Le percentuali e le quote di qualcosa possono essere rappresentate convenientemente da un diagramma a torta, ma non tutte le torte sono buone, comprese quelle con la ciliegina sopra.
Recentemente è stata pubblicato su La Repubblica un articolo sulle cause dei tumori intitolato “Tumori, la maggior parte è dovuta al caso” che rappresenta la seconda puntata di una notizia che nel 2015 lasciò perplessi molti lettori.
Venne pubblicata sulla rivista scientifica Science una ricerca che presentava una forte correlazione tra il numero di suddivisioni cellulare di un dato tipo di cellula e il relativo rischio di cancro. In altre parole, è più probabile che si ammali di tumore un tessuto composto di cellule che si riproducono molto spesso rispetto ad uno avente cellule che lo fanno più raramente o mai. Tale proporzionalità è dovuta al fatto che maggiore è il numero di riproduzioni, maggiore è la probabilità che si verifichino e si accumulano gli errori di duplicazione del DNA, che possono causare mutazioni genetiche.
Nacque una sorta di polemica intorno a tale notizia, perché sembrava che fosse più determinante la sfortuna del singolo che eventuali sue cattive abitudini a favorire l’insorgere dei tumori: se è soprattutto una questione di caso, allora tanto vale non smettere di fumare se si ha questo vizio?
Stava diventando pericolosa l’idea che fosse il caso la principale causa di tumori, pur se nessuno scienziato in seguito ha mai negato che le cattive abitudini aumentassero il rischio tumorale (oltre ai danni certi, intrinsechi al fumo e all’alcol).
Il 23 Marzo di quest’anno gli stessi autori del paper della discordia, il genetista Bert Vogelstein e il biostatistico Cristian Tomasetti, della Johns Hopkins University di Baltimora, con ricerche più approfondite, chiariscono quantitativamente la questione: due terzi delle mutazioni tumorali dipendono dagli errori casuali di copiatura del DNA. La torta delle mutazioni cancerose va quindi divisa in tre fette uguali e bisogna attribuirne due al caso e una a fattori esterni (deterministici) come l’azione del fumo.
Siccome il rischio di equivoci a favore della rassegnazione alle cattive abitudini potrebbe restare (a causa della quota di maggioranza del fattore caso), allora Tomasetti entra nel dettaglio per confermare ciò che ci viene raccomandato dai dottori. Se per esempio una cellula diventa cancerosa dopo tre mutazioni ma anche solo una è dovuta al fumo, allora non fumare avrebbe protetto dal rischio di contrarre la malattia.
A causa comunque della forte dipendenza dal tasso di mutazioni, la percentuale di mutazioni tumorali dovute al caso varia molto da un tessuto all’altro: 95% per prostata, ossa e cervello, mentre scende al 35% per i polmoni.
Abbiamo quindi, in realtà, tante torte diverse, quelle in cui solo una fettina sottile è dovuta ai fattori non-casuali e quelle in cui questi invece incidono per circa due terzi.
La prima torta quindi era riassuntiva di tutti i tipi di tumore, dove quella fetta non casuale si divide a sua volta in un 5% di fattori ereditari e 29% di cattive abitudini.
La nostra torta è in ogni caso ingannevole perché, come dice giustamente Vogelstein, le proporzioni non sono tutto, contano anche i valori assoluti, cioè i danni intrinsechi di sostanze dannose per il corpo.
Ricapitolando, come già sappiamo, non dobbiamo fumare, gli alcoli vanno assunti con moderazione, niente droghe, protezione dai raggi UV ma tanta attività fisica.
Resta un po’ di amarezza per il fattore sfortuna, perché potremmo chiederci cosa si può fare in questo caso, se si può intervenire in modo preventivo.
C’è un passaggio dell’articolo che rappresenta la ciliegina sulla torta, il piccolo riferimento all’evoluzione che non guasta mai e che rende più saporito il discorso; a parere del sottoscritto, però, tale passaggio risulta problematico perché può porsi sotto due chiavi di lettura:
Perché avvengano questi errori di copiatura è presto detto. “Le alterazioni del Dna sono il motore dell’evoluzione. E quindi possiamo dire che i tumori, della nostra evoluzione, sono l’effetto collaterale” spiega Vogelstein.
La prima chiave di lettura è quella metaforica, ossia il genetista ha solo spigato a parole sue il noto nucleo centrale del Neodarwinismo, per cui il motore principale dell’evoluzione sono le mutazioni genetiche filtrate dalla selezione naturale. In tal caso può creare confusione in questo contesto l’aggettivo “casuale”, perché finché si parlava di tumori, “casuale” si opponeva a “ereditario o ambientale (incluse le cattive abitudini)”, ma nella biologia evolutiva “casuale” vuol dire indipendente dalla fitness, cioè indipendente dalla probabilità di sopravvivenza e riproduzione di un individuo. In questa seconda accezione, tutte le mutazioni discusse nell’articolo sono casuali, in particolare di una casualità distruttiva, visto che implicano tumori. Possiamo vedere quindi che la dipendenza da fattori “deterministici” non implica necessariamente un vantaggio in termini di fitness. Non è una novità, ma occorreva precisarlo.
La seconda chiave di lettura è quella letterale, cioè la citazione, presa alla lettera, vuol dire che le mutazioni sono necessarie all’evoluzione, dove l’evoluzione ha un’accezione positiva come di un fenomeno che ogni specie deve ottenere (in più quindi alla mera sopravvivenza). In questo senso, le mutazioni è come se fossero un fenomeno “voluto” dagli organismi viventi, un prova-ed-errore in cui c’è un meccanismo imperfetto volto alla variazione e non alla conservazione dei caratteri. L’interpretazione letterale genera confusione con altri passaggi dell’intervista in cui le mutazioni sono paragonati agli errori di trascrizione di un monaco amanuense, per cui le mutazioni in un caso sono “errori”, in un altro “motore con effetti collaterali”.
La prima chiave di lettura dovrebbe essere più vicina alla realtà, ma la seconda dovrebbe rispettare di più il pensiero dell’autore, a voi la scelta.
Se avessi allora la torta con tutti i tipi di mutazioni possibili, potrei dividerla in due fette (non per forza uguali), quella delle mutazioni che implicano vantaggi adattativi e tutte le altre. Ciascuna fetta potrebbe a sua volta essere divisa in mutazioni “casuali” e mutazioni “deterministiche”, ma se per casuali intendo “indipendenti dalla fitness”, poso il coltello e lascio la torta intatta.
In base al detto “la salute è la prima cosa”, torniamo un attimo alla questione centrale, i tumori. Una volta eliminate tutte le cattive abitudini (sedentarietà inclusa), cosa possiamo fare per prevenire i tumori “casuali”?
Vogelstein, riferendosi ai fattori di rischio ambientali o legati agli stili di vita. “O si possono imparare a riconoscere i nemici interni, che sono le mutazioni casuali. Per prevenirle oggi non abbiamo nessuna arma. Ma concentrandoci sulla diagnosi e sugli interventi precoci potremmo salvare molte vite lo stesso”.
La cattiva sorte quindi, in base alla scienza attuale, non può essere combattuta a priori: possiamo scegliere di non fumare, ma non possiamo impedire gli errori casuali di duplicazione del DNA in sé. Cos’è però il caso, in fondo? È solo un termine usato per l’ignoranza circa le cause, per cui in questo contesto significa che in media due terzi dei tumori ha cause ignote. Si può dire lo stesso delle mutazioni casuali in generale? Probabilmente si, per cui anche l’evoluzione ha per motore centrale fattori ignoti, la perplessità immediata è che allora, di fatto, la Teoria dell’Evoluzione è un caso anomalo dal punto di vista epistemologico, sarebbe l’unica teoria che postula di non poter postulare. Spiega senza spiegare, perché se spiegasse, significherebbe che può fornire predizioni controllabili sul motore dell’evoluzione, ma se fossero controllabili, allora sarebbero suscettibili di applicazioni, per esempio, per la prevenzione dei tumori “casuali”.
In sintesi, avanzo una terza chiave di lettura della nostra ciliegina che, visti i tempi, potremmo chiamare post-vera: il genetista ha voluto solo indossare un attimino i panni dell’evoluzionista con una breve proposizione che ribadisce il pensiero comune sull’attuale teoria dell’evoluzione, per poi indossare nel resto dell’articolo i panni dello scienziato pragmatico e di mestiere, che riconosce tutti i limiti predittivi e applicativi dello studio delle mutazioni e conclude promuovendo una diagnosi in fase sperimentale (biopsia liquida) che si presenta come una promettente arma a posteriori contro i tumori. Perché a posteriori c’è speranza per tutti, anche per le spiegazioni evoluzionistiche.
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132 commenti
Se posso semplificare, è assodato che ogni tumore abbia una causa… Nota o non nota. Quando si parla di caso/sfiga del singolo individuo, escluse quindi le cause determinate dal comportamento, ci si riferisce alle mutazioni inscritte nel codice genetico che abbiamo avuto la sfiga di ereditare. O no?
Semplificherei ancora di più: ogni effetto ha la sua causa. Il punto è il senso del “casuale” in questo contesto. Invece per “sfiga” si intendono le mutazioni che insorgono casualmente nel DNA, mentre quelle ereditaria fanno parte di quel 33% non-casuale.
È sempre la solita storia. Quando sono incalzati dai matematici, i biologi si dissociano dal semplicismo di Dawkins e dagli “errori di copiatura” del neodarwinismo, ammettono che l’evoluzione interspecifica è avvenuta anche e soprattutto per macromutazioni del genoma, dietro le quali ci stanno meccanismi chimici per la maggior parte ancora da determinare …, poi però negli articoli ci ricascano, e raccontano a se stessi, agli studenti cui insegnano e al popolino in adorazione la solita favoletta dell’evoluzione per errori di copiatura e selezione naturale.
Una favoletta che sarà seppellita nel XXI secolo dalla bioingegneria e dalle tecniche velocemente avanzanti di riparazione del DNA. Allora lo spazio che Vogelstein & C ancora assegnano al caso progressivamente si ridurrà fino a diventare solo quello della nostra attuale+ strutturale ignoranza.
Grazie Giorgio, perché con questo commento hai esplicitato e chiarito ciò che alla fine del mio articolo ho chiamato “terza chiave di lettura”.
Salve Giorgio, una nuova puntata della nostra discussione, che procede un po’ a singhiozzo.
Mi riallaccio a quella di quelche tempo fa, che confido si ricordi (non sono pratico di questo sito per recuperarla, ma assumo lei lo sia).
Forse non ha letto bene il lavoro di Tattersal (cui fece rifierimeno), o non gli attribuirebbe una cosa che nessun biologo serio direbbe mai, ovvero che un gene possa essere comparso in Homo sapiens senza ortologi o paralogi per lo meno tra i mammiferi (quindi “improvvisa apparizione”). Di CNTNAP2 per altro esistono alberi filogenetici (A. Mozzi et al. “The evolutionary history of genes involved in spoken and written language: beyond FOXP2.” su Scientific reports del 2016) e si possono trovare omologie con insetti, pesci e anfibi.
Poiché lei parla di questo gene, forse era il caso che si informasse un po’ meglio, prima di modellarne l’evoluzione e trarne conclusioni così importanti come l’impossibilità della sua genesi da mutazioni “casuali” (vorrei approfondire il termine con l’autore di questo articolo in un diverso messaggio).
Riguardo appunto al modello che propose, la base chiara, 4, permette al lettore di capire di cosa si parla e cosa il modello rappresenta, perchè un modello deve far comprendere, prima di sbalordire.
La base non è tuttavia il punto più importante, quanto l’irragionevole assunzione che lei fa e che la porta ad esponenti insensati, perchè -come già le ho fatto notare- “distruttivi”. Un modello che pretende di portare la probabilità di un fenomeno osservato a 0 è ovviamente sbagliato, perchè il fenomeno esiste o è esistito. Di fronte ad un tale modello si esplorano i gradi di libertà che fanno crescere l’esponente, prima di gridare al miracolo.
Gliele ripeto qui: non è ragionevole pensare che tutte le possibilità debbano essere esplorate, non è vero che ogni nucleotide è essenziale per il funzionamento del gene, non è vero che nessun’altra sequenza nucleotidica avrebbe potuto svolgere la stessa funzione, ecc. In questo modo il numeratore sale e lo spazio delle possibilità diminuisce.
C’è un intero numero della rivista “Interface Focus” edito dalla Royal Society britannica (06 Dicembre 2015; volume 5, issue 6). In essa un articolo appunto discute in modo piuttosto esaustivo il punto che lei con una certa disinvoltura propone frequentemente, ovvero che l’evoluzione genetica debba seguire un percorso ergodico, arrivando ad affermare che una risposta non sarebbe stata “nemmeno lontanamente” individuata. Ovviamente non è così, poichè ricerca in questo ambito se ne fa da tempo: di Tom McLeish “Are there ergodic limits to evolution? Ergodic exploration of genome space and convergence”.
Migliaia di articoli (carte li definì lei, mi pare con un certo spregio) discutono l’evoluzione genica e quindi vi sono migliaia di spiegazioni -che sebbene non “definitive”- devono essere prese in considerazione. Questi esperti sono informati sull’organizzazione della cromatina o fenomeni di duplicazione, sul trasferimento orizzontale, sull’integrazione virale, sull’epistaticità, sulla pleiotropia, ecc.
Fenomeni, osservabili, che possono spiegare come un gene possa crescere di milioni di basi in tempi “brevi” e non passando attraverso tutte le possibile configurazioni.
Per aiutarla le faccio un altro esempio: con il suo approccio ogni pianta del pianeta sarebbe un miracolo. Se consideriamo quanti atomi le compongono e tutti le possibili piante a un atomo di differenza, la probabilità che esattamente quella pianta esista è “zero”.
Ovviamente se consideriamo che il seme che l’ha generata ha avuto più successo di altri e che la pianta cresce seguendo una memoria genetica esistente (o i geni evolvono sulla base di un sistema fisico esistente, che impone ad esempio i vincoli rappresentati nel grafico di Ramchandran), allora pare evidente, come è ovvio, che la pianta è possibilissima: infatti esiste.
Credo sia essenziale che lei comprenda questo principio: è assurdo pensare che ad ogni nuova specie si ricominci da zero, come è assurdo pensare che una proteina di 200 aa sia stata creata abiogeneticamente. Allo stesso modo è assurdo pensare che un occhio o un’ala siano apparsi funzionali d’un tratto (una polemica che si legge ancora talvolta e che di fatto ha la stessa matrice).
A questo punto spero comprenderà anche che sarebbe altrettanto assurdo chiedere ad un biologo, di fronte alle suddette scoperte scientifiche, di riprodurre tutto il cammino evolutivo in laboratorio, per credervi.
Le “carte” su Nature o Science o altre riviste autorevoli, servono appunto per evitare che qualcuno perda tempo a rifare il cammino o pretenda di veder rifatto tutto il percorso di ricerca perchè non si fida di come è stato costruito. I progetti del cammino sono rigorosamente descritti e disponibili a chiunque, perchè se ne possa discutere, ma occorre leggerli, prima e farvi riferimenti concreti, dopo.
Se vuole possiamo cercare i riferimenti più interessanti per lei assieme. Mi dica da dove vuole partire e le potrò suggerire altra bibliografia essenziale.
Io non ho mai “assunto”, Nando, l’ergodicità. Lo vedo bene che ci sono le piante… e anche l’uomo coi suoi geni complicatissimi! L’ergodicità (degli errori di copiatura, delle micromutazioni casuali selezionate ex post) appartiene a Dawkins e al neo-darwinismo in generale. E appartiene anche a Tattersall che nella sua lezione di Udine porta solo il caso e gli eoni (o “tempi profondi”) a far uscire improvvisamente Homo sapiens dal cilindro dell’evoluzione.
Le ho già detto molte volte che io sono un uomo pratico, non mi interessano le tonnellate di carte (e di latinorum) degli articolisti. Quando avrete replicato qualche forma di vita artificiale in laboratorio, Si rifaccia vivo. Anche perché abbiamo difficoltà a capirci ed abbiamo una concezione diversa di ciò che è scienza e di ciò che è poesia.
Mi potrebbe indicare dove Dawkins o Tattersal avrebbero sostenuto l’ergodicità, che lei ha chiaramente assunto modellando la probabilità di tutte le possibili configurazioni di un gene di 3 milioni di basi?
Essere un uomo pratico non significa adottare sempre sempre approcci che in informatica di definiscono “forza bruta”, perchè sono adatti solo per fenomeni banali e in fondo non spiegano nulla della realtà che si cerca di scardinare, ma sono appunto “distruttivi”, sia del fenomeno cui sono applicati, che delle risorse usate per attuarli.
Non l’assumono esplicitamente, mica sono scemi. Ma l’assumono implicitamente, ingannando i distratti, quando pretendono di spiegare scientificamente l’evoluzione interspecifica con la sola selezione naturale trasformata ridicolmente in un agente finalistico nell’Orologiaio cieco di Dawkins, o quando ricorrono esclusivamente “al caso e ai tempi profondi”, come fa Tattersall a Udine.
Da quando abbiamo preso a dialogare, ci diciamo sempre le stesse cose, Nando. Che dice di prenderci una pausa? Lei continui a ricercare. Io l’aspetto quando ha qualcosa di riproducibile, ok?
La sua definizione di “caso” è quella di caso assoluto, di cui nulla può essere noto, oltre alla dimensione estrema dello spazio delle possibilità. Mi scusi ma quello che inganna i “distratti”, quelli che non notano che esistono i vincoli che le ho elencato sopra, è lei e penso che cerchi di ingannare anche sé stesso, perchè non mi spiego altrimenti come possa ostinarsi ad ignorare quello che la comunità scientifica sostiene davvero (e non nei testi di Dawkins, che con tutto il rispetto non sono articoli scientifici).
Se non vuole rispondermi nel merito, come in effetti non sta facendo, per me non c’è nessun problema, a me basta far presente ai distratti che c’è un bel po’ di cose che vale la pensa sapere prima di decidere cosa sarebbe possibile o impossibile.
Ma insomma, questo esperimento con il quale dimostrate di aver capito come nasce la vita o avviene la macroevoluzione, lo fate o no?
Il resto è solo chiacchiera, lunga chiacchiera a volte, almeno nelle scienze sperimentali.
Nessuno scienziato serio afferma di aver completamente capito quello che lei asserisce avremmo capito. Penso Enzo che se anche venisse fatto, un tale “esperimento”, lei non ci crederebbe. Non fosse altro per il fatto che non è durato milioni di anni.
Articolo condivisibile al 100%. Quanto hanno scoperto che la selezione può avere al massimo un effetto stabilizzante sulle specie, e non certo di poterne creare di nuove, hanno dovuto inventarsi una “fonte “ di nuove informazioni genetiche che potessero spiegare la diversità biologica; e la
principale è stata quella delle mutazioni “random “ che , quali errori di copiatura, incrementano da “fuori” l’informazione. Ora il paradosso è che il darwinismo, per sua stessa ammissione, afferma che il dna è una struttura fatta per durare e difendersi dai cambiamenti, cioè la vita non ha in sé “un potenziale “ evolutivo , ma anzi ha bisogno che qualcosa “rompa” la sua natura, da fuori, extra sistema. In questo senso è sui generis “creazionista”: la specie, da sola,non si può evolvere,ma ha bisogno di una “infusione” di informazione dall’esterno!
Ovviamente, questa tesi, come si dice bene nell’articolo, toglie al darwinismo la sua natura di teoria scientifica, perchè se è solo la casualità, questa non può essere predetta , ma solo constatata a posteriori, dove per forza, i conti tornano sempre. Per questo i darwinisti non sentono il bisogno di scoprire quali sono state le mutazioni, quando, cosa le ha causate, perchè la selezione ha premiato queste e non quelle, perchè il tempo è stato sufficiente, ect. etc. ; nulla, basta dire che l’evoluzione è avvenuta: basta dire ,ad esempio, che per far evolvere i dinosauri in uccelli “ evidentemente ci sono state tutte le mutazioni e selezioni necessarie per farli evolvere in
uccelli, e , se è successo, vuol dire che il tempo è stato sufficiente” ( !), Sarebbe come se io mi presentassi ad un congresso di medicina sulla sclerosi multipla, e dicessi : “Scoperta
la causa delle sclerosi: ci si ammala quando si verificano tutte le condizioni necessarie perchè si sviluppi la sclerosi”….Non credo che questa affermazione, per quanto vera, verrebbe definita una teoria scientifica.
Grazie per le sue osservazioni, Magris.
“Non credo che questa affermazione, per quanto vera, verrebbe definita una teoria scientifica.”
Da notare “per quanto VERA”, è questo il problema!
frase di Dobzhansky:
“I fatti dell’evoluzione, della paleontología e della paleobiologia sono unici, irripetibili e irreversibili”.
T. Dobzhansky, “I metodi della evoluzione biológica e antropológica”, in American Scientist 45, 1957, p.388.
Pertanto un rettile può diventare un uccello, ma un uccello non può diventare un rettile. Naturalmente nessuno da una spiegazione al riguardo. Se l’evoluzione procede per casualità e senza un fine specifico, perchè mai un uccello, non potrebbe evolversi in un rettile?
Infatti se ammettiano che vi siano mutazioni casuali dovremmo attenere cambi mutazionali non solo verso una maggiore complessità, ma anche verso una minore complessità, e anche un evoluzione al rovescio, ossia un ritorno alla specie precedente.
Buona osservazione, Tomas: ci insegnano che l’evoluzione, per come è intesa oggi, NON ha direzionalità e usano la similitudine del cespuglio per contrapporla a quella della marcia o scala o catena; però nei fatti restano le perplessità che ha evidenziato.
Vero…e poi perché se, come ci dice l’evoluzionismo, i pesci si sono evoluti in anfibi 400 milioni di anni fa, e visto che i pesci esistono ancora ( compresi i dipnoi, che ci dicono essere gli antenati degli anfibi!) non ci sono state altre transizioni pesci-anfibi?? magari 200, 100, 10 milioni di anni fa, oppure in atto ora, e quindi osservabile? In ogni caso , recentemente, Craig Venter , non proprio l’ultimo venuto, ha proclamato , davanti ad un allibito Dawkins, che l’albero della vita “non esiste proprio”…
Non ci sono “nuovi anfibi” proprio perchè ci sono gli anfibi. La nicchia ecologica è occupata. La competizione per accedere al vantaggio in talune condizioni del poter assorbire ossigeno all’aria è molto più elevata quando ci sono organismi (anche predatori) che lo fanno già in modo efficiente.
Tipica tautologia darwiniana. Perché non ci sono nuovi anfibi? Perché la nicchia è piena. Da che cosa lo deducono gli scienziati che la nicchia è occupata? Perché non si sviluppano nuovi anfibi!
Selezione naturale docet.
Tutti i racconti darwiniani sono così verissimi quanto sterilissimi.
Pare la spiegazione più ragionevole. Nessuno dice che sia l’unica. Se può ispirare il mondo scientifico ad essere più ragionevole e quindi più abile, non esiti, dica pure, perchè questo è il punto: condurre una discussione in modo costruttivo.
Oltre ad essere tautologica questa affermazione, come ben dice Masiero, non capiso come si fa parlare di “nicchia ecologica” occupata da 400 milioni di anni! nel frattempo è cambiato tutto, clima, estinzioni di specie, temperature, cataclismi, e la “nicchia” è rimasta immutata?? Inoltre, per fare questa affermazione, bisognerebbe essere in grado di stabilire, in ogni momento, quanto “spazio” teorico ci sia per altri anfibi; che ne so, se ora sterminassimo le rane, si libererebbe “spazio” nella nicchia ecologica per l’evoluzione di altri anfibi??
Gli anfibi non sono uguali a i progenitori di 400 milioni di anni fa e stimare quante specie di anfibi si siano estinte da allora non è semplice, ma presumibilmente molte. Probabilmente anche a causa di predatori evolutisi proprio perchè ogni organismo può rappresentare una risorsa per un altro.
Mi pare piuttosto ragionevole che se c’è un organismo che occupa una nicchia ecologica sia più difficile vederne un altro omologo. Si può pensarla diversamente, ma occorre spiegare quali ne sono i motivi.
La domanda che dovrebbe fare è forse piuttosto “perchè abbiamo le specie che abbiamo e non altre”?
La risposta la può notare dal fato che in ecosistemi relativamente isolati le specie sono piuttosto diverse, mentre in ecosistemi comunicanti le specie sono più simili.
Lo spazio ecologico può essere stimato in base alla quantità di risorse (nutrienti) presenti e pure dalla dinamica delle specie esistenti (cicli preda-predatore). Riguardo alla sua domanda, se le rane si estinguessero, ci sarebbero sempre altri anfibi ed è più logico pensare che sarebbero loro a trarre vantaggio dall’assenza di competizione.
Noti inoltre per è presumibile che l’evoluzione sia spinta dalla concorrente disponibilità di una nuova risorsa e dall’assenza di una specie chiaramente avvantaggiata o la pressione selettiva sarebbe poca e prevarrebbe una specie già adatta, se esistente.
Una frasse contraddittoria: non ci sono nuovi anfibi perché “a nicchia ecologica è occupata”.
Quindi per ogni nicchia dovrebbe esserci un solo rappresentante, e dopo il primo ad occuparla non dovrebbe esserci mai stata la stessa evoluzione!
La contraddizione mi sfugge. Me la spiega meglio?
Credo che lei Tomas assuma una nozione purtroppo diffusa ma errata; anche se una specie si è evoluta con una pressione selettiva minore, quindi con un tasso di variazione ridotto, questo non significa che sia più facile fare “marcia indietro” fino alla ramificazione e poi risalire, perchè non c’è alcuna pressione archè ciò accada.
Immagini che tutta la superficie emersa sulla terra sparisca gradualmente fino a svanire del tutto, sommersa. E’ allora attendibile che alcune caratteristiche che alcuni organismi condividono con quelli più affini all’acqua saranno premiate e ci sarà una evoluzione in tal senso. Ma la “marcia indietro” è come immaginarsi che un ramo di un albero meno cresciuto di un altro si ritiri o faccia una “inversione a U” per spingersi fino ad una biforcazione e poi riparta da lì.
Quindi no, un rettile non può diventare un uccello perchè il progenitore di entrambi è estinto. Un rettile può evolvere in qualcosa di volante, come hanno fatto alcuni mammiferi, ma sarà qualcosa di diverso, un nuovo ramo ancora.
Salve Nando, vorrei capire meglio le sue obiezioni.
“Immagini che tutta la superficie emersa sulla terra sparisca gradualmente fino a svanire del tutto, sommersa. E’ allora attendibile che alcune caratteristiche che alcuni organismi condividono con quelli più affini all’acqua saranno premiate e ci sarà una evoluzione in tal senso.”
Fin qui la seguo, poi…
“Ma la “marcia indietro” è come immaginarsi che un ramo di un albero meno cresciuto di un altro si ritiri o faccia una “inversione a U” per spingersi fino ad una biforcazione e poi riparta da lì.”
Perché il “ritorno all’acqua” non può essere visto come una marcia indietro? Perché non potrebbe avvenire, andando oltre la metafora del cespuglio?
“Quindi no, un rettile non può diventare un uccello perché il progenitore di entrambi è estinto.”
Sono ancora più confuso da questa affermazione: il progenitore comune non era un semplice anfibio? Non sono tutte le specie esistenti ed esistite dei potenziali progenitori comuni? Perché il progenitore comune sarebbe l’unico tipo di essere capace di diventare uccello?
Il ritorno all’acqua non sarebbe una “marcia indietro” perchè viceversa sarebbe una “macchina del tempo”, su una linea di eventi precisa, e lei che leggo essere un fisico credo converrà che la sua esistenza sarebbe piuttosto controversa.
Gli eventi avvengono infatti su una linea temporale (alcuni fisici dicono una delle infinite), e ciò che precede influenza ciò che segue. Noti ad esempio che i cetacei non sono tornati ad essere pesci, ma hanno trovato tramite nuove ramificazioni un modo nuovo per adattarsi condizionati da eventi pregressi. Credo che l’idea da tenere a mente sia che la quantità di informazione di un organismo non può essere “persa” in una sorta di “tabula rasa” per ripartire, perchè essa è essenziale alla sua esistenza nell’ecosistema così come si è accumulata. L’informazione può essere la base per cumulare nuove informazioni che conducono a nuove soluzioni.
Il progenitore di cetacei era un mammifero e il progenitore comune di rane, uomini e balene non era un “semplice” anfibio, ma un animale adattato al suo ambiente in base ai condizionamenti pregressi (tra i quali è evidentemente mancato quell’insieme che ha indotto l’evoluzione dei mammiferi).
Molte specie si sono estinte senza essere progenitori; dipende da dove sono sull’albero evolutivo. Il dodo o il mammut non sono progenitori di alcuna specie e lo stesso destino sarà toccato a migliaia e migliaia di specie (come molti rami non generano altri rami, ma solo foglie). Solo alcuni, una ristretta minoranza, considerate le estinzioni di massa di cui abbiamo evidenze, sono in effetti progenitori e sono quelli che logaritmicamente possiamo calcolare dalla specie esistenti.
Il numero di possibili esisti evolutivi è molto grande (come testimoniano le molte specie esistenti e di cui possiamo ipotizzare siano esistite in base a fossili e altre evidenze) e il progenitore è solo uno di essi. Per “tornare indietro” si dovrebbero verificare delle condizioni che inducono questo cambiamento. Nel “mondo sommerso” non possiamo escludere che la discendenza dei mammiferi svilupperà qualcosa simile alle branchie, ma come le ali del pipistrello non lo classificano come “uccello” dubito che tali pseduo-branchie potrebbero permettere di classificare questi animali come “pesci”.
Ok, ora è più chiaro, è un po’ come con i DNA di due persone qualsiasi del mondo, non saranno mai uguali.
Salve Htagliato, credo che il suo articolo si possa ricondurre al problema di come funziona il complesso sistema di enzimi che si occupano della manutenzione e della replicazione del DNA. Come potrà immaginare poichè parliamo di centinaia di molecole e potenzialmente migliaia di classi di eventi che possono indurre mutazioni sul DNA (e ancora più gravi mutazioni sulle sequenze proprio degli enzimi che si occupano di gestirle), siamo di fronte ad un sistema molto complesso.
Ora, prenda una cosa che abbiamo fatto noi: un’automobile. Sappiamo tutto di come si fa, dai singoli elementi fino alla consegna delle chiavi. Eppure la rottura di una parte del veicolo è “casuale”. Certo potremmo fare un modello che simuli a livello molecolare ogni evento relativo all’esistenza e alla vita dell’auto, ma riusciremmo davvero a creare un modello predittivo? Ora consideri che un’automobile è ridicolmente semplice rispetto ad un enzima. Quando parliamo di “casuale” in relazione ad un evento, possiamo anche intendere “troppo complesso per essere modellato in modo predittivo”, ed è questa la concezione rispetto al fenomeno delle mutazioni cancerogeniche.
Che lo stesso fenomeno che può causare una degenerazione sia anche capace di introdurre una nuova caratteristica non è poi sorprendente e quindi non è assurdo pensare che possa essere uno dei molti fattori alla base dell’evoluzione, sopratutto quando notiamo che in un allineamento multiplo tra specie simili vi è una relazione tra fenotipo e differenze nel genotipo.
Poi sono d’accordo si tratti di una spiegazione a posteriori, ma se assumiamo che modificando alcune zone più importanti di un enzima possiamo non solo inibirlo ma anche renderlo più efficiente in una specifica condizione allora, si capisce che ragionare in termini di selezione non è affatto deleterio. ma anzi una possibilità da tenere in considerazione per poter trarre utilità dalle conoscenze biologiche tramite ad esempio le biotecnologie mediche e industriali.
Viceversa, assumendo che l’evoluzione segue una sorta di disegno, potremmo ritrovarci ad attendere che il “destino” faccia il suo corso predefinito, impotenti rispetto ad un “piano più grande di noi” e torna qui il problema che discuto con Giorgio, ovvero il potere depressivo sulla ricerca che è insito nella negazione di ipotesi scientifiche per ragioni ideologiche piuttosto che concreti riscontri.
“Quando parliamo di “casuale” in relazione ad un evento, possiamo anche intendere “troppo complesso per essere modellato in modo predittivo”, ed è questa la concezione rispetto al fenomeno delle mutazioni cancerogeniche.”
Allora ci troviamo davanti a due tipi di “caso”, quello dei tumori (non suscettibile di predizioni) e quello dell’evoluzione (indipendente dalla fitness). Entrambi però riguardano le mutazioni genetiche, per cui, se stimo parlando dello stesso sistema (complesso), qual è il caso…giusto?
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“Che lo stesso fenomeno che può causare una degenerazione sia anche capace di introdurre una nuova caratteristica non è poi sorprendente”
Invece Sì, è sorprendente e fortemente anti-intuitivo, proprio perché i sistemi biologici sono molto più complessi di un’automobile, per cui se nel caso di una macchina se applico una modifica casuale molto probabilmente la danneggio, a maggior ragione per un enzima o altra proteina.
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Da “Poi sono d’accordo…” a “mediche e industriali” lei fa un salto logico di cui non si rende conto ma so per esperienza che non è l’unico: passa dall’ammettere la tautologia dell’evoluzione ai vantaggi che si possono avere anche in termini tecnologici nello studiare le proteine (veri) MA che in realtà non richiedono alcun riferimento all’evoluzione. È un grande classico della divulgazione dell’evoluzione: considero una proteina/tessuto/organo/comportamento, lo studio, dico a che serve, spiego perché ha superato una selezione naturale e poi, siccome la selezione è considerato un fattore evolutivo, attribuisco i meriti alla teoria dell’evoluzione quando in realtà non ne aveva alcuno.
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“Viceversa, assumendo che l’evoluzione segue una sorta di disegno…”
Non è il caso di Critica Scientifica (né me, né Enzo, né Giorgio). Non ci sono ragioni ideologiche e lo scopo non è deprimere la ricerca ma fare l’opposto, tagliare i rami morti come si fa per gli alberi da frutto.
Mi sfugge cosa intende per “evoluzione indipendente dalla fitness”. L’evoluzione è dipendente dalla fitness. I due casi sono simili quando considera che in entrambi il numero di fattori determinanti è talmente elevato da non poter modellare il fenomeno in modo predittivo.
Se confronta il motore che Diesel creò e quello che ha oggi, noterà molte analogie. Mettere mano al lavoro di Diesel non è chiaramente come ignorarlo completamente. In questo senso si capisce che un’azione su un motore capace di modificarlo sarà anche capace di influenzarne il funzionamento, rendendolo più efficiente rispetto a diverse condizioni di funzionamento. La differenza tra molti geni orologi e di pochi nucleotidi.
Se lei Htagliato ha un’idea migliore su come “imparare” dalle sequenze biologiche può proporlo. Ad oggi si assume una serie di meccanismi (alcuni dei quali ho indicato nella mia risposta a Giorgio sotto) che condizionano e limitano lo spazio delle possibilità e si assume che “interpolando” questa conoscenza si possa avere una qualche comprensione. Ad esempio oggi i siti attivi degli enzimi si individuano grazie a confronti tra specie diverse, assumendo concetti come “conservazione” e di lì si riflette per comprendere meglio il funzionamento dell’enzima. L’ipotesi che ciò sia avvenuto per mutazioni ci permette di ipotizzare di poter ottenere risultati in modo analogo e quindi ci incoraggia vero questa direzione. Lei in che altro modo pensa sarebbe più fruttuoso procedere? Quale ipotesi assumerebbe per guidare la comprensione di un fenomeno estremamente complesso come la microbiologia? Ovvero, quali rami taglierebbe a favore di quali altri?
Attenzione, non ho parlato di EVOLUZIONE indipendente dalla fitness ma di MUTAZIONI indipendenti dalla fitness, che è la definizione usata in biologia evolutiva di “casuale”; mentre “impredicibile” è quella che sta usando lei (e gli scienziati citati nell’articolo quando parlano di tumori).
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L’analogia del motore Diesel non è efficace perché “l’evoluzione dei motori” è stata fatta intenzionalmente, non con modifiche casuali!
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Il modo in cui nel suo esempio si studiano le sequenze biologiche, di nuovo, non c’entra con i meccanismi Neodarwiniani: si confrontano geni (ok), si confrontano enzimi (ok), si vede cosa sia variato di più e cosa di meno se non per niente (ok) e TECNOLOGICAMENTE si opera sulle molecole biologiche (ok). Tutto questo discorso TRASCENDE sul COME si sia passati da una forma ad un’altra (si sono modificati i geni? Ovvio! Mica stiamo a negare l’evoluzione in sé). Non sono un biologo, ma so riconoscere la differenza tra CINEMATICA e DINAMICA, ed è proprio di questo ciò di cui sto parlando.
Se consideriamo lo stato attuale risultato di un adattamento (fitness) è ragionevole attendersi che le mutazioni successive positive o neutre, come hanno condotto allo stato attuale non essendo ergodiche, continueranno a non esserlo. La diversa accessibilità della cromatina nucleare è un esempio di elemento che introdotta una forma di fitness (maggiore efficienza nell’accesso all’informazione genetica) vi “capitalizza” e potrebbe spiegare come le mutazioni avvengano in modo sempre più specifico in geni soggetti a questa fitness. In tal senso potrebbe leggere di M. Vietri Rudan et al “Comparative Hi-C reveals that CTCF underlies evolution of chromosomal domain architecture” su Cell Report del 2015.
Stiamo appena scoprendo come mai le mutazioni avvengono dove avvengono e al tempo stesso abbiamo virus che agiscono inserendosi nel genoma, duplicazioni di geni che offrono “sandbox” dove le mutazioni possono “giocare” senza fare troppi danni, ma partendo da una realtà già molto ricca di informazione.
L’analogia con il motore Diesel è dovuta al fatto che quel motore fa un lavoro ed è la base per altri motori. Nella cellula esistono motori da molto tempi. Un articolo molto interessante è su Nature, “ATP synthase — a marvellous rotary engine of the cell”, con diverse indicazioni su come possa essere evoluta. L’antenato di questo motore sarà stato verosimilmente lo stesso di molti altri. Come e perchè i motori oggi sono come sono sarebbe molto utile capirlo. La causa del cambiamento è la necessità di adattarsi ad altri cambiamenti. Taluni geni, essenziali, non sono cambiati quasi per nulla. Altri geni, più accessori, hanno tassi di mutazione molto più elevati.
Ci troviamo di fronte alla necessità di studiare come siamo giunti ad avere queste “macchine” (dinamica). Possiamo osservarne il comportamento (cinematica), ma anche provare a tracciare questa “dinamica”. Possiamo osservare, in base all’ipotesi che l’evoluzione sia venuta a livello di singolo nucleotide, come si presentano in altri organismi, che possiamo stimare sottoposti a maggiore o minore pressione evolutiva (interessante approccio, teorico, lo trova su Bioinforamtics di qualche tempo fa (2008) con “Tracing evolutionary pressure.”. Cosa eserciti questa pressione può essere utile capirlo, perchè se capiamo il motivo che spinge l’evoluzione, potremmo ipoteticamente “accelerare” (un sogno, per ora).
E fin qui siamo solo a livello molecolare. A livello fenotipico è tutto ancora molto, ma molto più complesso.
La teoria punta il dito verso le cause e ne indica moltissime, infine conducendo ad una situazione in cui fare previsioni pare difficilissimo, eppure se proprio fosse necessario agire, potremmo almeno provare a trovare un fattore principale, perchè è presumibilmente lì, nel mucchio, dove facciamo appunto ricerca. La medicina in effetti agisce molto in questi termini: gli effetti collaterali non sono che raramente predicibili, come lo è l’esito di un intervento chirurgico.
Forse potrebbe apprezzare questo articolo (piuttosto divulgativo) di Keith Bennett su New Scientist del 2010: “The chaos theory of evolution”
Mi pare di capire che lei contesta alla teoria dell’evoluzione la difficoltà a postulare. Le predizioni però vanno valutate in relazione all’utilità predittiva e alla forza condizionante gli esperimenti. La teoria dell’evoluzione non dice in che direzione essa stia andando, di conseguenza chiedere che postuli su una cosa che non spiega, pare incongruente. Possiamo stimare la nocività di una mutazione fermo restando tutto il resto del sistema. Una mutazione che rallenta un enzima (raramente sappiamo come accelerarne l’attività) potrebbe non essere negativa in un contesto metabolico diverso, ma la complessità aumenta e la teoria dell’evoluzione non ci dice in che direzione il sistema va, quindi non possiamo chiederle di predire che effetto avrà il cambiamento.
Ad oggi è in effetti l’unica ipotesi plausibile. Non è stato provato che la macroevoluzione per mutazioni cumulate non sia possibile e non capisco l’accanimento contro questo teoria in questo sito.
Resta molto interessante capire i vari modi in cui un fenomeno caotico (definito spesso “casuale”, ma non per questo ergodico) possa condurre al fenomeno osservato. Idee sui fattori ce ne sono molte: la pressione selettiva, la distribuzione di mutazioni sul genoma, ecc.
Idee che, se non ci basassimo su questa ipotesi, magari non avremmo, perchè non ci cureremmo altrettanto di studiare i fenomeni che conducono appunto a tali mutazioni. Assumeremmo che l’evoluzione, osservabile come allineamento di sequenze via via più distanti quanto più dissimili siano gli organismi, non sia il frutto di un fenomeno che osserviamo abbia le prerogative per produrre il risultato (la mutazione stessa), ma sia il frutto di “altro” (cosa, non si sa).
Infine, un suggerimento: poiché si trova a fare ipotesi su cosa gli autori penserebbero, ha pensato a scrivere loro? Magari un chiarimento diretto la aiuterebbe e comprendere meglio cosa volevano dire.
Lei mi ha fornito molti spunti nel merito, Nando, ma, non so se se ne rende conto, dell’attuale teoria dell’evoluzione lei mi ha spiegato bene cosa NON predice, non cosa predice. “Puntare il dito sul mucchio di cause possibili” non è predire, non è teoria, è fenomenologia, è un fare un bestiario di fattori e limitarsi a dire che sarà stato uno o più di quelli in qualche modo.
Se stiamo appena agli inizi nella comprensione del dove avvengono le mutazioni, significa che non ne abbiamo ancora una spiegazione. Se la direzione fosse quella corretta, allora dovremmo un giorno finalmente buttare nel cestino la spiegazione classica del monaco amanuense che a volte sbaglia a copiare; cioè dovremmo buttare il Neodarwinismo.
Valutare a posteriori se una mutazione sarà nociva o no può essere fatto senza riferimenti all’evoluzione; non sappiamo più, in questa sede, come spiegarglielo.
Per tutti quei casi come l’ATP synthase, vale quanto scrisse Alfonso Pozio in un suo brillante commento (http://www.enzopennetta.it/2016/03/marx-e-darwin-critica-alla-critica-di-dufer-al-libro-di-gabriele-zuppa-seconda-parte/#comment-3109617433): se ci sono varie IPOTESI su come si sia passati da una proteina/organo/specie ad un’altra proteina/organo/specie, questo succede perché la teoria NON è in grado di fornire una risposta. Si assume vera l’evoluzione come contesto (fin qui, siamo d’accordo) ma se si fanno varie ipotesi NON è un buon segno, significa che o manca un criterio di discernimento tra ipotesi plausibili e non oppure che la teoria non fornisce risposte univoche (o entrambi i problemi).
Dice che le ho dato diversi spunti, ma non li commenta. Il neo darwinismo è semplicemente la sintesi più ragionevole delle osservazioni di cui disponiamo. Come ho detto più volte per fare scienza serve una grande dose di intuizione e come si può ragionare su qualcosa di cui non si assume una spiegazione anche se non certa? Le indagini sul DNA, per citare un settore molto attivo nelle ultime decadi, hanno beneficiato del principio della selezione e di un’evoluzione della sequenza dovuta a fenomeni la cui complessità può far definire casuali (v. K. Bennet).
Il neodarwinismo è UNA possibile spiegazione ma al tempo stesso anche la più ragionevole. Come ho detto più volte sarebbe molto utile raffinarla e in particolare, come lei evidenza, definire in modo più dettagliato cosa vuole dire “casuale” e ci sono persone che lavorano proprio per modellare i fenomeni che ad oggi è difficile modellare (e quindi predire) e che mostrano la potenzialità di modificare le sequenze di cui osserviamo l’evoluzione.
Cosa davvero pensano gli scienziati dell’affiabilita di questa teoria lo trova ad esempio in Laland et al “Does evolutionary theory need a rethink?.” Nature su Nature del 2014.
Che le mutazioni dovute ad errori del macchinario di manutenzione del DNA possano essere un motore per la generazione di nuove sequenze, frase che lei mi pare di capire contesta, è invece a mio avviso ragionevole. Si può quindi usare questa idea per capire come quando è perché questi errori avvengono, poche questo potrebbe aiutare a modellare il fenomeno (e ancora una volta, predire qualcosa a riguardo). Questo io credo abbiano detto gli autori dell’articolo che lei ha commentato.
L’idea è quella di costruire un modello approssimato che abbia vincoli a sufficienza da poter predire con un margine di incertezza che in funzione di un certo numero di variabili indipendenti (fattori marco e microbiologici) possa rendere plausibile il valore della variabile dipendente (la configurazione della sequenza). Tali vincoli saranno utili per predire il cammino evolutivo? Idealmente sì, è per arrivarci passeremo attraverso una migliore comprensione di molecole attive biologicamente, esistenti o sintetiche; un risultato di chiaro interesse scientifico.
Il beneficio è quindi chiaro anche senza arrivare alla spiegazione deterministica dell’evoluzione (che per altro presumerebbe la conoscenza del valore di tutte le variabili indipendenti), ma “semplicemente” usando l’idea come base sulla quale fare ipotesi da verificare con riscontri opportuni. La sua osservazione sul termine “casuale” è quindi utile forse a livello divulgativo, ma superflua a livello di comunità scientifica per ha quanto le scrivo, come potrà notare dal lavoro su Nature, è cosa condivisa. Tuttavia la invito a notare come Giorgio, su questa inesistente necessità di contrastare un caso che nessuno scienziato crede essere ergodico, si lancia in modellazioni piuttosto discutibili e ancora peggio ritenendole significative per stabilire come si dovrebbe fare ricerca, sebbene con la ricerca quelle idee non abbiano molto a che fare (come ho cercato siano ad ora invano di fargli notare).
Questa incomprensione quindi sul concetto di “caso” adottato dai ricercatori mi pare importante è più che alimentarla evidenziando frasi riferite in contesti divulgativi, sarebbe più utile far notare cosa ne pensi la comunità scientifica tramite pareri autorevoli anziché azzardare ipotesi su cosa una frase volesse o meno dire, per quanto le torte siano golose metafore.
Gli spunti per ora non li ho commentati perché occorre un po’ di tempo per leggere e valutare un paper scientifico come altre volte ho già fatto su CS, ma se avrò tempo lo farò.
In ogni caso, volendo sintetizzare, la differenza tra me e Giorgio da un lato e lei dall’altro è EPISTEMOLOGICA,ma forte, probabilmente non sarà facile capirci e quindi di confrontarci in modo costruttivo, ma tenterò comunque una sintesi:
1) per lei il Neodarwinismo è una spiegazione che al momento non fa predizioni perché tratta di sistemi complessi, per me NON è una spiegazione perché non fa predizioni;
2) per lei il meccanismo delle mutazioni casuali è plausibile ma occorrerà in futuro descrivere il quando e il perché; per me NON si può dire che sia plausibile senza una spiegazione del quando e del perché;
3) per lei una buona teoria deve essere generatrice di ipotesi, per me deve essere generatrice di conclusioni.
Il parere della comunità scientifica può essere indicativo, ma preferisco pensare ANCHE con la mia testa.
Non so da quando frequenta CS, io da parecchio e fino a non molto tempo fa gli esperti come lei ci insegnavano che in biologia evolutiva per mutazione “casuale” si intende ” le cui origini sono dovute a fattori indipendenti dalla fitness”. Da un po’ di giorni invece ci viene detto che “casuale” significa solo “troppo complesso per essere suscettibile di predizioni”. Per me le differenze tra le due definizioni sono molto significative: nel primo caso stiamo nel Neodarwinismo DOC, nel secondo stiamo in una fase precedente alla nascita di una teoria dell’evoluzione, in base a ciò che ho detto nel punto (2).
Il lavoro su New Scientist è molto divulgativo è quella su Nature è una lettera all’Editore; non sono letture molto complesse ma prenda pure il tempo che le serve, sono piuttosto illuminanti e penso possano contribuire a ridurre la distanza tra quelli che lei e Giorgio mi sembrate pensare la comunità scientifica sostenga è quello che sostiene in effetti.
1) si tratta di una spiegazione molto approssimativa e permette previsioni molto approssimative. Averne una migliore (e come le ho detto si sta lavorando per capire la complessità di eventi che paiono “casuali”) sarà di certo utile.
2) Abbiamo diversi “quando” e diversi “perché” le mutazioni avvengano. Tali eventi permettono di prevedere alcune mutazioni.
3) dovremmo accordarci su cosa intendiamo per teoria e principio.
Quanto alle definizioni di caso e altre sue osservazioni la rimando alle letture che le ho segnalato, e in merito alle quali mi farà piacere avere le sue riflessioni.
“Per ragioni ideologiche”? Nient’affatto, Nando. Al contrario: io dico per nessuna utilità pratica in 150 anni. O Lei ha un’applicazione da propormi delle Sue teorie evolutive?!
L’utilità pratica Giorgio sta per cominciare nel fatto che facciamo ancora ricerca invece di assumere impossibile qualcosa solo perchè qualcuno ha deciso di farne un modello impossibile (senza tenere nemmeno dei pochi etti più autorevoli tra le “le tonnellate di carte (e di latinorum) degli articolisti”). Se vuole proseguire la discussione in modo “pratico” ovvero su come si crea un modello per decidere se proseguire o meno nell’indagine di una ipotesi di ricerca, la prego di proseguire sotto, dove le ho indicato diversi elementi in tal senso.
“L’utilità pratica Giorgio sta per cominciare nel fatto che facciamo ancora ricerca…”
Si
rende conto di quel che scrive, Nando?… Intende dire che l’importante
è “fare ricerca” fine a sè stessa, anche senza risultati?… Una
riicerca sterile, per 150 anni, non dovrebbe forse essere abbandonata?
Tutti i risultati ottenuti dalla biologia negli ultimi 150 anni sono stati ottenuti da biologi che hanno assunto la selezione naturale come principale motore di un fenomeno evolutivo da cui hanno dedotto innumerevoli ipotesi sperimentali, poi verificate là dove abbiamo fatto i passi avanti più significativi.
Io dubito che se avessimo assunto di brancolare nel buio rispetto al motivo per cui la biologia sia oggi come la osserviamo, avremmo fatto gli stessi progressi.
Ma lo chiedo anche a lei: cosa dovremmo assumere in alternativa e per quale vantaggio?
Mi sembra, Nando, che con la Sua risposta ripeta ancora l'”errore logico” ben spiegato da HTagliato un’ora fa.
“Cosa dovremmo assumere in alternativa…?”
Continuiamo a ricercare tutti i vantaggi dalle teorie e dalle conseguenti ricerche sulle micromutazioni, senza alcuna necessità di far riferimento all’evoluzione, dato che questa nulla di utile e di concreto ha da indicarci per indirizzare tali ricerche.
Ma lei é sicuro che si assume il darwinismo quando si fa biologia? A meno che come fanno i darwinisti in questi casi definiscano evoluzione come variazione della frequenza degli alleli in una popolazione. Cosa indiscutibile. Ma veramente la biologia é influenziata dalla credenza, non scientifica perché inverificabile che da un batteri derivano tutti gli esseri viventi?
Si sarebbero tutti ottenuti, senza eccezione, anche ignorando non dico il darwinismo, ma lo stesso evoluzionismo, o anche postulando l’ID. Lo stesso Dulbecco, darwinista, ebbe a dire che si può essere buoni medici anche senza essere darwinisti.
L’ultimo esempio, tipico degli articoli che compaiono sui paper, è quello di questo articolo, dove si fa professione di fede darwinista (inutile) solo alla fine.
La medicina purtroppo è ancora piuttosto lontana dalla biologia molecolare, diversi punti di contatto si stanno verificando, con le terapie geniche e nuove promesse in ambito anticorpale, ma il percorso è lungo.
D’altra parte, quando si costruisce un albero filogenetico e ci si chiede perchè si osservano zone variabile con maggiore frequenza e occorre fare un’ipotesi sul perchè. Lo studio ad esempio dell’esposizione differenziale della cromatina a livello nucleare è sorprendentemente recente e per giungere all’ipotesi occorre una forma mentale che generi ipotesi.
Gli scienziati traggono il maggiore beneficio da una forma mentale in cui si assumono le ipotesi più ragionevoli. Ad oggi tali ipotesi inducono ad assumere fenomeno di evoluzione il cui motivo -che permette di formulare ipotesi sperimentali promettenti, anzichè “perdere tempo”, è che vi sia una spinta selettiva che si concretizza tramite l’accumulo di mutazioni “casuali” (non spazialmente, perchè pare evidente che non tutte le zone sono equi-dinamiche, ma per la complessità dei fattori determinati).
Ad oggi non c’è ragione per non considerare queste ipotesi come le più ragionevoli; non farlo minerebbe la forma mentale dello scienziato, rendendolo insicuro là dove è pure necessaria una certa dose di audacia e coraggio, perchè ogni esperimento è un salto nel buio, o non sarebbe necessario condurlo.
Ciò che leggo qui, modelli impossibili e critiche aprioristiche, poco informate rispetto alle risposte in letteratura, mi sembrano nocive rispetto ad un progresso scientifico, sopratutto perchè non vedo alcuna alternativa ragionevole, costruttiva, per favorire la formazione di scienziati che hanno bisogno di ragionare.
Sì, ma le ipotesi ragionevoli non devono essere contraddittorie. Non si può invocare il caso, e poi andare a cercare le ragioni, come fanno anche gli autori dell’articolo in oggetto. Diciamo piuttosto: non sappiamo ancora perché e andiamo a cercare le ragioni!
Per questo il neodarwinismo non è una teoria scientifica, diciamo noi. Non per ragioni ideologiche, ma perché chiama caso (anche) ciò che merita di essere ricercato!
La definizione di caso, senza pretesa di completezza, quella indicata sopra ad htagliato. “Caso” non significa totale assenza di prevedibilità, ma impossibilità contingente di prevedere in modo significativo. Il passo da fare a quel punto è cercare di capire quali vincoli è più opportuno e concretamente possibile aggiungere per ridurre lo spazio di ricerca e migliorare la previsione. Un modello da 1/4^3 milioni non serve a nulla ed è una perdita di tempo, oltre che deprimente per la ricerca e non serve di certo a distinguere tra cosa merita di essere studiato o meno, anzi, è proprio sbagliato come modello, perchè parte da assunzione (l’ergodicità) che non sono verificate.
D’accordo al 100%, Nando!
Non capisco su cosa è d’accordo… Sul fatto che quel modello, dice Nando, non serve a nulla?
Allora per lei non é che il darwinismo influisce positivamente la sienza ma l´antidarwinismo influisce male perche dice “non é possibile”.
Secondo me sia l´uno che l´altro sono ininfluenti sulla Scienza, visto che discutono su cose fuori lo scopo della stessa.
Esattamente, Blas. Stiamo facendo filosofia, con la differenza che i non darwinisti lo sanno, mentre i darwinisti credono di fare scienza.
Essere scienziati non significa fare esperimenti, ma sopratutto idearli per rispondere a delle domande. Lo scienziato deve essere colto ma anche ispirato ed è per questo che servono delle idee, delle ipotesi su cui ragionare.
La invito a notare Blas che mentre i “darwinisti” rappresentano praticamente tutti gli scienziati, gli antidarwinisiti, non si sa bene cosa possano dire di aver apportato alla conoscenza umana.
A me lo studio del darwinismo non ha apportato nessuna nuova conoscenza, oltre che nessuna tecnologia. Che il darwinismo abbia ispirato molti scienziati non lo metto in dubbio, Einstein era ispirato dal violino e Copernico fu ispirato da Platone per il suo eliocentrismo.
Ma lei e sicuro che praticamente tutti gli scienziati siano darwinisti? Io credo che se si fa un inchiesta seria chiedendo se si crede che una batteria sia evoluta in un uomo solo per un processo di prova ed errore pochi scienziati risponderebbero di si.
Dichiararsi “darwinisti” é diventato come dichiararsi “comunisti” a principio del secolo scorso, o repubblicani dopo la rivoluzione francese. É una forma di ribelione contro l´autoitá e la religione.
La informo che ci sono tantissimi validi scienziati, in giro per il mondo, antidarwinisti, altri che si dichiarano darwinisti, ma nei fatti sostengono tesi antidarwiniste, e poi ci sono tutti quelli che non ci credono, ma non hanno il coraggio di esporsi…vedrà come, ed è imminente, quando arriverà il “libera tutti”, il castello darwinista si accartoccerà su sè stesso…e, come ha detto Lynn Margulis, verrà ricordato come ” Setta religiosa minoritaria, nata all’interno della biologia anglosassone”….
Lynn Margullis non è antidarwinista. Ha contribuito con idee costruttive per aiutare a modellare meglio la complessità, detta “caso”, che sta alla base dell’evoluzione. Gli scienziati antidarwinisti sono di gran lunga meno di quelli che si chiamano “Steve” (illuminante l’iniziativa animata per verificarlo) e il loro contributo al progresso scientifico, eloquente.
Allucinanti questi manovali: non solo per loro le spiegazioni migliori sono le tautologie ridicole ma cambiano il significato delle parole! Adesso Complessità è sinonimo di caso!
Li immagino in un aereo: sistema complesso che li fa volare per caso.
Se ne stessero zitti, almeno!
Credo che Nando la definisse “caso” tra virgolette a ragion veduta, senza immaginare di suscitare una riprovazione, la tua, tipica di chi vuol far finta di non capire. Teatrante!
Questo è un esempio di due linee contingenti, Nando che fa un’affermazione-tu che reagisci a caldo, che non massimizzano l’entropia, io credo.
Non si tratta, Giuseppe1960, di “far finta di non capire”, si tratta di qualcuno che usa le parole a vanvera, punto. Il resto è Sua dietrologia…
Spunti e letture consigliate:
– “Caso, probabilità e complessità” di Angelo Vulpiani (Ediesse, 2014)
– Dello stesso autore, lucidi del seminario presso l’Università di Malaga, Spagna, Novembre 2015
– (Per chi volesse approfondire) Lucidi del corso “Complexity and Randomness” di S. A. Terwijn presso Technical Univeristy of Vienna, reperibili presso il sito dell’Università di Auckland, Dipartimento di Informatica.
Anzichè consigliarmi letture di altri, Nando, ci spieghi con le Sue parole il significato di “complessità, detta “caso”…”. Grazie.
Credo che la presentazione di Vulpiani (che è di certo più esperto di me sul tema) sia piuttosto eloquente e accessibile a chi ha nozioni scientifiche di base. Può integrarla con la lettura del testo divulgativo che ho consigliato ad Htagliato, di Keith Bennett su New Scientist del 2010: “The chaos theory of evolution”. Se la questione le interessa spero potrà trarne degli spunti ed allora, se ne avrà, potrò provare a rispondere alle sue domande.
E’ essenziale comprendere cosa pensa la comunità scientifica sul tema, ancor prima di discuterne, sopratutto perchè ho l’impressione che le difficoltà comunicative che sto incontrando possano essere ricondotte ad una visone lontana da quello che è il reale pensiero scientifico attuale.
Che clown questo Nando…; di certo non ha mai letto in vita sua un solo articolo scientifico sul tema chaos, complessità ed annessi.
Resta fare il manovale nel tuo campo: spacca pietre e non cercare di spiegarci che la cattedrale si costruisce per caso perché troppo complessa;
Santo Cielo!
Buona domenica!
E’ ben più ragionevole assumere che chi non ha letto gli articoli scientifici sia chi ostenta sicumera e si guarda bene dal citarli. Mi perdoni se non le dedico più tempo; ho della manovalanza da sbrigare per me e per futuri muratori. La lascio sbirciare sul cantiere della scienza e borbottare le sue critiche da bocciofila.
Non credo sia così, caro Nando: constatare uno che dice che ha letto in articoli scientifici che le tautologie sono spiegazioni e che complessità è uguale a caso, implica per forza solo due alternative possibili e cioè, sia tale tizio non ha letto nessun articolo scientifico degno di questo nome, sia è uno che non capisce quel che legge.
Simon, se dai un’occhiata a quanto scrive Vulpiani in merito, dovrai ammettere che puoi solo aver preso una cantonata… visto che Nando con quella dritta suggerisce una via per comprendere quel che intendeva riferendosi al “caso”. E se non lo intendi, a mio avviso i casi sono due: o sei in malafede oppure non capisci proprio, caso questo secondo che, conoscendo il tuo livello intellettuale, mi sentirei di escludere.
Invito anche Lei, Giuseppe1960, come già fatto con Nando, a spiegarmi con parole Sue la
convinzione di aver compreso il significato di “complessità, detta
“caso”…”. Senza citare testi a destra e manca. Come già detto, chi è certo delle proprie convinzioni, non ha MAI difficoltà ad esporle con parole proprie, non importa se con qualche
imprecisione.
Spero che anche Lei, come Nando, non insista ad eludere la mia semplice ed onesta richiesta. Grazie.
Su quel che ho capito io riguardo la questione può rileggersi i miei interventi di questi giorni. Essendo uno di poche parole non ci vuol molto a leggermi… E la invito a non sopravvalutarmi, io sono uno che vale poco in scienza, solo un manovale, uno che non potrà certo scalfire le due certezze. E porti pazienza se può.
La lascio giocare con il suo uomo argomento fantoccio.
Prendo atto che non può o non vuole spiegarmi con parole Sue la convinzione di aver compreso il significato di “complessità, detta “caso”…”. Chi è certo delle proprie convinzioni, non ha MAI difficoltà difficoltà ad esporle con parole proprie, non importa se con qualche imprecisione.
Mi dispiace e sono sinceramente deluso.
Mi dispiace ma come ho già detto il mio tempo è limitato e il mio intento non quello di essere protagonista, ma di stimolare la consultazione di testi con contenuti che ritengo utili a dirimere incomprensioni. Come le ho detto, se vuole consultare i riferimenti (trova anche video interviste di Vulpiani) e farmi partecipe delle sue perplessità, potrò provare a risponderle.
Si sbaglia di grosso : Lynn Margulis è stata una feroce critica del neodarwinismo, pur rimanendo evoluzionista, (che è cosa ben diversa), proponendo la sua teoria dell’endosimbiosi. Non capisco inoltre l’equazione tra “caso” e ” complessità ” , concetti del tutto diversi. Quanto ai risultati degli scienziati antidarwinisti, in attesa di sapere quale progresso scientifico abbia portato il darwinismo, le ricordo che è grazie a loro -che in pochi anni hanno messo in crisi la chiesa darwinista – se oggi si può cominciare a parlare della necessità di percorrere strade diverse e più credibili.
Paolo è lei che confonde darwinismo con neodarwinismo. Gli scienziati hanno bisogno di avere una forma mentale costruttiva, non condizionata da ideologie che in una discussione portano taluni a disprezzare i “manovali” della scienza e altri a generare modelli deprimenti della riflessione perché creati per avere verità assolute che sono più utili a chi ha bisogno di dogmi che di stimoli intellettuali. Questo purtroppo fanno spesso gli anti-darvinisti, cercare di deprimere percorsi di ricerca ragionevoli (come quello ispirato dall’idea di selezione naturale) perché condizionati da preconcetti. I problemi del neodarwinismo sono sempre stati noti e si lavora sul loro solco (e non rifuggendoli) per trovare una migliore comprensione di quello che possiamo osservare tramite indizi e ovviamente non riprodurre in modo deterministico.
Nando, sarebbe bello per noi profani, ma assetati di scienza, conoscerla meglio, ovvero capire da dove viene la sua preparazione in queste materie… e chi è lei.
Mi sento di affermare che un confronto da tavola alta, come sembra profilarsi sulle pagine di CS dal suo avvento, sia merito di questo sito e del suo conduttore, spesso a torto definito un creazionista. Converrà anche lei con me che qui chi ha da dire qualcosa con i giusti toni è sempre il benvenuto
Credo Giuseppe che la forza della comunità scientifica stia nella suo essere una comunità piuttosto che nelle personalità di chi sta sotto ai riflettori.
Posso dirle come penso sia intuibile che faccio il ricercatore di professione, che ho un dottorato di ricerca in ambito biologico. Per il resto preferisco, di fronte ad una discussione, far riferimento a voci autorevoli e a chi ha dedicato tempo ed energie per approfondire una questione.
Qui troppo spesso si prende “Tizio” o “Caio”, spesso soggetti con passione divulgativa e si pensa che siano la sintesi del pensiero scientifico e poco importa se la loro ricerca è datata di 20 o 30 anni. Mi lascia ad esempio basito che si discuta di modelli ergodici mentre esiste letteratura recente a ampia sull’argomento che non viene minimamente citata (e.g. il numero della rivista “Interface Focus” del 2015 che ho indicato a Giorgio).
La discussione dovrebbe avvenire alla luce di cosa dicono gli esperti, piuttosto che per protagonismo.
Quando gli “esperti” sono pagati dai contribuenti, Nando, sarebbe loro dovere forse rendere conto dei risultati delle loro ricerche ogni tanto. Io le ho chiesto una, una sola, applicazione di 150 anni di evoluzionismo e Lei non me l’ha data. Lei mi ha citato i risultati della genetica, della biologia molecolare, della chimica, ecc., ecc. Cioè non mi ha risposto. Aspetto.
Poi se mi dice che i ricercatori sono al 90% darwinisti, al 5% buddhisti, al 15% cristiani, ecc., che me ne faccio? Quelle sono idee loro.
I contribuenti possono decidere di finanziare di preferenza chi preferiscono. Ad esempio la comunità di scienziati che si dichiara contro l’idea che meccanismi non prevedibili, per complessità del fenomeno, siano alla base della macroevoluzione e poi affidarsi a tali ricercatori per avere le basi dei progressi in medicina, agricoltura, industria, ecc.
Sta a lei Giorgio dimostrare che i risultati degli ultimi 150 anni sarebbero stati ottenuti anche da una comunità di scienziati che non crede nella generale validità dell’idea che la macroevoluzione sia avvenuta per un processo imprevedibile e quindi definibile come casuale. E’ lei che invita a pensarla diversamente, anche se non ne spiega i vantaggi. I risultati ci sono. Lei dice “nonostante”? Dica come fare meglio e ne discuteremo.
In effetti, invito lei a elencarmi quali sarebbero negli ultimi 150 anni i risultati ottenuti da chi esplicitamente dichiara di non credere nel suddetto principio e di confrontarli con quelli ottenuti da chi la pensa diversamente, perchè quello sarebbe il futuro che lei propone a seguito dello sforzo di ignorare le evidenze che puntano a quella spiegazione.
Le voglio anche far notare il vuoto che la circonda a livello scientifico rispetto al suo modello ergodico. Questo non le suggerisce nulla?
Una lunga parafrasi per nascondere che Lei, Nando, non ha un’applicazione da portare a supporto del darwinismo.
Come ho detto, tutte quelle degli scienziati che lo sostengono.
Troppe. A me ne bastava una sola, specifica. Resterò con la mia curiosità. Grazie.
Io resterò allora con la curiosità di conoscere il vantaggio che potrebbe trarre la comunità ( inclusa quella scientifica ) nel darle retta. Se io infatti le ho proposto troppe applicazioni, lei non ne propone nessuna. Grazie comunque per l’occasione di confronto.
Troppe era mia ironia di fronte al Suo “tutte” cui, per l’intelligenza che Le attribuisco, non crede neanche Lei. La verità è, e sta davanti ai nostri lettori (e ai miei collaboratori), che Lei non ce ne ha indicato NESSUNA.
Giorgio, la verità scientifica non si stabilisce a furor di popolo in modo ideologico e con tutto il rispetto che ho per i lettori, non sta a loro decidere, ma agli esperti. Quegli esperti che lei non cita e che però contesta. Quegli esperti che hanno ottenuto i risultati degli ultimi 150 anni anche ispirati da idee che lei critica in modo distruttivo.
Resta il fatto che non si capisce a cosa possano condurre le sue obiezioni, tranne forse aizzare qualcuno a prendere i forconi? Mi permetta infine, come lei non gradisce quando mi è accaduto di fraintendere il suo pensiero, cosa io credo o meno lo decido abbastanza bene da solo. Grazie.
Le mie obiezioni? Tendono solo a dimostrare che tutte le scoperte della genetica e delle biotecnologie, comprese le Sue, e che tutti noi del “popolo” apprezziamo, non hanno nulla a che fare con le opinioni filosofiche dei ricercatori, tra cui comprendo il darwinismo. Esattamente come quelle dell’information science, che in nulla dipendono dall’ID di molti studiosi di quella disciplina!
Ancora una volta, Giorgio, cosa abbia a che fare con le mie e di altri scoperte lo decide che le scoperte le ha fatte. Se queste persone, me incluso, vedono nel lavoro di Darwin e in ciò che ne è stato ispirato fonte di ulteriore utile ispirazione, il valore di quel lavoro è evidente; come è evidente che ci sono ampi margini di miglioramento; come è ancora piuttosto chiaro come un modello da 1/4^3 milioni non va in alcun modo verso un miglioramento.
Ma forse qualcosa mi sfugge, nel valore della sua “dimostrazione”, che purtroppo ad oggi non ho capito a cosa possa essere utile, e lei -che non ha discusso le mie osservazioni-, pare lungi dal volermelo spiegare.
Già, non ci capiamo. Chiudiamola qua. Grazie.
Non mi aspettavo, Masiero, che la chiudesse cosi… Conoscendola bene, mi aspettavo che dinanzi a un interlocutore garbato almeno quanto lei, il dialogo potesse continuare, sia pure da posizioni distanti, a beneficio dei lettori. Sarebbe bastato, da parte di entrambi, che qualche passetto a cercare di dare risposte avvicinasse le distanze… Un occasione persa?
Sottoscrivibile quel che ha affermato… Pensi che io, nel mio piccolo e con i miei grandi limiti poco rimediabili oramai, vivo nella certezza che la comunità scientifica tutta sia una sorta di superorganismo che genera in ogni caso progresso, anche quando in diversi casi può sembrare il contrario… Mi accusano spesso di avere una sorta di fede cieca, soprattutto quando difendo a spada tratta l’unica teoria dell’evoluzione che si conosca, e che quotidianamente riceve dalle migliaia di laboratori in cui si fa ricerca contributi che la fanno crescere e aggiustare il tiro, anche se qualche volta i detrattori mi fanno sorgere qualche dubbio che, come ben afferma lei, non trova in loro una parte costruttiva ma solo distruttiva.
Le consiglio in questo senso “Naomi Oreskes: Why we should trust scientists”, un interessante video della serie TED. Abbiamo spesso bisogno di più risposte rispetto alla precisione di cui disponiamo, ed è per questo che l’urgenza di averle di induce a agire anche quando il margine di sicurezza non è ideale. La medicina ne è un esempio classico, ma anche la fame nel mondo (grandi passi avanti abbiamo fatto dopo la II Guerra Mondiale) e in generale le esigenze legate ai bisogni primari. La scienza deve dare delle risposte e lo fa nel modo più ragionevole possibile, con tutti i limiti che cerca comunque di superare.
Ma siamo sicuri che HTagliato volesse aprire nuovamente una discussione sul neodarwinismo ed evoluzione ? Io speravo che volesse parlare dei tumori!
Mi pare che l’articolo abbia appena ed incidentalmente ( ed a solo scopo divulgativo) , sfiorato l’evoluzione. Perchè vederci il centro dell’informazione, ed anche un approccio malizioso ?
Capisco che ogni spunto è buono per litigare sul tema…ma anche la tesi (o scoperta) che buona parte dei tumori sarebbe di origine casuale è degna di dibattito…o no ?
Forse sbaglio qualcosa…? Salve.
Le due cose non si escludono, volevo parlare anche di evoluzione, perché il ruolo del caso univa i due temi. Mi aveva colpito più di tutto il riferimento all’evoluzione dell’articolo di cui ho scritto per una certa ambiguità non facile da sciogliere, che credo abbia spiegato bene Giorgio nel suo primo commento di oggi.
Si be…qui si sa che se anche ti azzardi a scrivere win , c’è subito qualcuno che ci attacca Dar e parte per la tangente 🙂
La passione è passione 🙂
Le mutazioni delle cellule che portano ai tumori non possono essere il “motore dell’evoluzione”, aumentano con la senescenza cellulare e l’invecchiamento dell’individuo e quindi si intensificano dopo che questo si è riprodotto e non potrebbero comunque essere trasferite alla prole. Quindi di cosa stiamo parlando ?
Ovviamente, Muggeridge, le mutazioni che implicano tumori non sono quelle che permettono l’evoluzione (anche se a scuola insegnano che una malattia come l’anemia può avere i suoi vantaggi “evolutivi”). L’ambiguità del riferimento all’evoluzione è un altra: le mutazioni sono la prassi e i tumori un danno collaterale, oppure le mutazioni sono un errore e un adattamento evolutivo un vantaggio una tantum?
Veda il primissimo commento di Giorgio per la risposta.
…ho cercato di approfondire la notizia dello studio pubblicato su La Repubblica [ noto giornale comunista ] e, senza avere la minima idea di stravolgere la vostra dotta discussione, mi sono imbattuto nella replica dell’ IARC ed esattamente COMUNICATO STAMPA N°231 del 13 gennaio 2015, il quale smentisce la pubblicazione . Ecco il titolo : LA MAGGIOR PARTE DEI TUMORI NON SONO CAUSATI DALLA”CATTIVASORTE”-LAIARC REPLICA AD UN ARTICOLO SCIENTIFICO ILQUALESOSTIENE CHE FATTORI AMBIENTALI EFATTORI LEGATI ALLO STILE DI VITA SIANO RESPONSABILI DIMENO DI UN TERZO DI TUTTE LENEOPLASIE. Testo del comunicato reperibile quì : https://zenodo.org/record/14869#.WN6MoTuLTIU ..lascio a voi esperti un commento più autorevole.
Grazie per l’approfondimento, Gianfranco56. Il comunicato stampa da lei riportato è del 2015, ma la notizia di repubblica è riferita ad un articolo di quest’anno, “sequel” di quello che ha suscitato le reazioni negative dell’IARC. Lo studio più recente, dal punto di vista del metodo, ha molti più dati e se è vero che mediamente attribuisce al caso 2/3 delle mutazioni tumorali, poi nel dettaglio distingue caso per caso. Nessuno nega l’importanza e il potere preventivo delle buone abitudini e della vita sana, il problema che però NON riguarda i dati numerici è più profondo. Riporto questo passaggio del comunicato stampa:
“Il dott. Wild conclude:”Le lacune che permangono sulla eziologia delle neoplasie non possono essere semplicemente attribuite alla “cattivasorte”. La ricerca delle cause deve continuare così come l’impegno verso interventi di prevenzione contro quelle neoplasie i cui fattori di rischio sono noti. Ciò è di particolare importanza nelle aree più povere del pianeta, che stanno affrontando un aumento del numero di neoplasie con scarse risorse sanitarie.””
Tradotto, non può essere considerata scientificamente fruttuosa una spiegazione che ricorre al caso, è una pietra tombale sulla ricerca, non una risposta.
..grazie a Lei per avermi risposto…
Anche con il nuovo sistema di discussione alla fine ci si perde in mille rivoli che finiscono in secca… Del resto è difficile che possa accadere diversamente se la linea della discussione non è ben definita e a partire dai tumori si arriva a disquisire di nicchie ecologiche… Mi restano comunque in testa tante belle considerazioni e analisi da quadernetto degli appunti. Io ringrazio tutti anche se mi rendo conto che talvolta è velleitario pensare di poter dipanare una matassa complicata come questa in un forum da toccata e fuga.
Il soggetto scelto da HTagliato è ottimo per introdurre alcune riflessioni dalle quali una mente realmente scientifica non può esonerarsi e lo ringrazio per questo sforzo.
Ancora una volta, leggendo i commenti di certuni, appare chiara la povertà epistemica e concettuale di troppe persone che sono come dei “manovali” della scienza che, anche se con alti livelli di maestria personale, non capiscono bene il significato epistemico e filosofico di quel che fanno: una cosa è pensare da muratore un’altra da architetto. Tutti ci ricordiamo dell’aneddoto di quel vescovo del medioevo che, montato sul suo asinello, fa il giro delle cave di marmo della sua diocesi: nella prima incontra uno spaccapietre che lavora e quando gli chiede cosa stia facendo questi gli risponde che spacca le pietre; nella seconda lo spaccapietre che fa lo stesso lavoro del primo gli risponde che prepara blocchi di marmo; nella terza lo spaccapietre tutto indaffarato colla sua massa gli risponde che costruisce una cattedrale. Ci sono scienziati nelle tre categorie e le “filosofie” che sottendono le loro riflessioni sono quelle alla loro portata e non è … per caso.
Ritorniamo alla torta di HTagliato e ad una frase che, personalmente, considero riassumi la problematica concettuale degli spaccapietre “muratori” che partecipano al blog : “La torta delle mutazioni cancerose va quindi divisa in tre fette uguali e bisogna attribuirne due al caso e una a fattori esterni (deterministici) come l’azione del fumo.”
Ancora una volta vediamo di nuovo il sempiterno problema concettuale di matrice newtoniana risorgere: “determinismo” = causale, “imprevidibilità” = casuale e l’idiotica conseguente affermazione “indeterminismo”=”imprevidibilità”
Ma scordatevi il XIX secolo, per favore, quando, un secolo dopo (!!!!) l’invenzione della meccanica quantistica, ben consociamo sistemi perfettamente causali ma il cui risultato è indeterminato e quando,più di mezzo secolo (!!!) dopo Prigogyne, in termodinamica di stati fisici lontani dall’equilibrio sappiamo che abbiamo sistemi imprevedibili ma deterministici nei loro singoli componenti. Questo per i muratori tra di noi: che essi, almeno, tentino di utilizzare un linguaggio chiaro e che escano dalle concezioni scientifiche del XIX secolo ormai falsificate da decenni e decenni!
Una mutazione di DNA non avviene mai “per caso” : essa avviene perché c’è una legge che lo comanda ed è la crescita di entropia, cioè si consuma più energia nel sistema dato considerato con mutazioni che avvengono che con sistemi statici; le mutazioni “vincenti” sono poi quelle che nel sistema di sistemi di cui fanno parte ne permettono l’aumento di entropia; e così via di seguito fino all’aumento di entropia dell’universo stesso considerato come un sistema chiuso. Il fatto che non sia prevedibile quale mutazione avrà luogo non implica che non ci sia causa: ma il secondo principio di termodinamica garantisce sempre il “fine” che è massima produzione di entropia e questo fine è già deciso qualunque sia la via percorsa, sempre e solo avranno successo le mutazioni che massimizzano tale produzione di entropia, a loro livello, nell’ambiente nel qual sono, nell’universo nel quale siamo.
Un tumore vincente è quello che massimizzerà la crescita di disordine nel corpo a proprio livello, a quello dell’organo dal quale si sviluppa, a quello del corpo che lo nutre.
I geni vincenti sono quelli che massimizzano la produzione entropica degli ecosistemi nei quali si sviluppano: al soggetto, si comincerà a fare scienza seria in materia di evoluzione quando si comincerà ad essere capaci di stabilire esplicitamente dal Secondo Principio della Termodinamica equazioni di moto nello spazio di fase di modelli, anche semplici, di processi di mutazione genetica, ottimizzandone la Lagrangiana e paragonandone le predizioni statistiche con le constatazioni sperimentali.
E visto che i tumori sembrano svilupparsi molto più rapidamente che evoluzioni trans-specie ancora mai constatate bene sarebbe cominciare da loro.
“Manovali” della scienza per i quali, senti senti, una tautologia è “l’ipotesi più ragionevole”… Di che possiamo parlare?!
Beh affermare che non ci possono più essere cattedrali fatte con blocchi di marmo perché già ce ne sono, lascia perplessi…
Forse non c’è vita su altri pianeti perché già in Terra….
Beh, io manovale della scienza la capisco nel senso, per esempio, che l’evoluzione di un altro primate nella nicchia occupata oggi dal primate uomo sarebbe oltremodo difficile…
Si ma i granchi dell’Amazonia non occupano la nicchia di quelli del Mekong…
E nessuno di noi potrà verificare de visu l’evoluzione, purtroppo.
Mai dire mai. Già dimostrare senza artificio il passaggio da una specie ad un’altra sarebbe un indizio della possibilità di sistemi evolutivi: questo dovrebbe essere fattibile con osservazioni in laboratorio su sistemi estremamente semplici.
Potremmo per esempio parlare di quel calcolo che Nando le contestava evidenziando quanto fosse speculativo ma poco scientifico o perlomeno poco realistico? Sarebbe stato utile anche precisare quel suo trovarsi d’accordo al 100% con Nando… Non s’è capito troppo bene.
Al calcolo matematico (del matematico Schützenberger) che il biologo Nando ha contestato, lo stesso biologo non ha presentato un altro calcolo, ma solo l’evidenza che le piante e noi esistiamo. Questo lo sanno tutti! Lei, Giuseppe, li ha i calcoli alternativi a quelli che io ho pubblicato in tanti articoli?
Io mi sono dichiarato d’accordo in quel commento su una specifica dichiarazione generale di principio, che anche i ragazzi delle medie inferiori potrebbero sottoscrivere.
Ognuno chiede al contendente di dimostrare… Come quando agli antidarwinisti si chiede la teoria alternativa. In fondo qui sul blog, bene o male, bariamo un po’ tutti, giocandoci le carte che reputiamo migliori. Io la chiuderei con una dichiarazione condivisa mutuata dalla metafora del metafisico Simon: in scienza siamo tutti manovali.
Le ho fornito Giorgio numerosi riferimenti, finanche un intero numero di una rivista scientifica, e da lei a riguardo non ho avuto commenti. Commenti che viceversa io le ho fatto, in modo puntuale sulla questione dell’ergodicità, dandole gli elementi atti a provare che tale assunzione non sia giustificata nella creazione del modelle cui pare tanto legato.
Sebbene notare come lei sia così sprezzante in questo nostro confronto mi permetta di suppore i motivi che animano i suoi scritti -non potendo contare su chiare spiegazioni da parte sua-, essa mi amareggia.
Per me, quando si parla di mutazione che avviene per caso, non si intende certo che non abbia una causa… Questo lo capiscono anche i manovali della scienza, e non mi capacito del fatto che si perdano ancora energie a spiegare un’evidenza simile.
Piuttosto si intende che eventi causali distinti arrivano a incrociarsi determinando un fatto contingente (che puoi chiamare caso o contingenza o sfiga) che avrebbe potuto benissimo non verificarsi… Spero che questo arrivino finalmente a capirlo anche gli architetti della scienza.
Mi scusi, Giuseppe: se C è accaduto dalla congiunzione di A e B, i quali sono necessitati, come può dire che C è contingente, cioè che avrebbe potuto non verificarsi?!
C è precisamente determinato, causato, dalle due concause A e B…, alla stessa maniera che un cerino A acceso vicino ad un fornello di gas aperto B causa la fiamma C.
Il cerino acceso accanto al fornello col gas aperto io lo leggo come una unica linea di eventi causali del fuoco.
“Unica linea di interventi”: giusto, ma non scientifico. Perché?
Perché Lei ragiona attribuendo l’evento ad un’intenzionalità umana, cioè sta ragionando non scientificamente, ma storicamente, giuridicamente, ecc. Ma in scienza non esistono fini, intenzioni, progetti…, solo fenomeni.
Ho scritto eventi, intendendoli proprio come fenomeni. Chiaro del resto che restavo, per la chiarezza del concetto, nel solco del suo esempio… umano.
No…. quel che non capisce il manovale … è che le pietre non si aggiungono a casaccio ma secondo un principio ben determinato che è quello di fare la cattedrale.
Le mutazioni che funzionano non funzionano a casaccio ma funzionano in quanto massimizzano l’entropia in assoluto nel sistema considerato ed i sistemi che lo contengono: non è dunque per caso che un sistema che tu chiami contingente sia messo a posto. Quelli che non massimizzano l’entropia sono scartarti automaticamente dopo un lasso di tempo nel quale il sistema testa la capacità di produrre entropia massimizzata rispetto ad altre soluzioni: se altre si presentano queste saranno preferite.
Quindi uno specifico sistema contingente avrebbe potuto non verificarsi ma alla fine il risultato sarà sempre lo stesso: il sistema finale sarà quello che massimizza l’entropia.
Beh, l’importante e intendersi che le vie per massimizzarla possono essere diverse, non sempre le più dirette…
Certo: su questo non si discute neanche.
Ma se una via non conduce ad un altro punto dello spazio di fasi dove l’entropia è massimizzata ma ce n’è un’altra che lo fa meglio, cioè più “presto” e più profondamente quest’ultima sopravviverà.
In realtà su un piano puramente teorico è possibile mostrare che in un sistema termodinamicamente chiuso i vincenti saranno strutture enormi mentre in quelli aperti lo saranno piccole strutture capaci di associazioni.
Ma qui il manovale della scienza si fa altre domande la meccanica quantistica e gli stati lontani dall´equilibrio non compiono piu il principio che dato uno stesso punto di partenz si arriva sempre allo stesso punto di arrivo? Evidentemente la risposta é metafisica, ma importantissima per il darwinismo. J. Gould diceva che se faccessimo andare indietro la pellicola del tempo l´uomo potrebbe non essere esistito.I darwinisti non riecono a spiegare perché cosa farebbe alterare le leggi della natura dal big bang ad oggi per che potesse apparire l´uomo o no. E non vogliono abbracciare il determinismo se no l´uomo sarebbe stato “previsto” dalle leggi della natura diventando qualcosa di speciale e cadendo nella teleologia,
Se tornassi indietro nel tempo, sempre le leggi fisiche saranno soddisfatte: quelle deterministiche in modo deterministico, quelle non deterministiche in modo non deterministico e, in particolare, sempre si andrebbe verso un sistema che massimizza la produzione di entropia.
In altre parole, se l’apparire del fenomeno vitale è quello che the aumenta questo gradiente di entropia in modo significativamente superiore che una pianeta terracqueo solamente minerale, allora la vita apparirà. Sarà questa vita simile a quella che conosciamo apparentemente si, ma di certo non sarà identica.
Ma qui staremmo a parlare di Scienza e non di fiabe darwiniane.
Avrei due domande da manovale. Cosa decide il risultato di una legge non deterministica?
Se la vita potrebbe essere stata simile ma non identica potrebbe non essere apparso l’uomo sapiens?
Non capisco la prima domanda.
Quanto alla seconda la risposta a priori è sì, ovviamente. Ad esempio, un cataclisma potrebbe impedire lo sviluppo naturale delle leggi della natura.
Riformulo la prima domanda. Se un fenomeno non é dterministico non segue le leggi della natura nel senso que dato A che da B, partendo da non sempre ottengo B o n mai posso partire da lo stesso A, parto allora da A’ é ottemngo B’? Se fosse il primo caso cosa fa che non ottenga B sempre?
Allora cosa causato i cataclismi che hanno permesso ed evitato quelli che avrebbero impedito la apparizione dell’ uomo sapiens?
Non lo faccio apposta Blas, ma, davvero, ancora una volta non ho capito. Cerco di indovinare quel che a me sembra che dici, ma spero che mi scuserai se non rispondo a quel che tu volevi chiedermi.
In un sistema causale A implica B e ogni volta che c’è A allora c’è B. Ma si possono immaginare sistemi causali dove l’agente agisce sul paziente positivamente, cioè facendogli compiere un atto specifico e ci sono sistemi causali dove l’agente agisce sul paziente negativamente ossia impedendogli di compiere certi atti specifici.
Ad esempio hai una popolazione di persone che camminano lungo la strada: (1) sia alla fine della strada li obblighi tutti ad incanalarsi uno per uno in fila indiana e l’imbuto è la causa positiva del fatto che tutti i pedoni camminano per fila indiana, (2) sia puoi immaginare un crocevia e li i pedoni sceglieranno di andare diritto, a destra o a manca e abbiamo un caso di causa negativa che impedisce , ad esempio i pedoni di spargersi ovunque su (3) una piazza alla fine della strada.
Qui date le condizioni iniziali A e la causa scelta avrai sempre lo stesso risultato: solo nell’ultimo caso della piazza ad accesso libero avrai un risultato casuale della distribuzione dei pedoni (dopo un po’) anche se non puoi prevedere nello specifico quel che ogni singolo pedone sceglierà (come neanche nel caso 2).
Un cataclisma non permette mai la creazione di informazione ma solo la sua distruzione: il caso, sempre segnale di assenza di informazione, non può mai creare informazione.
Immaginati in paesaggio con alte montagne nel fondo e ghiacciai e rivoletti scroscianti che sempre e solo possono scendere (sono come la neghentropia, l’opposto dell’entropia, che può solo decrescere e mai risalire) e il cui fine è di arrivare al più presto al mare, arrivati nelle valli sottostanti asseconda della profondità e dei declivi di codeste sia scorreranno direttamente più in basso in valli e pianure sottostanti, sia dovranno riempire la valle e formarvi un laghetto fino a quando straripano per andare più giù, ma alla lunga epoca geologica dopo epoca geologica sempre qualunque acqua sia generata dai ghiacciai, ovunque essa sia, alla fine finirà nell’oceano il punto il più basso. Un cataclisma come un terremoto o una meteore potrà sia rallentare il processo di formazione del laghetto di montagna, sia aprire nuove vie all’acqua da percorrere, sia creare nuovi laghetti intermediarii, ma alla fine sempre l’acqua deve arrivare nel mare.
Un discorso davvero scientifico sull’evoluzione non ci parlerebbe dei terremoti e meteore come cause del fatto che l’acqua arriva al mare, ma ci descriverebbe il paesaggio raccontandocene la storia, la sua cinematica e la sua dinamica.
Il tuo esempio della gente camminando per me si parte da due situazioni diverse cioé tu hai A e A’ con risultato B e B’. Provo io a fare un esempio. Uno stato lontano dall’ equilibrio evolve a B, un’altro stato lontano dall’equilibrio identico fino a dove gli strumenti lo possono determinare evolve invece a C. Quale sarebbe la risposta scientifica a quel risultato? Cosa “fa” che a passi a B in caso e a C in un’altro?
La mia seconda domanda non riguarda non i meccanismi che scatenano i cataclismi è che “alterano le leggi della natura” ma quali sono le cause che scatenao questi cataclismi e lo hanno fatto in modo che potesse apparire l’ uomo sapiens e che potrebbero essere stati scatenati in modo che no.
No ci siamo capiti: (1) è differente da (2) su questo non ci piove ed è quindi normale vedere due risultati differenti;
Ma nella situazione (2) benché tu abbia preparato i tuoi pedoni in modo identico dicendo loro di andare lungo la via, ad un certo momento alcuni andranno a destra, altri a sinistra e altri diritto. Se ne prendi solo uno, benché il suo stato sia perfettamente definito (è un pedone che avanza lungo la strada) il risultato non è predicibile a priori e potrà andare sia a destra che diritto o a sinistra. Quindi come vedi una situazione perfettamente causale con risultato impredicibile a livello individuale.
Alla tua seconda domanda risponderò che ci sono meccanismi che sono endogeni al sistema e altri esogeni, comunque nei due casi, essi non impattano il risultato finale ma solo eventuali tappe intermediarie ammenocché quelli esogeni facciano salire significativamente il livello finale del mare stesso……
Insomma, nel suo quadernetto degli appunti Simon riesce sempre a trovare la quadra. Un bel caso di architetto scientifico da tavolino.
Commento di cui non comprendo il contenuto, mi perdoni:
Dovrebbe far ridere? Di che cosa?…
Dovrebbe far riflettere? Su che cosa?…
Beh, mi riferivo al fatto che, di rifete o di rafete, al tavolino tutto quadra sempre… Ogni eccezione compresa. Rida o rifletta a gusto suo.
Insomma Giuseppe, sia ho detto qualcosa di errato e me lo indichi, sennò taci.
Cosa volevi, che io parlassi di esperienze di Stern-Gerlach?
Mi ha colpito, per esempio, che ammetti che Homo sapiens avrebbe potuto non esserci… Se è così, non mi pare coerente affermare anche che di rifete o di rafete si arriva sempre a un dunque. O noi siamo in ogni caso un passaggio che non c’entra (o non avrebbe potuto azzeccarci per) niente con l’entropia tanto decantata? Mi stupisce il tuo modo di far tutto confluire là dove a tavolino hai stabilito. Se ho banalizzato o non ho capito nulla perdonami e porta pazienza. In tal caso scusami anche l’eccesso di ironia.
Eppure mi sembra chiaro.
Super semplificando: l’aumento di entropia è più drammatico quando c’è complessificazione, in quanto la distruzione di informazione e di energia disponibile è molto più radicale che un semplice “morire” tranquillo.
Se quindi le condizioni lo permettono questa complessificazione avviene per forza: non per caso, per forza.
Adesso non c’è per forza una sola via possibile a priori: varie sono le vie, ma quelle che vincono sono quelle le più efficaci nel creare entropia.
Per ora sembrerebbe che noi e il nostro ecosistema corrispondiamo al più alto gradiente conosciuto di creazione di entropia in questa regione dello spazio possibile su questo pianeta: se non si conoscono le leggi dell’evoluzione non possiamo affermarlo.
Quindi sembrerebbe che siamo al livello del mare: ma ciò non vuol dire che siamo la sola “soluzione” possibile, resterebbe da scoprire scientificamente quale altre lo sarebbero se ce ne sono più di una.
Grazie per lo sforzo chiarificatore… Letta la tua chiusa, mi perdoni se affermo che allora la pensi come Telmo Pievani?
Su caso e complessità, grazie a Nando, sto scoprendo Vulpiani… Ci sono in rete anche sue interviste molto chiare.