura ineluttabile della nostra strutturale ignoranza nei confronti delle cause di determinati fenomeni e dall’altra impone limiti non solo pratici (demone di Laplace), ma anche teorici, alla predicibilità completa. Concetti del tutto normali per un biologo, un climatologo, un geologo o uno studioso di scienze cognitive, che hanno a che fare quotidianamente con la complessità dei sistemi studiati. Il fisico Ignazio Licata, grande teorico di complessità ed emergenza, affronta per esempio il tema della casualità o dell’elemento casuale partendo da una bella pagina del filosofo statunitense William James, che nel celebre e raffinato saggio del 1884 “The Dilemma of Determinism”, sembra anticipare le posizioni sistemiche attuali necessarie allo studio dei sistemi complessi, arrivando ad una sottile definizione della casualità:
“Il caposaldo del sentire deterministico è l’avversione per l’idea di caso (…). Il carattere casuale (di un evento) è che in esso vi è davvero qualche cosa di tutto suo, qualche cosa che non è la proprietà del tutto. Il tutto se vuole questa proprietà, deve aspettare fino a quando può ottenerla (…). Il caso significa soltanto il fatto negativo che nessuna parte del tutto, per quanto grande, può pretendere di controllare in modo assoluto i destini del tutto (…)”.
Casualità quindi intesa come ciò che si colloca al di fuori dell’orizzonte sistemico e che dunque mostra una stretta affinità con il concetto moderno di emergenza, con il quale si intende la possibilità di un sistema complesso di acquisire comportamenti nuovi e imprevedibili che cambiano la struttura stessa del sistema e seppure compatibili con gli elementi del sistema non sono deducibili da questi. Dalle parole dello stesso Licata:
“Ci si potrebbe domandare allora perché la modificazione di un sistema possa essere definita a volte caso e altre emergenza. La questione è tutt’altro che banale ed è lontana dall’essere risolta. Su un piano più direttamente fisico, possiamo affermare che stabiliamo casuale un evento quando la perturbazione di un sistema è minima o transitoria, ed invece rileviamo emergenza quando identifichiamo nella modificazione di un sistema qualche forma di nuova coerenza. Le due questioni sono connesse, ed in modo rilevante”.
In ogni caso, l’idea di fondo è piuttosto chiara. L’equivoco nasce dal fatto che la fisica classica riduzionista per oltre trecento anni si è prevalentemente occupata di sistemi ideali, sia per comodità analitica, ma anche per mantenere e proteggere la sua immagine di scienza dell’esatto e del predicibile, escludendo per quanto possibile la complessità e tentando di emarginare fenomeni come la turbolenza, l’instabilità dinamica, la dinamica non lineare, i processi stocastici, per esempio, caratterizzati da proprietà sgradite come l’imprevedibilità, l’irreversibilità o l’aleatorietà. Il punto è, però, che i sistemi reali non sono quasi mai sistemi ideali, ma sono invece caratterizzati essenzialmente da un forte accoppiamento strutturale dinamico con l’ambiente; un continuo scambio di materia, energia e informazione che ristruttura la loro organizzazione interna e modifica le relazioni gerarchiche e funzionali tra gli elementi. Rileviamo quindi emergenza intrinseca (novità) quando il sistema è talmente complesso che ogni modello o rappresentazione che abbiamo costruito non è più sufficiente a descriverlo completamente, il che impone la necessità di creare nuovi modelli via via più dettagliati. Ecco che allora la casualità, senza alcun mistero, può anche essere definita semplicemente come l’incontro imprevedibile tra un sistema complesso, mai completamente determinato, e il mondo, esattamente come ciascuno di voi, svegliandosi stamattina, non avrebbe mai potuto immaginare di leggere, proprio in questo momento, queste poche e inaspettate righe.
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73 commenti
Non arrivo certo alla profondità (onesta) della sua esposizione, caro Vomiero, ma il concetto di contingenza, espresso con la medesima chiarezza anche dal prof. Telmo Pievani nel suo libro sulla vita inaspettata, mi è così chiaro che stento a credere che il dio caso sia per taluni ancora un feticcio da spungere con gli spilloni.
Grazie Giuseppe, anch’io ho letto e possiedo il libro “la vita inaspettata” di Telmo Pievani.
Non ho letto il libro di Pievani. “Inaspettata” in che senso e da chi, posso chiedere, Giuseppe1960?
Uno come lei, Masiero, che sostiene sempre ammirevolmente che c’è sempre qualcosa da imparare da ciascuno, un libro come quello sopra citato non dovrebbe farselo mancare, non fosse altro per verificare se alcuni suoi pregiudizi al riguardo dopo la lettura rimangono tali… Inaspettata per Pievani è la vita così come la conosciamo noi oggi, nel senso che in molti passaggi critici dell’evoluzione sarebbe bastata un’inezia per stravolgere ogni cosa. Per questo cita in un capitolo anche Gould e il suo “La vita meravigliosa”, nel quale si porta a esempio la sopravvivenza della Pikaia legata a un filo, a una contingenza di “sola storia” che ha dato a noi una chances … inaspettata.
Non possiamo leggere tutti i libri del mondo nella nostra breve vita, così facciamo una selezione in base ai nostri gusti, giusto? In filosofia poi sono molto selettivo, perché la ritengo la scienza dell’esattezza dei termini, mentre ho notato nella divulgazione di Gould e Pievani l’uso frequente di metafore, antropomorfismi e analogie per addomesticare la scienza naturale ai propri pre-giudizi metafisici.
“Inaspettata” è uno di questi termini antropomorfici, capisco dalla Sua gentile spiegazione, Giuseppe1960, che non ha nulla a che fare con la biologia, ma vuole solo trainare la Weltanschauung dell’autore…, fallendo nell’obiettivo perché lo stesso fenomeno è chiamato fine tuning dagli avversari ideologici di Pievani per trainare la concezione opposta.
Grazie Vomiero per questo bell’articolo, che fa chiarezza su un concetto difficile e spesso frainteso come quello di caso, soprattutto nell’ambito di discipline come biologia o geologia, avvezze allo studio di sistemi complessi. Credo anche che questa sua spiegazione consenta di sfatare alcuni falsi miti, primo fra tutti quello secondo il quale l’evoluzione sarebbe governata — secondo i biologi — da un caso cieco, puro e onnipotente, del tutto privo di causalità. Come giustamente ricorda lei, “ogni fenomeno fisico infatti ha sempre una o più cause, anzi la multifattorialità è la regola nel comportamento dei sistemi reali”, proprio come le mutazioni genetiche che lei riporta come esempio. Caso e contingenza non sono quindi la negazione della casualità e, in questo contesto epistemologico, quello di emergenza diventa un concetto chiave per comprendere la comparsa di elementi nuovi e non prevedibili con un classico approccio riduzionista.
E’ ben vero, Greylines, che i biologi evoluzionisti, dopo aver invocato la “randomness” ( senza peraltro sapere cosa significa esattamente in matematica)
nell’innovazione genetica, poi se ne sono un pò spaventati , timorosi che, svincolandosi troppo dal principio di causalità, si avvicinassero ad un’idea di “elemento” arbitrario ed invisibile – totalmente svincolato dalle contingenze -pericolosamente simile al concetto di divinità. Non è un caso che si affrettano spesso a ridimensionare la “casualità “ dell’evoluzione , specie richiamando la selezione naturale, che sarebbe ,.a detta loro , la
ferrea legge deterministica che filtra le innovazioni vantaggiose.
E ‘ molto più appropriato, parlando del meccanismo proposto dal darwinismo, piuttosto che usare il termine “casuale”, quello di meccanismo “indiretto” , ossia in cui le variazioni , cioè le mutazioni, non sono provocate , by definition, da un agente intelligente, secondo un pattern prestabilito.
Il darwinismo crolla miseramente in questo, non riuscendo a dimostrare come questo proposto meccanismo indiretto possa incrementare l’informazione, e non regge dal punto di vita matematico,biochimico, fisico, ingegneristico e della verifica sperimentale. Semplicemente ne va cercato un altro.
Perché dice che i biologi evoluzionisti hanno invocato la randomness senza sapere cosa significa esattamente? Il neodarwinismo è stato fondato da esperti in biostatistica e matematica, quindi un’idea del concetto ce l’avevano eccome.
Se non ho capito male, lei inoltre sostiene che i biologi hanno ridimensionato la “casualità” dell’evoluzione per paura di lasciare spazio a un non meglio precisato “elemento arbitrario e invisibile […] pericolosamente simile al concetto di divinità”, e che la selezione è lo strumento di questo ridimensionamento.
A parte il fatto che il concetto di casualità, come ha spiegato in maniera chiara Vomiero nel suo articolo, non ha alcun bisogno di essere ridimensionato, mi sembra che lei stia dando per scontato che tutti coloro che studiano l’evoluzione non diano alcun peso a esperimenti e osservazioni ma siano solo mossi dal desiderio di evitare/sconfessare il concetto di divinità. È così? È questo il suo pensiero?
Infine, lei sostiene che il darwinismo “non regge dal punto di vita matematico,biochimico, fisico, ingegneristico e della verifica sperimentale”. Mi può gentilmente fornire i riferimenti scientifici su cui basa questa sua affermazione, spiegandomi anche perché li ritiene più validi delle tante e solide evidenze scientifiche che invece sostengono il contrario?
Mi scusi Greylines, la sua domanda “ mi saprebbe indicare i riferimenti …” mi sembra mal posta, dal momento che è il neodarwinismo che deve provare la plausibilità del modello, e non il contrario! Lei mi dice che il neo-darwinismo è stato fondato da biostatistici e matematici, e che quindi, secondo lei, i loro modelli avrebbero confermato la plausibilità del
modello, le giro un domanda concreta : secondo la teoria un animale pienamente terrestre si sarebbe evoluto nella balena in 9 milioni di
anni; ora, secondo una calcolo prudente, sono necessarie almeno
50.000 modifiche morfologiche. Ora per gli esperti della genetica
delle popolazioni , due mutazioni che si estendono a tutta la popolazione di quello che può essere un mammifero terrestre, ci vogliono minimo 100 milioni di anni; ciò rende del tutto inverosimile i tempi di evoluzione della balena. Mi dice adesso quali e dove sono i calcoli che invece rendono plausibile l’evoluzione della balena in 9 milioni di anni? O la risposta è sempre la stessa, circolare, “ Se è successo, allora i tempi sono stati sufficienti ”..? . Lo stesso enigma di Haldane è del tutto irrisolto.
Ogni volta che scoprono un fossile con datazione diversa da quella stimata prima, che accorcia o allunga i tempi di evoluzione, mai una volta che rifacessero i calcoli per vedere se i conti tornano: no, è sufficiente dire “ Evidentemente si è evoluto prima ( o dopo )di quanto pensavamo”.
Questo per dire ( ed è problema dei neodarwinisti ) partono dal presupposto che è il modello è corretto, quindi qualsiasi dato venga riscontrato, lo conferma. Se un animale non si evolve da 400. milioni di anni ( i dipnoi), il modello è vero, se si evolve lentamente, è vero, se si evolve velocissimamente, è vero, se si estingue , è vero. Quando si
spiegano le cose a posteriori, è quel che succede.
Stesso discorso per la scoperta recente del ruolo che avrebbe anche il cosiddetto junk dna, laddove ora si sa che almeno il 90, se non il 100% del dna avrebbe un ruolo, e non solo quella piccola percentuale che codifica le proteine. Dato che questo cambia radicalmente le carte in tavola, cambia in modo drammatico l’”oggetto “ di ciò che si è evoluto, hanno rifatto i calcoli per vedere se il modello neodarwinista funziona ancora ( ammesso che abbia funzionato prima) ?? O non serve, perchè è vero by definition??
Berlinski ha riferito che tutti i matematici da lui intervistati , nei discorsi privati, gli confessano: “noi sappiamo da molto che l’evoluzionismo non regge”
, e non mi risulta che sia stato querelato.
Nella citazione intendeva, CineMagris, che il darwinismo non regge o proprio l’evoluzionismo?
Berlinski parlava ,senz’altro, del darwinismo in senso stretto
Gentile CineMagris, cerco di rispondere punto per punto alle sue osservazioni, anche se il suo commento sembra ancora in moderazione.
1- La plausibilità del modello è già stata dimostrata da tempo. Lei non è d’accordo e io volevo capire a) su quali basi scientifiche si poggia questa sua convinzione e b) perché lei dà più credito alle voci contrarie piuttosto che a quelle a favore. Non è questione di “onere della prova” (che comunque in questo caso spetta a chi contesta un modello ritenuto affidabile, per quanto imperfetto, dalla comunità scientifica) ma di confrontare le argomentazioni scientifiche in modo da poterne discutere con maggiore chiarezza.
2- Io non ho scritto, come sostiene lei, che “il neo-darwinismo è stato fondato da biostatistici e matematici, e che quindi, secondo lei, i loro modelli avrebbero confermato la plausibilità del
modello”. Io ho scritto che i fondatori del neodarwinismo avevano profonde conoscenze matematiche e biostatistiche, e che quindi ritengo conoscessero abbastanza bene il concetto di randomness dal punto di vista matematico. Questo per rispondere a questa sua frase: “i biologi evoluzionisti, dopo aver invocato la “randomness” ( senza peraltro sapere cosa significa esattamente in matematica)…”
3- Da come lo pone lei, il problema dell’evoluzione della balena si risolve solo nel calcolo delle mutazioni che l’hanno resa possibile, come se l’evoluzione fosse guidata SOLO e UNICAMENTE da mutazioni (peraltro, esistono diversi tipi di mutazioni genetiche, con probabilità diverse di avvenire e impatti sul fenotipo molto differenti) e seleziona naturale. Cosa non vera.
I processi evolutivi avvengono in quei sistemi complessi che Vomiero ha ben descritto nel suo articolo, quindi non si può semplicemente calcolare la probabilità di una serie di mutazioni calcolate come eventi equiprobabili e indipendenti l’uno dall’altro.
4- Lei chiede “hanno rifatto i calcoli per vedere se il modello neodarwinista funziona ancora?” Ogni nuova scoperta mette alla prova le teorie esistenti, che possono quindi venir integrate oppure — se le evidenze contrarie sono massicce ed esiste una nuova teoria alternativa più efficace della precedente — rigettate. Questo vale per qualsiasi teoria, non solo per il neodarwinismo.
Ebbene, il neodarwinismo è stato aggiornato nel corso del tempo, c’è chi ritiene che continui a funzionare bene e chi invece pensa che sia giunto il momento di farne una seria revisione (io sono più di questa seconda opinione).
5- Infine, lei cita Berlinski, riportando che “tutti i matematici da lui intervistati , nei discorsi privati, gli confessano: “noi sappiamo da molto che l’evoluzionismo non regge””. Onestamente, questa frase non dimostra nulla perché non presenta nessun tipo di evidenza scientifica ma solo una serie di confidenze private che un membro del Discovery Institute (associazione di esplicito stampo ideologico che ammette senza problemi di usare strategie retoriche per manipolare il dibattito pubblico sull’evoluzione) “dice” di aver raccolto.
Mi sta dicendo che secondo lei queste voci, la cui attendibilità non è verificabile, dovrebbero avere più peso delle evidenze raccolte dalla comunità scientifica?
Gentile Greylines,
prendo atto, se me lo dice, che i fondatori del neodarwinismo avevano profonde conoscenze matematico-statistiche, francamente, dopo aver letto e udito tonnellate di relazioni da parte di notissimi scienziati mi ero fatto una idea assai diversa, a cominciare dal famoso esperimento calcolatorio di Dawkins, con la celebre frase “Me think like a weasel”, che contiene errori di matematica che non farebbe uno studente di prima media; mi sarei aspettato di sentire qualche pubblica sconfessione della comunità scientifica più seria.
In ordine alla balena, so bene che la mutazione non è l’unica fonte di evoluzione per il neodarwinismo, tuttavia le avevo chiesto, senza avere risposta, se in questo modello i conti tornano, tenendo conto dei tempi involti e delle variazioni necessarie,mi sembra una domanda corretta; ogni teoria deve, anche se non in maniera totalmente esaustiva, dare conto poi della sua plausibilità nel caso concreto.
Cosi come le avevo chiesto un parere sui tempi dell’evoluzione, e se questi vadano “sempre bene” qualunque essi siano; in termini semplici, perchè l’esistenza dei dipnoi, immutati da 400 milioni di anni, non è un grave problema per la teoria?Perchè i milioni di anni, le mutazioni, i colossali cambiamenti ambientali intervenuti, e tutto gli altri meccanismi di
evoluzione, che hanno trasformato altre specie in altre specie, li
hanno invece lasciati intonsi? Dobbiamo accontentarci della risposta
tautologica “Perchè evidentemente non c’erano le condizioni per
evolversi”?
Vede, il problema è che la teoria darwinista è come un fantasma, se ne parla sempre, ma poi è difficile individuarla. Io ho provato a porre a qualche biologo la semplice, legittimissima domanda “Quale è la teoria scientifica che lei propone per spiegare l’evoluzione dei dinosauri in uccelli ? Quale esperimento la può falsificare?” Le assicuro che ho ricevuto solo esclusivamente vaghi rimandi a “meccanismi “, ma una vera
teoria, quella che un fisico o matematico riconoscerebbe come tale,
mai l’ho ricevuta. La sto ancora cercando…
Quanto a Berlinski, personalmente non mi interessa se appartiene a un gruppo come Discovery Institute per valutarne la credibilità, valuto quello che dice, e non i motivi (eventuali) per cui lo dice,cosi come continuerei a prenderei la penicillina quand’anche venissi a sapere che il suo inventore l’ ha creata per fare un dispetto ad un collega.
Berlinski è un intellettuale acuto e interessante nelle sue formulazioni, cosi come lo è lo scienziato Michael Behe, i cui studi sulla irriducibile complessità sono di assoluto rilievo, e poco mi importa se sia credente o meno.
Gentile Greylines, prendo atto, se me lo dice, che i fondatori del neodarwinismo avessero profonde conoscenze matematico-statistiche, francamente, dopo aver letto e udito tonnellate di relazioni da parti di notissimi, scienziati mi ero fatto una idea assai diversa, a cominciare dal famoso esperimento calcolatorio di Dawkins, con al celebre frase “Me think like a weasel”, che contiene errori di matematica che non farebbe uno studente di prima media; mi sarei aspettato di sentire qualche
pubblica sconfessione della comunità scientifica più seria.
In ordine alla balena, so bene che la mutazione non è l’unica fonte di evoluzione per il neodarwinismo, tuttavia le avevo chiesto, senza avere risposta, se in questo modello i conti tornano, tenendo conto dei tempi involti e delle variazioni necessarie,mi sembra una domanda corretta; ogni teoria deve, anche se non in maniera totalmente esaustiva, dare conto poi della sua plausibilità nel caso concreto.
Cosi come le avevo chiesto un parere sui tempi dell’evoluzione, e se questi vadano “sempre bene” qualunque essi siano; in termini semplici, perchè l’esistenza dei dipnoi, immutati da 400 milioni di anni, non è un grave problema per la teoria?Perchè i milioni di anni, le mutazioni, i colossali cambiamenti ambientali intervenuti, e tutto gli altri meccanismi di
evoluzione, che hanno trasformato altre specie in altre specie, li
hanno invece lasciati intonsi? Dobbiamo accontentarci della risposta
tautologica “Perchè evidentemente non c’erano le condizioni per
evolversi”?
Vede, il problema è che la teoria darwinista è come un fantasma, se ne parla sempre, ma poi è difficile individuarla. Io ho provato a porre a qualche biologo la semplice, legittimissima domanda “Quale è la teoria scientifica che lei propone per spiegare l’evoluzione dei dinosauri in uccelli ? Quale esperimento la può falsificare?” Le assicuro che ho ricevuto solo esclusivamente vaghi rimandi a “meccanismi “, ma una vera
teoria, quella che un fisico o matematico riconoscerebbe come tale,
mai l’ho ricevuta. La sto ancora cercando…
Quanto a Berlinski, personalmente non mi interessa se appartiene a un gruppo come Discovery Institut per valutarne la credibilità, valuto quello che dice, e non i motivi (eventuali) per cui lo dice,cosi come continuerei a prenderei la penicillina quand’anche venissi a sapere che il suo inventore l’ ha creata per fare un dispetto ad un collega.
Berlinski è un intellettuale acuto e interessante nelle sue formulazioni, cosi come lo è lo scienziato Michael Behe, i cui studi sulla irriducibile complessità sono di assoluto rilievo, e poco mi importa se sia credente o meno.
Grazie a lei Greylines, anche per la sua ulteriore contestualizzazione.
Non posso dire, dott. Vomiero, di aver compreso il Suo concetto di caso. La definizione da Lei data infatti (“evento singolo, del tutto imprevisto e impredicibile, che accade senza alcuna necessità”) mi sembra circolare: che cos’è l’aggiunta “che accade senza alcuna necessità” se non un sinonimo di casuale?
Il problema è proprio questo: esistono eventi che accadono senza necessità? Secondo me, no, né li ho trovati tra i Suoi esempi. Esistono eventi che non possiamo prevedere, semplici (roulette, tegola in testa, ecc.) e complessi (quelli biologici, atmosferici, ecc.), questo sì. Ma l’asteroide di 65 milioni di anni fa non “cambiò il corso degli eventi” affatto, perché quella caduta appartiene dal Big bang al corso naturale degli eventi che si verificò…, solo che chi ne fu vittima non lo poteva prevedere, né noi ancor oggi e forse mai la sapremmo inquadrare all’interno della sequenza di cause naturali che l’ha causato.
Quando poi Lei scrive che “una mutazione genetica … viene definita casuale, non perché non abbia delle cause, ma perché queste ultime, oltre a non essere spesso determinabili nel dettaglio, saranno anche di fatto indipendenti dagli effetti che avrà poi la mutazione stessa nell’organismo”, io proprio non riesco a capire: quando mai le cause sono dipendenti dai loro
effetti, se per definizione li precedono?!
Io do di caso o contingenza o accidente esattamente la definizione di Darwin (che poi è quella di Aristotele): eventi imprevedibili, perché ci sfuggono le cause e le loro catene. E aborro la definizione filosofica di James (“qualcosa di tutto suo”), che mi sembra – contro l’entanglement – isolare un evento dall’ambiente ed anche confondere determinismo (oggettivo) con predicibilità (intersoggettiva)…, forse perché James non conosceva i lavori di Poincaré sul caos deterministico, appartenenti ancora alla fisica classica.
Quanto a Licata, a me il suo pensiero appare il seguente che perfettamente condivido. Ci sono 2 tipi di fenomeni in natura: 1) i processi diacronici, che accadono nello spazio-tempo e sono soggetti ai principi di località e di causalità. Qui vale il metodo riduzionistico di scomporre il
sistema nei suoi costituenti elementari e di studiare come questi interagiscono; e 2) i processi sincronici, che avvengono fuori di una descrizione spazio-temporale, e sono quindi privi di località e causalità. Attraverso il vuoto fisico, la storia dell’universo impatta tutti i fenomeni, in particolare quelli compresi nella zona mesoscopica dove le condizioni iniziali e al contorno
pesano come le leggi d’invarianza. Nel regno dei sistemi dinamici fallisce il riduzionismo e l’ignoranza del metodo sistemico da parte del credo riduzionistico si rivolge contro lo stesso progresso scientifico.
In fondo, già il principio di Heisenberg implicava i processi sincronici. Il numero di bosoni N e la fase ϕ di oscillazione del campo (elettromagnetico, o nucleare forte, o nucleare debole) sono grandezze coniugate: quando, con una descrizione analitica vogliamo conoscere con
precisione il numero N dei granuli del campo (i fotoni del campo elettromagnetico o altri tipi di particelle per gli altri due campi), dobbiamo rinunciare a conoscere il ritmo di oscillazione del campo (la fase ϕ); se invece poniamo l’attenzione sulla musica del cosmo (la fase ϕ del campo)
perdiamo ogni conoscenza del numero N di corpuscoli.
Ma non esistono elementi di casualità intrinseca nella TQC, specifici rispetto a quanto non accadesse già nella fisica classica, come pretendeva l’idealismo di Copenaghen e racconta tutt’oggi la vulgata; e la funzione d’onda è solo il ricoprimento statistico dei modi del campo
quantizzato, cosicché il tanto misterioso collasso d’onda della MQ – nella cui mitologia l’osservatore diventava responsabile della vita e della morte del gatto di Schrödinger e più in generale attualizzava prodigiosamente gli stati fisici – è solo il particolare modo del campo registrato da un rivelatore localizzato, invischiato col vuoto.
Lei, Masiero, sostiene dunque che i dinosauri dovevano estinguersi in quel modo, l’unico modo già “stabilito” a partire dal big bang? Solo che non lo sapevano? Dunque, oltre al caso, nega anche la contingenza? Ho capito bene? Grazie.
Sulla scomparsa dei dinosauri, Giuseppe1960, io sostengo 2 cose:
1) non sappiamo (ancora) per quale ragione siano scomparsi. Quella del meteorite è un’ipotesi, ma ce ne sono anche altre;
2) se un giorno conosceremo che il meteorite è stato la causa ultima (o penultima) della scomparsa dei dinosauri, certamente anche quel meteorite ha avuto origine ed ha acquisito energia e quantità di moto da eventi fisici precedenti avvenuti nella galassia, che per essere a noi ignoti non ci autorizzano ad inventare concetti diversi dalla nostra ignoranza.
Insomma io non nego la contingenza, la considero solo un sinonimo superbo della nostra ignoranza.
Certamente quel meteorite ha avuto origine da una serie di cause, ma perché tirare in ballo la nostra ignoranza quando semplicemente abbiamo il coraggio di ammettere che due serie di eventi causali indipendenti si sono incrociate (contingenza) senza che ce ne fosse una ragione?
Perché non è vero che non ci fosse una ragione fisica a monte del loro incrociarsi, se è vero che risalendo indietro nel tempo tutta la materia si trovava in uno spazio uguale al nostro sistema solare ed era soggetta ai 4 campi fisici noti.
Lei prof. Masiero introduce a mio avviso dei termini di discussione molto fini e particolari che meriterebbero ulteriori approfondimenti, come per esempio il concetto di necessità o i principi della MQ, ma che esulano dallo scopo del mio articolo che voleva mantenersi invece su un binario molto più globale e concettuale, anche per motivi di spazio. Peraltro sulla definizione aristotelica o darwiniana di contingenza che lei cita, mi sembra che siamo piuttosto d’accordo. Anche nella sua interpretazione del pensiero di Licata, che peraltro penso di conoscere abbastanza bene in quanto leggo i suoi libri, non noto grandi elementi di contrapposizione con quanto anch’io ho riportato nell’articolo. Anche sulla definizione ottocentesca di James siamo d’accordo, ci è servita soltanto come spunto. Quindi sostanzialmente, mi perdoni Masiero, ma non ho capito bene quali siano, se ci sono, le obiezioni specifiche.
“Io proprio non riesco a capire: quando mai le cause sono dipendenti dai loro effetti, se per definizione li precedono?” . Anche qui non so se ho capito bene cosa intende dire, ma la cosa, sempre nello studio dei sistemi complessi, che non sono quelli fisici ideali, è piuttosto normale, veda per esempio i noti processi di feedback.
Per me, dott. Vomiero, non esistono fenomeni che accadano senza una ragione. Questo principio (“di ragion sufficiente”) mi appare certo quanto 2+2=4 e tanto ragionevole quanto assurdo mi appare il pensiero opposto. Quindi caso, contingenza, accidente, ecc. sono per me tutti sinonimi ad indicare la nostra ignoranza sull’esatta catena causale che ha prodotto un evento. Cosicché io faccio coincidere il caso con l’impredicibilità intersoggettiva della comunità scientifica davanti a certi fenomeni, dalla roulette alla biologia.
Dalla lettura del Suo articolo non ho capito se il Suo pensiero coincide con la mia concezione o se invece Lei ne abbia un’altra molto diversa, quella del caso come di un elemento in natura, oggettivo, attinente a fenomeni che accadrebbero “senza alcuna necessità” (cito dall’articolo), ovvero senza una ragione. Certamente è colpa mia se non ho capito la Sua concezione.
No, credo che diciamo la stessa cosa, ho fatto riferimento chiaramente nell’articolo alla nostra ignoranza. Io aggiungo soltanto che, se questo è vero, allora dal nostro punto di vista parziale di osservatori, l’eventuale elemento casuale e/o i fenomeni di emergenza intrinseca nei sistemi complessi esistono e acquisiscono significato oggettivo. Il fatto che lei stamattina abbia letto il mio articolo dal suo punto di vista è un fatto puramente casuale, indipendentemente dal fatto che io invece già da giorni lo stessi rimuginando. E’ un chiaro esempio di contingenza, se io invece di “caso” avessi parlato di “Pinocchio”, e dal punto di vista storico poteva essere ugualmente possibile, ora io e lei staremmo discutendo di qualcos’altro.
Sono contento di sapere che siamo sostanzialmente d’accordo, dott. Vomiero. Grazie.
Non sarei d´accordo. La scienza presuppone, senza poter dimostrarlo, il determinismo. Per un scienziato partendo da A si arriva sempre a B. É la base della reproducibilitá. Se partendo da A nel mio laboratorio si arriva a B, anche nel laboratorio X a tot kilometri dal mio e prima o dopo di una quantitá di tempo si deve arrivare a B. Se cosi non fosse la prima hipotesi scientifica é che A nel mio laboratorio non é uguale alla A dell´altro.
I processi aleatori comeillancio di una moneta non é che siano non determinati ma che non possiamo controllare o conoscere tutte le variabili iniziali.
Per avvenimenti non riproducibili come lo scontro del meteorite 65 milioni di anni fa la scienza dovrebbe dire non lo so.
La scienza parte dall´idea che il caso, qualunque cosa questo sia non esiste ma non puó determinarlo non solo perche é un presupposto ma anche perche le misure hanno sempre un errore. L´esistenza del caso é piú in lá della scienza, la metafisica lo deve definire.
L’articolo di Vomiero è molto interessante ma vorrei precisare una cosa: su CS non si è mai negata l’esistenza del caso e della contingenza, si nega che tali fattori siano in grado di implicare la macroevoluzione. L’esempio dell’estinzione dei dinosauri è chiaro ma mentre è possibilissimo distruggere qualcosa per combinazioni di eventi, crearla è tutto un altro paio di maniche.
Leggendo il confronto tra Greylines e CineMagris mi sono sorti due dubbi:
1) se ho ben capito aggiornare il Neodarwinismo significa passare dall’impredicibilità dei fenomeni casuali a quella delle contingenze e poi a quella dei fenomeni emergenti?
2) se le mutazioni non sono equiprobabili e nemmeno indipendenti e ciò le rende capaci di far evolvere una specie, perché allora abbiamo quelle proteine che correggono gli errori di duplicazione, trascrizione e traduzione? A questo punto, mi chiedo perché le mutazioni vengano viste da chi nelle cellule ci vive come un male da contenere.
Il caso e la contingenza come mi pare li intenda Masiero, una delle colonne portanti di CS, non sono né caso e né contingenza, ma termini che mascherano la semplice e umile ignoranza… Quindi non hanno valenza di per sé su nulla, in quanto maschererebbero solo la nostra non conoscenza dei meccanismi che portano all’evoluzione, meccanismi che sono scritti fin dall’inizio, sostiene Masiero, e determinati al punto che par quasi che non rimanga spazio alcuno manco alla famigerata selezione naturale… Tutto questo per dire che sarebbe interessante capire una volta per tutte qual è il ruolo che assegna CS al caso/contingenza e quale caso.
Non è affatto difficile capire il ruolo che CS assegna al caso/contingenza, non l’abbiamo mai nascosto ed era già facilmente deducibile dal mio commento: esso può avere un ruolo in certi tipi di microevoluzione e al più nell’estinzione di una specie.
Non capisco ancora come di possa distinguere tra un caso/contingenza che consenta razionalmente determinati meccanismi a un certo livello (microevoluzione?) e non a un livello più “alto” (macroevoluzione?), come se il caso/contingenza avesse dei limiti che però stabiliamo noi a tavolino a un livello non certo di scienza empirica ma solo metafisica, sbaglio?
La scandalizzerò, Giuseppe1960: tutti i postulati di tutte le teorie sono affermazioni fatte a tavolino, anche che l’energia si conserva in un sistema isolato, o forse lei creda che i fisici si siano messi ad osservare tutti gli infiniti possibili sistemi isolati dell’Universo in tutta la sua durata di esistenza?
Siccome la macroevoluzione non è mai stata osservata in laboratorio, si POSTULA che il caso/contingenza la possa provocare, ma è una congettura.
Lasciando i discorsi filosofici, le ragioni sono molto più concrete di quello che sembra: ci può stare che una mutazione causi una rimodulazione di un carattere e che magari essa corrisponda (per fortuna della specie coinvolta) ad un vantaggio nella lotta per la sopravvivenza. Il guaio nasce quando si tiene conto che i sistemi biologici sono sistemi integrati, allora il ricorso al fattore caso diventa una presunzione. Come spiego la comparsa di un nuovo organo? Potrei pure ricorrere al caso, ma allora faccio una stima della plausibilità e vedo che però risulta implausibile (veda gli ultimi articolo di Masiero), posso aggrapparmi a qualche sostegno (vincoli che creano differenze tra le mutazioni, che però sono a loro volta indipendenti dalla fitness, per cui non cambia niente, veda un mio vecchio articolo http://www.enzopennetta.it/2016/02/teorema-dininfluenza-dei-vincoli/).
In breve, finché si parla in astratto (caso che non nega le causa, caso non privo di ragioni, non sappiamo cosa ci riserva il domani…) posso pure darvi ragioni, ma i problemi sorgono quando si passa al concreto.
Perché con la mia idea di contingenza io non lascerei alcuno spazio alla selezione naturale, Giuseppe 1960? La selezione naturale, per come io la vedo, è un perfetto meccanismo fisico-chimico che agisce ex post per far prevalere in una miscela di specie GIÀ esistenti quelle che più si adattano all’ambiente, distruggendo alcune specie senza crearne di nuove. Vedi antibiotici.
Già il ruolo che attribuisce lei, Masiero, alla selezione naturale a mio avviso ha una valenza notevolissima… Le sembra poco tarpare le ali a rami evolutivi che non avranno un futuro a beneficio di altri rami evolutivi che potranno esplicare in un futuro mutazioni ed evoluzioni imprevedibili alla data in cui la selezione naturale è intervenuta? A me dà il senso pieno dell’importanza fondamentale di questo motore dell’evoluzione. Ma forse mi accontento di troppo poco, potrà dire lei.
Sono perfettamente d’accordo con Lei, stavolta. Al 100%.
Ma non ha risposto alla mia domanda: perché la mia idea di contingenza (come limite di previsione del metodo scientifico e non come inesistenza di cause naturali per certi fenomeni) non lascia spazio alla selezione naturale? A me pare che Lei ed io assegniamo l’identico spazio alla selezione naturale…, e che la nostra divisione riguardi solo due diverse concezioni filosofiche del mondo.
La mia era una forzatura per paradosso… nei suoi confronti che nega alla contingenza lo status di imprevedibilità/non finalità che la fa motore di vite… inaspettate, per rimanere in tema con l’altra questione. A questo punto, ho buttato lì, lei non dovrebbe manco dar credito alla selezione naturale… E ha ragione, sul senso della vita la pensiamo diversamente.
Io ho a cuore il metodo scientifico, Giuseppe1960. Finalità e non finalità non gli appartengono. Lasciamole fuori dalla scienza naturale, per piacere. Quanto alla selezione naturale, non capisco perché non dovrei darle credito in termini distruttivi: gli antibiotici li uso fin da bambino quando serve.
1) Aggiornare una teoria scientifica significa prendere atto delle novità emerse grazie al progresso della ricerca. Nel caso del neodarwinismo non significa passare da un’impredicibilità all’altra ma integrare nozioni che un tempo non erano note, cercando di capire quanto pesino nel guidare l’evoluzione. Per esempio, riconoscere l’impatto dell’epigenetica o delle dinamiche di sviluppo embrionale nei processi evolutivi. Oppure riconoscere il ruolo evolutivo, secondo molti fortemente sottovalutato, della simbiosi.
Questo continuo processo di aggiornamento può anche far emergere contraddizioni all’interno di una teoria. Ciò può portare all’abbandono di tale teoria, qualora le contraddizioni siano massicce e ve ne sia una alternativa che si rivela più efficace (cioè che sia in grado di risolvere queste contraddizioni).
2) Che le mutazioni non siano equiprobabili è un dato di fatto, proprio perché non sono eventi casuali nel senso che “avvengono senza una ragione”, ma eventi vincolati dalle leggi fisico-chimiche del sistema di cui fanno parte. La loro indipendenza varia da caso a caso: ci possono essere mutazioni che interagiscono con gli effetti di altre mutazioni, così come mutazioni indipendenti le une dalle altre. Chiarito questo punto, non capisco la sua domanda. Cosa c’entra la non equiprobabilità con l’esistenza di un meccanismo di riparazione? E poi, le mutazioni non sono solo quelle puntiformi — cambi di una “lettera” del codice genetico — ma ne esistono svariati tipi e i meccanismi di riparazione funzionano solo per alcuni di essi.
Quello che non capisco io è perché una serie di processi casuali — intesi come li ha efficacemente spiegati Vomiero e non come fenomeni che avvengono senza una ragione — non possano produrre novità ma solo distruggere. Le proprietà emergenti dei sistemi complessi sono proprio questo e, vista la vostra critica all’eccesso di riduzionismo (che peraltro condivido in alcuni aspetti), mi aspettavo che foste ben disposti nei confronti di simili meccanismi.
1) Ora capisco meglio cosa lei intende per aggiornamento di una teoria. Il dubbio mi era sorto perché, non a livello di contenuti ma di impostazione, sembrava che si volesse far credere che cambiasse qualcosa sostituendo al “caso” la “contingenza”, ma a mio avviso non cambia nulla sul piano epistemologico; idem se i fenomeni emergenti sono anch’essi imprevedibili. In breve, le riformulazioni avranno forse reso la teoria più comprensiva, ma non più predittiva.
2) Il fatto che esista un meccanismo di riparazione è spiegabile col fatto che un sistema biologico si protegge dalle mutazioni, se quindi un talesistema le vuole prevenire, non si capisce perché invocare la non-equiprobabilità e l’interdipendenza delle mutazioni per farle apparire invece come un fattore evolutivo. In altre parole, le riparazioni sono meccanismi che annullano le mutazioni, le cellule le mutazioni sembra che non le vogliano, ma perché annullare qualcosa che può permettere un maggiore adattamento all’ambiente?
Una serie di processi casuali può solo distruggere perché la vita richiede ordine mentre il caso è il suo opposto per definizione. Lo trovo un concetto così semplice che poco ci manca che poteva rispondersi da solo. Le proprietà emergenti sono state descritte da Vomiero sempre in termini di imprevedibilità, per cui è naturale che non ci si può aspettare una maggiore plausibilità per i meccanismi neodarwiniani se il passaggio ai fenomeni emergenti non ne cambia la sostanza rispetto all’approccio riduzionista.
Le cellule non vogliono nulla e i sistemi di riparazione non si pongono il problema di cosa permetta un maggiore o minore adattamento all’ambiente. Loro fanno il loro lavoro e cioé riparare i danni al DNA, cioé le anomalie fisiche della molecola. Che, attenzione, sono una cosa diversa dalle mutazioni.
I sistemi di riparazione possono correggere alcune mutazioni ma possono non accorgersi di molte altre, così come non correggono altri tipi di mutazioni come traslocazioni di elementi genetici mobili, amplificazioni o delezioni cromosomiche.
Il caso di cui parla Vomiero, non è il caos privo di senso dove gli eventi avvengono senza una ragione o causa. Non è in opposizione all’ordine e quindi non vedo perché debba essere solo distruttivo. Il fatto che certe proprietà emergenti siano impredicibili non significa che siano solo ed esclusivamente distruttive.
Mi faccia capire, lei accetterebbe una teoria dell’evoluzione solo se fosse in grado di predire con ragionevole certezza un processo evolutivo?
So bene che i sistemi di riparazione non sempre riparano tutto, ma ciò non toglie che il loro scopo è ancora più radicale dell’adattamento, è una cosa che viene prima come importanza, cioè il normale funzionamento della cellula e la conservazione del DNA. Non ha risposto alla mia obiezione: perché un incidente di percorso come una mutazione dovrebbe diventare un motore evolutivo solo perché le mutazioni tra loro si influenzano e perché non sono equiprobabili? Se l’influenza reciproca e la non-equiprobabilità vengono incontro all’adattamento, perché la cellula si sarebbe dotata di sistemi che contrastano le mutazioni? L’indifferenza all’adattamento di tali sistemi di riparazione a mio avviso non è una risposta conclusiva ma al contrario rafforza tale perplessità, perché se tali sistemi lavorassero per l’adattamento, si capirebbe perché con le mutazioni potrebbe essere possibile avere evoluzione.
Il discorso di Vomiero è molto astratto e generale, per cui in generale lo potrei anche condividere (non riguardava solo l’evoluzione), ma scendendo nei casi specifici credo sia naturale chiedersi “ok, ma materialmente, nella sostanza, cosa provoca l’evoluzione di una specie?”
Senza predizioni, abbiamo solo discorsi che possono essere soggettivamente convincenti, ma non ipotesi falsificabili, non abbiamo le possibilità di valutare se un’ipotesi A è più o meno plausibile di B.
Concludendo, sì, accetterei una teoria dell’evoluzione solo se fosse in grado di predire con una certa probabilità un processo evolutivo; perché in tal caso significherebbe (1) che si è veramente compreso come avviene anziché limitarsi a constatarlo a posteriori e (2) significherebbe aprirsi alla possibilità della falsificazione.
sarebbe interessante sapere come i darwinisti spiegano la nascita del sistema di correzione riparazione del dna dalle mutazioni, in animali che ne erano sprovvisti…per mutazione?? avremmo un vero paradosso cibernetico : perchè l’evoluzione ha premiato questo
sistema, dal momento che è proprio la mutazione che porta modifiche
favorevoli? O la selezione premia chi si difende dalle mutazioni, e
allora niente evoluzione, o , se premia chi non si difende dalle
mutazioni, allora dovrebbe avere bocciato il sistema di difesa dalla
mutazioni…che però esiste, e può essersi sviluppato solo perchè
favorevole alla vita…
Gentile CineMagris, mi sa citare un animale privo di sistema di riparazione del DNA? Mi saprebbe anche dare una definizione precisa di mutazione?
Come ho già scritto sopra, danni al DNA e mutazioni sono due cose diverse. I primi sono alterazioni o anomalie della struttura chimica del DNA mentre le seconde sono variazioni della sequenza nucleotidica. Variazioni che possono essere puntiformi (cambio di un solo nucleotide) ma anche riguardare interi pezzi di genoma. I danni al DNA sono una possibile fonte di mutazioni ma di certo non l’unica.
I sistemi di DNA repair sono in grado di riconosce e riparare i danni al DNA ma fanno molta più fatica con le mutazioni puntiformi, mentre possono ben poco con altri tipi di mutazioni come le traslocazioni (genomiche e cromosomiche), le trasposizioni, le ricombinazioni, i riarrangiamenti.
Da come la mette lei, sembra che le mutazioni siano solo puntiformi e che i meccanismi di DNA repair siano “fatti” apposta per riparare queste mutazioni. Ma questa sua descrizione è al tempo stesso una semplificazione e un errore. La genetica è un poco più complicata di così.
Il fatto che le mutazioni non siano equiprobabili e totalmente indipendenti le une dalle altre dimostra che certi calcoli semplicistici del tipo “ci vorrebbe troppo tempo per assemblare una molecola di emoglobina per tentativi casuali” sono sbagliati alla radice, poiché basati su un concetto di “caso” sbagliato. In quest’ottica, il discorso di Vomiero è tutt’altro che astratto poiché finalmente fa chiarezza proprio sul significato di caso in biologia. Spero quindi che da ora in poi non sentiremo più parlare del caso come di qualcosa che avviene senza alcune ragione.
Infine, l’impredicibilità di un evento casuale e l’incapacità di un modello di fare previsioni sono due cose molto diverse. Quando si dice che non è sempre possibile prevedere un certo evento in un sistema complesso (per esempio l’insorgere di una mutazione o il suo eventuale effetto in un determinato contesto ambientale) non si sta dicendo che la teoria che cerca di spiegare quel sistema non può fare nessun tipo di previsione.
Davvero lei crede che la vera comprensione dei processi evolutivi consentirebbe di predirli? Davvero lei pensa che la conoscenza delle variabili iniziali di un sistema complesso consentirebbe di predirne con precisione lo sviluppo e l’evoluzione?
“I sistemi di DNA repair sono in grado di riconosce e riparare i danni al DNA ma fanno molta più fatica con le mutazioni puntiformi, mentre possono ben poco con altri tipi di mutazioni ”
Quindi ci “provano” ma non ci riescono, grazie, ma già lo sapevo; non ha afferrato il punto spiegato ancora più chiaramente da CineMagris: le mutazioni servono alla teoria Neodarwiniana ma non alla cellula.
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Lei ci ricorda che le mutazioni non sono equiprobabili e indipendenti, ma ciò NON implica automaticamente che il nucleo del neodarwinismo diventa allora plausibile: a parole si, ma occorrerebbe rifare i conti.
Introduciamo prima la non-equiprobabilità. Una proteina nasce come sequenza di N amminoacidi, per semplicità consideriamo il caso in cui una mutazione faccia in modo che invece di un certo amminoacido della catena ne compaia un altro dei 19 possibili. Il numero di mutazioni di questo tipo sono allora 19*N, che nel caso di una proteina “semplice” di soli 200 amminoacidi sono 3800 possibili sostituzioni. Lei mi sta dicendo che c’è stato qualcuno che a livello teorico e/o sperimentale ha ottenuto 3800 valori di probabilità? 1%, 2%, 5%, 0,3%…
Introduciamo ora anche l’interdipendenza: occorre prima stabilire quante sono le mutazioni capaci di influenzarne un’altra o ALMENO un’altra, per cui il numero di probabilità da calcolare o da ricavare dai dati va da un MINIMO di 19*N (es. 3800, totale indipendenza) ad un massimo di 19*(N-1)*19*N (tutte le possibili mutazioni si influenzano tra di loro, es. si va da 3800 a 14’367’800). Lei mi sta dicendo che esiste un criterio e/o una procedura per calcolare tutte queste probabilità? Mi può fornire un riferimento?
Diventa ESSENZIALE possedere tale matrice di numeri perché solo allora li si può sfruttare insieme al tasso di mutazioni di una specie per rendersi conto se, rispetto ai tempi geologici, allora effettivamente diventa plausibile il neodarwinismo.
Questo perché, ATTENZIONE, una probabilità condizionata può essere sia inferire sia superiore ad una probabilità incondizionata, per cui non possiamo ritenere A PRIORI il neodarwinismo più plausibile invocando l’interdipendenza.
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“Davvero lei crede che la vera comprensione dei processi evolutivi consentirebbe di predirli?”
Sì, perché escluse le predizioni controllabili, altrimenti quale sarebbe la PROVA che li abbiamo compresi?
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“Davvero lei pensa che la conoscenza delle variabili iniziali di un sistema complesso consentirebbe di predirne con precisione lo sviluppo e l’evoluzione?”
No, mi accontenterei che si possano fornire predizioni con un margine di probabilità.
Le cellule non “sanno” che una mutazione può portare all’adattamento. Le cellule non sanno nulla, hanno evoluto una serie di sistemi che consentono loro di sopravvivere. Uno di questi sistemi è quello che ripara i danni al DNA, che — lo ripeto per l’ennesima volta — sono una cosa diversa dalle mutazioni, che in molti casi non possono essere riparate. E il discorso che fa lei del “ci provano” non vuol dire nulla. Pensi che alcune mutazioni possono essere indotte proprio dai processi di riparazione del DNA.
Lei stesso in un commento precedente ha ammesso che una mutazione potrebbe generare un tratto che in determinate condizioni può essere vantaggioso, confutando quindi l’osservazione di CineMagris (“le mutazioni servono alla teoria Neodarwiniana ma non alla cellula”). Una mutazione può servire alla cellula, e il fatto che la cellula abbia un sistema di riparazione dei danni al DNA (devo ripetere che sono diversi dalle mutazioni?) non confuta questo punto.
Per quanto riguarda il calcolo delle probabilità, io sto dicendo che calcoli come quelli che fa lei sono sbagliati in principio. Quando Vomiero parla di impredicibilità, intende dire proprio questo: non si può ridurre un sistema complesso a una matrice di numeri come quella che pretende lei. Non si può calcolare a priori dove e quando comparirà una mutazione, che tipo di mutazione sarà (perché lei continua a considerare solo quelle puntiformi, come se le altre non esistessero), che effetto avrà sulla relativa proteina, come questa proteina interagirà con le altre molecole che la circondano e come questo influirà sulla probabilità di sopravvivenza della cellula o di insorgenza di altre mutazioni.
Questo non è un problema dei biologi ma un limite dovuto al fatto che, come ricorda giustamente Vomiero, il mondo non è “perfettamente deterministico e quindi completamente predicibile”.
Vale per la biologia, così come per la geologia, la climatologia, l’ecologia, buona parte dell’astronomia e anche per molti campi della fisica, insomma per tutte le discipline scientifiche che studiano sistemi complessi.
“No, mi accontenterei che si possano fornire predizioni con un margine di probabilità.”
Quindi per lei le proprietà emergenti dei sistemi complessi non esistono?
Una mutazione può servire alla cellula ma per un caso fortuito, non perché sia “voluta” da essa, proprio come ci ha ricordato all’inizio. I sistemi di riparazione, nei LIMITI della loro efficienza, fanno bene a prevenire le mutazioni, visto che in molti casi provocano disfunzioni o malattie.
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L’incapacità di fare calcoli correttivi rispetto ad un modello a mutazioni equiprobabili ed indipendenti era proprio ciò che volevo dire nel commento precedente; MA se tali calcoli sono impossibili, il fatto che la non-equiprobabilità e l’interdipendenza sia a favore della plausibilità del neodarwinismo è un’assunzione a priori, un postulato, una petizione di principio, come dice più in basso Masiero.
La sua ultima domanda a Giorgio (“perché le mutazioni (tutte, non solo quelle puntiformi) dovrebbero essere equiprobabili?”) è inutile perché siamo i primi a non credere nell’equiprobabilità. Il problema è un altro: cosa ha fatto in modo che la non-equiprobabilità sia stata tale da fare in modo che l’evoluzione sia avvenuta com’è avvenuta sulla Terra?
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Certo che esistono le proprietà emergenti, il problema è che finora sono state poste come pseudo-spiegazioni, cioè non si può predire nulla ma le cose DEVONO essere andate in questo modo. In caso contrario, può sempre farci un esempio di predizione falsificabile.
Attenzione però htagliato che “caso”, così come l’ho descritto io nell’articolo e così come lo intende anche Greylines, che le ha già risposto efficacemente, non è necessariamente un concetto opposto a ordine. Casualità non significa “caos” e nemmeno “creazione di disordine”, questo deve essere chiaro, abbiamo parlato di causalità, di novità, di imprevedibilità, di emergenza intrinseca, di evento singolo e non di classi di eventi, di eventi possibili su una griglia di possibilità imposte dalle leggi cella chimica e della fisica, insomma è un concetto molto più articolato e più raffinato. Le consiglierei al riguardo anche la lettura di un ottimo libro dell’ottimo Alessandro Giuliani, che si intitola “l’ordine della complessità”, in cui potrà trovare molte risposte alle sue domande, anche in termini di epistemologia che differenzia per esempio la biologia da un certo fisicalismo di stampo riduzionista. Stessa cosa dicasi per la produzione scientifica del suo collega Ignazio Licata. Perché la comparsa “casuale” di novità comportamentale di un sistema complesso dovrebbe essere solo distruttiva? Secondo me quindi dobbiamo fare molta attenzione a non equivocare anche quando trasferiamo il concetto, da una definizione generale e astratta, che come giustamente diceva lei ho trattato io, ad una contestualizzazione più specifica, in questo caso riguardante i processi biologici evolutivi. A meno che lei non abbia una visione della “casualità” completamente diversa da quella che ho esposto io nel mio articolo.
Siamo tutti così d’accordo sui diversi concetti, che non riusciamo più a capire perché siamo in disaccordo sui giudizi finali. Provo ad inserirmi.
1. Siamo d’accordo che contingenza o caso di un evento in biologia (come una mutazione genetica) non significa che l’evento non abbia cause fisiche, ma significa solo che non le conosciamo o comunque non ne sappiamo valutare gli effetti.
2. Siamo d’accordo che tutti gli eventi biologici, casuali e non, sono avvenuti nel rispetto delle leggi della fisica e della chimica.
3. Siamo d’accordo che le mutazioni genetiche che sono accadute nell’evoluzione delle specie, dalla prima all’ultima, non potevano essere equiprobabili…, altrimenti i batteri e noi non saremo qui.
Bene. Anzi benissimo. Lo dico sinceramente, perché considero questi 3 punti un traguardo importante.
Posso chiedere a questo punto a Vomiero, o a Greylines, o a Giuseppe1960, se conosciamo perché le mutazioni genetiche che hanno prodotto il gene CNTNAP2 (che ci è necessario per discutere tra noi in questo momento) non sono fisicamente equiprobabili?
Grazie per questo intervento Masiero, che giustamente riporta l’attenzione su alcuni punti fermi. Sono d’accordo con lei su tutti e tre i punti.
Per quanto riguarda la sua domanda sul gene CNTNAP2, la mia risposta è che esistono diversi tipi di mutazione (da quelle che riguardano un singolo nucleotide a quelle che coinvolgono interi pezzi di cromosomi) e ogni mutazione può avere cause diverse. Se anche restiamo nell’ambito delle sole mutazioni puntiformi, un cambio di nucleotide può essere causato da un errore di trascrizione, da un fattore esterno, da un errore di un sistema di riparazione, dall’alterazione di un processo epigenetico. E questi eventi — le cause delle mutazioni — non hanno la stessa probabilità di avvenire in quanto profondamente diversi gli uni dagli altri.
Capisco che cosa vuol dire, Greylines, ma io non mi accontento. Aspetto dai ricercatori del XXI secolo i numeri ed un modello fisico, da contrapporre alla disperata matematica ergodica di Monod e di Schützenberger del XX secolo. Allo stato delle conoscenze attuali, tutto mi pare una petizione di principio, piuttosto che una spiegazione: non sono equiprobabili perché non possono essere equiprobabili!
Mi permetta di ribaltare la sua domanda: perché le mutazioni (tutte, non solo quelle puntiformi) dovrebbero essere equiprobabili? Appurato che ciascuna di esse ha una causa e che le possibili fonti di mutazione sono tante e diverse fra di loro, come si spiegherebbe che eventi così differenti abbiano tutti la stessa possibilità di accadere?
Io sono sicuro, proprio perché siamo qui, che le mutazioni non hanno tutte la stessa probabilità di accadere. Ma non mi basta credere, voglio anche capire. E per capire devo quantificare, riprodurre e controllare. Non mi accontento di un racconto possibile: voglio avere un vantaggio su chi crede a racconti alternativi e soprattutto non saprei che utilità trarre da un mio racconto irriproducibile.
Salve Giorgio, il suo intervento è interessante ma il modo in cui la conduce ad assumere che un gene sia il frutto di una serie di mutazioni casuali lungo tutta la sua lunghezza mi induce a pensare che l’impostazione epistemologica sia discutibile.
Di fronte ad un modello che conduce ad un assurdo con la realtà, lo studioso coscienzioso non accartoccia i suoi appunti assumendo un miracolo, ma si ferma un momento a riflettere su cosa possa essere sotto-determinato nel suo modello.
Infatti, come Greylines le ha detto diverse volte, le mutazioni non sono tutte equiprobabili. Lei non ci crede e saremmo punto e capo. Se io dovessi dare retta a lei e fossi nell’epoca precedente alla scoperta dell’organizzazione della cromatina nel nucleo, sarei indotto a lasciar prendere questo filone della ricerca.
Fortunatamente a modelli “distruttivi”, che non spiegano, deprimenti della riflessione scientifica, si preferiscono modelli “costruttivi”, ovvero che permettono uno spiraglio di ricerca.
I motivi per cui le mutazioni non sono equiprobabili sono molti. Tra di essi il fatto che il genoma non è esposto in modo omogeneo agli eventi e alle molecole che vi interagiscono (e.g. organizzazione nucleare della cromatica). Quindi il modello che ho letto credo in un suo intervento in cui ha indicato 10^qualche milione non è ragionevole. Oltre a ciò, dovrebbe pure correggere la base, che non è 10 ma evidentemente 4 (i nucleotidi nel DNA tanti sono) e soprattutto dovrebbe dividere per tutte le sequenze geniche che possono svolgere una funzione equivalente e possono essere molte, probabilmente diversi milioni (andrebbe quantificata la presenza di ortologi in diverse specie), e questo perchè, per citare dal suo articolo “eppure esiste”.
Prima di enunciare una probabilità miracolosa, una proprietà incredibili (come un moto perpetuo), si dovrebbe evitare che il proprio modello sia così inadatto. La quantità di fiducia scientifica e quindi di autorevolezza che si perde è giustamente proporzionale alla portata dell’enunciato che si sostiene. Ecco perchè gli scienziati sono tendenzialmente molto cauti: l’autorevolezza è un valore molto importante.
Inoltre Giorgio mi permetta, io non pubblico purtroppo di’abitudine su Nature, ma prima di pretendere che chi lo fa abitualmente mi scriva per smentirmi, leggo gli articoli su quella rivista, perchè non è possibile contraddire qualcuno se no si sa cosa ha detto, no?
Ecco quindi un articolo (del XXI secolo) che contrasta Monod in modo esplicito (“In this sense, and in this example, evolution is precisely a matter, as Jacques Monod put it, of ‘chance caught on the wing’”):
Di Nicolas Gompel et al. “Chance caught on the wing: cis-regulatory evolution and the origin of pigment patterns in Drosophila.” Nature 2005.
L’articolo -che ovviamente non è l’unico- è citato quasi 500 volte, quindi può immaginare il volume di letteratura e lo sforzo intellettuale che esso comporta e che penso meriterebbe la sua considerazione, anche perchè di questi almeno 30 citano Monod direttamente.
Non le chiedo di leggerli tutti, ma se ne citasse qualcuno nei suoi interventi sono convinto che ne potrebbe trarre giovamento.
Sono felice di risentirLa, Nando.
Lei mi legge saltuariamente e quindi è parzialmente giustificato se è portato a fraintendermi (e poi gentilmente a scusarSi). Però ci dovrebbe essere anche qualche sforzo maggiore da parte Sua, ritengo, a non avere troppi pregiudizi nei miei confronti. Così, approfitto dell’occasione per togliermi un sassolino dopo il Suo penultimo intervento (apparso in un precedente articolo) in cui mi accusava di considerare l’abiogenesi un evento contrario al II principio della termodinamica. Falso. Io ho scritto su CS un intero articolo per dimostrare che il II principio della termodinamica non contraddice l’abiogenesi, né la teoria dell’evoluzione in generale. E il mio commento, da cui Lei aveva tratto (illogicamente) quella conclusione, riportava testualmente parole non mie, ma del Suo collega Stuart Kauffman.
Ecco, prima di rispondere a questo Suo ultimo commento, vorrei le Sue scuse per il penultimo, se non chiedo troppo.
Ho parlato di principi della termodinamica in generale, non del secondo principio in particolare. Forse mi confonde con un altro utente, che mi pare vi fece riferimento.
E’ infatti con essi che la posizione di Kauffman, che lei fa sua, mi pare in contrasto. Se legge bene poi vedrà che io non le ho attribuito quella posizione, ma ne ho parlato in generale, in modo da avere i suoi commenti a riguardo. In quella discussione le chiesi lumi sulla sua posizione e siccome alla fine siamo sempre sullo stesso piano (è passato da un 260 aminoacidico a un 3 milioni nucleotidico), possiamo anche riprendere da lì.
Le chiesi:
“poichè lei parte da un presupposto che è che la vita sia frutto di un disegno intelligente, presumendo l’esistenza di una divinità, non trova nulla di negativo nel rischiare di deprimere una branca della ricerca, come quella intorno all’abiogenesi, perchè è convinto che così facendo favorisca la diffusione di una verità di fede. Mi corregga se sbaglio, perchè davvero non so spiegarmi perchè qualcuno dovrebbe sostenere una modellazione distruttiva come fa lei, senza considerare ipotesi alternative.”
Ho sempre cercato di essere interlocutorio con lei e non vedo quindi perchè potrei averla offesa, ma se vuole spiegarmi meglio per cosa mi chiede delle scuse, cercherò di spiegarmi meglio, come io le chiedo di fare.
Può quindi, se lo desidera, chiarirmi le idee rispetto al suo punto di vista e poi ancora se lo vorrà, dirmi se le osservazioni che le ho fatto e riportato possono soddisfarla rispetto al problema dell’evoluzione del gene CNTNAP2.
Mi accorgo ora di un errore, del quale mi scuso: l’articolo è di Vomiero e non Masiero. La comune desinenza e l’assonanza mi han tratto in errore. Se la offendesse vedersi attribuita una frase di un autore il cui pensiero forse non condivide, le chiedo scusa per questo.
Ho citato il CNTNAP2, Nando, solo perché Tattersall, con riferimento al sistema genico specifico di Homo sapiens, ne giustifica l’improvvisa (e non graduale, secondo lui) apparizione, con un’exaptation senza selezione naturale durata “eoni”…, che poi sarebbero appena 400 milioni di anni, divenuta operativa istantaneamente con l’ultima “minore mutazione”.
Sarò soddisfatto delle spiegazioni sull’evoluzione di un gene solo quando quel gene sarà sintetizzato in laboratorio attraverso processi che simulano processi naturali spontanei. Per me non c’è scienza naturale senza riproduzione sperimentale. Aspettiamo da Lei test di laboratorio, non carte su Nature o Science.
PS. Sull’esponente 4, anziché 10 avrebbe ragione in un compitino di matematica, se non che, come si fa in statistica quando si operano confronti tra numeri “infiniti” e “infinitesimi”, 4 o 10 sono la stessa cosa: 4^-3.000 = 10^-1.800. E se poi vuole levare qualche milione o anche un milione di miliardi, o un milione di miliardi di miliardi di miliardi, di sequenze geniche equivalenti, P resta sempre 10^-1.800, cioè sempre zero. C’è ben altro ad ammazzare l’ergodicità e non è stato ancora neanche lontanamente individuato.
Quest’articolo è un ottimo riassunto delle idee erronee che si hanno presso il volgo circa la nozione di caso e ne ringrazio l’autore per metterle così in evidenza con tale candore.
Sarebbe troppo lungo discutere questo articolo su ogni punto: ne scelgo due a … caso
(1) Già si esordisce con questa frase dal pressappochismo sconcertante: “Comunque sia, per caso o evento casuale, si potrebbe intendere il verificarsi di un evento singolo, del tutto imprevisto e impredicibile, che accade senza alcuna necessità.” Per il fisico il caso è qualcosa di molto più preciso ed è quel che si misura in un sistema i cui elementi non hanno nessuna correlazione tra di loro: esempio tradizionale il lanciare i dadi con sei facce, se tra il lancio numero 1 , numero 2, 3, 1000, 12345 etc non c’è nessuna correlazione allora ci sarà un sesto di risultati con la faccia superiore del dado uguale a uno, un sesto uguale a due, un sesto uguale a tre etc.
Se un processo fisico (o biochimico) è casuale vuol dire che date le stesse condizioni iniziali il ripetere lo stesso esperimento N volte questo produrrà risultati che si distribuiranno in modo neutro tra tutti i risultati possibili. Tipicamente ne viene fuori una gaussiana.
La questione dell’evento che capita una sola volta non può essere detta casuale proprio per definizione, in quanto per poter affermare la casualità di qualcosa, si devono riprodurre le condizioni iniziali N volte e constatare che tutti gli scenari possibili avvengono in modo indiscriminato e questo senza che il fatto di aver avuto un dato risultato all’esperimento N-1 influenzi in qualunque modo l’esperimento N; o che la scelta dell’individuo di un campione dato influenza la scelta di un altro individuo in un altro campione. Se così fosse, avremmo un’osservazione perfettamente casuale.
È facile creare un insieme casuale: ad esempio prendiamo 100 studenti in letteratura medievale e facciamo subir loro un questionario a scelte multiple su soggetti di meccanica quantistica: il risultato, cioè la distribuzione delle risposte fornite, si distribuirà in modo uguale tra tutte le risposte possibili a disposizione secondo una gaussiana.
Una deviazione dalla gaussiana vorrebbe dire che tali studenti possiedono informazioni insospettate che rendono il sistema non casuale.
(2) Il caso mostra quindi assenza di informazione, è lo stadio di entropia massima di un sistema che corrisponde ad una situazione di zero energia utilizzabile: non si può creare un moto qualunque quando si è arrivato al livello più basso di energia e non si può creare informazione da dove non c’è informazione.
Se parliamo di contingenza parliamo di una nozione che è “piena” di informazioni, cioè di un sistema che , a priori non è casuale per definizione: per avere un risultato casuale da quella contingenza vorrebbe dire che non c’è relazione diretta tra l’informazione contenuta in quella contingenza, ad esempio la letteratura medievale ed il risultato finale dell’esperienza, ad esempio le conoscenze in fisica quantistica.
Bisogna essere chiari : sia la contingenza permette/causa/influenza l’apparire di un fenomeno, cioè trasmette parte della sua informazione al fenomeno e non siamo in una situazione casuale, sia non lo fa e in quel caso la contingenza non c’entra niente con il fenomeno studiato che è casuale rispetto alla contingenza considerata.
A questi due punti vorrei aggiungere due osservazioni generali già fatte più volte in altri threads: (a) il determinismo è solo un caso particolare dell’applicazione principio di causalità e (b) la prevedibilità è un caso particolare di determinismo. Ci sono sistemi perfettamente causali (ad es. quantistici o di stati fisici lontani dall’equilibrio termodinamico) che non sono prevedibili neanche in linea di principio. Il caso non c’entra per niente.
Mi aspettavo il suo intervento, Simon e me l’aspettavo anche di questo tipo. Il punto è che la prima definizione che ho dato di caso e che lei trova tanto ingenua, faceva in realtà parte di un percorso concettuale (linea definitoria) per arrivare poi a dire qualcosa di più raffinato rispetto alla definizione di “assenza di informazione o stato di massima entropia”, in merito alla quale peraltro le chiedo gentilmente se ha qualche testo o qualche autore da consigliarmi. Io li ho dati nel commento a htagliato e invito anche lei magari a farne tesoro e ogni tanto provare anche a mettere in discussione le sue sicumere e/o i suoi pregiudizi. Invece, la sua definizione del concetto di caso/contingenza sarebbe questa che ha dato in questo commento, molto più pressapochista della mia? Per il resto ha fatto esattamente come i matematici che ho citato: “si guardano bene dal farlo, esattamente come in geometria sorvolano su ciò che debba intendersi per punto. Si limitano però a precisare le regole del gioco; grazie agli strumenti della statistica e del calcolo delle probabilità, infatti, riescono generalmente a domare con successo ciò che invece è sfuggente e apparentemente inaccessibile.” Se vuole possiamo parlare di Legge di Bernoulli, paradosso di Kraitchik, Legge di Boltzmann-Gibbs, Gauss, Levy, Brown, ma non è questo il punto. Ma il fatto che lei ieri mattina abbia trovato “casualmente” (dal suo punto di vista di osservatore) il mio articolo su CS invece di un altro o il fatto che oggi di conseguenza lei abbia scritto questo commento anziché un altro e quindi in qualche modo abbia modificato il suo filtro cognitivo e il suo apparato neuronale (sistema complesso), non sono fenomeni contingenti? Perché se la risposta è sì allora si tratta esattamente di quanto descritto nell’articolo.
Per non complicare le discussioni e restare sui grandi classici ovviamente parlo di informazione (e di entropia) alla “Shannon” e di entropia nel senso di “von Neumann”.
Ottimo il tuo esempio del fatto che io legga CS e reagisca perché mette in evidenza un processo che è eminentemente causale ma non predittivo ma l’opposto di un processo casuale! Infatti, la questione è sapere se ogni volta che scrivi questo tipo di riflessione io risponderò in questo modo oppure no: se non vi rispondo nel 50% dei casi allora si il mio intervento è casuale. Qualunque deviazione sistematica da 50% è la firma di un processo causale più o meno nascosto.
Come sarebbe a dire che le risposte degli studenti si distribuiscono secondo una gaussiana? Se le risposte sono tutte equiprobabili la distribuzione non dovrebbe essere uniforme, senza alcuna tendenza centrale?
Le risposte tenderanno ad una guassiana perché si presume che gli studenti, ignoranti in meccanica quantistica, risponderanno a caso, quindi singolarmente saranno uniformi rispetto alle risposte, ma nel complesso si avranno pochi studenti che hanno risposto sempre A o sempre D (per esempio) mentre la maggioranza avrà dato più o meno lo stesso numero di risposte A, B, C e D.
La tendenza centrale sarà “50/50″ di risposte giuste/sbagliate (in questo caso la” media” delle risposte ricevute) poi i vari studenti risponderanno più o meno giusto intorno a questa “media” e la forma è una gaussiana o piuttosto una curva che rassomiglierà sempre più a una gaussiana il più si avranno studenti che risponderanno, tutti ii casi a “casaccio” presentandosi, perfino quello che risponde giusto a tutto “per caso”. Ovviamente il “pacco degli studenti” sarà intorno al fifty/fifty.
Chiaramente se la gaussiana è deformata, ad esempio c’è un un numero consistente tale che il centro della gaussiana non è 50/50 ma è è spostata o addirittura si perde la forma di gaussiana….. allora gatta ci cova: c’è una causa nascosta…. cioè informazione che circola
Capito, grazie mille.
” Per il fisico il caso è qualcosa di molto più preciso ed è quel che si misura in un sistema i cui elementi non hanno nessuna correlazione tra di loro: esempio tradizionale il lanciare i dadi con sei facce, se tra il lancio numero 1 , numero 2, 3, 1000, 12345 etc non c’è nessuna correlazione allora ci sarà un sesto di risultati con la faccia superiore del dado uguale a uno, un sesto uguale a due, un sesto uguale a tre etc.”
Modestamente credo che questo per il físico non sia caso, ma solamente partire da diferenti punti iniziali. Per il físico esiste la macchina ideale che prende i dadi sempre nella stessa posizione e lancia i dadi sempre con la stessa forza in una superficie sempre constante lancio dopo lancio e in condizioni ambientali (temperatura, umidita, movimento del aria) e ottiene sempre lo stesso risultato.
Come questa macchina ideale non si puó construire fisicamente, ma solo aprossimazioni con un margine di errore, non si puó scientificamente dimostrare che la realtá materiale sia determinata.
“Se un processo fisico (o biochimico) è casuale vuol dire che date le stesse condizioni iniziali il ripetere lo stesso esperimento N volte questo produrrà risultati che si distribuiranno in modo neutro tra tutti i risultati possibili. Tipicamente ne viene fuori una gaussiana.”
In questo caso il “fisico” cercherá cosa influisce il mio stato iniziale con una distribuzione gaussiana. Caso sarebbe che con le stesse condizioni iniziali si ottenessero risultati diversi senza nessuna distribuzione. Ma in quel caso il “fisico” dovrebbe rispondere non so.
Per esempio appare in un posto dove era depositato un disco di pane senza lievito un liquido rosso é cellule di cuore umano. La scienza prende migliaia di dichi similari e li incuba per diversi tempi ma non ottiene il stesso risultato. Poi qualche decina di anni dopo si ripete il fenómeno. Cosa puó dire il físico? Un evento casuale? No perche il “fisico” non puóneanche definire cosa sia il caso. Solo puó dire non so.
Certo che quella è la “macchina” produttrice di caso: se questa macchina esistesse allora il risultato ai dadi sarebbe una gaussiana perfetta.
Queste “macchine” produttrici di “caso” perfetto esistono: basta che si misuri un’informazione che non è determinata dal sistema iniziale benché vi sia presente.
Ad esempio prendo un fascio di luce polarizzata a 45°, cioè preparata in quanto tale, e vado a misurarvi la probabilità di avere fotoni polarizzati a 90°: ne troverò il 50% ovviamente: ma per ogni singolo fotone non posso prevedere se sarà o no polarizzato a 90°.
Il sistema è causale e perfettamente determinato ma ogni singola misura è imprevedibile…
Quanto al tuo esempio ne ho uno migliore: a un tizio 4 secoli fa, perfettamente attestato da molteplici testimoni, una gamba amputata gli è ricresciuta di un colpo: la probabilità (ergodica) che ci]o avvenga è dello stesso ordine di grandezza che la probabilità dell’apparire del fenomeno umano sulla terra. Allora, casualità, causalità, fenomeno emergente (questa dell’emergenza è la più gran pallonata inventata dallo scientismo per dire che non si sa spiegare il perché ed il percome di qualcosa…) ??
“Allora, casualità, causalità, fenomeno emergente (questa dell’emergenza è la più gran pallonata inventata dallo scientismo per dire che non si sa spiegare il perché ed il percome di qualcosa…) ??”
Appunto, li la scienza si ferma. É fuori il suo scopo/possibilitá, perche la scienza non considera il “caso”. Purtroppo oggi non si puó dire che esistono cose che la scienza non spiega.
Leggendo Greylines mi è sembrato capire quel che questi “apostoli” del caso hanno pena a concepire mostrando di non capire proprio il significato di calcolo delle probabilità/ statitistico nel suo fondamento il più intimo.
Riassumo qui quel che credo essere il loro errore e correggetemi se mi sono sbagliato.
Costoro fanno l’errore di credere che sia possibile di trovare una martingala in processo puramente casuale: cioè di credere che se un evento E1, probabilità P(E1) è arrivato, un altro evento E2 che necessita l’evento E1 come presupposto per poter avvenire avrà una probabilità P(E2, E1) > P(E2) cioè il calcolo probabilistico di ottenere E2 in sé.
Questa illusione è quella di coloro che credono poter trovare la formula vincente al Casinò, nossignori…..
Mah, non lo so Simon, ho come l’impressione che lei continui a confondere il concetto, peraltro vasto e predisponente all’equivoco, con la sua gestione matematico-statistica, un po’ come quando si cerca di studiare che ne so, il valore prognostico di un marcatore, o l’efficacia di un farmaco o ancora la correlazione tra eventi, usando dei metodi statistici. In questi casi quello che ti fornisce l’analisi statistica è una p che dev’essere inferiore a 0.05 per indicare che solo il 5% o meno degli eventi che si stanno osservando sono dovuti appunto al “caso” e che quindi il 95% di ciò che si vede è correlato invece con la malattia o con la risposta ad un farmaco. Il mio tentativo di trattazione invece è molto più concettuale ed epistemologico, abbiamo parlato di complessità, di emergenza intrinseca, di causalità, di eventi possibili, di storia e mi rendo conto che agli occhi di un fisico certe congetture possono anche non piacere, ma ripeto, la invito anche a esplorare il “problematico” rapporto tra fisica e biologia, magari leggendo le ottime opere dei contemporanei Giuliani o Licata che nella loro vita di tutti i giorni si occupano anche di sistemi complessi, se proprio mal sopporta tutti i biologi, astronomi, medici divulgatori come Boncinelli, Redi, Wilson, Rees, Firestein, Boero, Bartocci, Goldacre ecc., per non parlare di Pievani che oltre agli aspetti scientifici, sa trattare anche quelli filosofici.
In quanto materialista caro Vomiero non hai nessun diritto concettuale e filosofico di fare un ragionamento in chimica, in biologia, in creazione letteraria, in evoluzione supponendo meccanismi ad hoc che si oppongano alle leggi stesse della materia.
Se chiunque sia viene a dire che esiste una “Gran Martingala” che vada contro le leggi della fisica (e il calcolo delle probabilità ne fa parte), anche usando di tutti gli argomenti di autorità che si crede poter inventare, alla fine questa persona rimane sempre un imbonitore che crede possibile vincere al Casinò…
Voglio ricordare questo calcolo di Giorgio nel thread precedente su questo tema (Tattersal):
“Il modello calcola la probabilità di exaptation 1) del solo gene CNTNAP2, 2) avendo a disposizione tutti gli atomi dell’universo 10^82, 3) per tutta l’età dell’universo 10^18 secondi, 4) alla velocità di 10^43 reazioni al secondo (inverso del tempo di Planck). Abbiamo quindi:
P = 10^(-3.000.000+82+43+18) = 10^(-2.999.857).
Se invece di 10 miliardi di anni dell’età dell’universo il tempo a disposizione per l’exaptation fosse stato un nanosecondo (10^-9 secondi), avremmo:
P = 10^(-3.000.000+82+43-9) = 10^(-2.999.884).
Cioè la stessa cosa, zero!
Di fatto, la reale probabilità di ominizzazione col ricorso esclusivo all’exaptation è estremamente minore, perché i geni necessari al simbolo sono almeno una decina e gli altri numeri (fisici) sono ininfluenti sul risultato. I “tempi lunghi” dei darwinisti sono antropomorfismi che non hanno nulla a che fare con i limiti alla chimica dettati dalla fisica.”
Per non confondere qualche lettore, come lei Simon sta cercando di fare, ricordo soltanto che nel mio articolo non si è mai parlato di qualcosa che vada oltre le leggi della chimica e della fisica oppure oltre il concetto di causalità, sia chiaro. Detto questo, se vuole approfittare dell’assist che le ho lanciato per provare a “ragionare” anche da una prospettiva diversa con gli autori che le ho consigliato, bene, altrimenti rimanga pure a rimuginare con il suo riduzionismo-determinismo settecentesco e a escludere dal suo orizzonte conoscitivo tutti gli altri possibili approcci scientifici che lo studio dei sistemi complessi necessariamente impone. E qui chiudo.
Beh in mancanza di argomenti chiudere il dialogo è una tattica possibile caro Vomiero: ne deduco che non hai contro-risposta razionale e che ti rimane solo il battere i piedi…
A me invece interesserebbe capire come un sistema complesso proveniente da fenomeni casuali possa generare altri processi casuali e la cui rapidità complessiva sarebbe ridotta se non ci fosse stato detto sistema complesso anch’esso generato casualmente.
Cioè, Vomiero, in altre parole: non puoi teorizzare un meccanismo puramente casuale per l’evoluzione senza la violazione delle leggi della….. materia.
Qualunque discorso in questo senso è fuffa, come è fuffa in effetti il discorso darwinista….