“Embedded”, l’uccisione di Calipari e la fine del giornalismo di guerra

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A 12 anni dall’uccisione di Nicola Calipari la fine del giornalismo di guerra è compiuta.

Il crimine di Falluja nonostante tutto venne a galla, ma fu l’ultimo vero servizio di guerra.

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Era il 4 marzo 2005, l’auto del SISMI che percorreva la strada verso l’aeroporto di Baghdad veniva bersagliata dai colpi di una pattuglia USA, a bordo oltre all’autista Andrea Carpani era presente il funzionario Nicola Calipari e la giornalista Giuliana Sgrena appena rilasciata dai rapitori dopo un sequestro iniziato il 4 febbraio. La strada denominata Route Irish era presidiata a per via delle numerose azioni ostili nella zona.

Il veicolo venne fatto oggetto di numerosi colpi d’arma da fuoco, Calipari fece scudo col suo corpo alla giornalista e rimanendo ucciso da una pallottola alla testa, anche la giornalista e l’autista rimasero feriti. A sparare era stato Mario Lozano, addetto alla mitragliatrice al posto di blocco, appartenente alla 42ª divisione della New York Army National Guard.

Da subito le versioni di parte italiana e statunitense non coincidono, il SISMI dichiara che il passaggio dell’auto era stato regolarmente comunicato alle autorità dell’US Army le quali da parte loro negano. I pochi documenti che saranno disponibili mostrano però che su alcune dichiarazioni i militari americani hanno mentito.

Ecco la ricostruzione italiana (fonte Wikipedia)

Dei sopravvissuti all’episodio le testimonianze sono principalmente quelle di Giuliana Sgrena, giacché l’autista, anch’egli appartenente al SISMI, non ha rilasciato dichiarazioni pubbliche, sebbene abbia riferito dell’accaduto per via gerarchica. Tuttavia, in “Diario di una spia a Baghdad”, un agente del SISMI presente nella capitale irachena ha raccolto e pubblicato la testimonianza dell’agente Corsaro, nome in codice usato da Andrea Carpani durante l’operazione.

Come riferito da autorità governative, Sgrena ha sostenuto di aver visto, dopo una curva, che li avrebbe fatti rallentare fino ad una velocità massima di circa 50 km/h, una luce accecante e poi di aver udito subito dopo l’esplosione di numerosi colpi d’arma da fuoco: diverse centinaia, secondo la giornalista, protrattisi per 10-15 secondi a dire dell’autista.

Giuliana Sgrena ha aggiunto che non si trattava di un posto di blocco e che la pattuglia dei soldati americani non aveva fatto alcun segnale per identificarsi o per intimare l'”alt”, come era invece regolarmente accaduto negli altri posti di controllo precedentemente attraversati, iniziando decisamente a sparare contro la loro automobile.

La giornalista dichiarò inoltre che i sequestratori, poco prima della liberazione, le avevano detto che gli statunitensi non volevano che tornasse viva in patria.

Ed ecco i pochi fatti certi che mettono in evidenza le discrepanze con la versione USA e i punti su cui essa risulta falsa:

L’8 maggio 2007, durante il notiziario serale del TG5, è stato trasmesso in esclusiva un video contenente alcune immagini dei primi momenti successivi alla sparatoria. Il video è stato girato dallo stesso Mario Lozano e mai consegnato alla commissione d’inchiesta statunitense.[2]

Dalla visione del video emergono due punti chiave:

I fari della Toyota Corolla su cui viaggiava il funzionario del SISMI erano accesi, mentre i soldati americani hanno testimoniato fossero spenti. Questo è considerato un punto chiave: il fatto che i fari fossero spenti avrebbe potuto far immaginare che gli occupanti dell’automobile stessero attuando un attentato.
L’auto è ferma ad almeno 50 metri dal carro armato americano, da ciò si deduce che l’auto al momento dei primi spari si trovasse ad una distanza superiore ai 50 metri, tenendo conto dello spazio percorso dal veicolo durante la frenata, in funzione della sua velocità iniziale. Se, come afferma la versione statunitense, l’auto procedeva a 100 km orari, al momento degli spari l’auto avrebbe dovuto trovarsi a più di 150 metri di distanza. I soldati coinvolti invece hanno sempre sostenuto di aver sparato perché l’auto era molto vicina e di non avere altra scelta.

Giuliana Sgrena era stata rapita mentre stava cercando di contattare testimoni giunti dalla zona di Falluja dove l’esercito USA aveva compiuto crimini di guerra utilizzando armi al fosforo bianco sulla popolazione civile in aperta violazione dei trattati internazionali. La stessa pista investigativa venne poi ripresa e portata a termine pochi mesi dopo da Maurizio Torrealta di Rainews24 e trasmessa il giorno 8 novembre 2005.

Da quel momento si affermò definitivamente il giornalismo “embedded” voluto dagli USA a partire dal 2003, proprio in occasione della seconda guerra del Golfo, quel giornalismo nel quale gli inviati possono muoversi solo insieme alle truppe impegnate sul campo che inevitabilmente gli faranno vedere solo quello che hanno interesse che sia visto.

E così non ci sarebbero più state fotografie premiate al Pulitzer come quella del bombardamento al napalm sui civili o altre celebri immagini della guerra del Viet Nam come l’esecuzione a sangue freddo di un vietcong:

Le uniche foto di guerra sono ora quelle edulcorate come la seguente pubblicata nel dodicesimo anniversario della morte di Nicola Calipari, il 5 marzo 2017 sul Corriere della Sera, per l’opinione pubblica resta solo del sentimentalismo e qualche lacrimuccia di rito per il cane soldato caduto in missione, un personaggio Disney di circostanza è il massimo che ci viene concesso. A 12 anni dall’agguato di Route Irish il vero morto che ogni giorno va in edicola è il giornalismo di guerra.

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Laureato in Biologia e in Farmacia, docente di scienze naturali Nel 2011 ha pubblicato "Inchiesta sul darwinismo", nel 2016 "L'ultimo uomo" e nel 2020 "Il Quarto Dominio".

7 commenti

  1. Senza contare il precedente di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, altra faccenda dai contorni oscuri e i colpi sparati verso la stanza d’albergo a Baghdad da un carro americano che aveva “scambiato” un teleobiettivo per un bazooka. Il giornalismo è veramente morto e le testate lo hanno capito benissimo e si limitano a inviare appunto dei giornalisti embedded quando osano tanto oppure più semplicemente ad arricchire con sciocchezze varie le veline ufficiali.
    Siccome però non è sufficiente, la verità riesce sempre a filtrare in qualche modo, si fanno leggi bavaglio per sigillare il tutto.
    Non so se qualcuno si ricorda il lancio di Repubblica, molto tempo fa; le città erano tappezzate di manifesti con foto di personaggi equivoci e chiacchierati e il testo recitava “O credi a loro o credi a Repubblica” e sappiamo tutti quanto prona sia Repubblica a certe consorterie, lo vediamo tutti i giorni e non è certo sola, praticamente tutti seguono, tutti scrivono le stesse “verità”.
    Visto che siamo in tempi di ristrettezze economiche potrebbero unificare le testate con una sana operazione di spending review come quelle che a loro tanto piacciono, risparmiando un bell’esborso da parte dello stato.
    Propongo per questa testata unica un nome storico: правда

    • GIUSEPPE CACIOPPO on

      Purtroppo i giornaloni si vendono sempre meno! La gente non capisce quanto questi signori lavorino e si affannino a darci delle buone dritte. Se la situazione dovesse continuare a peggiorare e la gente a leggere siti poco…raccomandabili, un rimendio ci sarebbe: quello di fondare il Ministero Della Verità! Mi pare che la Boldrini,con la sua femminile prespicacia, stia già pensando a qualcosa di simile! Ansiosi attendiamo!

      • Enzo Pennetta on

        Giuseppe, come dicevo sopra il fatto che i ‘giornaloni’ si vendano sempre meno è un buon segno, ma bisogna scendere ancora di molto. La campagna contro le ‘fake news’ effettivamente è un segno che l’informazione alternativa è diventata rilevante, ma la battaglia sarà dura e lunga.

    • Enzo Pennetta on

      Quando leggo i tuoi commenti Valentino mi viene da pensare che dovrei consultarti orima di scrivere, potrei così rendere più completi gli articoli. Ma va bene anche così… 🙂
      Grazie per aver ricordato Ilaria Alpi e l’episodio di Baghdad che non conoscevo.
      Alla testata unica di fatto già ci siamo arrivati, puoi solo scegliere la veste grafica che preferisci. Personalmente credo che finché le vendite dei principali quotidiani non scenderanno prossime allo zero vorrà dire che la propaganda funziona ancora.

    • Armando Serafino on

      A volte ho la sensazione che Repubblica e il Corriere si mettano d’accordo, i loro articoli sembrano interscambiabili.

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