Un articolo rigorosamente scientifico e documentato sull’effetto della musica sulla mente.
Da cui una riflessione sulle possibili ricadute sociali di determinati brani.
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La pratica cartesiana del dubbio metodico è tutto sommato la spina dorsale di ogni attività di ricerca che voglia mantenere ben saldi i caratteri della serietà e dell’utilità al bene comune. Occorre dubitare, continuamente, di tutto ciò che sappiamo. Sconti, non se ne possono fare. L’epistemologia del Novecento non ha mancato di ricordarci questo aspetto fondativo: occorre continuamente verificare, testare, addirittura cercare di falsificare. Di modo che, più cerchiamo di mettere in crisi le nostre conoscenze, in ogni ambito, più diamo contributo all’edificazione verticale ed orizzontale di una scienza solida, rigorosa, capace di auto-correggersi. La verticalità della scienza, a sua volta, è ancora una bella immagine cartesiana, oltre che platonica: come molti ricorderanno, per Cartesio la scienza è una, e una sola. Matematica, fisica, biologia, chimica, psicologia, medicina, diritto, metafisica, epistemologia, e tutte le altre scienze settoriali non andrebbero intese come stanze di ricerca a compartimenti stagni, ma piuttosto come dialogo diretto, collaborativo ed incessante tra ricercatori, accomunati da una comune tensione alla conoscenza.
Da questo quadretto iniziale dovrebbe risultare chiaro come mai sia sempre il dubbio filosofico, quello appunto del metodo cartesiano, a dover fare in qualche modo da guida e da sentinella.
Ed eccoci serviti: la sentinella del dubbio ha percepito un movimento sospetto.
Altolà.
Che fa la musica? Qual è il suo potere – se c’è – sulla mente umana?
Che cosa può passare, attraverso il linguaggio musicale, nella fase di costruzione della personalità dei più giovani?
Com’è facile notare si tratta di una domanda che chiama a rapporto diverse scienze: dalla neurologia alla matematica, dalla fisica alla chimica, dalla psicologia alla filosofia della mente (della quale, guardacaso, sempre il nostro Cartesio è stato il primo maestro).
Solo con uno sguardo integrato sarà possibile cercare di avanzare qualche ipotesi davvero significativa.
Gli effetti della musica sul cervello non sono ancora completamente conosciuti. Abbiamo un cospicuo numero di ricerche, abbiamo anche degli esprimenti significativi: insomma, sappiamo qualcosa. Ma di come, fino a che punto e fino a quando la musica agisca sull’individuo in età evolutiva, sappiamo invece pochissimo.
Uno sguardo d’insieme ci dice che l’esperienza musicale è una costante in tutte le culture, fin dalla preistoria, ma ancora non è chiaro quale sia l’origine del piacere che proviamo ascoltandola e deimeccanismi che si mettono in moto quando ne siamo coinvolti. Al di là delle ricerche che si basano sulla TEP (tomografia ad emissione di positroni), che cosa succede, nel medio e lungo periodo, ascoltando la musica? E soprattutto, in altre parole:
Esiste un’influenza della musica sui ragazzi?
E se sì, quale?
Partiamo da un dato: la musica dà piacere. Due studi, in particolare, hanno contribuito a far luce sui meccanismi cerebrali coinvolti nel piacere della musica: “Il primo rivela che un brano musicale suscita piacere anche quando lo si ascolta per la prima volta grazie all’attivazione di alcune aree legate ai meccanismi di aspettativa e ricompensa. Il secondo studio dimostra invece che al di là delle differenze individuali, l’ascolto della musica classica evoca in tutti lo stesso schema di attivazione delle strutture cerebrali” (cit. da Le scienze).
In questa ricerca pubblicata su Science, “visualizzando l’attività di una particolare area cerebrale, il nucleus accumbens (1), coinvolto nei meccanismi di ricompensa, è stato possibile prevedere in modo affidabile se i soggetti avrebbero offerto del denaro per riascoltare un certo brano“. Entra in gioco la dopamina (2), ma lo stimolo musicale va ben oltre la mera sensazione di benessere: “L’attività del nucleus accumbens, […] non è isolata […] nel corso dei test, quanto più il pezzo era gratificante, tanto più intensa era la comunicazione incrociata tra le diverse regioni cerebrali. Questo risultato supporta l’idea secondo cui la capacità di apprezzare la musica faccia riferimento non solo agli aspetti emotivi, ma anche a valutazioni di carattere cognitivo”.
Nel secondo studio, invece, sempre in tema di reazioni cerebrali alla musica, Vinod Menon e colleghi della Stanford University School of Medicine, autori di un articolo pubblicato sullo “European Journal of Neuroscience”, hanno mostrato che l’ascolto della musica classica evoca un unico schema di attivazione delle aree del cervello a dispetto delle differenze tra le persone.
Quello che sembra lecito dedurre – da quanto riportato – è che “la” musica mette in moto, nell’uomo, dei meccanismi universali, che vanno al di là sia della tipologia della musica che viene ascoltata, sia dalla particolarità dell’ascoltatore. Sembra quindi altrettanto lecito dedurre che, qualora sia possibile padroneggiare compiutamente questi meccanismi universali, sia possibile, attraverso “le” musiche, ottenere degli effetti che vanno al di là del piacere musicale.
Quest’ipotesi sembrerebbe trovare conferma in un altro aspetto della musica: il suo possibile utilizzo in fase terapeutica. A questo proposito si è addirittura parlato di “musica” per guarire l’ictus: “La Nona di Beethoven, – leggiamo sull’inserto Salute del Sole 24 ore – un minuetto di Mozart o l’ultimo singolo della pop star del momento: per i pazienti colpiti da ictus ascoltare i brani musicali preferiti potrebbe rappresentare una vera e propria terapia di recupero. Lo sostiene una ricerca dell’Accademia inglese per le scienze, secondo la quale le melodie e le strofe più amate dai pazienti agirebbero da stimolo cerebrale per il recupero dei deficit visivi che si registrano nel 60% dei casi di occlusione cerebrovascolare”.
Non stiamo parlando di magia, ma, esattamente alla maniera di Cartesio, della connessione mente-corpo e di reciproca influenza.
I fondamenti neuroscientifici della musicoterapia sono del resto oggetto di ricerche e di corsi universitari. Da anni. Un esempio?
Scrive il professor Enrico Granieri, ordinario di Neurologia, Direttore della Sezione di Scienze Neurologiche, Psichiatriche e Psicologiche, del Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università degli studi di Ferrara: “Le reazioni del sistema vegetativo suscitate dalla musica, avevano in origine un preciso significato biologico: quando il cucciolo sente la voce della madre, i suoi peli si rizzano e lo riscaldano. […] Ognuno di noi ha potuto avere avuto esperienza dei brividi di piacere suscitati dalla musica; – durante questa sorta di orgasmo della pelle a livello cerebrale si attiva il sistema deputato all’analisi delle emozioni e alle gratificazioni proprio come quando si prova eccitazione sessuale o si assumono droghe. Nessuna altro mezzo di comunicazione è in grado di provocare reazioni emotive altrettanto forti“. (La sottolineatura è mia)
E ancora: “la musica è psicologicamente olistica nel senso che coinvolge tutto il cervello in quanto le sue differenti componenti sono verosimilmente processate attraverso circuiti diversi […] A livello cerebrale gli ascoltatori e gli stessi musicisti hanno diverse risposte emotive ed intellettive a diversi tipi di musica“. (Il corsivo è mio)
E ancora: “Impiegata in modo esclusivo o come coadiuvante di altri trattamenti […] La musica, –depolarizzando l’attenzione e – rendendo labili i flussi informativi che non provengono dal messaggio musicale, […] introduce il soggetto in un’atmosfera psicologica dove si fanno più labili le relazioni con gli aspetti consci della personalità e più favorevoli le condizioni per vivere in modo più intenso i propri contenuti profondi”. (Anche qui, la sottolineatura è mia).
E quindi: “Si aggiungono effetti secondari come la riduzione della tensione psichica,l’abbassamento o l’innalzamento delle formazioni difensive, l’instaurazione di riflessi condizionati, e altre manifestazioni che, opportunamente controllate e analizzate, possono essere utilizzate a fini terapeutici”.
“Opportunamente controllate“, E più sopra, allo stesso modo: “depolarizzare l’attenzione“. Abbassare le difese. Insomma, da quanto abbiamo letto sulle possibili proprietà terapeutiche della musica risulta chiaro che dalle stesse proprietà si possono ottenere, almeno in linea di principio, ben altri effetti.
Molto studiato è anche il legame tra musica e memorizzazione, quindi tra musica e memoria. Da quello che sappiamo sembra che alla memoria per la musica sia adibita una
zona cerebrale indipendente dalle altre. D’altra parte, la musica entra in gioco nei processi di memorizzazione. La musica aiuta la memoria, questo lo sappiamo. Molto probabilmente in quanto chiama in causa la parte più profonda e antica del nostro cervello.
Robert Zatorre, uno dei fondatori del canadese laboratorio di ricerca Brain, Music and Sound, ha mostrato che dal momento della loro percezione da parte dell’udito, i suoni vengono trasmessi al tronco cerebrale prima e alla corteccia uditiva primaria poi; gli impulsi viaggiano quindi in reti cerebrali importanti per percepire la musica e per immagazzinare quella già ascoltata. Si formerebbe così una sorta di data-base mnemonico in grado di facilitare l’acquisizione e la memorizzazione di nuove melodie e così via.
Quindi, la musica non è solo un’attività artistica ma anche e soprattutto una forma di comunicazione eccezionale, l’unica in grado di evocare e rinforzare le emozioni in una sorta di presa diretta sulla parte più profonda del nostro cervello, abbassando le nostre difese, colpendoci in qualche modo là dove non abbiamo la possibilità di esercitare difese critiche di tipo razionale. Il meccanismo di rilascio di dopamina, implicato in questo processo, inseriscono pienamente l’ascolto della musica (al pari di cibo, sesso e droghe, per intenderci) nella cerchia di quei fattori che sono in grado di operare a basso livello nella costituzione della personalità, creando un legame molto forte tra il circuito cerebrale sottocorticale del sistema limbico, formato da strutture cerebrali che gestiscono le risposte fisiologiche agli stimoli emotivi, e la nostra rappresentazione del mondo, oltre che del sé, che ne deriva.
Come scrive Cristina Tognaccini
“A prescindere dal tipo di musica che si ascolta o si pratica, musica e canto hanno profondi effetti su ciascuno di noi, sono in grado di raggiungere l’ascoltatore ed evocare particolari emozioni, riportare alla mente immagini e ricordi. Possono indurre sentimenti, reazioni del sistema vegetativo, variazioni del ritmo cardiaco e del respiro, ma anche motivazione al movimento. Riduce l’ansia, la depressione, il dolore, rafforza le funzioni sociali, induce modificazioni cerebrali e attiva le aree del sistema dei neuroni specchio. L’ascolto della musica colpisce una serie intricata di sistemi di elaborazione cerebrali, come quelli connessi all’elaborazione sensoriale-motorio, o implicati nella memoria, nelle emozioni o cognizioni mentali o nelle fluttuazioni dell’umore”. (fonte)
Fin qui, dunque, la sintesi di ciò che al momento sappiamo sulla musica e sulla sua interazione con i processi cognitivi o le aree più profonde del nostro cervello, legate all’istinto o all’emotività. La musica dà una forma particolare di piacere, è implicata nel rilascio di dopamina, agisce sulla nostra memoria, permette addirittura di curare l’ictus, riduce l’ansia, ma abbassa anche la nostra capacità di renderci conto di ciò che (ci) succede a quando l’ascoltiamo.
Un’ultima nota. Esiste un programma in grado di farci vedere, in tempo reale, quali sono i brani musicali più ascoltati, nel mondo, in un dato momento. Insomma: c’è chi può valutare, in tempo reale, quali siano gli effetti commerciali delle produzioni musicali e quindi presumibilmente di prevedere quali siano attualmente le sonorità destinate al successo e quali invece dagli esiti incerti.
E’ a questo punto, che il dubbio filosofico si fa strada: che succede, se mettiamo tutto quello che sopra è stato ricordato, sul tavolo dell’età evolutiva?
Come valutare gli effetti, a medio e a lungo termine, di ciò che i ragazzi ascoltano?
Propongo un solo caso – temo che valga per tanti altri – in cui il dubbio dovrebbe portare ad attenta riflessione, proprio in quanto si tratta di musica destinata ai più giovani, in questo momento ascoltata in tutto il mondo.
Raccomando al lettore di guardare il video per la prima volta senza audio: fatelo scorrere muto. Solo in un secondo tempo riguardatelo alzando il volume.
Ciascuno può trarre da sé le proprie logiche conclusioni:
A questo punto possiamo ritornare alle domande iniziali:
Che fa la musica? Qual è il suo potere – se c’è – sulla mente umana?
Che cosa può passare, attraverso il linguaggio musicale, nella fase di costruzione della personalità dei più giovani?
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24 commenti
Ho fatto l’esperimento proposto da Benigni: la prima volta che ho visto il video (senza volume), sembrava di vedere un film dell’orrore su una setta satanica. La seconda volta, la musica me lo ha fatto apparire meno disturbante, più sopportabile ed ero indotto a prenderlo meno sul serio.
Non so se si tratta di un abuso del potere della musica, i video servono in genere solo a catturare l’attenzione e a fare pubblicità per il cantante, però ciò che ci insegna Benigni nel resto dell’articolo potrà risultare utile per comprendere certe dinamiche comunicative.
un po’ come quando mettono una bella gnocca vicino alla macchina, della macchina non te ne fregherebbe nulla ma attivano l’attenzione attraverso la sessualità istintiva e così noti pure la macchina.
Grazie, HTAGLIATO. Il mio dubbio, in effetti, è questo: non è che con una musica particolarmente orecchiabile vengono fatti passare ben altri messaggi? Io l’ho ascoltato un paio di volte. Sarò scemo, ma mi si è fissato in testa e mi sono ritrovato a fischiettarlo. Un bel motivetto, non c’è che dire. Immagino abbia venduto parecchio. Che bisogno c’era di fare un video di questo genere?
Molto interessante il tema trattato oggi da Benigni direi in maniera molto brillante ed esaustiva. Ci si può anche facilmente rendere conto di come esista un’ampia e robusta letteratura scientifica in merito, insomma ascoltare e studiare buona musica serve eccome, fin dalla nostra esistenza in utero materno. Per quanto riguarda l’età evolutiva sembra sia molto importante per le facoltà intellettive anche imparare a suonare uno strumento musicale, conoscevo per esempio un interessante studio elaborato dalla Pediatria dell’Università di Padova al riguardo, ma che non sono più riuscito a rintracciare. Il problema però è un altro, come sollevato in parte mi sembra anche dallo stesso Benigni. Cosa si intende oggi per musica? Qual è il reale panorama musicale in cui si trovano immersi i nostri ragazzi? Parte di quella che ascoltano si può definire musica? O si tratta di immondizia musicale come diceva Franco Battiato? Certa musica “di successo” che si ascolta oggi è ancora in grado di stimolare positivamente i meccanismi neurofisiologici che abbiamo visto nell’articolo o piuttosto è in grado di generare un effetto contrario? A maggior ragione poi se accompagnata da video inquietanti tipo quello proposto.
Grazie FABIO VOMIERO. Traspare dal suo commento tutta la preoccupazione – condivisibile, a mio parere – per quello che succede *ai* ragazzi, o forse *nei* ragazzi, mentre noi chissà, o non ci accorgiamo di niente o ci facciamo prendere da inutili allarmismi.
Grazie ad Alessandro per questo articolo che porta in modo professionale l’attenzione su determinati aspetti della comunicazione, in questo caso si usa un metodo conosciuto presso delle sette a sfondo sessuale, l’associazione di sensazioni di piacere con qualcosa di ripugnante o doloroso induce a non diffidare e infine alla ricerca di quell’esperienza.
Lo spettatore viene indotto dalla musichetta allegra a ritenere divertenti le sevizie al protagonista del video e in ultima analisi ad essere indifferente alla sua sofferenza.
Solo una superficialità estrema può far passare messaggi come questo come innocue espressioni artistiche. La musica così come l’arte hanno formato le generazioni del passato “pictura est laicorum literatura”.
Ottimo articolo, che ho apprezzatto anche in qualità musicista dilettante.
Da “scienziato” ho apprezzato soprattutto l’esperimento del video — che già anni addietro avevo effettuato, su suggerimento di un amico illustre filosofo di cui tacerò il nome, con “Sweet Dreams” degli Eurythmics (dove l’effetto è opposto: pezzo inquietante ma video sereno e rilassato) e “Radio Ga Ga” dei Queen.
Grazie, GIULIO PETRUCCI. Sono anch’io musicista dilettante (ho suonato per più di vent’anni nella Gene Gnocchi band 🙂 ) ma mai mi ero accorto e nemmeno sospettato, a dirla tutta, di quanto ci fosse dietro l’eccitazione del musicista / ascoltatore. Ho dato un’occhiata ad i video che ha suggerito: accidenti, ha ragione! Va tutto preso con le pinze, naturalmente. Un rapporto necessario di causa / effetto è razionalmente poco sostenibile. Credo. Ciò tuttavia non implica affatto che questa strada di ricerca vada perseguita, fino a scoprirne errori, sentieri interrotti, piste false e perché no, qualche verità che ci aiuti a proteggerci. E, soprattutto, ad indicare ai più giovani quali sono i rischi che eventualmente si possono correre.
Grazie ancora
Ciao Alessandro. Grazie a te per l’articolo, piuttosto. Giusto per aggiungere due parole: il pezzo in questione è (purtroppo) un gran pezzo: suonato bene, prodotto bene, arrangiato bene, scritto bene — melodia ruffiana, atmosfera allegro/sentimentale. Il testo è praticamente *innocuo*. Ma il video è inquietante. Qualcosa sul regista, lo sappiamo?
Le forme comunicative alternative alla parola sono moltissime , e gli esperti di comunicazione sanno benissimo quali sono i meccanismi e i messaggi che possono essere passati con le parole, e quali invece necessitano di altre forme indirette (musica, postura, colori, etc etc).
La musica è certamente uno dei veicoli più potenti, ed il video postato ne è la dimostrazione, mettendo in voluto contrasto due forme comunicative (le immagini ed il suono) e producendo un risultato diverso da quello ottenibile se immagini e suono fossero state coerenti l’una all’altra.
Sicuramente ogni forma comunicativa necessità di una opportuna educazione, e su questo i genitori sono fondamentali . Vale per la musica come per le arti figurative, il cinema , la lettura, etc.
Tra le forme comunicative poi ce ne sta una che le raccoglie tutte insieme, che è il web, attraverso il quale queste forme arrivano fuse e miscelate come mai si poteva pensare un tempo, aggiungendo tra l’altro l’interazione tra emittente e ricevente, sicchè finisce che ,spesso, sia più il secondo a condizionare il primo (il giudizio espresso con le varie tipologie di feedback modifica il comportamento del produttore di contenuti quasi in tempo reale).
Detto questo credo che lentamente la società si attrezzerà a vagliare in modo sempre più critico i messaggi che riceve, identificandone il meccanismo comunicativo perverso e , di fatto, smontandone l’efficacia. E’ sempre avvenuto che modalità comunicative nuove sono state efficaci per un tempo limitato.
E’ una società complessa, ma i meccanismi comunicativi utilizzano sempre le stesse leve.
Da sempre la colonna sonora è un sistema per trasmettere una emozione più efficace delle immagini, pensiamo alle opera (l’Aida per esempio) o agli elicotteri di Apocalypse Now con il sottofondo wagneriano o al “menomale che Silvio c’è” durante le convention del PDL/FI di qualche anno fa.
E’ un sistema che usano tutti, buoni e cattivi, e bisogna educare i propri figli a saper capire , senza eccedere negli allarmismi , ricordandoci che viviamo nella società del colore e del rumore, e fortunatamente gli stimoli sono talmente tanti che spesso pure quelli negativi vengono per essere talmente diluiti da essere perduti.
Bella ed acuta osservazione, MENTELIBERA65, che condivido e faccio mia. Grazie.
Grazie a lei per lo stimolante articolo!
Buonasera.
Con molto piacere torno a commentare, dopo un’estate finita sotto i ferri, mesi di assenza di connessione, e l’inizio di una nuova fase di vita (quella universitaria).
Ho piacere nel salutare il recentemente aggiuntosi articolista, prof. Benigni, di cui ebbi occasione di leggere altri articoli addietro.
Ammetto in sincerità che la mia personale lettura dall’inizio fin quasi la fine di tale articolo fu un poco segnata da diffidenza; gli effetti della musica sono di grande interesse (non serve parlare del grande affinamento dell’arte dell’inganno subliminale a sfondo ideologico e commerciale nel XX secolo), tuttavia ritengo, per così dire ad intuito, che molti studj contemporanei sulla musica ed i suoi effetti sulla gente siano viziati da un approccio riduzionistico, nonché da una mancanza del senso della storicità e del divenire storico-geografico del linguaggio musicale, che fa della comprensibilità di un qualunque tipo di musica una proprietà affatto contestualizzata e difficilmente generalizzabile: non ritengo che la musica sia un linguaggio universale, e lo dico da musicista e compositore più che dilettante, in vero.
Mi sono dovuto ricredere provando a fare l’esperimento proposto; ho fuggito dopo pochi secondi la vista di quelle immagini immonde ed atroci. Né volli degnarmi di ascoltare quella sorta di villania suonata degenerata, buona per arrostire i polli.
Il degrado dell’espressione musicale nell’ultimo secolo (così come di quella artistico-figurativa e letteraria) nella civiltà occidentale ha seguito la polarizzazione dei conflitti in giuochi elitaristici d’interesse sempre più subdoli e sozzi (ciò che ormai è oggi la “guerra fra bande” di cui si è tanto ragionato su CS).
La musica pop in ogni sua caratterizzazione (i vari “generi”, che si sostentano più come nomi che come sostanze) si è sempre più delineata nei decenni per ciò che realmente è: espressione di vezzosità e ferocità idiota e bestiale, dell’atomismo postmoderno volto alla divisione ottusa delle genti nelle mode. Le mode, ovvero quanto distrugge la cultura, o l’espressione organicistica dello spirito umano.
Da anni boicotto la musica contemporanea rivolgendomi solo all’ascolto e studio della tradizione colta occidentale (ma mi diletta anche l’etnomusicologia, debbo dire, pur ammettendo la mia grande ignoranza al riguardo). E’ per me un dovere morale, volto al diniego della sozzura auto-distruttiva cui si avviluppano l’Occidente e il mondo intero per mezzo delle proprie oligarchie politico-economiche (si potrebbe scrivere un trattato sull’asservimento dello star system a tale stato di cose: una schiera di persone orribili e corrotte che la gente ingenuamente stima).
Chiedo scusa per il profuso un po’ esaltato, ma musica e cultura mi sono particolarmente a cuore.
Un grazie al prof. Benigni per questo prezioso articolo.
Grazie Alio, e soprattutto, ben tornato.
Salve Alio bentornato.
La cito : “La musica pop in ogni sua caratterizzazione (i vari “generi”, che si sostentano più come nomi che come sostanze) si è sempre più delineata nei decenni per ciò che realmente è: espressione di vezzosità e ferocità idiota e bestiale, dell’atomismo postmoderno volto alla divisione ottusa delle genti nelle mode. Le mode, ovvero quanto distrugge la cultura, o l’espressione organicistica dello spirito umano”
Io credo che lei abbia diritto a studiare e sentire la musica che più la aggrada, ma penso che stia descrivendo in modo inappropriato l’evoluzione musicale degli ultimi 100 anni, che è stata anche protagoniste ed in qualche caso motore di una rivoluzione sociale e di costumi di cui lei stesso fa parte e magari approfitta, evidentemente in modo inconsapevole.
Le mode sono sempre esistite (basta vedere i vestiti del 600) e se erano poco diffuse era solo un problema economico , non certo di culture. Ed i generi musicali sono sempre esistiti , ed in continua evoluzione, anche in quella che lei chiama musica colta, ed infatti sono note le polemiche tra i vari compositori del passato che si accusavano vicendevolmente di tradire la musica mentre evolvevano il genere.
Quella che lei definisce musica colta era però, fino alla nascita del Grammofono, musica per pochi, per una elite, che necessitava di strumenti costosi ed un numero elevato di musicisti.
La musica popolare, e gli strumenti legati alla musica popolare, e poi la tecnologia , hanno allargato a dismisura la penetrazione della musica, con l’effetto evidentemente di abbassarne magari la qualità virtuosistica (ma la invito a sentire qualche pezzo di chitarra elettrica dei Dream Theatre, o magari qualche vecchio pezzo Jazz dei Weather Report) ma elevandone la popolarità ed anche la capacità di trasmettere messaggi ed emozioni dirette e per tutti.
Lei parla di vezzosità, ma non sarà che uno dei difetti della musica popolare ai suoi occhi è proprio quello di venire dal basso e dal popolo ?
Come dimenticare le canzonette che hanno fatto e segnato la storia, da Lili Marlen a Blowing in the Wind, buone eredi del “va pensiero” 800centesco ?
Poichè la musica è per l’uomo, e non l’uomo per la musica, ogni forma espressiva ha una sua dignità ed è legata al suo tempo. La musica non si divide in vecchia a nuova, colta e popolare, ma in buona e cattiva , ed ogni tempo ha avuto la sua buona musica.
Gli esseri umani anche nel periodo della “musica colta” , sono stati capaci di atti immondi e criminosi , non meno che adesso, ed erano limitati soltanto dalla indisponibilità di strumenti di distruzione di massa , prontamente poi utilizzati mano a mano che venivano inventati.
Non facciamo sempre il mito ideologico del passato .
Salve Mentelibera65 e buon inizio delle vacanze invernali.
Ho sempre apprezzato i Suoi interventi sempre equilibrati, ponderati e rispettosi, non ultimi la Sua critica costruttiva alle mie asserzioni ed il Suo altro intervento al presente articolo.
Mi permetto di organizzare il discorso per punti, di cui Lei riconoscerà la matrice rispettivamente all’organizzazione del Suo discorso:
1) Non dubito della grande influenza dell’evoluzione musicale dell’ultimo secolo nei costumi quotidiani di ognuno, i quali riconosco o almeno tento di riconoscere consciamente; trattasi di costumi la gran parte dei quali mi par di carattere neutrale o al più neutral-positivo (e.g. una minor istericizzazione nell’abbigliamento femminile) o peggio negativo (l’ipersessualizzazione degli atteggiamenti, la maleducazione come riconosciuto modo di comunicazione, la banalizzazione della protesta intellettuale di massa in atti spesso sconclusionati e disorganizzati). Personalmente mi riconosco poco nel costume di una larga parte dei miei coetanei;
2) Non ha torto, tuttavia ciò che è cambiato è il valore assunto dalla moda: se prima la moda era appannaggio delle classi più agiate come espressione della frivolezza, dell’imbecillità e vacuità d’animo di queste, al giorno d’oggi la moda è un totale sostitutivo (distruttivo) massificato della cultura, che si profila come fattore di divisione e manipolazione edonistica delle coscienze;
3) Ha ragione, tuttavia (tralasciando il fatto che virtuosismo sia tutto, meno che sinonimo di qualità musicale) si è proprio sicuri che ciò a cui possa massimamente aspirare la musica sia la mera e iterativa comunicazione di emozioni prosaiche, trite e ritrite? Oppure la musica può veramente essere un’attività di ricerca universalistica, della riflessione dei sentimenti più fini e delle proporzioni e delle architetture più inaudite?
Boezio giunse a distinguere la musica per gli effetti che fosse capace di suscitare in musica per “cohonestare” o elevare gli spiriti e per “evertere” o corromperli (ma già Platone faceva simili distinsioni, ed in un passo della Repubblica se non erro giunse a criticare la nuova frivola musica lidia di cui si andava dilettando la gioventù ateniese). L’unica musica capace di elevare lo Spirito è l’Intelletto è la musica “humana” ovvero dell’introspezione conoscitiva dell’uomo; ebbene, nessuna delle non numerabili canzonette del Novecento corrisponde a mio dire ad una musica capace di perseguire questi scopi;
4) La vezzosità o villania di un’espressione estetica (o presunta tale) prescinde sicuramente dalla sua origine, per cui qui ci troviamo sicuramente d’accordo;
5) Non ho mai amato eccessivamente l’opera e più in generale il mero melodismo; ad essi preferisco la polifonia e il contrappunto;
6) Le do ragione nel correggermi: colto non è sinonimo di buono, ed ho certo abusato della parola nel mio commento di cui sopra. Il mio pensiero, tuttavia, è che la bontà di un’espressione estetica non prescinda da una sentita riflessione (intellettuale o patetica, o ambedue) sul Sé e sul mondo; ciò, contestualizzato alla musica dell’Occidente, vale a dire che non tutta la musica colta è buona, ma certamente tutta la buona musica è colta (non si può riflettere e creare senza preparazione e strumenti adeguati);
7) Lungi dal voler mitizzare il passato, spero di aver in un certo senso risposto con le riflessioni di cui sopra.
Gentile Alio, ha risposto in modo più che esauriente ed ora concordo molto di più con lei. La ringrazio anche per il garbo.
Per quanto concerne la musica o le canzoni del ‘900 io credo che ci siano persone che raggiungono livelli di gioia interiore seguendo un’aria di Bach, e quelle che la raggiungono seguendo altre musiche, perchè alla fine la musica è una emozione che scaturisce dall’incontro delle vibrazioni dell’aria con un essere umano. Ogni ascolto quindi è personale ed unico. Io amo la musica classica, ma come avrà capito amo sopratutto chi ama la musica ed ho conosciuto autentici innamorati moderni di musica, musicisti in cui a ben vedere si riconosce la stesso lampo di luce dei precursori classici. Le emozioni dell’uomo non cambiano, cambia il contesto e la cultura, ma sempre l’uomo vive di emozioni.
Di certo , come in molte branche umane, quello da cui ci dobbiamo veramente difendere a tutti i costi sono le emozioni a basso costo, che derivano dalla superficialità , che a causa dei tempi sempre più veloci, ormai pervade tutto, dalla musica alle lettere alle arti figurative ed anche a quelle arti che venivano considerate minori ma che venivano comunque svolte con una cura diversa.
Abbiamo però , nei tempi moderni, altre cose di cui poter essere soddisfatti , che con tutto questo mediano….ed alla fine….se il cielo ci ha posti in questa generazione, chi siamo noi per criticar certe scelte ? 🙂
In fondo diciamolo…accendere i termosifoni quando fa freddo, aprire il frigo e trovarlo spesso pieno e poter godere di un concerto dalla poltrona di casa sentendolo come se si fosse al centro dell’orchestra (ho potuto ascoltare degli impianti hi-fi che lasciano sbalorditi) sono comodità moderne, che un po ci fanno rivalutare i nostri tempi.
Grazie a Lei per lo scambio proficuo. Concordo sostanzialmente con tutto quanto detto da Lei. In particolare, sono il primo a riconoscere l’importanza, la bontà e la bellezza (scientifico-ingegneristica, intendo) di buona parte dell’avanzamento tecnologico del tempo d’oggi.
Pardon, mi accorgo ora di alcuni errori di scrittura nei messaggi di cui sopra.
Dimenticate però che nell’era moderna viviamo immersi nella musica, cosa impensabile fino a solo 70 anni fa.
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Sopratutto i giovani si isolano dal resto del mondo costantemente “cullati” da qualche musica, che sia classica, pop, metal o funky.
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Non è una cosa da sottovalutare, so di gente che ascolta musica, anche sempre lo stesso genere o addirittura canzone, finchè stufa, per decine di ore filate.
Se è per questo allora vogliamo valutare quella che secondo me sarà la prossima mutazione genetica che confermerà il darwinismo e getterà nello sconforto il nostro Enzo ?
Prima o poi nascerà per forza un bambino con uno smartphone al posto delle 4 dita , ed il solo residuo , il pollice , per digitarci sopra 🙂
Osservazione interessante, quella sul metodo di fruizione consumistico della musica. Per quanto mi riguarda diniego tale modo di concepire l’esperienza musicale. Passo un buon tempo a suonare, ma non troppo ad ascoltare (scelgo momenti calmi e ispirati verso la sera in genere); non ho “playlist” (parola che uso ora per la prima volta) né impiego dispositivi elettronici fuorché il computer domestico per ascoltare le mie esecuzioni ed interpretazioni preferite nella rete (quando avrò più possibilità, mi convertirò ai dischi, uh uh!).
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