Sir Thomas More con la famiglia, ovvero quando la verità si scontra col potere (Rowland Lockey, 1594)
Il senso e il consenso della comunità
di Giorgio Masiero
Nell’anniversario della nascita di John Henry Newman, rivediamo la sua idea di “sviluppo della dottrina”
Il beato John Henry Newman (1801-1890) fu nella storia della Chiesa cattolica una voce unica di combattente per la libertà del dissenso e per i diritti del laicato. Ai suoi tempi pagò duramente queste convinzioni, in particolare nel 1859 quando venne coinvolto in una controversia pubblica sulla questione dello “sviluppo della dottrina”. Newman iscriveva il fatto storico della Rivelazione nell’economia della creazione. L’idea seminata nell’umanità dalla Rivelazione non è l’idea astratta di Platone, ma piuttosto un germe attivo e lo sviluppo della dottrina stava ad indicare in Newman l’evoluzione continua della vita religiosa come vissuta dai fedeli, invece di un sistema statico di conoscenze: una crescita d’intelligenza progressiva, come il grano di senape dell’immagine evangelica, che diventa gradualmente la più grande delle piante nel giardino, a condizione che gli si consenta di attualizzarsi nelle sue potenzialità.
La Rivelazione è slancio creatore che si rivolge alla coscienza dell’uomo: di questo impeto incessante la Chiesa è custode, non del suo esito attuale e contingente. Come nell’evoluzione biologica gli elementi fisici si compongono in forme sempre più complesse ed organizzate seguendo un processo non lineare ma comunque di avanzamento – Newman era contemporaneo di Darwin e, a differenza delle gerarchie anglicane, non ravvisò mai alcuna incompatibilità tra la dottrina cristiana ed un evoluzionismo progressivo com’era nel darwinismo originale e che ora si è perso –, così nella sua crescita storica la vita cristiana attraversa fasi disordinate ed eretiche, che obbligano la Chiesa, custode dell’idea vivente, a reagire non tanto per fermare la vita quanto piuttosto per conservare l’integrità della crescita della comprensione e dell’informazione contenuta nella Rivelazione, fino alla consumazione dei tempi. E se la dottrina è la coscienza evolvente dei fedeli, questi vanno interrogati ed ascoltati dalla gerarchia.
L’idea di Newman che anche la dottrina cristiana segua uno sviluppo storico non piaceva alla maggioranza dei vescovi inglesi, anglicani e cattolici, né al papa romano, Pio IX. Però, anziché arenarsi in una discussione teologica, Newman portò il confronto molto concretamente sul campo storico, prendendo spunto dall’eresia ariana del IV secolo. Poteva farlo con cognizione di causa, perché 25 anni prima aveva descritto in un’opera massiccia e accurata la storia dell’arianesimo e di come esso avesse fallito, nonostante un appoggio delle autorità imperiali durato mezzo secolo, ad imporre la credenza che Cristo non fosse Dio ma solo una creatura eccezionalmente più elevata degli altri uomini. Così, in un articolo dal titolo inequivocabile, “Sulla consultazione dei fedeli in materia di dottrina” (1859), Newman poté dimostrare che la posizione ariana, sostenuta dalla stragrande maggioranza dei vescovi e da almeno un papa, non divenne la dottrina ufficiale della chiesa cattolica solo per la resistenza opposta dalla grande massa dei laici e da una manciata di preti. Furono questi a dissentire, nonostante i pestaggi, i sequestri di proprietà ed anche al prezzo del martirio. Si aggrapparono al concilio di Nicea (325 d.C.) nonostante i tentativi di discredito della gerarchia. Si sarebbero definitivamente imposti al concilio di Costantinopoli (381).
La fede nella divinità di Cristo fu preservata, scrisse Newman, “non dalla fermezza incrollabile della Santa Sede né dai sinodi dei vescovi, ma dal consenso dei fedeli. Nei primi ci fu come una temporanea sospensione delle funzioni docenti. Il corpo episcopale fallì nella professione della fede… Ci furono concili inaffidabili e vescovi infedeli; da quella parte della chiesa cattolica si estesero senza fine e senza speranza debolezze, paure delle conseguenze, cattiva guida, delusioni, allucinazioni”.
Per spiegare come tutto ciò possa essere accaduto (e possa accadere nuovamente), Newman invocò le idee che aveva sviluppato sul senso e sul consenso dei fedeli. L’insegnamento della Chiesa, sosteneva, non può essere un’impresa top-down, una strada a senso unico. Deve essere il risultato di una “cospirazione” (che letteralmente significa “respirare insieme”) tra i fedeli e i vescovi. La prima responsabilità dell’episcopato e del papato, diceva, sta nell’ascoltare attentamente prima d’insegnare la dottrina.
E che cosa devono ascoltare? “Penso di aver ragione a dire che la tradizione degli Apostoli, consegnata a tutta la Chiesa, si manifesta in diverse maniere nei diversi tempi: a volte per bocca dell’episcopato, altre dei dottori, altre del popolo, altre ancora nelle liturgie, nei costumi, nelle dispute, tra i movimenti, ecc., insomma in tutti gli eventi che vanno sotto il nome di storia. A nessuno di questi canali della tradizione va mancato rispetto”. E questo non significa minare l’autorità d’insegnamento dei vescovi, perché l’autorità deriva loro proprio dal saper guadare tra le diverse fonti delle quali la prima, sottolineava, è il sentire dei fedeli.
Il cristianesimo non è un’idea astratta da spiegare ed interpretare, ma un seme, un principio vivente, attivo nella storia della Chiesa e degli uomini. Le varie chiese protestanti si sono fuorviate nel rifiuto comune dello sviluppo in nome di una chiesa primitiva pietrificata e all’estremo opposto le ideologie liberali plaudono al cambiamento per sé, donde il rifiuto della tradizione vista come antitesi del progresso. Tra i due estremi del veterismo protestante e del novismo liberale, Newman tracciò la sua via mediana: la Rivelazione come processo storico di complessificazione nell’intellezione della natura propria della Chiesa e dunque della vita cristiana. La dogmatica romana non è, come ritiene il pensiero protestante, una corruzione del deposito rivelato, ma al contrario l’evoluzione di un organismo vivente, non abbandonata tuttavia all’anarchia liberale, bensì garantita nel suo sviluppo armonico dalla cura della Chiesa.
Per la maggior parte della sua vita Newman si adoperò ad aprire le menti dei cattolici inglesi, laici e del clero. Non ebbe molto successo, avvolto come fu da una persistente nube di sospetto… di protestantesimo da ritorno, per il peso che le sue teorie assegnavano al popolo di Dio. Si arrivò ad etichettarlo come “l’uomo più pericoloso d’Inghilterra”. Per la chiesa cattolica, s’intende. Negli ultimi anni della vita di Newman intervenne la morte di Pio IX e il successore, Leone XIII, rimosse la nube che opprimeva l’immagine pubblica del combattente inglese nominandolo cardinale. Ma solo un secolo dopo, nel concilio Vaticano II (1962-’65), il pensiero di Newman sarebbe stato esplicitamente riabilitato. In quell’occasione i teologi abbracciarono ed espansero le sue idee sullo sviluppo dottrinale e sull’importanza di consultare i fedeli. Oggi possiamo trovare l’impronta di Newman in molti documenti conciliari, in particolare nella Costituzione Dogmatica, al punto che Paolo VI arrivò a definire il Vaticano II come il “concilio di Newman”.
A destra Newman nel 1887, tre anni prima della morte
La questione dello sviluppo storico della dottrina è dirompente, perché invita i cristiani ad una vera e propria conversione intellettuale e, prima ancora, spirituale; c’impone d’impostare la vita sulla novità, sul continuo cambiamento: “Vivere quaggiù è cambiare; essere perfetti, vuol dire aver cambiato spesso” (“Saggio sullo sviluppo della dottrina cristiana”, 1842-1845).
Nella grande opera filosofica “Grammatica dell’assenso” (1870), Newman spiega che l’assenso al teismo si può basare sul tipo di inferenza logica che non parte da una prova apodittica, ma da una convergenza di indizi capaci, nel loro insieme, di rassicurare il soggetto circa la piena razionalità della sua decisione. Ne risulta poi che il cristianesimo soddisfa tutti gli aneliti della religiosità naturale dell’essere umano: anzi, la Rivelazione supera con la sua eccedenza le aspettative del cuore. Ma ciò non basta: il passo successivo sta nel passare da un assenso nozionale ad un assenso reale alla verità, naturale e soprannaturale. La distinzione tra i due tipi di assenso appartiene, racconta Newman, al suo stesso vissuto. Da giovane, egli aveva ricevuto la nozione di Dio dalle letture della Bibbia in famiglia, una comune famiglia anglicana, e in parrocchia; ma non era diventata una convinzione personale che impattasse la sua vita. A 15 anni sperimentò il passaggio ad un assenso reale a Dio, la sua “prima conversione”, come l’avrebbe chiamata dopo la seconda conversione, quella al cattolicesimo intervenuta nel 1845. Aveva capito d’improvviso, nel profondo della sua coscienza, che c’erano due esseri evidentissimi: “Io e il mio Creatore”. Da allora Dio non fu più solo un concetto uscito da un racconto tramandato, ma divenne la grande realtà della sua vita. Ed egli iniziò una nuova esistenza da credente.
Ovviamente, ci è necessario anche avere una nozione di Dio e della fede. Siamo esseri pensanti. Perciò è importante studiare, approfondire le scienze, la filosofia e la dottrina, anche per capire e difendere la stessa fede. Ma molto più importante è dare un reale assenso alla fede, cosicché Dio divenga una realtà nella nostra vita quotidiana. “Quando un uomo aderisce realmente ad una verità, questa diviene in lui un principio influente, che lo porta a numerose conseguenze a livello teorico e operativo”. Fu vero per San Paolo: quando si rese conto di chi era Gesù, quando Dio “gli rivelò Suo figlio”, egli cambiò completamente pensiero e vita. E fu vero anche per il giovane Newman: la “luce gentile” della fede divenne la grande guida della sua vita, lo aiutò a comprendere la sua vocazione di ministro della Chiesa, lo portò a studiare i Padri della Chiesa, lo spinse ad animare il Movimento di Oxford per il rinnovamento della chiesa anglicana nello spirito della chiesa primitiva, lo portò più tardi a trovare pace e beatitudine nel porto della chiesa cattolica alla fine di un lungo percorso attraverso il mare agitato, gli diede la forza di perseverare in tempi di accuse e tribolazioni, ne fece infine un santo.
Quando una persona è toccata dal Signore e vive alla Sua presenza, allora impatta inevitabilmente sulle persone con cui viene a contatto. Li influenza attraverso la sua vita e la sua parola. È un testimone che trasmette la fede “cor ad cor”, secondo l’espressione di Newman, da persona a persona.
Lo “sviluppo” newmaniano è un accrescimento della Rivelazione adattato alle capacità di accoglienza di ogni singola persona e della comunità dei fedeli nel suo insieme. L’informazione contenuta nel germe della Rivelazione è la causa efficiente e formale di una lenta antropogenesi – personale e storica – che rende l’uomo sempre più ricettivo al travaglio dello Spirito creatore. Così anche per la storia, Newman arrivò a proporre una vera e propria ontologia: la storia vi è concepita non come esilio, ma al contrario come crescita. La chiesa di Roma è la continuazione della chiesa primitiva e le due differiscono in dottrina e disciplina come il bambino differisce dal giovane che differisce dall’adulto, nient’altro.
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13 commenti
Leggo questo pregevole pezzo del prof.Masiero così, come si legge una bella pagina di storia, sia contestuale che personale, in questo caso di Newman. Date le mie scarse competenze in materia, non sono in grado di argomentare, anche se mi piace molto l’idea del cambiamento applicabile a contesti extra-scientifici, ma certamente mi invita a riflettere sulla mia spiritualità. Grazie.
Grazie, Vomiero. Era proprio mio scopo in questo articolo, al di là della commemorazione storica doverosa di un grande e coraggioso uomo, invitare i lettori, credenti e non ma comunque aperti alla spiritualità, a riflettere sull’essenza dell’umano e, per i primi, al rapporto di quell’essenza col divino.
“Libertà è scegliere la verità” grandissimo John Henry Newman.
Sarebbe interessante un articolo che spiega bene la sua “famigerata” frase :
“Senza dubbio, se fossi obbligato a introdurre la religione nei brindisi
dopo un pranzo (il che in verità non mi sembra proprio la cosa
migliore), brinderò, se volete, al Papa; tuttavia prima alla Coscienza,
poi al Papa.”
Perché non ce lo scrive Lei, Alèudin, un articolo a commento della frase di Newman? Lo leggeremmo tutti con estrema attenzione.
Io trovo la frase di Newman coincidente con la seguente di San Tommaso di 6 secoli prima: “Colui che non seguisse i dettami della propria coscienza, sbaglierebbe non perché agisce contro la sua coscienza, ma perché agendo contro la sua coscienza, agirebbe anche contro la sua sinderesi, la quale è infallibile”. La sinderesi è la capacità di cogliere i princìpi della morale. Esemplificando, Tommaso afferma che “credere in Cristo è cosa essenzialmente buona e necessaria alla salvezza: ma la volontà non può tendere a questo che in base alla presentazione della ragione. E, quindi, se la ragione lo presentasse come un male, la volontà non potrebbe volerlo che come un male: non perché sia un male per se stesso, ma perché è un male nella considerazione della ragione… Dunque bisogna concludere, assolutamente parlando, che ogni volere discorde dalla ragione, sia retta che erronea, è sempre peccaminoso”. Se questo primato della coscienza vale su Cristo, vale anche sul Papa.
Si potrebbe dire che, secondo il cristianesimo, nel cuore dell’ uomo sono già scritti i principi voluti da Dio. Questo fa si che, non solo il cristiano, ma un uomo aderente a qualsiasi altra religione possa, se agisce secondo la sua retta coscienza, andare in paradiso. Il problema è che la retta coscienza dell’ uomo è spesso offuscata, quindi deviata, quindi non più “retta”, dalla macchia del peccato originale.
Credo che Newman, ritenga che l’ uomo, se fa uno sforzo sincero, è comunque in grado di avere accesso alla retta coscienza, che lo porta ad compire la volontà di Dio. Qualche volta può accadere che ciò sia in contrasto con ciò che dice un papa e lì nasce la questione!
In questo caso è ammesso che un papa possa sbagliare, la sua “infallibilità” è limitata a pochissimi casi e a pronunciamenti ex cattedra. Può accadere che un papa contraddica palesemente il Vangelo, cada nel peccato di eresia, ecco che quì è la coscienza che deve avere il primato! A parte questi casi eccezionali, per la formazione di una “retta” coscienza il magistero della chiesa e dei Papi, è, credo anche per Newman, fondamentale!
Condivido, infatti “cristiano” e “uomo” sono sinonimi.
Ratzinger non si sentiva competente a parlare di Newman figurarsi io 🙂
Mi limito a segnalare articoli molto inseressanti al riguardo presso il sito gliscritti.it
http://www.gliscritti.it/approf/2009/web/ratzinger140209.htm
http://www.gliscritti.it/blog/entry/1055
http://www.gliscritti.it/antologia/entry/1071
sempre nel suddetto sito cercando con i termini “newman coscienza” si avranno ulteriori articoli per approfondire la figura del beato in questione.
Egregio prof. Masiero, mi pare che l’argomento del “progresso dei dogmi” sia estremamente delicato, essendo pure condannato da parecchi documenti pontifici, tra cui forse il più famoso è l’enciclica Pascendi Dominici gregis di san Pio X.
Per restare però alle analogie cosmologiche, il fenomeno dell’evoluzione dei dogmi si potrebbe spiegare come uno sviluppo di potenzialità già implicite nella Rivelazione, che si manifestano durante particolari condizioni storiche, mettendo in ombra altre potenzialità, così come appare in natura qualora un vivente muta alcune sue caratteristiche per meglio fronteggiare l’ambiente — il fenomeno cioè della “microevoluzione”.
Per spingere ulteriormente l’analogia, il salto da una specie all’altra (“macroevoluzione”), implicherebbe però anche il mutamento essenziale del dogma e quindi della dottrina salvifica in esso contenuta. E questo sembra da ritenersi inammissibile secondo quanto appare dall’insegnamento costante della Chiesa.
Si potrebbe fare una ulteriore analogia. Piuttosto che parlare di evoluzione, si potrebbe paragonare la rivelazione finale, quella evangelica, ad un diamante. Nel diamante lavorato abbiamo la presenza di tante sfaccettature, a seconda di come giriamo il diamante esso riflette, da quelle sfaccettature, lampi di luce diversi. Il diamante in tutto il suo valore c’ è sin dall’ inizio, non evolve in qualcosa di meglio. Nel procedere della storia, essendo questa mutevole, cambia la prospettiva con cui guardiamo la pietra preziosa e cambia la luce che che vediamo emanare da essa. La pietra preziosa poi non è la fonte della luce, che proviene da Dio, ma la riflette nei modi e nelle circostanze storiche più adatte e più consone alle nostre necessità!
Newman insiste prima di tutto sulla necessità che anche in termini di dottrina ci sia collegialità nelle gerarchie e tra queste e il popolo, in tutte le sue composizioni comunitarie. È importante ricordare che l’Incarnazione, il dogma alla base del cristianesimo, non ci sarebbe senza la lotta sviluppata dal popolo contro le gerarchie e il potere politico nel IV secolo. Poi, mi pare che in Newman lo sviluppo della dottrina significhi più la maturazione progressiva soggettiva della comprensione dogmatica da parte dei fedeli, piuttosto che un cambiamento oggettivo della dottrina.
A mio avviso bisogna parlare di crescita della “comprensione”, cioè capiamo sempre di più nel profondo il significto dei dogmi, i quali sono sempre gli stessi.
Nella realtà che abbiamo di fronte agli occhi, non c’è nulla che mi renda fiducioso di questa crescita della comprensione. La mia esperienza è che avvenga esattamente il contrario. Tuttavia, giacché “portae inferi non prevalebunt” credo che sia della Chiesa sviluppare certe potenzialità di adattamento alla qualità umana dell’epoca, sebbene ciò non si possa certo definire un “progresso” rispetto alla Verità, ma solo — al limite — un suo adattamento “misericordioso” all’incomprensione diffusa.
Io ho la percezione opposta, Stefano, in termini di coscienza e di conoscenza dei credenti. Certo, c’è stato in Occidente un assottigliamento rispetto alle masse che riempivano le chiese qualche decade fa, cui però mi pare è corrisposta una maggiore consapevolezza dei fedeli.