Donne nel palazzo di Edo godono dell’hanami (Toyohara Chikanobu, 1894)
Socrate e il problema di Basilea
di Giorgio Masiero
Una difficile questione matematica insegnata nei licei del Sol Levante con l’arte maieutica
Al secondo anno di liceo il professore di matematica ci fece contemplare il teorema di Pitagora in una tassellatura. Ricordo ancora la sorpresa della rivelazione improvvisa. Contemplare una verità non è la stessa cosa che conoscerla: tutti sanno che nei triangoli rettangoli la somma dei quadrati dei cateti vale come il quadrato dell’ipotenusa, ma quanti vedono davanti ai loro occhi la validità universale di quella relazione con la stessa chiarezza di 1 + 1 = 2?
L’anno successivo, il professore di filosofia parlando del significato e dei modi della conoscenza ci lesse un dialogo di Platone, il “Menone”. Qui Socrate mostra ad un suo anfitrione, di nome Menone, come chiunque, anche privo di cultura, possa arrivare con le sole sue forze a scoprire la verità. Socrate si fa portare un giovane schiavo, cui pone una serie di domande; lo schiavo non conosce il teorema di Pitagora, ma solo rispondendo alle domande giunge alla tesi del teorema. Questo interrogatorio è un esempio di “maieutica”, il metodo che Socrate applicava nel suo insegnamento ad imitazione del mestiere della madre levatrice. Una levatrice aiuta le donne incinte a partorire, ma non si sostituisce a loro nel parto; cosicché, può dire Socrate: “Il rimprovero che già molti mi hanno fatto che io interrogo gli altri, ma non manifesto mai, su nulla, il mio pensiero, è giustissimo. Io … non sono affatto sapiente … quelli invece che entrano in relazione con me, anche se da principio alcuni si rivelano assolutamente ignoranti, tutti poi, seguitando a vivere in intima relazione con me, purché il dio lo permetta loro, meravigliosamente progrediscono … ed è chiaro che da me non hanno mai appreso nulla, ma che essi, da sé, molte e belle cose hanno trovato e generato” (Platone, “Teeteto”).
Il colloquio tra Socrate e lo schiavo di Menone è sempre stato considerato un riferimento nella storia dell’educazione. L’insegnante è il più grande pedagogo dell’antichità; l’allievo un giovane schiavo, cioè l’ignorante per antonomasia. Socrate sostiene di non stare insegnando affatto quando interroga il suo scolaro, ma solo di aiutarlo a ragionare. Alla fine del dialogo, quando lo schiavo scopre la soluzione del problema geometrico, Socrate si rivolge a Menone e gli chiede: “Che cosa pensi? c’è stato un solo quesito cui il tuo servo non abbia dato risposta traendola dal suo pensiero?”. “No” gli risponde Menone, “tutte le risposte sono uscite da lui”.
L’interrogatorio contenuto nel “Menone” costituisce una risorsa anche per investigare il processo cognitivo in un modello educativo riproducibile e controllabile, cioè secondo il metodo della scienza sperimentale. È strutturato secondo un preciso script in cui il docente (Socrate) pone elementari domande di matematica e il discente (lo schiavo) risponde, quasi sempre semplicemente con un sì o un no. Durante l’interrogatorio il discente commette errori, quando per esempio mostra di credere che raddoppiando il lato del quadrato raddoppi l’area. Allora, con le domande successive, ma mai suggerendo le risposte, Socrate lo aiuta a scoprire il proprio errore e a correggerlo. Il momento cruciale accade quando l’attenzione si sposta sulla diagonale: scatta allora nell’anima del discepolo la rivelazione! Insomma, in una cinquantina di tentativi ed errori un giovane incolto scopre come raddoppiare l’area di un quadrato soltanto rispondendo sì o no a fatti presentatigli dall’esterno, che gli appaiono già noti.
Il metodo di Socrate è solo una bella storiella o è applicabile anche nella realtà scolastica dei nostri giorni? Un gruppo di ricercatori argentini ha eseguito un esperimento su 58 adulti e adolescenti, replicando il dialogo del “Menone” (Andrea P. Goldin, Laura Pezzatti, Antonio M. Battro e Mariano Sigman, “From Ancient Greece to Modern Education: Universality and Lack of Generalization of the Socratic Dialogue” su Mind, Brain and Education, 2011). “I risultati si sono mostrati in straordinario accordo” con il racconto platonico, scrivono gli autori: nelle domande in cui lo schiavo inciampa anche la grande maggioranza degli intervistati inciampa, commettendo gli stessi errori. Nelle conclusioni dei ricercatori, l’esperimento conferma che l’interrogatorio di Socrate fu concepito sulla base di un’intuizione forte della razionalità umana, che si dimostra invariata dopo 24 secoli ed universale, cioè uguale in tutte le razze e culture.
Il metodo socratico è applicato in Giappone ai nostri giorni, come ho scoperto imbattendomi in una collana di libri di matematica per le scuole superiori, tradotti anche in inglese (“Math Girls” di Hiroshi Yuki e Tony Gonzalez). Il titolo non inganni: i libri sono rivolti ad entrambi i sessi e spaziano dall’algebra alla geometria all’analisi, dalla teoria dei numeri all’informatica alla logica matematica. Essi non sostituiscono i libri di testo e la lezione ex cathedra, che restano fondamentali nella didattica liceale, ma li accompagnano in un modo capace di affrontare questioni profonde e complesse e allo stesso tempo divertente, con i problemi inseriti in lievi idilli adolescenziali ed abbelliti da fumetti in stile manga.
Le scuole in Giappone cominciano ai primi di aprile, con l’hanami, lo spettacolo dei ciliegi in fiore. Sono estremamente competitive, i voti sono pubblici, anzi sono pubblicati in graduatorie nazionali. L’orario va dalle 9 alle 16. Non esistono i bidelli: prima di uscire, i ragazzi puliscono le aule, i corridoi ed i gabinetti. I licei, che interessano gli studenti di età compresa tra i 15 e i 18 anni, sono soprattutto privati. Ne esistono anche di pubblici, ma non sono altrettanto ambiti. Non ci sono esami di promozione, ma solo d’ingresso, che sono tanto più severi in una scuola quanto maggiore è il suo prestigio. Per tutti questi motivi le scuole private organizzano lezioni serali che non sono sempre duplicati dei programmi curriculari per gli studenti in difficoltà, ma anche complementi rivolti agli studenti desiderosi di eccellere, guidati da insegnanti che utilizzano supporti come Math Girls.
Prendiamo un difficile problema di matematica: il problema di Basilea. Si tratta di trovare la somma dei reciproci dei quadrati di tutti i numeri naturali:
Il problema assillò nel ‘600 matematici come Mengoli e Leibniz, senza che nessuno ne venisse a capo. Nel ‘700 se ne occuparono anche i Bernoulli, una famosa famiglia di matematici di Basilea, con pari risultato negativo…, fino a che un discepolo di Jakob Bernoulli, Eulero, lo risolse nel 1735, all’età di 28 anni. Il risultato ottenuto da Eulero risultò stupefacente all’epoca perché, come vedremo, contiene inaspettatamente π: che cosa c’entra un numero riguardante la circonferenza con la somma dei reciproci dei quadrati dei numeri interi? Per la sua scoperta, Eulero divenne subito famoso in tutta Europa. Era una persona piissima, semplice e gran lavoratore, un po’ scomodo nelle corti radical-chic del secolo dei Lumi, dove invece nuotavano a loro agio i Voltaire; ma sarebbe diventato uno scienziato poliedrico, il più grande matematico del ‘700 ed uno dei più grandi di tutti i tempi. Torniamo al Giappone di oggi.
Come Socrate con lo schiavo di Menone, il prof. Muraki delle storie di Math Girls non regala il risultato bell’e fatto del problema di Basilea a Tetra e Miruka e ai loro compagni, e neanche l’algoritmo per risolverlo, ma assiste i suoi pupilli con una serie di indizi che li aiutano a risolvere tanti piccoli passi analitici e a congiungerli in una procedura finale. Un primo indizio buttato là dal prof. Muraki è il seguente: “Sapreste fattorizzare il seno?”. La domanda lascia esterrefatti i ragazzi, che del seno conoscono bene le proprietà trigonometriche e analitiche, nonché lo sviluppo in serie, imparati alla scuola di giorno:
Che cosa c’entra il seno con la somma dei quadrati dei reciproci? E poi fattorizzare vuol dire scomporre in fattori: come si può scomporre una funzione trigonometrica?! Dopo qualche giorno, riflettendo e discutendo tra loro sulla forma della fattorizzazione di un polinomio
con α, β, γ, δ… i suoi zeri, i maschi essendo anche pungolati dal desiderio di ben figurare con la bellissima e bravissima Miruka, arrivano alla “fattorizzazione”
essendo 0, ±π, ±2π, ±3π… gli zeri del seno.
Tetra e Miruka discutono di matematica, passeggiando nell’hanami
Tutto giusto? Sì e no, anzi più no che sì, li rimbrotta Socrate-Muraki. “Il professore diurno non vi ha insegnato che il limite di sinx/x per x che tende a zero vale 1?”, li incalza. “La vostra fattorizzazione non produce invece nessun limite”. E qui ricomincia un nuovo lavorio per prove ed errori dei ragazzi, alla fine del quale emerge la fattorizzazione giusta del seno, coerente col limite di sinx/x oltre che con gli zeri:
“Corretto. Eseguite ora la moltiplicazione dei fattori”, è il nuovo compito assegnato da Muraki, professore di complemento. Questa volta l’incarico si presenta più agevole agli adolescenti, anche se un po’ laborioso:
“Corretto. Adesso è un gioco da bambini risolvere il problema di Basilea!”, chiude Muraki la sua settimana maieutica, spedendoli a casa. Cosa?! Tetra e i suoi amici, che si erano quasi dimenticati della grande “questione” da cui erano partiti qualche giorno prima – calcolare la somma dei reciproci dei quadrati dei numeri naturali – tutto pensavano fuorché di essere quasi arrivati alla meta. Si ritrovano così con l’ultimo passo da fare, ma basta che uno di loro ricordi lo sviluppo in serie del seno – quello classico, imparato alla scuola di giorno – e ne confronti il coefficiente del cubo di x con il corrispondente coefficiente nell’identità ultima trovata, per arrivare all’uguaglianza
Da tale uguaglianza i discepoli di Muraki possono finalmente contemplare la verità come era riuscito al sommo Eulero di Basilea tre secoli prima:
A questo punto – leggiamo in Math Girls – un grido di gioia uscì dal cuore di Tetra: “Dannata matematica, ti abbiamo vinto!”. E Miruka annuì: “Abbiamo risolto il più grande problema di matematica del XVIII secolo. Non è bello?”.
Come lo schiavo di Menone, gli studenti giapponesi hanno trovato la verità in loro stessi. Per Platone questa era la dimostrazione che la conoscenza razionale sta dentro ogni uomo, che può trovare la verità ricordando ciò che la sua anima divina sapeva prima di congiungersi al corpo. Anche per noi moderni la ricerca matematica si svolge nella mente, senza l’intervento di esperimenti ed osservazioni verso il mondo esterno. E senza neanche l’uso di strumenti: un computer può oggi aiutare, come un abaco o un regolo aiutavano ieri, ma in linea di principio non sono necessari. Tutto ciò fa della matematica una scienza a sé, puramente intellettuale. Quali siano invece l’origine e la natura degli oggetti matematici è tutta un’altra, molto controversa, questione.
Appendice. Più sotto la tassellatura che al liceo mi svelò – in 2 modi diversi – il teorema di Pitagora.
Visualizzazioni del teorema di Pitagora in una tassellatura
.
.
.
2 commenti
Articolo veramente interessante, grazie.
Il fatto che “la matematica” sia innata in ogni uomo fa il paio con il fatto che anche il linguaggio umano abbia la stessa caratteristica? Logica matematica e linguaggio in fondo sono la stessa cosa?
Grazie, Alèudin.
Matematica e linguaggio non sono la stessa cosa, piuttosto la prima è una parte del secondo, cui appartengono anche la filosofia, l’arte, le scienze, ecc. Certamente il linguaggio in tutte le sue forme appartiene alla sola specie umana e la sua insorgenza è un mistero.