Dati e valutazioni concrete sul clima che cambia

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“I poeti affermano che la scienza distrae dalla bellezza delle stelle – semplici globi di gas. Anche io riesco a vedere le stelle in una notte nel deserto e sentire la loro magia. Ma vedo più o meno cose?” – Richard Feynman.

Sia chiaro, occuparsi di cambiamenti climatici significa addentrarsi in un territorio indubbiamente vasto e complicato in cui non è per niente facile muoversi e orientarsi. La questione infatti è assolutamente poliedrica, in quanto anche se la sua genesi è prettamente scientifica, le sue implicazioni invece, altrettanto centrali, vanno inevitabilmente ad interfacciarsi con sfere politiche, economiche e sociali generando di conseguenza un acceso e per certi versi caotico dibattito pubblico che non ha eguali in nessun’altra discussione riguardante temi di natura scientifica. Forse allora, per cercare anche di ridimensionare tutta quella parte del dibattito assolutamente inutile di chi, pur non sapendo quasi nulla, ne fa soltanto una questione ideologica, può essere utile fare un passo all’indietro e tornare a concentrarsi sugli aspetti, sui dati e sui concetti fondamentali del cambiamento climatico in corso, tentando di disegnare una breve ma essenziale prospettiva d’insieme che possa essere il più possibile coerente dal punto di vista scientifico. Perché, al di là dei farneticanti proclami mediatici, una scienza del clima esiste e sebbene sia poco più che neonata rispetto ad altre discipline come la fisica o la chimica, rappresenta certamente un esempio tipico di moderna scienza dei sistemi complessi, in cui l’elemento centrale della ricerca è necessariamente l’interdisciplinarietà.

Quando una disciplina scientifica infatti amplia il suo tessuto teorico e sperimentale, è inevitabile che le direzioni della ricerca si sovrappongano a quelle di altre scienze, innescando un processo fecondo di aumento esponenziale delle conoscenze e forme raffinate di interazione metodologica. Ma cominciamo subito con il dare qualche dato partendo innanzitutto dalle temperature. Il 2016, come era prevedibile, complice anche il recente, rilevante episodio di Niño, è risultato essere il nuovo anno più caldo da quando si fanno misurazioni, circa un grado (in attesa del dato ufficiale) sopra le medie 1951-1980 e questo dopo i valori già record del 2015 (+0,86°C) e prima ancora del 2014 (+0,75°C, dati GISS-NASA)… Alla faccia della stabilizzazione delle temperature.

Questa volta concordano anche le rilevazioni satellitari, notoriamente più “moderate” e che, ricordiamo, calcolano le temperature troposferiche in modo indiretto partendo dalla misurazione dell’intensità delle emissioni di microonde per determinate lunghezze d’onda, metodologia non priva di diversi tipi di problematiche. Ma certamente qualcuno continuerà ad invocare il Niño o le misure sbagliate, le isole di calore e quant’altro. Che poi, a parte il fatto che il Niño da solo non basta, e che tutte le misure comportano un qualche tipo di errore, non si capisce bene nemmeno il senso di queste insinuazioni.

Cosa si vorrebbe “dimostrare”, che non esiste un riscaldamento globale? E allora tutti quei dati osservativi di cui disponiamo e che fungono da indicatori climatici, i ghiacciai montani e continentali della Groenlandia e dell’Antartide Occidentale che si sciolgono, la notevole riduzione della calotta artica, i livelli medi degli oceani che si innalzano, l’aumento della frequenza e dell’ intensità delle ondate di calore alle medie latitudini, tanto per fare qualche esempio, non sono dinamiche perfettamente coerenti con un contesto di aumento delle temperature? In realtà il riscaldamento globale è oramai definito dall’IPCC, l’organismo scientifico delle Nazioni Unite deputato allo studio dei cambiamenti climatici, come “virtualmente certo” con una probabilità superiore al 99%. Nonostante una relativa stabilizzazione delle temperature effettivamente osservata tra il 2002 e il 2013 infatti, risulta abbastanza evidente che la crescita delle temperature globali è in corso almeno dall’inizio del secolo scorso e che ha subito un’impennata di circa 0,7° – 0,8°C proprio negli ultimi quarant’anni. Non c’è praticamente nessuna area del pianeta esente da questo tipo di fenomeno e l’Italia, peraltro, è considerata un hot spot climatico, visto che, anche se qualcuno sembra non essersene nemmeno accorto, le temperature sono già aumentate di quasi un grado e mezzo dagli anni settanta ad oggi (dati ISAC-CNR). Il riscaldamento inoltre riguarda anche gli oceani ed è documentato sia dalle misure satellitari delle SST (strato superficiale), sia dal contenuto di calore delle acque misurato a diverse profondità. La precedente stabilità delle temperature registrata dalla metà degli anni quaranta alla metà degli anni settanta del secolo scorso, invece, verrebbe attribuita da alcuni lavori ad un effetto temporaneo e contrario derivante dalle grandi emissioni antropiche di aerosol (principalmente solfati e polveri) tipiche di quel periodo. Certamente più problematico rimane il discorso relativo alle cause, anche perché, com’è noto, la normalità climatica di questo pianeta è data proprio dalla sua variabilità. Facendo ancora riferimento all’IPCC e al suo ultimo rapporto molto dettagliato pubblicato nel 2013, sostanzialmente la meta-analisi più completa e più convincente che ci sia in circolazione, si può leggere:

”è estremamente probabile che più della metà dell’aumento della temperatura superficiale media globale osservato nel periodo 1951-2010 sia stato causato dall’aumento delle concentrazioni dei gas serra antropogenici, insieme ad altri forzanti di origine antropica”.

Quindi attenzione, si parla di prevalenza di una causa rispetto alle altre, nessuno nega l’esistenza e l’importanza di altri fattori climatici naturali. Da ricordare anche che l’IPCC non fa ricerca, ma si limita a riassumere nei suoi rapporti quello che è lo stato dell’arte in tema di cambiamento climatico. Quindi, anche per rispondere alle critiche che spesso gli vengono rivolte, basta andare a leggersi un po’ di letteratura scientifica per verificare di persona la corrispondenza o meno di quanto viene affermato. Ma torniamo alle cause del riscaldamento globale. A questo punto i casi sono due, o l’IPCC ha ragione, seppure approssimativamente, oppure ha torto. Se fosse vera la seconda opzione, allora sarebbe il caso che qualcuno si facesse avanti per tentare di dimostrarlo proponendo valide alternative scientificamente coerenti, la scienza da questo punto di vista è ampiamente democratica, se uno ha veramente qualcosa di serio da dire lo può fare pubblicando. Diversamente, proviamo invece a considerare alcuni elementi, in base ai quali purtroppo le affermazioni dell’IPCC potrebbero essere verosimili. Per prima cosa all’interno della comunità scientifica di settore esiste un consenso abbastanza schiacciante in merito.

E non è una cosa da poco. Si parla tanto del lavoro di Cook et al. che quantifica tale consenso in un 97%, ce ne sono anche altri, ma a questo punto, numeri a parte, ripetiamolo, basta andare a leggersi un po’ di letteratura o frequentare i siti dei principali enti climatologici mondiali GISS-NASA, NCDC-NOAA, Met Office Hadley Center, per rendersi conto di quali siano effettivamente i reali termini scientifici della questione. Tuttavia, se proprio non si riesce ad avere fiducia dei centinaia di team di ricerca di ogni nazionalità impegnati in ogni parte del mondo, allora si può anche tentare di fare qualche altro ragionamento, magari molto sommario, ma senz’altro concettualmente efficace. Partendo per esempio dal dato del riscaldamento globale attuale, 0,8°C in quarant’anni e quindi da un sistema che sta in qualche modo assorbendo calore, quali tra i fattori climatici conosciuti potrebbero aver subito nello stesso intervallo di tempo sensibili variazioni tali da renderli potenziali agenti causali? In fondo, molti fenomeni naturali importanti come il Niño o la Niña per esempio, o alcune eruzioni vulcaniche, o soltanto la diminuzione della radiazione solare conseguente ad un’eclissi, lasciano un segno immediato o quasi generalmente ben rintracciabile nella dinamica delle temperature. Ebbene, il Sole nello stesso arco temporale ha espresso i classici cicli circa-undecennali delle macchie solari, oltretutto con una tendenza complessiva alla leggera diminuzione della sua attività, i raggi cosmici, dei quali si sta ancora indagando la loro reale capacità di modulare la nuvolosità, essendo la loro dinamica correlata all’attività geomagnetica del Sole, hanno percorso altrettanti cicli senza nessuna correlazione evidente con le temperature, la variabilità naturale infine ci ha proposto un indice ENSO (El Niño Southern Oscillation) altalenante ma senza particolari orientamenti del trend, un indice PDO (Pacific Decadal Oscillation) prima aumentato e poi diminuito fino ai giorni nostri e infine un indice AMO (Atlantic Multidecadal Oscillation) costantemente aumentato fino all’inizio di inversione del trend inaugurato negli ultimi anni. In questa analisi non si considerano i fattori astronomici in quanto essi agiscono generalmente su scale temporali piuttosto lunghe e non decadali. Nello stesso intervallo di tempo invece la concentrazione di CO2 in atmosfera, gas durevole già responsabile di parte dell’effetto serra naturale del nostro pianeta, è aumentata da circa 330ppm alle attuali 405ppm subendo così un aumento di circa il 23% (+40% dall’epoca pre-industriale) nonostante una consistente quota delle emissioni venga assorbita fortunatamente dagli oceani che di conseguenza si stanno acidificando. E così hanno fatto anche altri gas ad effetto serra, come per esempio il protossido di azoto o gli alocarburi, di origine esclusivamente antropica, anche se almeno la crescita del metano sembra essersi al momento stabilizzata. Ma come facciamo a sapere che la CO2 che si sta accumulando in atmosfera è di origine antropica? In climatologia, così come nelle altre scienze evolutive, non esistono mai delle certezze assolute, ma lo si sospetta fortemente per almeno tre motivi, uno teorico e gli altri due sperimentali. Il primo, teorico, è che la dinamica dell’aumento della concentrazione di CO2 in atmosfera mostra una straordinaria sovrapponibilità con quella delle emissioni, gli altri ci dicono che sta aumentando proprio la CO2 con una precisa firma isotopica del carbonio tipica di una derivazione da combustibile fossile e che contemporaneamente è in diminuzione il tenore di ossigeno (la combustione consuma ossigeno). Insomma, ad oggi sembra proprio che tutti gli elementi, osservativi, teorici e sperimentali, propendano per una tesi di attuale trend di riscaldamento globale attivo sul lungo termine forzato principalmente dall’aumento dei gas serra antropici, al quale si sovrappongono le dinamiche di variabilità naturale che causano invece le variazioni di più breve periodo.

A differenza invece di altri periodi della storia climatica della Terra, ricostruiti a grandi linee con gli strumenti della paleoclimatologia e della climatologia storica, in cui sembrano essere prevalsi di volta in volta, altri tipi di fattori, astronomici, attività solare, vulcanesimo. E questo infatti è proprio il quadro che sta emergendo anche dalla più recente modellistica climatica, dai GCM (Global Climate Models) ai modelli a reti neurali, ai data-driven (approccio plurimodellistico), i quali nonostante tutte le inevitabili incertezze e approssimazioni sono prevalentemente concordi e riescono quindi nel loro insieme a fornirci una buona prospettiva di base.

Soltanto con l’introduzione delle forzanti antropogeniche (gas serra, deforestazione e uso del suolo) insieme a quelle naturali si riesce a riprodurre abbastanza bene la dinamica osservata delle temperature, considerando invece le sole forzanti naturali gli output dei modelli non riescono invece a ricostruire in alcun modo, l’attuale fase di riscaldamento globale.

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Nato nel 1969, laureato in Scienze Biologiche all'Università degli Studi di Padova. Vive a Pordenone e lavora come informatore scientifico nel settore della microbiologia. Autore di numerosi articoli su tematiche inerenti al clima pubblicati sul sito "meteolive".

33 commenti

  1. Succederà che arriverà qualche commento belante, poi arriverà un commento di Enzo che ti mostra dei dati e tu ti arrampicherai sugli specchi e tutto d’un tratto concorderai sulle innumerevoli incoerenze cherrypickescamente dimenticate nella analisi che ho letto.
    Perché è già successo in un precedente articolo.
    Postmodernismo eh? Rinascere vergini ogni giorno. In questo periodo i giornalisti stanno grufolando con la parola postverità, ce ne fosse uno che cogliesse la parentela.
    Com’è? “La scienza è piuttosto democratica”. Manca il sorriso verso la telecamera.

    • Lo dico a Fabio e agli altri lettori: non siate prevenuti, tenete per voi le vostre “predizioni” su come si svolgerà un dibattito. È quasi certo che Enzo Pennetta dirà la sua, ma già le tifoserie sono bruttine, figuriamoci quelle anticipate!

  2. Come è noto le nostre posizioni riguardo l’argomento sono diverse, vado quindi a spiegare dove, a partire dagli stessi dati l’analisi differisce.
    Che un riscaldamento climatico sia avvenuto siamo d’accordo, ma quello che resta da dimostrare è che la causa principale siano le emissioni di CO2 e questo lo possiamo facilmente stabilire andando a confrontare le previsioni fatte sulla base di questa teoria, e di questi modelli, con le effettive misurazioni.
    Non basta infatti dire che secondo i dati satellitari la temperatura è aumentata ma bisogna vedere se è aumentata quanto previsto dai modelli in questione e a quanto pare le cose non sono andate così:

  3. Siamo d’accordo vedo sul fatto che l’aumento sia dovuto ad un concorso di diversi fattori ma dire che quello umano sia prevalente con un consenso del 97% è un argomento che si presta a forti critiche, già in passato ho pubblicato questa lettera che ripropongo:

    Sul numero di Europhysics News (EPN) 44/6 di fine 2013 compare un articolo a firma di J. Cook sul consenso scientifico su AGW: tale scritto riassume le conclusioni di un lavoro comparso su Environmental Research Letters di maggio 2013 a firma di J. Cook et al. ove vengono analizzati gli abstract di circa 12000 scritti sul global warming pubblicati dal 1991 e classificati in base alla loro posizione di supporto o meno dell’AGW. La lettera del Prof. Bettini comparsa sull’ultimo numero di EPN 45/2 ha richiamato ancora una volta la mia attenzione su questa tematica: evidentemente non sono l’unico ad aver notato qualche “stranezza” nel lavoro di J. Cook et al.

    Di seguito ti riassumo quali ritengo siano le principali. – Appare subito chiaro che i 2/3 dei lavori analizzati non esprimono posizione su AGW: ciò dovrebbe essere indicativo dell’incertezza scientifica sul tema. Il dato non viene preso in considerazione e gli autori si concentrano sul rimanente 33% di lavori. – Fra questi, il 97% supporta l’AGW: vengono considerati a supporto lavori che sostengono che “humans are contributing to global warming without quantifying the contribution”. è praticamente impossibile trovare un ricercatore in disaccordo con tale affermazione (come sostenere che la CO2 non sia un gas serra) ma ciò è ben diverso dall’essere in accordo con AGW.

    Analizzando infatti la lista dei lavori che sono stati classificati in tale categoria (lo si può fare seguendo il link a “online supplementary data”), si scopre che lavori di ricercatori notoriamente critici verso AGW (ad es. Lindzen e Shaviv) rientrano tra quelli a favore. –

    Cercando di ridurre la percentuale dei lavori che non esprime posizione, J.Cook et al. contattano gli autori degli scritti via e-mail: risponde solo il 14% ed a questo punto secondo me non avrebbe senso procedere in quanto il campione è alquanto ridotto e non può più essere considerato “unbiased” (l’analisi si baserebbe solo su coloro che hanno deciso di rispondere ed è lecito supporre che questo sia un campione polarizzato). – Volendo invece proseguire, come J. Cook et al. fanno, tra il 14% delle risposte ben il 35% conferma di non avere una posizione decisa nei confronti di AGW: percentuale interlocutoria alquanto alta, a mio modo di vedere, su un argomento verso il quale gli autori vogliono dimostrare un consenso pressoché totale. –

    Ritengo infine un controsenso logico la motivazione addotta da J. Cook et al. per trovare una giustificazione all’elevato numero di lavori che non prende posizione: l’AGW sarebbe oramai una certezza scientifica, tanto che non serve neanche specificare nell’absract la propria posizione al riguardo. Oltre al fatto che tale affermazione è smentita proprio da quel 35% che ribadisce la propria incertezze, ma se fosse così, che senso avrebbe la ricerca di J. Cook et al. basata proprio sugli abstract?

    In definitiva, analizzando i dati da un punto di vista “distaccato”, direi che gli stessi portino a conclusioni diametralmente opposte alla tesi che gli autori vogliono dimostrare e mostrino invece come l’AGW sia da considerarsi un argomento scientificamente ancora molto aperto (tra l’altro la percentuale di lavori che non prende posizione cresce col tempo).

    Fermo restando che la verifica delle ipotesi formulate in ambito scientifico non si basa tanto sul livello di consenso delle stesse ma sul confronto stringente con la realtà, tutto quanto sopra espresso, nulla ha a che vedere con la consistenza o meno dell’AGW.

    Un caro saluto, G. Alimonti INFN e Università di Milano

  4. Sul passaggio in cui si afferma:
    Ma come facciamo a sapere che la CO2 che si sta accumulando in atmosfera è di origine antropica? In climatologia, così come nelle altre scienze evolutive, non esistono mai delle certezze assolute, ma lo si sospetta fortemente per almeno tre motivi, uno teorico e gli altri due sperimentali. Il primo, teorico, è che la dinamica dell’aumento della concentrazione di CO2 in atmosfera mostra una straordinaria sovrapponibilità con quella delle emissioni, gli altri ci dicono che sta aumentando proprio la CO2 con una precisa firma isotopica del carbonio tipica di una derivazione da combustibile fossile e che contemporaneamente è in diminuzione il tenore di ossigeno (la combustione consuma ossigeno).
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    possiamo dire che questa è una prova del fatto che sul pianeta si stanno consumando combustibili fossili, non del fatto che siano la causa principale dl riscaldamento.

  5. Sul fatto che siamo di fronte ad una serie di anni caldi da record ho già pubblicato un articolo nel quale si mostra come i dati siano troppo frammentari e insufficienti per giungere a tali conclusioni, ecco la mappa del pianeta dove in grigio si trovano le zone senza misurazioni e la cui temperatura risulta quindi stimata:

  6. In conclusione alle considerazioni di chiusura dell’articolo che affermano:
    Soltanto con l’introduzione delle forzanti antropogeniche (gas serra, deforestazione e uso del suolo) insieme a quelle naturali si riesce a riprodurre abbastanza bene la dinamica osservata delle temperature, considerando invece le sole forzanti naturali gli output dei modelli non riescono invece a ricostruire in alcun modo, l’attuale fase di riscaldamento globale.
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    posso rispondere che se solo le forzanti antropogeniche riproducono la dinamica osservata va detto che tale affermazione vale nel caso in cui si ammettano i modelli impiegati come validi, ma il grafico iniziale delle mie risposte dimostra proprio che quei modelli non sono validi.

  7. Fabio Vomiero on

    Grazie prof.Pennetta, questa infatti è una delle obiezioni più frequenti, però a mio avviso ci sono da dire alcune cose. Primo, che anche se fosse vero quello che riporta il grafico (a parte che come sempre mancano gli ultimi anni) ciò non costituirebbe comunque una prova inconfutabile di una estraneità della CO2 antropica nel meccanismo fisico del riscaldamento globale, ma soltanto una non adeguatezza dei modelli nella loro capacità previsionale. E su questo aspetto peraltro sono d’accordo anche gli scienziati che si occupano di modellistica climatica, tutti sanno che i modelli non sono perfetti e che sono in continuo stato di “work in progress”. Poi c’è anche da vedere quanto i dati satellitari troposferici possano essere accurati e precisi, come anche accennato nell’articolo questi sistemi di calcolo purtroppo non sono privi di problematiche, ci sono continui aggiustamenti da fare per rendere omogenee le serie derivanti da sensori diversi e per correggere gli errori derivanti dai cambiamenti orbitali. Dal mio punto di vista quindi non è tanto importante la previsione dettagliata, ma piuttosto la previsione sostanziale (e su questo direi che i conti tornano abbastanza), non dimentichiamoci che il clima è un tipico esempio di sistema complesso e come tale è resistente alla modellazione. Personalmente sarei molto più propenso a dare peso a quanto per esempio ho riportato nell’articolo, dati e concetti semplici in base ai quali non ci sarebbe nemmeno bisogno di nessun modello sofisticato per immaginare in maniera logica (con i dati di oggi, domani chissà..) che l’aumento di CO2 antropico non potrà che produrre altro riscaldamento. Come per esempio non serve nessun modello sofisticato per immaginare che il prossimo anno e forse per due o tre anni la temperatura globale sarà probabilmente più bassa di quella del 2016.

  8. Giorgio Masiero on

    La mia epistemologia è nota: non riconosco alcun valore di verità alla scienza sperimentale, a nessuna teoria scientifica, tanto meno ai modelli matematici descrittivi dai quali si può trarre tutto e il suo contrario, a seconda delle assunzioni. Io rispetto enormemente, e amo, quella parte della scienza sperimentale che si occupa di fenomeni replicabili e da cui si possono trarre applicazioni tecnologiche. Il resto, dal mio punto di vista, è storytelling.
    Riconosco che il dott. Vomiero fa il punto sul tema dell’AGW, in maniera eccellente e aggiornata, dal punto di vista dei ricercatori che credono all’AGW. Ciò che Vomiero riporta è scienza a 24 carati, non meno del modello del Big bang, che parla di inizi del mondo senza sapersi spiegare il 95% della materia-energia del mondo, o dei modelli astrofisici che reputano “estremamente probabile” l’esistenza di vita aliena, o che i nostri pensieri sono proiezioni di una Matrix di superintelligenze di altri mondi…, e ovviamente non meno dei modelli matematici che negano il surriscaldamento terrestre o che, pur affermandolo, lo attribuiscono a fattori non antropici. Questi modelli scientifici “negazionisti” sono prevalenti, per esempio, in Cina. Ma per il fatto di essere maggioritario (per numero di abitanti) all’AGW occidentale, il “negazionismo” cinese non ha certo maggior valore epistemico! La scienza sperimentale non è un parlamento democratico, ma – in assenza di replicabilità – una libera arena di storyteller matematici creativi.
    La mia opinione, che sull’argomento vale come quella di un qualsiasi clochard morto di freddo in questi giorni, è che sul surriscaldamento non sappiamo abbastanza per affermare che esso sia eccezionale rispetto alla variabilità fisiologica su lungo termine del clima terrestre e che, anche se fosse, non abbiamo sufficienti conoscenze per attribuircene il merito piuttosto che assegnarlo a una minima, fisiologica varianza dell’attività di quella nana gialla di tipo spettrale G2 V che è il nostro sole, la cui durata di vita è 10 miliardi di anni.

    • Fabio Vomiero on

      Grazie prof.Masiero per questa sua disamina, per me le sue valutazioni sono sempre fonte di riflessione vera. Che dire, credo non ci sia molto da obiettare o da aggiungere su quanto da lei descritto. L’unica cosa che mi sentirei di dire potrebbe essere in merito alla sua riflessione finale. Certamente è vero che non sappiamo ancora tutto sul sistema climatico, però forse cominciamo a saperne abbastanza per poter formulare almeno qualche ipotesi plausibile. E per plausibile intendo scientificamente coerente e probabile in uno spettro di possibilità. Per quanto mi riguarda, sono molti anni oramai (un percorso quindi lungo che all’inizio mi vedeva scettico), che tento di “studiare” per semplice interesse personale l’argomento, prendendo in considerazione tutto il materiale possibile, dalle pubblicazioni scientifiche ai testi divulgativi palesemente scettici e devo dire che più passano gli anni e più continuo a trovare elementi, e mi creda che sono davvero tanti, che mi portano nella direzione di ritenere scientificamente plausibile la possibilità che le attività antropiche possano avere un peso non indifferente nell’economia del clima. Ma non sono un climatologo e questa comunque è soltanto la mia opinione e anche se collima con quella della maggior parte degli scienziati del clima che lavorano ogni giorno sul campo e di cui ho fiducia e rispetto, spero un giorno si possa rivelare sbagliata.

  9. Il problema Prof. è la visibilità…. è un po’ la stessa storia delle mail della Clinton di questa estate; senza entrare nel merito chiunque le poteva vedere semplicemente andando su Wikileaks o su altri siti del settore; ma erano in inglese e nemmeno una riga è apparsa sui media mainstream o sui TG, facendo in modo che risultasse praticamente inaccessibile ad oltre il 90% della popolazione….. ed adesso si sta studiando anche il modo di limitarne l’accesso anche al rimanente 10%.
    La conseguenza è che se la scorsa estate, non potevi certo menzionare pubblicamente il contenuto delle famosissime mails hackerate senza correre il rischio di essere apertamente additato come uno squilibrato, non puoi certo metterti a parlare in pubblico dell”AGW senza deviare minimamente dalla versione ufficiale se non vuoi passare per complottista, come mi è recentemente accaduto.
    Ovviamente anche buona parte del contenuto di questo bellissimo blog, presto verrà etichettato come fake news da parte dei principali motori di ricerca.

    • Giorgio Masiero on

      Forse no, Davide, forse non verremo etichettati come fake news! CS si mostra pluralista, ci scrive chi crede nell’evoluzione (darwiniana o meno), e chi no; chi crede nell’AGW e chi no. E ci scrive anche chi come me non crede che si possa credere né ad A né a not(A), quando A è una teoria scientifica. Una rarità questo pluralismo nel mondo internet dei blog, o no?

    • Grazie Davide, questo intervento di Rubbia è ancora valido e le sue domande attendono una risposta.
      Vorrei ad esempio sapere che fine hanno fatto le ricerche sui clatrati.

  10. Fabio Vomiero on

    Di quel contributo di Rubbia, Davide, ne avevamo già parlato qualche tempo fa in quanto qualcuno lo aveva già proposto. Purtroppo devo confermarle al riguardo quanto avevo già espresso in quell’occasione. Si tratta di una relazione molto banale e peraltro condita di errori, non è vero che le temperature sono diminuite negli ultimi 14 anni come dice lui, nell’intero sistema accoppiato atmosfera-oceani sono sempre aumentate seppur in maniera non lineare. Come non è vero che gli Stati Uniti siano stati gli unici a ridurre le emissioni CO2 in quanto anche l’Italia per esempio ha ridotto le sue emissioni negli ultimi anni. L’UE ha addirittura ridotto le emissioni di CO2 del 23% dal 1990 al 2014. Purtroppo non basta soltanto essere eminenti scienziati per essere credibili nell’ambito di un problema scientifico specifico, soprattutto se nella vita di tutti i giorni ci si occupa di tutt’altro, e in questo Rubbia è in buona compagnia, vedi Battaglia o Zichichi per esempio.

    • Mi domando perché le considerazioni sul passaggio delle Alpi dovrebbero essere ritenute banali?
      Si tratta di un fatto storico di cui non si può dubitare a meno di buttare alle ortiche tutta la storia antica come racconto di fantasia.
      Riguardo l’andamento delle temperature il grafico mostra che nonostante l’impennata dovuta al Nino questo non ha avuto lo stesso effetto del Nino del ’98:

      • Fabio Vomiero on

        Io mi riferisco soltanto alla parte dove Rubbia parla di cambiamento climatico. Capisco che aveva davanti una platea che probabilmente di scienza ne capisce molto poco, purtroppo, ma non si possono inventare le cose a proprio piacimento o citare magari due o tre banalità condite di errori come ho già detto e completamente fuori da ogni contesto. Dice anche che si è convinti che lasciando la concentrazione di CO2 uguale, il clima resterebbe stabile, e anche questo non è vero, insomma, sono tutte cose che nei dettagli denotano una carenza di conoscenza e di comprensione scientifica del fenomeno. Per quanto riguarda Annibale e le Alpi certamente è un fatto storico, ma ricostruito molto sommariamente e soprattutto di portata molto circoscritta, quando si parla di clima globale.

        • Mi permetta di fare sempre un po’ la parte dell’avvocato del diavolo, però mi sembra che quando i dati sono a favore dell’AGW vengono chiamati “proxy”, quando sono contrari come la travesata di Annibale, le vigne in Inghilterra, il Tamigi ghiacciato con la fiera e le bancarelle, le condizioni della Laguna veneta che ho scoperto grazie a Beppino, si dice che non sono valide perché hanno “portata circoscritta”.
          Un’altra considerazione sulle critiche che vengono dall’esterno come nel caso dei fisici come Zichichi e appunto Rubbia, vedo delle analogie con l’evoluzionismo darwiniano in cui le critiche da dentro il sistema sono assenti perché far parte del sistema presuppone l’adesione ad un certo modello, una specie di circolo vizioso.

          • Fabio Vomiero on

            In questi molti anni di mio avvicinamento alla scienza e nello specifico alla scienza del clima non ho mai avuto questa sensazione. Dobbiamo necessariamente demarcare bene il confine tra il dibattito scientifico e il dibattito pubblico che spesso e volentieri è viziato da mancanza di conoscenza, pregiudizio e ideologia varia, e mi ci metto anch’io, sia chiaro. Questo è provato anche da numerosi studi di psicologia cognitiva. E anche se nessuno probabilmente è completamente immune dal rischio di pregiudizio, mi pare che gli scienziati del clima, che vorrei ricordare a tutti non sono degli sprovveduti e sanno bene quello che fanno, cerchino, per quanto possibile di dare semplicemente il “giusto” peso e la “giusta” collocazione concettuale alle cose, ai dati e alle osservazioni, cosa che diventa difficile e magari controintuitiva per un non esperto. Da questo punto di vista i “contributi” di Rubbia, Battaglia e Zichichi contano poco non perché le loro opinioni vanno in senso contrario, ma semplicemente perché dal punto di vista del progresso della scienza del clima non aggiungono niente, questi scienziati nel loro quotidiano si occupano di altro, non fanno ricerca specifica e non hanno lavori seri e coerenti pubblicati o da pubblicare. E’ questo il punto secondo me. L’analogia che lei fa con l’evoluzionismo a mio avviso è corretta dal punto di vista dell’approccio metodologico scientifico necessario allo studio di sistemi complessi dinamici; secondo me, invece, né nell’uno, né nell’altro caso si può parlare di autoreferenzialità, le critiche, i dubbi, le discussioni, le modificazioni di prospettiva ci sono anche all’interno della comunità scientifica, e non potrebbe essere altrimenti. Poi dal di fuori mi rendo conto che è facile criticare una tipologia di scienza che palesemente incontra grandi difficoltà e che non potrà mai fornire le certezze che molta gente erroneamente si aspetta. Ma questa è la mia impressione, per carità, mi posso anche sbagliare…

  11. Riassumendo: la combustione produce CO2 che porta al riscaldamento globale e di seguito la distruzione della terra e dell’Uomo; infatti occorre limitare i gas serra poiché permettono il passaggio della luce solare ma poi “impediscono” la fuoriuscita del calore irradiato dalla superficie terrestre.
    Ma poi scopri che nel 1200-1300 le temperature erano molto più alte di quelle attuali; i popoli nordici addirittura popolarono la Groenlandia, i ghiacciai alpini erano ai “minimi termini” talche’ da consentire migrazioni finora impensabili… e con quelle temperature pazzesche il livello marino non sembrava poi cambiato di molto (almeno dagli “archivi” della Serenissima). Ma un attimo… dove era l’enorme quantità di CO2 prodotta dall’Uomo? E dopo pochi decenni, tra il 1500 e il 1800, altro brusco capovolgimento con l’arrivo di una mini era glaciale tale da spopolare nuovamente la Groenlandia e, sempre dalle mie parti, permettere il “passeggio” invernale tra Mestre e Venezia.
    E se poi si approfondisce la questione si scopre che la CO2 rappresenta non più del 3% dei gas serra e di questa percentuale solo una percentuale appena significativa é prodotta dall’Uomo. Ma se la Terra ha attraversato cicli naturali di riscaldamento e raffreddamento durante tutta la storia (con variazioni termiche molto più significative di quelle che stiamo sperimentando nel nostro tempo) dove é la causa di queste fluttuazioni? Non é che sia “semplicemente” il sole (vedi discorso delle macchie solari)?.
    Ci sono stati periodi in cui la concentrazione di CO2 é stata decine di volte superiore a quella attuale senza che si creasse alcun strano meccaniscmo destinato a portare la Terra alla morte termica, Nel citato medioevo la quantità di CO2 era di molto superiore a quella attuale e allo stesso modo le temperature erano più elevate eppure c’é stato di seguito il Rinascimento…
    E si… dati e valutazioni concrete sul clima che cambia. Siamo effettivamente in grado di capire, valutare e stimare il nostro futuro termico… Grazie IPCC, grazie di esistere.

    • Fabio Vomiero on

      Beppino ben ritrovati, come ha visto la mia previsione di giugno riguardo il record del 2016 si è rivelata corretta, in un altro commento ne ho fatta un’altra, che nel 2017 la temperatura media globale scenderà, probabilmente di un paio di decimi di grado… Comunque, passando alle cose serie la sua è un’obiezione importante che vale la pena di approfondire. Come detto anche nell’articolo, il clima della Terra, sistema altamente complesso, fluttua anche per sua natura a causa di innumerevoli fattori, endogeni ed esogeni che possono agire di volta in volta in combinazione diverse, sinergiche o antagoniste e quindi in realtà, ogni momento di osservazione indaga un preciso momento singolare della storia climatica e sempre diverso da ogni stato precedente. In questo senso tenga presente che anche il concetto di “ciclicità” applicato al clima può contenere delle insidie concettuali. Detto questo, indagare l’effettivo stato climatico di periodi come quello “caldo” medievale o quello “freddo” della P.E.G. non è facile, veda già la difficoltà a definire quello di oggi, e non si faccia troppo sviare dai “miti” della Groenlandia verde o le viti in Inghilterra riguardo il primo, o i fiumi europei ghiacciati riguardo il secondo. Un conto è il clima locale, un altro è quello globale. Nel caso della P.E.G per esempio è molto probabile che ci sia stata una combinazione favorevole tra bassa attività solare prolungata (minimi di Sporer, Maunder e Dalton) e una fase di attività vulcanica (polveri in stratosfera che diminuiscono la radiazione solare) particolarmente vivace che ne avrebbe favorito l’innesco. Nel caso del riscaldamento globale odierno, il Sole non è il principale imputato semplicemente perché, come già detto nell’articolo, c’è un evidente disaccoppiamento causale tra gli effetti potenziali della sua attività (misurata) in leggera diminuzione e l’aumento consistente contemporaneo delle temperature globali. Infine riguardo i periodi in cui la concentrazione di CO2 è stata molto più alta di quella di oggi (non certo nel medioevo) ciò sarebbe dovuto principalmente ai meccanismi di rilascio da parte dei grandi serbatoi di carbonio, gli oceani, e in misura minore dalla biosfera, in seguito ai forti aumenti di temperatura dovuti alle cause astronomiche. Il tutto, dopo un coerente periodo di 800-1000 anni, stima ricavata dagli archivi paleoclimatici. Ma questa è tutta un’altra storia rispetto al riscaldamento globale attuale.

      • Buongiorno Vomiero. Circa le sue previsioni di giugno (che poi non erano sue ma … é un altro discorso 🙂 ) vedremo nei prossimi mesi le analisi in dettaglio in letteratura da parte di climatologi ed esperti vari.… Dubito che il concetto di “ciclicità”, ragionando a spanne, abbia delle insidie: la temperatura media su mamma terra dipende in modo robusto da quel che decide di fare papà sole, e papà sole é abbastanza “regolare” nei suoi comportamenti (circa le macchie solari, ad esempio, abbiamo ormai decenni di osservazioni e la ciclicità é assodata come é assodato il legame fra attività solare e le precipitazioni, le temperature, le percentuali di presenza di taluni gas in atmosfera, ecc..). Circa i “miti” da lei citati posso anche concordare (non é il mio campo e non ho tempo per approfondire…) ma le “mie” conoscenze sul comportamento climatico della “mia” terra veneziana negli ultimi anni direi che ci si può mettere le mani sul fuoco. Certamente un conto é il clima locale e altro é il clima globale ma questo é vero in un contesto di uno, due, tre anni; non può essere vero per “decenni” consecutivi di memorie riportate. Mi fido di più del dato macro-storico riportato (ad esempio la completa ghiacciaia lagunare del secolo XVI nel perido invernale per molti decenni) piuttosto della “robustezza” dei dati misurati attualmente a livello planetario. Se non altro preso atto che percentuali rilevantissime di territorio terrestre é attualmente sfornito di punti di misura ( da cui la necessità di procedere indirettamente con satelliti o con mere estrapolazioni statistiche o grafiche stile “metodo dei topoieti”). Vedo con piacere che nelle sue osservazioni il condizionale é d’obbligo (anche nel tentativo di giustificare il caso della P.E.G. per esempio…) . Circa il discorso che il sole sia “poco importante” per evidente mancanza di robusto legame statistico mi permetta di dissentire (il discorso della povertà dei dati buttato fuori dalla finestra vedo entra sempre dalla porta…). La verità é che l’energia che arriva dal sole é enormemente maggiore di quello che noi esseri umani immondi e sporcaccioni riusciamo a sviluppare (se ho tempo più avanti prometto di riportare qualche numeretto a riguardo). Continuiamo ad usare il “condizionale” anche sul discorso delle concentrazioni di CO2 nel passato varie volte enormemente più alte di adesso. Vediamo però anche di chiarirsi definitivamente: la CO2 é alta perché si é alzata la temperatura per cause astronomiche o per motivi legati a situazioni “terrestri” (eruzioni vulcaniche, ciclopici incendi accidentali, meteoriti varie, ecc..)? Giusto per chiarire se questo benedetto sole può considerarsi “motore” o banale “comparsa” degli aumenti/diminuzioni di temperatura. Perché sia “un’altra storia” rispetto al riscaldamento globale attuale poi non si capisce… ma questa umanità merdosa che sporca e ammorba la terra riesce o no ad incidere “robustamente” sull’andamento delle percentuali di gas serra? Cerchiamo di dare una risposta, e lasciamo all’IPCCCXYZ il mero collettamento dei dati misurati e la banale analisi statistica.
        Poi che sia chiaro… non é giusto che l’uomo “sporchi” e non ritengo di non avere una sensibilità ecologista. Ma “altri” sono i motivi per cui dovremmo essere più efficienti, parchi e rispettosi delle risorse energetiche che ci sono state consegnate e del meraviglioso mondo animale e vegetale che ci ritroviamo (purtroppo non sempre rispettato come si dovrebbe).

  12. Le temperature particolarmente fredde di questi giorni sollevano delle riflessioni, se è vero che un episodio non fa clima è pur vero che il clima è la somma di tanti singoli episodi.
    Trovo interessante un articolo pubblicato su CM con il titolo “Fa più freddo perché fa più caldo“:

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    Premessa
    Devo ammettere che è con una certa stanchezza che mi accingo a commentare articoli come questo, pubblicato sulla Stampa l’8 Gennaio a firma di Luca Mercalli. E per diversi motivi.
    Perché è simile ad almeno altri 100 o 1000 articoli dello stesso tenore letti in passato;
    Perché è difficile cercare di risolvere le dissonanze cognitive altrui quando si fa già abbastanza fatica a fare i conti con le proprie;
    Perché questi articoli sono talmente prevedibili che li hai già letti prima ancora che vengano scritti: per esempio, questo pezzo l’avevamo già visto arrivare una decina di giorni fa sulle Previsioni di CM.
    Previsioni in cui si annunciava, appunto, che avremmo letto che “fa più freddo perché fa più caldo”. E così, puntualmente, è stato. E allora perché commentarlo? Forse per un riflesso pavloviano irrefrenabile. O forse perché certi articoli ci forniscono comunque degli assist per alcuni spunti di riflessione.
    Riassunto
    L’articolo si apre con una riflessione generale sull’impressione destata dalle immagini del Sud imbiancato, con particolare riferimento al Salento e alla Sicilia, posti in cui questi fenomeni sono ben più rari che sulla costa abruzzese o sullo stesso litorale barese. L’autore quindi sostiene che questo scenario è “molto meno raro di quanto si possa immaginare”. Vengono quindi citati tempi di ritorno dell’ordine di 3-5 anni per eventi del genere.
    Successivamente l’autore si sofferma sul “lake-snow effect”, fenomeno largamente noto a chi vive lungo la costa adriatica italiana e che consiste essenzialmente nella condensazione dell’aria fredda continentale al passaggio sull’Adriatico con le nevicate associate, come spiegato anche su CM in questo articolo.
    Insomma l’articolo è fin qui sostanzialmente condivisibile e quasi ammirevole nel suo approccio didattico e semplificativo. È in chiusura che arriva la solita pezza salva-global-warming: si sostiene infatti che in Valpadana a causa dell’aumento di temperatura medio ”di circa 1 °C”, non nevica più, se non al di sopra dei 1000 metri di quota. E comunque nevica meno che 30 anni fa.
    Finale melancolico delle grandi, anzi delle solite occasioni: “singoli episodi freddi come quello in corso non smentiscono, purtroppo, l’aumento di temperatura su scala mondiale”. Gran finale: “siccome siamo abituati al caldo, quando fa freddo ci stupiamo di più”. Altrimenti tradotto: se sentite freddo, è a causa di una vostra errata percezione.
    Commento
    C’è effettivamente tanto da scrivere, sulle poche ma lapidarie affermazioni di Mercalli. Proviamo a mettere in ordine qualche pensiero sparso:
    I tempi di ritorno di episodi come quello appena vissuto sul Salento o sulla Sicilia non sono dell’ordine di 3-5 anni, ma ben superiori. Per il Salento gli unici episodi paragonabili sono quelli del 1987 e del 2001. Si può ben parlare di tempi di ritorno di 15 anni negli ultimi 30, a confermare quindi l’eccezionalità dell’evento.
    C’è una evidente dissociazione cognitiva nel momento in cui in apertura di articolo si definiscono questi fenomeni come “non rari” per quanto “impressionanti”, salvo poi concludere l’articolo sostenendo che c’è una errata percezione del freddo dovuta al troppo caldo. Insomma, riusciamo a metterci almeno d’accordo sul fatto che faccia freddo? O è chiedere troppo?
    Se è vero che a Napoli si è stabilito il nuovo record assoluto di temperatura minima con -5.6 °C possiamo dirlo ad alta voce, come si è fatto pochi giorni fa per il caldo fuori stagione di Oslo e Stoccolma o al Polo Nord? O dobbiamo sussurrarlo per paura che qualcuno ci senta, e imputarlo ad una “errata percezione” del termometro di Capodichino, magari in attesa che venga in soccorso il GISS con una delle sue mirabolanti revisioni a babbo morto, abbassando i precedenti record partenopei sulla base di un rivoluzionario calcolo dell’effetto dell’attività vulcanica nei Campi Flegrei?
    Davvero incomprensibile il riferimento alla Valpadana e ai 1000 metri di quota, tanto più essendo reduci da un mese di Dicembre in cui le temperature sulla Valpadana centro-orientale sono state nella norma stagionale (Fig.1), e in molti casi in pianura ha fatto più freddo che in montagna a causa delle inversioni termiche. Va da sè che la mancanza di neve in valle e sulle Alpi è la semplice conseguenza di una configurazione sinottica penalizzante per le precipitazioni al Nord. Cosa accaduta più volte in passato, quando ancora di global warming non si parlava nemmeno. Viste le termiche attuali in Valpadana, basterebbe una modesta perturbazione atlantica per portare la neve al piano, altro che 1000 metri.
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    Fig.1. Fonte: Climatemonitor
    Qualche altro commento sulla Valpadana: dispiace veder utilizzato un dato statistico (che non posso smentire nè confermare) sulle nevicate negli ultimi 30 anni come una pistola fumante pro-global-warming. Dispiace perché 20-30 anni corrispondono alla durata media dei cicli multidecadali dell’AMO e della PDO. Ovvero rientrano a pieno titolo nella variabilità climatica naturale del nostro Pianeta.
    Dispiace anche veder liquidata questa ondata di gelo come un “singolo episodio freddo”, in presenza di tanti di questi episodi, attualmente distribuiti su molte aree del Globo, dagli USA alla Siberia. Se a Napoli si è stabilito un nuovo record del freddo, a Mosca si è reduci dal Natale ortodosso più freddo dal 1891, la Russia è immersa in un gelo eccezionale da molte settimane e degli Stati Uniti si è parlato nel già citato articolo.
    Dispiace veder ridimensionato l’episodio freddo italiano alla stregua di un evento locale, provinciale. Anche perché le cose non stanno decisamente così. Per esempio, sarebbe interessante che Mercalli commentasse l’attuale copertura nevosa sull’emisfero Nord, attualmente a livelli record, avendo letteralmente polverizzato la deviazione standard (+1) sia per estensione che per volumi. Nevica di più perché fa più caldo? Davvero? E allora in Valpadana nevica di meno perché fa più freddo? Mistero. A giudicare dai grafici in Figs. 1 e 2 si fa la figura del provincialotto, a disquisire di Valpadana quando l’intero emisfero Nord è interessato da una anomalia clamorosa di segno decisamente opposto.
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    Fig. 2. Copertura nevosa sull’emisfero Nord. Fonte: http://www.ccin.ca
    .https://i0.wp.com/www.climatemonitor.it/wp-content/uploads/2017/01/Fig_3-Snow-cover-Anomaly-NE.png?resize=768%2C439
    Fig. 3. Equivalente in acqua della copertura nevosa sull’emisfero Nord. Fonte: http://www.ccin.ca
    Ma guardiamo altrove… Forse ci verrà in soccorso la Groenlandia, citata sempre come pistola fumante del clima che cambia e cambia male. E scopriamo che il bilancio di superficie ghiacciata sull’isola è a livelli record: letteralmente polverizzata la media di accumulo di neve e ghiaccio dal minimo annuale di Settembre
    (Fig.4).
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    Andiamo a dare una occhiata alle temperature globali allora. Rubo un grafico dal solito articolo già citato (Fig.5). Pare di capire che il Nino di quest’anno è stato più o meno in linea con l’evento precedente del 1998-1999. E che, proprio come allora, dopo l’evento in questione le temperature sono letteralmente precipitate. Qual è l’anomalia attuale quindi? 0.24 gradi.
    È questa l’entità del riscaldamento che sta uccidendo il Globo? 0.24 °C? È questo quarto-di-grado che ha alterato in modo irreversibile la nostra percezione del caldo e del freddo? E l’hockey stick? Dove è andata a finire? Dritta negli occhi dei divulgatori scientifici del mainstream forse. E lo hiatus? Come mai è ancora lì? Forse perché le secchiate di Karl non si applicano in libera atmosfera?
    A chi obbietta che si tratta di dati satellitari ribatto che è proprio a questi che bisognerebbe guardare, visto che la NASA non ha potuto (ancora) alterarli, e visto che a mio modesto parere fanno giustizia del rumore di fondo dei dati terrestri alterati, questi sì, da isole di calore e interpolazioni più o meno fantasiose dei dati mancanti.
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    Fig.5. Anomalie termiche in bassa troposfera. Fonte: http://www.drroyspencer.com
    Conclusione
    Allora? Come la mettiamo? Nevica di più in Groenlandia perché fa più caldo? Nevica e si battono i denti al sud Italia perché fa più caldo? Nevica meno in Valpadana perché fa più caldo? Nevica di più su tutto l’emisfero Nord perché fa più caldo? Fa più freddo perché fa più caldo?
    Oppure fa più caldo e basta, che lo dicono Karl et al. con i loro giochi di prestigio a base di secchi di legno e secchi isolati, e tanto ci deve bastare? Forse l’errata percezione dei nostri alterati sensi fa tutt’uno con le percezioni altrettanto alterate degli strumenti che sfornano i grafici allegati in questo articolo? Gli facciamo fare un bel tagliando all’officina revisione-dati della NASA? O forse qualcosa di grosso sfugge alla ricerca e alla narrativa del mainstream in fatto di global warming?
    .
    Abbiamo fatto cherry picking in questo articolo? Sì, l’abbiamo fatto. E abbiamo l’onestà di riconoscerlo. Non sono certo questi pochi grafici a chiudere il contenzioso sul ruolo dell’uomo nel cambiamento climatico. Ma se qui abbiamo fatto cherry picking, allora cosa ha fatto Mercalli nel suo articolo? Sinceramente non lo so. Forse c’era del picking, ma invece di ciliegie ho come l’impressione che si siano presi soprattutto granchi.
    Eppure mi rimane una strana sensazione. Per buona parte, nella sua brevità, quello di Mercalli è un bel pezzo: didattico, didascalico, si intravede il piacere di fare divulgazione scientifica, di far arrivare al lettore digiuno di meteorologia e climatologia alcuni concetti di base, affascinanti in sè, come tutto quello che attiene al mondo fisico che ci circonda, e a cui l’uomo medio non dedica particolare attenzione.
    È quel finale che stona, così posticcio, quasi un tributo da pagare per la pubblicazione. L’ennesimo stanchissimo disclaimer, l’ennesima foglia di fico a nascondere le tante, troppe vergogne che sottendono alla narrazione attuale del global warming e di un certo salvamondismo che fa acqua da tutte le parti: dal punto di vista scientifico, per la sempre più evidente manipolazione cui sono sottoposti i data set delle temperature mondiali, e dal punto di vista della percezione collettiva, per l’evidenza tangibile e quotidiana che l’arrostimento collettivo antropogenico è ben lontano dal realizzarsi nei termini in cui ce lo descrivono, da decenni.
    .
    Forse non è la percezione comune ad essere sbagliata. Forse è un certo approccio a determinate tematiche pseudo-ambientaliste, molto politiche e poco scientifiche, a mostrare la corda. Qualcuno è dalla parte sbagliata della storia e il tempo dirà se ad essere nel torto erano le percezioni di tanti comuni mortali, le obiezioni dei pochi battitori liberi o, piuttosto, i granitici convincimenti del pensiero allora dominante, e altrettanto intollerante.

    • Rispetto al grafico postato prima, che si fermava a gennaio 2016, l’effetto del Nino è più marcato ed effettivamente supera quello del 1998.
      Il “bello” viene adesso, ho l’impressione che in un senso o nell’altro sarà presto evidente se la teoria dell’AGW è vera o no.

    • Fabio Vomiero on

      Conoscevo il pezzo, ovviamente seguo anche CM. Francamente mi sembra che l’autore si sia risposto da solo: cherry picking.

  13. Saluti a tutti,
    solo quando avremo sufficiente (meglio piena) conoscenza dei:
    -Tutti i fattori e le variabili che concorrono al clima su scala planetaria
    -Metodi deterministici sempre più affidabili per la comprensione dei sistemi complessi non lineari
    -Dati geologici retroattivi sufficientemente estesi e distribuiti su scala mondiale
    allora potremmo, non dico fare previsioni climatiche, ma perlomeno avvicinarci.
    Al momento il mago Otelma ci prende di più.

    • Penso che la situazione non sia poi così negativa. Ma, innegabilmente, Jaco ha la capacità di riassumere in modo pratico e sintetico l’essenza della questione. Lavoro, lavoro e tanto lavoro; arriveremo a capire molto di più del clima della Terra in un prossimo futuro… Per adesso profilo basso e molta umiltà. Cosa che (spero di sbagliarmi… sarò il primo a fare “mea culpa”…) manca moltissimo ai passacarte dell’IPCC e supporter politici vari.

  14. CVD.
    Ma, Htagliato, questa non e’ tifoseria (concordo che sia non bruttina ma orribile nella valutazione dei fatti) ma piuttosto meta analisi, come dice Enzo.
    Enzo, si’ hai ragione, il metaanalizzare non serve ad uno specifico dibattito. E’ che io poi astraggo e vedo sempre lo stesso problema: se trovi delle confutazioni e queste non sortiscono l’effetto di confutare, tanto che poi la storia si ripete identica, a che serve? Come fare per evitare tutto cio’?
    Quanto successo in questo articolo e’ gia’ successo! Qual e’ il senso di tutto cio’, se si trascura il fatto che le confutazioni non sono ammissibili (vedi “fa piu’ freddo perche’ fa piu’ caldo”, cioe’ si disattiva un test di confutazione ma non ci si cura di crearne altri in sostituzione e se non e’ Positivismo questo).
    Pero’ si’ ok al dibattito non e’ utile, non fosse altro perche’ taglia fuori chi vuol concorrere al dibattito per capire come si analizzano i dati sul clima, invece che concorrere al piu’ generale dibattito su come fare per additare ed eliminare questi trucchi triti e ritriti (identici a quelli usati in Cosmologia, per non farmi mai mancare il dentino avvelenato).
    Quindi prolungo il post e faccio anche io la mia analisi sui dati.
    Non ci sono, l’articolo non ne porta, perche’ quel titolo?
    Evvabbe’ allora riassumo i soliti errori che vedo si continuano a fare.
    -Evitiamo di confondere un aumento della temperatura con la tesi dell’AGW, cioe’ che, a causa delle emissioni umane, si avvia un effetto a catena, esponenziale, tale per cui la temperatura esplode. Non e’ possibile che ogni dico ogni discussione a favore dell’AGW tenti di usare questo trucco! Lo leggo nei commenti, non invento nulla. Il fatto che la temperatura aumenti e’ solo NECESSARIO alla tesi AGW (per cui non solo deve crescere, ma deve farlo a stecca di hockey) ed e’ quindi viceversa SUFFICIENTE a smontare tale tesi, se tale aumento non c’e’. Qua si sono invertite le necessarieta’ con le sufficienze invece!
    -Parente a questo trucco e’ il non dire che, dall’alto della nostra ignoranza, l’eventuale effetto dela CO2 potrebbe invece essere logaritmico. Si gioca con le parole belando sulla CO2 intrappolata che si libererebbe, creando l’effetto a catena. No, non confondiamo la produzione esponenziale (eventuale) della CO2 con l’effetto esponenziale (eventuale) della CO2. Avete presente l’effetto logaritmico della verniciatura di un vetro sulla sua trasparenza, no? L’effetto delle passate di vernice e’ logaritmico, potete anche aumentare la produzione delle passate in modo esponenziale, ma l’effetto sull’opacita’ del vetro sara’ una funzione comunque logaritmica. Per sapere il risultato c’e’ da fare una funzione di una funzione, non conoscendo nessuna delle due veramente.
    Quindi, le poche volte in cui si parla dell’effetto runaway, vediamo di non confondere l’esponenzialita’ della produzione con l’esponenzialita’ dell’effetto sull’atmosfera, che e’ il vero punto dell’AGW. Se fossi un alieno, mi aspetterei che tutte le discussioni vertessero su questo punto, che invece viene di solito glissato se va bene, storpiato se va male.
    -Ulteriore trucco usato, lo zoom. Lo zoom a 20 anni mostra temperatura piatta (eh no non mi piace quello zoom), lo zoom secolare mostra una altalena con picchi maggiori al Medioevo e al tempo dei romani (eh no non mi piace), lo zoom millennale mostra una diminuzione (eh no non mi piace). Se invece si usa come zoom da dopo il Medioevo, li’ c’e’ un aumento (ecco questo mi piace. Quanto costa questa scienza?).
    MI domando perche’, quando si parla di certi argomenti, ricorrano perpetuamente i soliti noti errori.
    Ma vabbe’ e’ metaanalisi, un saluto!

    • Fabio Vomiero on

      Nell’articolo non ci sono dati? Ma è sicuro di aver letto l’articolo giusto? A me pare invece che ci siano sia dati che valutazioni concrete, esattamente come promesso nel titolo.

      • Se non ci sono fonti, non ci sono dati. Questo è il timbro di questo sito. Valutazioni concrete? Si, salvo doverle riapprossimare con infiniti “eh sì vero c’è questo aspetto problematico ma confido che…”. Come ho infatti scritto nel mio intervento. Si rilegga il suo precedente articolo di cui ho parlato. Lei non ha incamerato NULLA dai commenti. Enzo le ha mostrato dei grafici che, vedo, ha dimenticato.
        Non capisco il senso di questo doppione.
        A meno che… non sia appunto per mostrare la replicabilità del fatto che l’AGW è solo un dogma immodificabile, per cui servono due articoli identici da confrontare. Ma ecco perché sono partito con la metà analisi.
        Ma ovviamente scherzo. Purtroppo.

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