Parafrasando Wittgenstein
(“su ciò di cui non si può parlare si deve tacere”…).
Di Alessandro Benigni
Come è facile notare, il riferimento al vero e al falso rimane ineludibile: quello che si dice è vero o falso? Se la risposta è “dipende”, allora: da cosa dipende?
La stessa nozione di “post-verità” non può che fare riferimento alla verità stessa, sia pure come a qualcosa che si vorrebbe superare, o che secondo qualcuno sarebbe già superato, in una definizione che però a sua volta non solo rimanda problematicamente al concetto di verità, ma può essere esso stesso giudicato “vero” o “falso”, in quanto tale.
Vero “o” falso, non vero “e” falso.
In altre parole, l’ovvietà della domanda sulla verità è inevitabile. E la leziosa e stucchevole, oltre che banale forma di difesa dei sostenitori del relativismo conoscitivo (la pretesa ricollocazione dell’intero discorso entro l’ambito probabilistico dell’intepretazione, della narrazione, delle opzioni valoriali e così via), appare fin dalle prime battute del tutto inutile, in quanto ad ogni tentativo di dissoluzione si può sempre ripetere l’obiezione binaria: se tutto ciò che si pensa sia effettivamente riducibile o meno, e per quali motivi.
Il grande nemico, il braccio destro dell’Impero*, contro cui non possiamo stancarci di lottare è il Relativismo. In ogni sua forma culturale, a partire dalle più seducenti (e folli). E’ infatti un tratto tipico dei nostri tempi una sorta di auto-celebrazione sociale della follia (o meglio di una manifestazione specifica di psicosi) senza precedenti, in ogni angolo del pianeta ed in ogni forma per ora immaginabile. La destrutturazione narrativa della realtà, così come la negazione della ragione, è ormai un elemento dominante del mondo oggi socialmente condiviso. Molte forze sono al lavoro, in sinergia, per ridurre tutto ad interpretazione, a narrazione, a opinione, a “pancia”, a “post-verità”.
Tra tutte le dinamiche in campo (molte delle quali hanno una storia filosofica lunghissima) quella più sconcertante per la sua pervasività è senz’altro il riduzionismo para-scientifico, operante nella visione naturalistica del mondo e della scienza. Una visione ormai imperante, non c’è che ammetterlo, ed assunta acriticamente a dogma scientifico, in particolare dal darwinismo in poi, che prende ancora il nome di Naturalismo.
Nelle brevi riflessioni che seguono, vorrei dunque proporre una specifica critica al Naturalismo, intesa come una forma particolare di difesa con cui si può (e si potrà sempre) contrastare, dal piano logico, qualsiasi forma generale di Relativismo.
Il modello che seguiremo è quello offerto dal logico e filosofo Edmund Husserl (1859 –1938).
La critica al Naturalismo, non a caso, costituisce una delle costanti più significative del pensiero di Husserl: per il filosofo tedesco, l’antinaturalismo ha un invincibile fondamento logico ed una coerente esplicazione nell’esercizio del metodo fenomenologico, di cui Husserl è padre, e costituisce infine un legame teoretico incessante, che fa da ponte tra la gnoseologia e l’etica. Tralasciamo la pars construens del discorso husserliano, che richiederebbe un’esposizione sintetica di che cos’è la Fenomenologia, e concentriamoci invece sulla pars destruens.
Dalle prime opere, ma in particolar modo a partire dal lungo articolo La filosofia come scienza rigorosa (siamo nel 1911), il Naturalismo diventa per Husserl un bersaglio polemico costante ed inevitabile proprio in quanto profondamente ed inscindibilmente legato al Relativismo, che è al tempo stesso causa ed effetto dell’ideologia naturalista.
Nella Filosofia come scienza rigorosa Husserl sembra muoversi su due livelli (concettualmente distinti ma sempre intrecciati sotto il profilo dell’esposizione): quello della riflessione sulla crisi della filosofia e della denuncia delle illusioni del Naturalismo, dello Psicologismo e dello Storicismo (le tre grandi radici del Relativismo culturale e filosofico).
L’argomentazione di Husserl è lunga e complessa, tuttavia è possibile esporne una sintesi eseplificativa.
Mentre lo Storicismo assume sfacciatamente una posizione relativista, dal momento in cui afferma che la verità è figlia del tempo (e quindi mutevole nelle sue forme e nelle sue rappresentazioni storicamente date e circoscritte), lo Psicologismo, considerando i concetti ed i pensieri come meri eventi mentali, si declina in una forma di Naturalismo più sottile ed insidioso, che ci porta ad interpretare la Logica come una branca della Psicologia. Da ciò deriva che l’impossibilità di ammettere come entrambe vere proposizioni contrarie, per esempio, non deriverebbe tanto dalla validità in sė del principio di non-contraddizione, quanto piuttosto dal fatto che la psiche umana “si è evoluta” in un modo tale che le impedisce di pensare contraddittoriamente. Per l’ideologia naturalista, se noi abbiamo una certa concezione, una certa logica (e così via), ciò dipende in sintesi dalla nostra costituzione psichica, che potrebbe anche essere diversa: da qui l’abdicazione rispetto a qualsiasi forma di verità incontrovertibile.
Da questo punto di vista lo Psicologismo non è che una variante del Naturalismo, il quale considera le leggi logiche come espressione delle leggi di funzionamento fisiologico del cervello.
In base a questa prospettiva, quindi, la Logica deriva da una certa struttura del cervello e se – in conseguenza dell’evoluzione – dovesse cambiare la configurazione cerebrale, cambierebbe, di conseguenza, anche la Logica stessa.
Siamo già nel bel mezzo di un corto circuito logico abbastanza evidente: si sta logicamente affermando, con pretesa di verità, che la logica è relativa e che la verità non è assoluta.
Da quanto detto risulterà chiaro che, allo stesso modo, lo Psicologismo ed il Naturalismo sono per Husserl entrambe forme di quel Relativismo soggettivista che non intende mai il vero e il falso in modo assoluto, ma sempre in relazione alle strutture biologiche e psicologiche dell’uomo, anzi, in loro stretta dipendenza. Strutture storiche, se si parla di Storicismo, ma con esiti analoghi: lo Storicismo è ugualmente portatore di conseguenze relativiste là dove non ammette che il pensiero possa avere una validità al di fuori dei confini del contesto storico in cui esso sorge. Ma sempre, beninteso, tutta questa montagna di relatività viene affermata con pretesa di legislazione universale.
In questo modo, ciò che è vero per un essere vivente dotato di un certo tipo di cervello (e quindi di mente), potrebbe essere falso per un soggetto dotato di un differente tipo di mente e di cervello.
Siamo così al cuore dell’argomento di Husserl: questa – del Naturalismo – è una concezione insostenibile ed evidentemente contraddittoria. Per questa via infatti – osserva Husserl – si viene a negare l’idea di universalità e di necessità della ragione e si giunge alla conseguente liquidazione dell’idea stessa di verità. E’ come se Naturalismo, Storicismo e Psicologismo dicessero: “è vero che non esiste alcuna verità”, mantenendo però la pretesa di essere nel vero. L’incoerenza dello Psicologismo del Naturalismo e dello Storicismo sta insomma proprio nella pretesa di verità che esibiscono (così come, del resto, ogni altra teoria da queste derivata).
È secondo Husserl, in particolare, il Naturalismo – tra tutte le forme di Relativismo – il responsabile principale di un gravissimo ritrdo sia etico che filosofico dell’intero panorama culturale occidentale.
Così si esprime il Filosofo tedesco in Filosofia come scienza rigorosa (1911):
«L’incanto che esercita l’atteggiamento naturalistico e che soggioga noi tutti fin dall’inizio, rendendoci incapaci di astrarre dalla natura e di rendere così anche lo psichico oggetto di una ricerca intuitiva nell’atteggiamento puro, anziché psicofisico, ha […] sbarrato il cammino verso una grande scienza, inimitabilmente ricca di conseguenze, la quale è da un lato la condizione fondamentale per una psicologia pienamente scientifica e dall’altro il campo di un’autentica critica della ragione. L’incanto dell’originario naturalismo consiste anche nel fatto che esso rende a noi tutti così difficile vedere “essenze”, “idee”, o piuttosto, poiché noi già per così dire le vediamo costantemente, riconoscerle nel loro carattere specifico invece di naturalizzarle in maniera assurda».
Concludendo, l’illusione del Naturalismo era allora per Husserl (come oggi, per noi) un pericoloso ostacolo per la maturazione di un’etica solida ed interosggettivamente condivisa, fondata su una concezione forte di verità e di evidenza (e quindi di diritto naturale, di bene comune, di dignità umana, e così via). L’esclusività con cui, nella seconda metà del XIX secolo, la visione del mondo è stata determinata dallo sviluppo delle scienze “esatte”, delle quali il Naturalismo è il substrato comune, è stata la causa dell’allontanamento dai problemi decisivi di una vera umanità. Ma le scienze così intese, limitandosi ad una pretesa analisi “oggettiva” dei “fatti”, non sono state in grado di dire nulla intorno alle questioni generali che concernono il senso e i valori che devono orientare le scelte umane, individuali e collettive.
E’ così che il tramonto dell’Occidente, per usare le parole di Oswald Spengler, sta effettivamente assumento i contorni di una realtà ineluttabile. Una realtà che si potrà evitare solo a patto di operare incessantemente uno smascheramento dell’ideologia relativistica, oggi tanto in voga, del «politicamente corretto», per la quale tutte le culture e tutte le civiltà si equivalgono e ciascuno è libero di determinare da sé la relatà socialmente condivisa, magari col supporto di una neo-lingua appositamente ideata.
Da quanto sommariamente esposto risulterà chiaro che il Relativismo afferma che per ogni specie di essere vivente in grado di giudicare, ciò che è vero, secondo la sua costituzione o ai sensi delle leggi del pensiero, deve essere preso come vero in assoluto. Questa teoria è una sciocchezza, poiché implica che lo stesso contenuto di una sentenza (la stessa proposizione) può essere vero per un soggetto di specie homo e falso per un soggetto di una specie diversa. Ma lo stesso giudizio contenuto non può essere vero e falso “nello stesso tempo”. Il Relativismo non si accorge (o forse sì, ma fa finta di niente: e questo è ancora un altro problema) che utilizzando i termini di “vero” e “falso” afferma l’opposto del loro senso. In altre parole: affermando che “non esistono verità assolute”, afferma ciò che nega e nega ciò che afferma, cadendo in una contraddizione dalla quale non riesce ad uscire. Ed il naturalismo, portandoci a credere di trovarci tutti sullo stesso piano, insieme alle altre forme viventi del pianeta, porta la relativizzazione ontologica al suo massimo livello.
Se siamo nell’epoca della morte della verità e quello che rimane è solo il sentimento o l’istinto, che cosa ci differenzia dagli animali?
Questo va detto, chiaramente, a chi parla di “post-verità”: se non esiste verità, che senso hanno i discorsi umani?
Meglio allora tacere.
Wittgenstein docet.
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105 commenti
Già. Elementare, Watson! – direbbe Holmes.
In fondo, cioè verso la fine della sua vita, l’aveva capito anche Darwin: se io uomo differisco da una scimmia solo “in grado”, che maggiore affidabilità posso assegnare ai miei pensieri rispetto ai quelli di un macaco qualsiasi? Così i Pievani e i Vallortigara potrebbero chiedersi oggi: “io” che mi considero solo un ammasso casuale di neuroni, guidati dalla cieca volontà di sopravvivenza dei “geni” (Dawkins), perché mi affanno (con libri e adesso perfino con opere teatrali) a ri-lanciare le idee che essi secernono in continuazione?
Grazie, Benigni, di avercelo ricordato. Non si batterà mai abbastanza il chiodo contro il naturalismo, che è la rappresentazione oggi incarnata della massima irrazionalità e della massima disumanità.
Secondo me la questione è il non accorgersi di accorgersi, cioè se mi considero solo un ammasso casuale di neuroni, guidati dalla cieca volontà di sopravvivenza dei “geni” MA me ne accorgo allora automaticamente vuol dire che non è tutto lì perchè “qualcosa” sfugge alla cieca volontà dimostrando di non appartenerle. Un po’ come quando si afferma che il libero arbitrio none esiste MA sono in grado di affermarlo liberamente.
Grazie a Lei, dott. Masiero. Come ci ha spiegato il padre della Fenomenologia (sintetizzando peraltro posizioni che sono note almeno da Platone in giù), ogni declinazione relativistica della conoscenza porta a conseguenze contraddittorie. E le porta su piani diversi: magari, fossero limitate al solo ambito della discussione razionale, ma così non è. Purtroppo. Per questo – sulla scia di altri, ben più autorevoli pensatori – mi premere fare la mia parte: insistere sulla chiarezza concettuale, sul portare ad evidenza la struttura argomentativa dei maestri del nulla, sì, ma soprattutto gettare luce ciò che essa sottende. Ne va, al di là della discussione dialettica, della fede in ciò che noi siamo, sia come singoli che come rete di relazioni. Per questo, parlo di “Impero”, con toni volutamente “apocalittici”. Io credo che ci sia una battaglia, in corso. In molti sono arruolati, io credo senza nemmeno essersene resi conto.
Il terribile naturalismo, ovvero il finto mostro creato a tavolino per giustificare le proprie suggestioni metafisiche e religiose. La cosa buffa è che lo stesso Wittgenstein riderebbe di gusto…
Questa volta, Giuseppe, oltre che non entrare nel merito della questione trattata – il significato di verità in una metafisica naturalistica – per parlare sempre di religione, come è ossessione degli atei, Lei S’inventa anche un Wittgenstein di comodo.
“Io so che questo mondo è.
Che io sto nel mondo, come il mio occhio nel suo campo visivo.
Che nel mondo è problematico qualcosa, che chiamiamo il suo senso.
Che questo senso non risiede nel mondo.
Che la vita è il mondo.
Che la mia volontà compenetra il mondo.
Che la mia volontà è buona o cattiva.
Che, dunque, bene e male ineriscono in qualche modo al senso del mondo.
Il senso della vita, cioè il senso del mondo, possiamo chiamarlo Dio.”
(L. Wittgenstein).
In effetti, in una certa misura, Giuseppe ha ragione. Il “Naturalismo”, ma soprattutto lo “Storicismo” di Dilthey, sono raffigurati da Husserl – mi riferisco sempre a Filosofia come scienza rigorosa del 1911 – con tinte peggiori di quello che erano all’epoca.
Questo avviene spesso, tra i filosofi di un certo rango: da una parte si tratta di accentuare i toni dell’avversario dialettico per poter mettere meglio in rilievo la propria posizione filosofica.
Ma dall’altra si tratta spesso di autentica profezia.
E’ proprio questo, io credo, il caso di Husserl.
… il male di questo tempo è evidente, nel pentolone del “sincretismo” stiamo mettendo tutto: religione, politica, ideologie. E tutto questo a quale scopo? Mettere d’accordo tutti. La strategia del sincretismo è diabolica: fondere insieme tutte le “verità” in una sola … ignorando che quella sola verità raderà al suolo tutte le altre.
Quale sarà il risultato di questo delirio? La “morte termica”. In un pensiero unico, figlio di una pseudo-verità, non ci sarà più scambio di “calore” tra gli individui … con conseguente appiattimento delle onde celebrali.
Dunque, facciamo attenzione ai falsi profeti che per buonismo e pietismo fanno compromessi nel negoziare verità insindacabili. Tutto questo porterà solo ad una finta pace … perché le contraddizioni, come bombe ad orologeria, sono sempre pronte ad esplodere.
Concordo, JONIOBLU1. D’altra parte forse uno dei pochi compiti della Filosofia, sul quale molti sarebbero d’accordo, è proprio quello di prendere in esame le contraddizioni. Un po’ come Socrate, che restava sveglio a parlare e a discutere di Filosofia, da solo, quando intorno tutti i discepoli erano ormai addormentati.
Con la speranza di non fare la stessa fine. 🙂
L’articolo è bello e affascinante, dalla prosa e dialettica invidiabili, anche se devo dire che, forse a causa della mia ignoranza filosofica, non sono sicuro di averlo compreso appieno. Sono stati introdotti talmente tanti termini, tipici della filosofia, che personalmente, da scienziofilo, mi trovo un po’ confuso. Per quanto riguarda il relativismo mi sembra che l’autore si sia riferito più a quello sociale e filosofico che a quello scientifico, per quanto riguarda il secondo mi pare che il termine oramai sia inteso dalla scienza moderna soltanto nella misura in cui nell’operato scientifico non è sempre possibile separare distintamente l’osservato dall’osservatore, ossia l’esito (il lavoro scientifico) dall’intenzione (lo scienziato). Anche il concetto di verità è abbastanza chiaro e concreto nella scienza: la “verità scientifica” corrisponde soltanto a un’affermazione che è stata sottoposta a un collaudato processo che l’ha momentaneamente convalidata con un certo grado di fiducia, ma che può essere in ogni momento rivisitata e modificata qualora l’emergere di nuovi dati e nuove osservazioni lo imponessero. E ciò distingue chiaramente dal concetto di verità di fede o autoritaria per esempio o di verità storica. Quindi la scienza non è per definizione mai un dogma o un’ideologia. Non ho ben capito poi cosa si intenda esattamente per critica al naturalismo (naturalismo e riduzionismo non sono sinonimi) cercando di andare oltre al pensiero di un filosofo di inizio secolo scorso (ribalto la critica) che ha avuto la spregiudicata pretesa di intitolare un’opera con l’ossimoro:”filosofia come scienza rigorosa”. Non riesco veramente a capire in che modo si possa veramente mettere in discussione sul piano logico e razionale i metodi collaudati (metodo scientifico), gli intenti, gli obiettivi e la natura laica della scienza naturale, quella sana naturalmente, se non confondendo e intersecando in modo a mio avviso maldestro e poco utile piani concettuali che sempre secondo la mia opinione dovrebbero essere mantenuti prudentemente separati. Infine certo che siamo diversi dagli altri animali, ma le scienze moderne e in particolare la biologia evolutiva, l’anatomia comparata, la biologia molecolare, la genetica, la biochimica, le neuroscienze ci stanno fornendo le prove che siamo anche molto simili.
Grazie, FABIO VOMIERO
L’articolo citato, “Filosofia come scienza rigorosa”, è in realtà un lungo manifesto della Fenomenologia (100 pagine circa!). In quest’opera Husserl prende di mira la *sua* concezione di “scienza”, contrapponendola alla “Filosofia” per una serie determinata di obiettivi polemici che costituiscono la parte demolitiva della meditazione husserlia. Non credo di riuscire a riassumerli qui in poco spazio ma a tal proposito ho cercato di fare una sintesi in questi articoli: https://ontologismi.wordpress.com/2015/08/17/introduzione-alla-fenomenologia-di-edmund-husserl-cap-8-la-filosofia-come-scienza-rigorosa-parte-terza/).
Riassumendo, occorre tener presente che Husserl ha come obiettivo una vera e propria ri-fondazione della filosofia, intesa appunto come “scienza rigorosa”, ovvero come scienza in grado di offire dei risulati certi ed in senso cumulativo sempre più completi.
Oggi, però, più che di “Scienza” o di “Tecnica” potremmo intenderci meglio parlando di “Scientismo” o “mentalità positivista”. Forse renderemmo meglio l’idea di quello che era l’obiettivo polemico del Filosofo tedesco (che, ricordo, è stato anche un notevole matematico ed un profondo conoscitore delle scienze).
Concordo poi con la tua osservazione: naturalismo e riduzionismo non sono esattamente la stessa cosa. Anche se spesso – mi riferisco ai nostri tempi – sono accomunati dalla medesima tendenza (e qui non è solo di relativismo che parliamo, ma di nichilismo estremo) a *ridurre* l’uomo ad una sola delle sue componenti: quella psico-fiisca. Una psicofisica peraltro diversa da quella che Husserl criticava nell’opera del grande Wundt, e distorta al punto che si considera ormai lo psichico come un eventoi giustapposto al fisico, talmente posticcio da poterne addirittura metterne in dubbio l’esistenza reale.
Su questo punto avrei molto da ridire, anche perché si ricollega direttamente ad una posizione che io credo sia urgentissimo palesare nei suoi esiti (che è quella grossomodo riconducibile a Singer o a Dawkins e ai loro discepoli): temo però che lo spazio concessomi per una veloce replica sia del tutto inadatto.
Grazie per la risposta Alessandro, approfitto della sua disponibilità, intelligenza e competenza. Certamente siamo d’accordo nel “condannare” posizioni estremiste come quella di Dawkins. Ma Dawkins non è la comunità scientifica, è questo il punto che mi piacerebbe sottolineare e condividere, anche perché di gente come Dawkins che si vuole pronunciare su argomenti che non competono alla scienza, vedi per esempio l’ateismo, ce ne sono diversi. E’ proprio a casi come questo che mi riferisco quando parlo di necessaria separazione dei piani concettuali e quindi, anche dal versante opposto non riesco nemmeno a capire come sfere non scientifiche, vedi filosofiche o teologiche, possano accusare la scienza di “scientismo”, qualunque cosa vogliano intendere, concetto che non appartiene alla scienza in quanto tale (perché la scienza naturale è scienza e naturalmente procede secondo metodo scientifico sperimentale), ma secondo me appartiene invece al tentativo di sfere appunto non scientifiche di pronunciarsi in merito. Dire per esempio che l’uomo è una specie unica e molto diversa dagli altri animali per esempio non è un’affermazione scientifica, perché la scienza naturale invece, come dicevo, sta dimostrando il contrario e che probabilmente solo poche decine di migliaia di anni fa il nostro pianeta era popolato contemporaneamente da ben cinque specie di Homo diverse. Non dobbiamo inoltre confondere la scienza di base con la tecnica o la scienza applicata, perché sono cose diverse. Io quando parlo di scienza mi riferisco generalmente ai meccanismi procedurali propri della ricerca scientifica di base, non necessariamente orientata ad una applicazione tecnologica immediata. Quindi volevo sapere da lei, per esempio, se ha tempo per rispondermi, cosa ne pensa riguardo a un’opportuna separazione dei piani concettuali.
Grazie, Fabio.
Mi scuserà se vado per punti (dalla mia postazione di lavoro “mobile” è più facile).
1) “Dawkins non è la comunità scientifica”. E’ vero. Ma – questa almeno è la mia convinzione – possiamo “prenderne uno per prenderne molti”. O quasi tutti. Il caso di Dawkins o di altri personaggi più in vista deve riportarci alla comparazione con quello che è un sentire comune, ideologico a mio avviso, che appare oggi diffusissimo. Non dubito che ci siano ricercatori intelligenti e preparati, dello stesso calibro, dipartimenti interi che lavorano in ben altro modo: il fatto è che oggi – purtroppo – non hanno voce. La mentalità scientista (naturalista, per ritornare al lessico husserliano) che attanaglia il dibattito su questi temi è ormai consolidata, tanto che assume i contorni monumentali di una fede granitica, di fronte alla quale nessun argomento filosofico, nemmeno il più solido ed evidente, sembra efficace.
2) La scienza cade nello scientismo quando pretende (spesso senza averne piena consapevolezza) di ridurre l’uomo (e il cosmo-kosmos intero, a mio giudizio, ma questo è un discorso più complesso e raffinato che magari riprenderemo a parte) ridurre l’uomo, dicevo, ad ente-animale. Solo “naturalmente” inteso, in cui l’emergere della coscienza rimane un dato secondario rispetto al meccanismo fisiologico che regola il funzionamento cerebrale *e quindi* del pensiero. L’errore logico sta tutto qui, come Husserl ha mostrato. Ma si può procedere, si può andare oltre: è un errore ontologico, che si basa su una pretesa sofistica e relativistica seducente sul piano linguistico ma inconsistente nella sua struttura logica: equiparare uomo ad animale richiede l’adozione di un punto di vista extra-scientifico, extra-logico, fondato solamente su metafore linguistiche di alto impatto. E’ il caso di Peter Singer, per esempio. E di molti altri.
3) Il metodo della scienza. Qui, mi consentirà, possiamo essere ancora più drastici. Il metodo della ricerca, che non può coincidere con la mera applicazione tecnica di un esperimento, alla maniera di Bacone per intenderci, *non è* oggettivo strictu sensu, e non può esserlo. Né per le condizioni *reali* in cui si trova ad operare lo scienziato, né per via dell’occhio dell’osservatore, né per l’aspetto teleologico che sempre, inevitabilmente, guida una ricerca, e così via. Per questo la scienza non ha valore? Decisamente no, anzi. Si tratta al contrario di ri-valorizzarla liberandola dalle molte mani che le stanno addosso, di ri-attualizzare, a mio avviso, una severa critica dello statuto scientifico, di liberarla, insomma, alla maniera del Kant della Critica della Ragion Pura, per intenderci, in modo da evidenziarne i limiti ed al tempo stesso garantirne le procedure e gli orizzonti di ricerca *entro* i suoi stretti confini.
4) Non dovremmo poi confondere “scienza naturale” con “naturalismo”. Il Naturalismo è una, anzi *la* mentalità che passa, anche e soprattutto nei manuali di testo in adozione nelle scuole, mentre “le scienze naturali” in sé non sono ovviamente un problema, ma un bene comune che rischia però – senza un’adeguata critica filosofica – di diventare un terribile strumento (in mano ad altri poteri, rispetto al mondo scientifico) di massificazione e riduzione dell’uomo ad ente manipolabile.
5) Farei invece una serie di distinguo quando afferma “Dire per esempio che l’uomo è una specie unica e molto diversa dagli altri animali per esempio non è un’affermazione scientifica, perché la scienza naturale invece, come dicevo, sta dimostrando il contrario” – al contrario, non solo è un’affermazione scientifica e tale resta nella misura in cui può appunto essere falsificata (o ri-verificata in seguito, perché no?) ma soprattutto perché a parte la matematica *nessuna* scienza è in grado di esibire *dimostrazioni* a priori. so che è antipatico, come discorso, ma occorre ribadire che è tutto da molto probabile a probabile a incerto e mai impossibile o necessario (a meno che, come dicevo, non si tratti della logica-matematica).
Grazie ancora
Grazie Alessandro. Apprezzo la sua analisi filosofica di alcuni aspetti legati alla scienza. Di primo acchito qualcosa condivido, molto altro, devo essere sincero, non tanto. Trovo molti aspetti dell’analisi molto (troppo) teorici, come tipico della filosofia, ma poco rispondenti a quello che in realtà si respira nei laboratori di ricerca e in chi si dedica alla scienza quotidianamente. Forse i punti da lei trattati hanno molto più a che fare con la facciata mediatica della scienza, quella falsificata e distorta che può anche farla sembrare ad uno sguardo superficiale una sorta di “nuova ideologia”. Ma le ripeto non trovo molta corrispondenza in merito alla scienza che intendo io e che si mastica quotidianamente nei laboratori di ricerca, una sorta di artigianato che inventa e produce strumenti su problemi specifici. E’ vero bisognerebbe liberarla dalle molte mani che le stanno addosso. Credo però si tratti anche di un problema di comunicazione della scienza sostanzialmente inefficace.
Grazie comunque, ho del buon materiale su cui riflettere ulteriormente.
“La scienza naturale sta dimostrando… che probabilmente solo poche decine di migliaia di anni fa il nostro pianeta era popolato contemporaneamente da ben cinque specie di Homo diverse”. E come fanno dei pezzi di fossile, Vomiero, a “dimostrare” che si tratta di specie diverse? Se, dopo un disastro atomico o un virus mortale che abbiano fatto scomparire la nostra unica specie umana contemporanea in tutte le sue varianti razziali, una specie aliena intelligente trovasse dei fossili in Scandinavia e degli altri in Africa e degli altri ancora in Guinea, secondo Lei non parlerebbe “probabilmente” di almeno 3 specie di Homo?
Il darwinista assegna, per ipotesi, un grande ruolo alla contingenza nella evoluzione. Poi dice: non posso fare predizioni perché la contingenza non è riproducibile, perché il fenomeno è troppo complesso! È vero: però la contingenza non è un “fatto”, ma solo la tua ipotesi, amico darwinista. Ed è questa assunzione che t’impedisce di fare predizioni riproducibili e che quindi rende il darwinismo “inutile in medicina” (Dulbecco, che pure era darwinista).
Allo stesso modo, il darwinista assume l’evoluzione dagli ominidi agli umani per contingenza (anche se ciò è matematicamente implausibile, come ho “dimostrato” – e qui il verbo è appropriato perché si tratta di matematica): dall’ipotesi della contingenza poi trae il cespuglio di tante specie Homo…, dimenticando però che il cespuglio non è una dimostrazione della scienza naturale sperimentata (la paleontologia), ma solo il racconto inevitabile di chi assume in partenza la contingenza nelle sue teorie.
A parte il fatto che infatti ho usato prudentemente l’avverbio di dubbio probabilmente, in realtà a confermare quella che lei Masiero chiama giustamente ipotesi (scientifica) non c’è solo qualche pezzo di fossile e quindi la paleontologia, ma ci sono anche indagini genetiche biomolecolari, DNA antico nucleare e/o mitocondriale. Gran parte del genoma neandertaliano per esempio è stato sequenziato e si è visto per esempio che differisce dal nostro (sapiens) mediamente per un 0,16%. E comunque la ricerca procede a ritmo serrato e le nuove scoperte sono quasi all’ordine, se non del giorno, certamente del mese o dell’anno, bisogna solo tenersi aggiornati se si vuole. E poi cosa intende quando dice che la contingenza non è un fatto? L’asteroide di 65 milioni di anni fa, la scomparsa di gran parte dei dinosauri, i cambiamenti climatici, tutti fenomeni contingenti (quindi imprevedibili) che hanno influenzato in qualche modo il film della storia naturale non sono dei fatti? Se si riferisce a quelle del futuro, certamente, possono magari essere ipotizzabili, ma non prevedibili. La nostra storia naturale è il frutto di circostanze e quindi di contingenze. Il problema secondo me prof. Masiero, quando parliamo di questi aspetti è sempre relativo al valore epistemologico che vogliamo assegnare alla biologia e ai suoi metodi (compresi i suoi dati empirici) che possono anche differire da quelli del fisicalismo, siamo sempre lì, ma su questo aspetto, per quanto mi riguarda, ho già scritto molto. Però almeno su una cosa dovremmo essere a mio avviso tutti d’accordo: abbandonare questa forzatura concettuale insita nell’etichetta belligena di darwinismo, così come non parliamo di galileineismo o di einstainismo. In biologia evoluzionistica siamo molto oltre Darwin, anche questo è stato detto più volte, ed esiste semmai una teoria che si chiama “teoria dell’evoluzione”.
Certamente la contingenza è un fatto, Vomiero. Ciò che non è un fatto (ma solo un’ipotesi) è che essa abbia avuto un ruolo, piccolo o grande, nell’evoluzione delle specie. Anzi ritengo “dimostrato” – matematicamente, v. Schützenberger ad es. – che non può averne avuto alcuno.
Che la differenza dello 0,16% nel Dna “dimostri” differenza di specie ha per me lo stesso valore di dire che io sono di una specie diversa dalla Sua, Vomiero, perché anche i nostri due Dna differiscono per un ammontare analogo.
Guardi che non escludo nulla. Dico solo che sono supposizioni ragionevoli, ma nulla più. Sono d’accordo con Lei che ogni mese si avanzano supposizioni diverse: appena 3 anni fa si faceva risalire la comparsa di Homo sapiens a 100.000 anni fa, oggi si parla di 2-3 milioni di anni. Per Lei questa è una manifestazione di avanzamento; per me, in assenza di predizioni controllabili, è solo la prova che navighiamo (ancora) nel buio più pesto.
Sottoscrivo l’affermazione di Giorgio Masiero “Che la differenza dello 0,16% nel Dna “dimostri” differenza di specie ha per me lo stesso valore di dire che io sono di una specie diversa dalla Sua, Vomiero, perché anche i nostri due Dna differiscono per un ammontare analogo.” – arrivo alle stesse conclusioni pensando all’emergere della coscienza, della capacità matematizzare, di ideare un’opera d’arte e di compiacersene. L’essere umano è qualcosa (qualcuno, pardon) di irriducibilmente altro rispetto agli animali.
Ottimo Alessandro, ottimo!
Rilancio con questo “quaderno” che è un estratto dell’opera apoogetica di Adriano Virgili del 2016 in cui si demolisce il relativismo anche sulla base dell’approccio analitico, sulla scorta diquanto esprime Feser nel suo Scolastic Metaphisics.
Boom: https://dl.dropboxusercontent.com/u/13842603/Crocevia%20Download/01%20-%20CONTRO%20LO%20SCIENTISMO%20ED%20IL%20RELATIVISMO.pdf
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Da pag. 11 inizia il capitolo contro il relativismo.
Buona lettura di cose buonissime come questa di Alessandro! 🙂
Tutto si basa sulla solita trita e ritrita formuletta del “Ha, ma tu affermi la verità che non c’è verità”.
Ed è tutto soddisfatto di averci colti in fallo..
Ci tornerò su..
Grazie infinite MINSTREL,
sono lusingato del tuo commento. Leggerò con piacere il testo che mi segnali: confesso di non conoscere gli autori e sarà una stimolante occasione di crescita e di confronto.
Ps. vedo sul tuo bel sito (https://pellegrininellaverita.com/) che ospiti un filosofo di notevole spessore: Fulvio Di Blasi. Sarebbe interessante coinvolgerlo in questo dibattito e in questo gruppo di lavoro e confronto che Enzo Pennetta ospita su CS. Lo seguo da tempo e trovo che il suo stile, oltre la grande competenza negli argomenti trattati, sia di grande impatto.
Grazie ancora.
Poche sono le concezioni che vanno incontro ad un’incomprensione così completa come il relativismo e lo scetticismo; e oltre che completa, voluta: si vuole cioè comprenderli male in modo tale da poterli respingere per l’orrore che fa solo sentirli nominare.
Così per la maggior parte delle persone essere scettico consiste nell’essere indifferente ad ogni convinzione, pronto se necessario ad assumerne senza alcuno scrupolo una qualsiasi e a cambiarla quando conviene, per chi è solo un po’ più colto filosoficamente come lei invece scettico è colui che è così sciocco da cascare senza accorgersene nella grossolana contraddizione di affermare la verità che non c’è verità. E con questi giochetti verbali si pretenderebbe di confutare un atteggiamento filosofico continuando nel frattempo a fallire miseramente nell’intento di dimostrarci quale sia poi questa verità assoluta.
Che se io volessi parteciparvi, a questi giochetti, potrei dirle che il fatto che la medesima proposizione “non esistono verità assolute” sia contraddittoria non fa altro che confermare la sostanziale correttezza di ciò che significa dal momento che nemmeno questa frase può essere ritenuta assolutamente vera rimanendo nello stesso tempo totalmente indimostrabile che la verità assoluta esista e quale questa sia.
Ma mi interessa di più provare a spiegare cosa si intende per relativismo, dal momento che la sua definizione è totalmente fuorviante.
Non esistono un BENE, un VERO, un GIUSTO che siano tali per natura e quindi comuni a tutti e costituenti il fondo unico dello spirito in tutti, quindi chiaramente non esiste per esempio assolutezza e universalità della morale.
La morale non è tale in sè. La ragione non può ricavare da sè stessa, da sè in quanto pura, guardando solo in sè, per procedimento deduttivo puro e indipendente da ogni fatto esterno, principi morali che siano quindi propri delle ragioni di tutti, propri della ragione in sè, universalmente apodittici, come le proposizioni matematiche. Non v’è un bene morale che possa essere determinato dalla ragione in sè, che sia quindi quello che possa dirsi esclusivamente conforme alla ragione, adeguato a questa, voluto da questa, quindi assoluto, conforme alla ragione di tutti, alla ragione, e perciò universale. Ma se non v’è, così, un bene morale che possa dirsi una cosa sola con la ragione, quello cioè che la ragione, proprio perchè ragione, fissi come morale, vuol dire che cose diverse od opposte possono ugualmente risultare morali alla ragione pura. E ciò significa che la ragione (la co-scienza, l’io) non riesce a determinare la morale. Che cosa dunque riuscirà a determinarla? Non la ragione, la coscienza, l’io; ma alcunchè di altro da questi e fuori di questi. Con altre parole, non esiste alcun fatto, oggetto, modulo extramentale, che stia, irriducibile e obbiettivo, lì davanti a noi, quale costituente il bene morale, e su cui le nostre convinzioni circa questo possano controllarsi e rettificarsi così come i nostri orologi si controllano e si rettificano con un fatto ad essi esteriore, il movimento degli astri; poichè per un verso, secondo esprimeva tale concetto Giacomo Leopardi «non esiste il tipo del buono morale» ; e per l’altro le nostre coscienze divergono circa ciò che sia moralmente buono, se ne conclude che, guardando in esse, noi possiamo tanto poco approdare a una assolutezza, universalità, certezza morale, quanto poco potremmo, guardando i nostri orologi, nel discordare di essi, e se non ci fosse il fatto esterno ad essi del moto degli astri per controllarli, conoscere l’ora che è. Così non resta che una soluzione. L’autorità esteriore alla coscienza del soggetto. L’autorità della soprannaturale rivelazione della verità, direbbe la Scettica del Rinascimento rappresentata da Huet, Sanchez, Glanvil, Charron, Montaigne, Pascal. Per costoro, l’incapacità della ragione umana di conoscere il Vero, il Giusto è il fondamento per piegare la mente a Dio. Solo l’autorità del fatto sociale invece concludevano i Sofisti, fatto sociale formatosi come indipendente dall’azione consapevole d’ogni io (e quindi, in fondo, fatto naturale anch’esso), l’autorità dell’ordinamento e delle istituzioni sociali del gruppo etnico cui l’individuo appartiene, questa autorità è quella che in tal modo stabilisce non già ciò che è la morale, poichè questa non ha essere, per sè stante e in sè determinato, ma ciò che vale COME SE fosse la morale.
Altre soluzioni non vi sono e se la strada religiosa può legittimamente trovare posto nella sfera dello scetticismo, io sono per la posizione Sofistica (mai confutata da Socrate e da Platone se non attraverso contorsioni mentali, circoli viziosi concettuali che i Sofisti avrebbero potuto facilmente smascherare in dialoghi “non addomesticati”). Questo perchè sono d’accordo con chi ritiene che la risoluta negazione in materia religiosa non va esclusa dallo scetticismo come un dogmatismo negativo ma che anzi forse è la più conforme alla mentalità scettica. Ma questo è un altro problema.
Caro Giancarlo, non sono sicuro di aver compreso bene l’articolazione del suo discorso. Mi limito ad alcune brevi constatazioni.
Ad un certo punto Lei afferma: “E con questi giochetti verbali si pretenderebbe di confutare un atteggiamento filosofico continuando nel frattempo a fallire miseramente nell’intento di dimostrarci quale sia poi questa verità assoluta”.
Mi fermo qui, per ora, con qualche contro-osservazione.
Quello che lei chiama “giochetto verbale” non è una mia invezione, ma una sintetica riduzione esplicativa di un argomento logico piuttosto resistente, che attravera l’intera storia della filosofia: dal Socrate che risponde a Gorgia, a Platone, ad Aristotele (si veda solo ad esempio il bebaiotate arché nel libro IV della Metafisica), giù giù fino a Cartesio e alla Logica di Kurt Godel. Il punto è che è impossibile pretendere di enunciare un discorso filosofico convincente se questo è in sé contraddittorio. Ed il fatto che tale contraddizione logica della posizione relativista (cui il naturalismo appartiene) sia evidente, in modo tale che perfino un bambino può comprenderla, non depone affatto contro la critica husserliana, ma semmai a suo favore, e questo in ragione della sua evidenza.
Un altro punto, in sintesi: il fatto che non siamo in grado di esibire *tutte* le verità non comporta logicamente che non esista *alcuna* verità. Questo sia dal punto di vista logico che epistemologico, etico, antropologico, e così via. Per esempio, la matematica “dimostra” i suoi teoremi. La loro negazione comporta contraddizione logoca. Non sono veri? 🙂 Oppure, con Cartesio: penso, dunque sono (un essere pensante). Possiamo seriamente contraddirlo?
Un’ultima osservazione: Scetticismo e Relativismo non sono esattamente la stessa cosa. E la dimensione morale, per l’uomo, può avere – eccome – un vestito formale, esattamente come la matematica. Solido allo stesso modo. Lo ha mostrato prima Immanuel Kant, nella Critica della ragion pratica e – caso strano? – proprio Edmund Husserl, nella sua ultima opera pubblicata postuma col sintomatico titolo di “Lezioni di etica formale”. Vado a memoria, ora non riesco a controllare, mi sembra curata dall’ottimo Paolo Spinicci.
Grazie delle osservazioni e buon proseguimento
So bene che il giochetto verbale non è di sua invenzione, nel corso della storia è stato utilizzato molte volte per cercare di liquidare sbrigativamente l’aborrito scetticismo.
James osserva: “Il fatto che questo straordinario argomento sia sempre però stato impotente a far perdere anche solo un po’ di terreno allo scetticismo universale chissà se ha indotto tutti questi razionalisti a domandarsi se tutte queste confutazioni logiche sono proprio mezzi infallibili per giustiziare, con un colpo di fucile, UN’ATTITUDINE MENTALE e farla sparire”…
Comunque sia, quando gli si presentava questo “giochetto”, Sesto Empirico sorrideva e rispondeva che lo scetticismo è come un purgante, insieme a ciò che va purgato elimina anche se stesso. Ed in effetti, come già detto nel mio primo intervento, se volessi rendere sottigliezza per sottigliezza, potrei dire che il fatto che non si possa nemmeno affermare la verità (assoluta) che non c’è verità (assoluta) invece che confutare fa trionfare ciò che lo scetticismo vuol significare, almeno fino a quando qualcuno non mi dimostrerà che la verità assoluta c’è e magari di grazia anche quale è!
A tal proposito mi piace ricordare la locuzione latina: “Affirmanti incumbit probatio” che tendo a fare presente spesso anche a chi mi accusa di non poter dimostrare la NON esistenza di Dio (…come se non fossero tipo infinite le cose di cui non si possa dimostrare la NON esistenza, ma contenti loro…).
Tornando a noi, lasciamo da parte le sottigliezze, andiamo alla ciccia. Io sono disposto anche a darvi ragione: “Sì, mi sono sbagliato, c’è qualche verità: nell’interpretazione della realtà l’idealismo non coglie la VERITA’, il positivismo non coglie la VERITA’, il teismo non coglie la VERITA’, l’ateismo non coglie la VERITA’, il determinismo non coglie la VERITA, l’indeterminismo non coglie la VERITA’, nessun sistema filosofico ha mai colto la VERITA’ ma solo ed esclusivamente verità relative. E la cosa splendida sta nel fatto che i punti più convincenti dell’idealismo consistono nella critica al positivismo, i punti più convincenti del positivismo nella critica all’idealismo, i punti più convincenti del deismo nella critica all’ateismo..e così via. Ogniqualvolta ci si avventura nella pars construens ci si imbatte in contraddizioni ed inammissibilità ed è davvero come dice Schopenhauer: ogni sistema è come una divisione che non riesce esatta e dà resto o come una soluzione chimica che lascia un precipitato insolubile”.
Se quindi tutti finiscono per contraddirsi nel momento in cui vogliano cogliere IL VERO, IL GIUSTO, IL BELLO, perchè sorprendersi del fatto che capita anche allo scettico, al relativista. Questo in fondo non fa che dargli ragione.
p.s. partendo dal COGITO si può e si deve ancora dubitare del SUM. il COGITO non permette che di sostenere COGITATUR (vi sono pensieri). Quindi COGITO ERGO COGITO, oltre il COGITO non si può proseguire. Questo è David Hume.
p.p.s purtroppo il tentativo di Kant di raggiungere l’universalità obbiettiva della morale identificandola con la ragione è zeppa delle suddette contraddizioni e totalmente avulsa dalla realtà.
L’ergo del cogito non è l’implicazione logica formale, Giancarlo, ma l’intuizione immediata, cioè la “di-mostrazione” per eccellenza, del pensante che si vede esistere nel momento in cui dubita di essere al mondo.
Parla per te, Giancarlo, quando da sofista che ama fare l’avvocato del diavolo arrivi a dire di dubitare persino di te stesso. Io, come tutte le persone di buon senso, non ho alcun dubbio che un Giancarlo esista e simultaneamente sia qui a difendere l’assenza di verità universali. La volevi una verità indubitabile? Una è questa – l’esistenza di Giancarlo – e tu non la negherai senza contraddirti un’altra volta ancora…, come quasi in ogni frase che qui ti sei divertito a scrivere.
Sono Hume e Nietzsche a criticare il COGITO ERGO SUM, io mi limito ad essere d’accordo, è con loro che se la deve prendere sa.
No, Nietzsche e Hume sono morti. Io me la prendo coi vivi che si bevono (“sono d’accordo”) i loro errori, come se fosse oro colato.
Complimenti per la chiarezza, ANNA!
Sono a rispondere al volo, obbligatoriamente in ordine sparso (seguo col tablet), spero di essere nella giusta posizione rispetto ai commenti. Scusatemi se vado a numerare, per comodità mia:
1) sopra (o sotto) il discorso si sta molto ampliando rispetto al tema (relativismo etico, infibulazione, dimostrazione dell’esistenza di Dio, etc.). In genere dovrebbe sorgere un altolà dialettico, in quanto per questa strada si moltiplicano i tavoli di gioco ed è facilissimo immettersi in un terreno filosoficamente paludato. Ma dato il piacevole clima da caffé culturale (le signore direbbero salotto 🙂 ) immagino si possa fare qualche eccezione. Rispondo dunque, mettendo sul tavolo qualche idea: 2) l’infibulazione, come tutti i relativismi etici del mondo culturale, si risolvono con la ragione. Può essere utile a tal proposito la mossa kantiana: mettere la religione fuori dal discorso etico, quindi: calcolare. Così recita il secondo imperativo categorico della CRPr: “agisci in modo tale che la regola della tua azione possa essere universalizzata”. Cito a memoria, ma le parole sono più o meno queste. Si tratta, nel caso specifico, di constatare che questa pratica è malvagia, in sé, sempre ed in ogni caso. Infatti *presume logicamente* 1) un’infondata differenza di trattamento tra uomo e donna e 2) un male morale oggettivo che viene inferto, privando il corpo della donna di una sua componente essenziale dal punto di vista fisico, psichico e affettivo e 3) mettendo le giovani donne a rischio della salute se non della vita (infezioni, etc.). Un male non solo morale, ma anche fisico, dunque. A questo punto subentra la massima kantiana: può essere questa la forma generale di un atteggiamento etico? Possiamo noi praticare gratuitamente il male ad altre persone, sulla base dei nostri convincimenti culturali o religiosi? Se tutti si arrogassero questo diritto (daccapo: perché no?) quale sarebbe la conseguenza dal punto di vista sociale? Torneremmo immediatamente al bellum omnium contra omens di hobbesiana memoria.
Un altro punto 2) la *dimostrazione di Dio*. E’ già stata data, da Kurt Godel, il grande amico di Einstein. e’ un peccato che sia così poco conosciuta, nonostante la spassosissima prefazione di Odifreddi nella traduzione italiana (per i tipi di Bollati Boringheri) in cui il nostro grande logico nostrano è messo così alle strette da dover ammettere che la dimostrazione è corretta, ma potrebbe trattarsi anche di un Dio immanente…. Consiglio vivamente la lettura, c’è da divertirsi! Cito questo caso – credo sia chiaro – per evidenziare ulteriormente la distinzione tra dimostrazione ed argomentazione filosofica o teoria scientifica e così via: sono piani nettamente diversi che è bene non confondere onde evitare di attribuire un valore di verità improprio a conoscenze umane che sono in realtà assolutamente plausibili ma non necessarie.
Ringrazio tutti per il proficuo confronto e la piacevole discussione
Secondo me, una dimostrazione dell’esistenza di Dio è anche la certissima esistenza di Giancarlo. Che cosa è costretto infatti Giancarlo a dire per negare l’esistenza del Vero, del Bello e del Giusto? È costretto a negare la certezza della sua stessa esistenza…
“agisci in modo tale che la regola della tua azione possa essere universalizzata”
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Vediamo… Io vorrei dedicarmi alle “cose divine” e per far questo decido di abbandonare i miei averi e ritirami in solitudine nella contemplazione, rinunciando anche ad una famiglia: può essere questa la forma generale di un atteggiamento etico? Quali conseguenze comporterebbe dal punto di vista sociale un’atteggiamento simile se messo in atto da ogni essere umano? Tracollo economico, impoverimento e peggioramento delle condizioni di vita in generale paiono una risposta plausibile. Un’altra è l’estinzione del genere umano. Qui il test kantiano non viene superato a quanto pare. Ma davvero sarebbe – per me – immorale fare una cosa simile? Perché?
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PS. Affinché la prova di Godel sia valida serve un argomento che garantisca l’identità assoluta tra esistenza possibile e necessaria. Qual sarebbe?
D’accordo su Gödel, ViaNegativa.
Mi ha colpito la Sua critica alla proposta kantiana di fondamento della morale. Mi par di capire che per Lei la morale si può fondare razionalmente solo su Dio. Mi sbaglio?
È così, Masiero. Per quanto mi riguarda, a livello metaetico, la fondazione può avvenire solo “ex Autoritate”, dove l’autorità in questione deve essere origine e fondamento del senso perfettivo delle nature di cui è creatore, infallibile e buono per essenza.
Certo, l’etica così fondata poi può essere filosofica e non dogmatico/fideistica.
Grazie, ViaNegativa.
VIANEGATIVA, grazie.
Molte volte mi sono sentito obiettare quello che Lei dice. Ha ragione: no, non sarebbe eticamente universalizzabile. Non a caso in ambito protestante qualcuno ha attentamente distinto la religione dall’etica socialmente condivisa. Kierkegaard meglio di tutti, credo. Suo, per esempio, è il concetto di “sospensione teleologica dell’etica”.
Godel: no, non serve altro, mi spiace. Una volta che si è definito Dio in un certo modo, ne discendono necessariamente certe caratteristiche. Tra le quali l’impossibilità di pensarlo ad un tempo come l’ente maggiore e non-maggiore, perfetto e non-perfetto, esistente, ma non nella realtà, e così via. Lo stesso avviene in geometria: ciò che si dimostra nella geometria euclidea, deriva per deduzione dai principi (postulati) fissati da Euclide. Siamo liberi di cambiare prospettiva, per carità, possiamo passare alla geometria non euclidea di Gauss che ne so, ma il discorso non cambia: una volta dimostrato, è dimostrato. A meno che non si trovi un errore formale nella catena dimostrativa, c’è poco da aggiungere.
“Una volta che si è definito Dio in un certo modo, ne discendono necessariamente certe caratteristiche. ”
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La domanda è: prima di averne dimostrato l’esistenza o accettatala per Rivelazione, abbiamo noi l’dea dell’id quod maius cogitari nequit? Sembra di no, tantopiù che l’idea di una cosa la si ottiene o per esperienza della cosa o per esperienza di un’altra cosa simile, ma circa Dio neque rem ipsam novi neque ex alia possum conicere simili.
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Allora possiamo partire dall’idea stessa di Dio per dimostrarne l’esistenza? Solo se l’idea di Dio ci si manifesta immediatamente come una idea VERA.
Ma dato quanto sopra, come possiamo noi avere un’idea vera di Dio? Pare che per accettare la prova godeliana, ma così come qualsiasi prova a priori, si debba altresì accettare una teoria della conoscenza che preveda un certo innatismo delle idee: ci sarebbero idee eterne che l’uomo conosce indipendentemente dall’esperienza, cosicché è possibile possedere un’idea di Dio il cui valore è garantito ancor prima di averne dimostrato l’esistenza.
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Certo è che chi, come il sottoscritto, rifiuta tale teoria, rifiuta anche prove simili, a cui tuttavia riconosce un merito non da poco: quello di mostrare come la nozione di assoluto non sia un assurdo, poiché diversamente vane sarebbero anche le prove a posteriori che – a mio giudizio – sono quelle davvero probanti, con buona pace di Descartes e Berkeley.
Caro Alessandro,
lei non si rende conto di postulare ciò deve essere dimostrato:
1) che la differenza di trattamento tra uomo e donna sia infondata è massima che io e lei riteniamo universalizzabile ma non chi pratica l’infibulazione; 2) che l’infibulazione procuri un male fisico questo lo sappiamo noi e lo sanno anche loro ma per me e per lei è universalizzabile la massima secondo cui in nessun modo questo male fisico può essere giustificato, per loro vale la massima secondo cui questo male fisico è giustificato dalla maggiore importanza (per loro) di motivi ritualistici, iniziatici, tradizionali etc.
E così via…per questo il tentativo di Kant non regge, in altre parole, si badi bene: ogni azione è universalizzabile per colui che ha la tendenza a compierla, ossia la SUA ragione gliela presenta come universalizzabile; invece, per colui alla cui indole nativa o acquisita quell’azione è già ripugnante, è l’azione e la condotta contraria che risulta universalizzabile, cioè la sua ragione gliela presente come tale.
“Mai si fa il male così a fondo e così allegramente quando lo si fa per obbligo di coscienza” (ossia in base ai dettami della Ragion Pratica Pura) dice Pascal, confutando così anticipatamente Kant.
2) La prova di Godel è tutt’altro che decisiva, segnalo solo per fare un esempio il Timossi: “Nonostante l’indiscutibile genialità della prova gödeliana e la sua migliore strutturazione formale, anche ad essa sono applicabili le critiche mosse all’argomento modale leibniziano, soprattutto per quanto concerne l’identificazione del possibile con il necessario e il passaggio diretto dal contesto di un’esistenza ipotetica o meramente logica al contesto dell’esistenza reale od ontologica. Non sussiste infatti alcuna dimostrazione in grado di provare la corrispondenza dei mondi possibili della logica modale con un mondo reale: questo perché non si può escludere a priori che non tutti i mondi logicamente ammissibili coincidano con un mondo realmente esistente. In breve, non vi è alcuna argomentazione capace di garantire l’assoluta identità tra esistenza possibile ed esistenza necessaria”.
E avanti un altro…
Eccomi, caro Giancarlo.
Allora, vediamo un po’.
1) la differenza tra uomo e donna. Risponderei con Aristotele: “è da pazzi chiedersi le ragioni di ciò che l’evidenza mostra come fatto”. Vado a memoria, mi sembra negli Analitici. Non mi sembra che ci sia nulla da dimostrare.
2) so bene che in molte culture fare del male ad una donna è accettato, ma il problema, daccapo, non è culturale, ma razionale. Una volta che siamo sul territorio dell’etica condivisa non possiamo più far valere i principi religiosi o culturali (tradizionali) ma solo la ragione. E’ a questo livello che (si spera) le cose dovrebbero cambiare.
3) Timossi – che conosco bene e trovo ottimo – ha fatto un ottimo lavoro di sintesi e divulgazione. Al di là della suacitazione, ha qualche argomento contrario alla dimostrazione matematica in sé? Perché vede, come sappiamo, Timossi segue soprattutto il Bue muto ed il problema del passaggio dal possibile al necessario, ovvero dal piano ideale a quello reale, è stata alquanto frainteso sia dal San Tommaso che da Kant che dai critici odierni che trattano l’empirico come se fosse di per sé stesso materialmente garantito (come sia possibile, dopo Cartesio e Berkeley, stento a capirlo) e l’ideale come incerto. Quando le cose stanno esattamente ed incontrovertibilmente al contrario: del piano ideale siamo assolutamente certi, fenomenico compreso, che poi il piano fenomenico sia davvero e realmente corrispondente alle nostre rappresentazioni mentali, beh: qui ci sarebbe molto da discutere. L’obiezione che si basa sul “mondo reale” è debole, mi creda. Debolissima. Se vuole ci torniamo su.
Buon proseguimento.
P.s. non ho ben capito che intende con “avanti un altro” mi scuso ma faccio una fatica terribile a leggere (e a rispondere) con questa scatolina cinese.
L’evidenza non mostra proprio per niente come fatto l’infondatezza di un diverso trattamento tra donna e uomo.
Lei insiste ma per chi pratica l’infibulazione, questa è pratica giusta per LA LORO RAGIONE. La mia e la sua ragione universalizzano una massima, la loro ragione un’altra. Per questo il tentativo di Kant non riesce.
Su Godel ci sta pensando qualcun altro..
@ Giancarlo:
c’è un passaggio del suo commento che mi preoccupa, “l’autorità dell’ordinamento e delle istituzioni sociali del gruppo etnico cui l’individuo appartiene, questa autorità è quella che in tal modo stabilisce non già ciò che è la morale, poichè questa non ha essere, per sè stante e in sè determinato, ma ciò che vale COME SE fosse la morale.”
Mi sembra di capire che tolta una sorgente sovrannaturale di una morale oggettiva restano solo le convenzioni sociali di un dato gruppo sociale. Deduco che se prendessi sul serio tale approccio, potrei commettere un omicidio senza sentirmi poi molto in colpa, perché l’atto è considerato illegale nel paese in cui vivo e immorale per la grande maggioranza degli individui della società in cui mi trovo, ma in sé e per sé è solo un’azione come tante, il mio errore è stato più che altro di non essere stato opportunamente furbo e di non essermi trasferito in un altro paese o in un’altra società in cui la cosa poteva essere resa sia legale sia immorale.
Altra conseguenza: se non sono un individuo qualunque ma sono munito di un forte potere economico e/o politico e/o culturale potrei fare un’altra cosa ancora più furba e comoda per me, per esempio influenzare la mia fetta di società affinché venga considerato per convenzione non-immorale tutto ciò che mi piace fare. Ciò spiegherebbe molte cose della nostra società.
Altra conseguenza: sono una persona comune, non ho né potere né influenza sociale, anzi, sono deciso ad impegnarmi per essere una persona di ottima condotta, “buona” secondo la morale vigente. In un’ottica sofista-relativista il mio sforzo sarà orientato a conoscere la morale in uso nella società in cui vivo e seguirla; ma se sono un tipo sveglio capirò che per quanto mi piaccia e mi faccia sentire bene tale impegno personale, sto cadendo inevitabilmente nel più ferreo conformismo, visto che di questo si tratta e non del seguire una legge morale che trascenda le opinioni, il tempo e la storia. Tenendo conto della conseguenza precedente, se un bel giorno il potente di turno decide di cambiare la morale della mia società, io, persona “buona” ma in fondo conformista, per coerenza sarò suddito/seguace del cambiamento calato dall’alto, portando il mio già presente conformismo a livelli ancora più alti.
RIASSUMENDO i tre punti in tre domande:
1) il relativista sofista ha senso incolparlo nel caso compia atti abominevoli visto che il concetto di “abominevole” è relativo come la morale su cui si appoggia?
2) ha senso opporsi per questioni morali a chi ha potere sulle persone, visto che la morale è relativa e non possiamo prendercela col potente solo perché lui può fare ciò che noi non possiamo fare?
3) se la morale è sempre e solo quella della società in un dato posto e tempo, come si evita la sua coincidenza col mero conformismo?
Per intanto rispondo al suo primo quesito e le rispondo con un esempio pratico: l’infibulazione. Nei paesi in cui viene praticata, l’infibulazione è ritenuta pratica sacrosanta, nel mondo occidentale è considerata pratica abominevole. Anche il sottoscritto la ritiene pratica abominevole, la sente come tale e per questo motivo punirebbe chi la pratica. Questo però non perchè la pratica dell’infibulazione sia assolutamente abominevole ma per il semplice dato di fatto che io la sento come abominevole. E il motivo per cui in occidente la pratica dell’infibulazione è considerata abominevole consiste nel fatto che la maggior parte degli individui in occidente la sentono come abominevole. Ora, questo sentirla come abominevole non dipende da una qualche abominevolezza in sè della pratica dell’infibulazione ricavabile dalla ragione ma piuttosto dalla consuetudine e dalla cultura che in occidente nel corso dei secoli ha influenzato ed indirizzato questo sentire. D’altronde, se la pratica dell’infibulazione fosse abominevole in sè e per sè, questa abominevolezza ricavabile dalla ragione si imporrebbe automaticamente a tutti gli individui del mondo, cosa che non è avvenuta come è dimostrato dal fatto che sono ancora numerosi gli individui che la ritengono sacrosanta.
Restando allora sul punto (1), allora il suo esempio mostra con lucida coerenza tutta la debolezza del relativismo ne confronti del male e la sua incoerenza nel presentarsi come una filosofia tollerante per antonomasia. Infatti anche una cosa considerata certamente abominevole come l’infibulazione in realtà viene solo “sentita” come tale, non valutata, persino tale sentimento è RELATIVO (“Ora, questo sentirla come abominevole non dipende da una qualche abominevolezza in sè della pratica dell’infibulazione ricavabile dalla ragione ma piuttosto dalla consuetudine e dalla cultura che in occidente nel corso dei secoli ha influenzato ed indirizzato questo sentire.”).
La tolleranza del Relativismo in realtà è solo una superficiale concessione a tutto e al contrario di tutto: l’occidentale non può condannare una pratica di un altro paese secondo norme e sentimenti che valgono SOLO nel suo paese, così come in un dato paese NON può essere considerata una cosa abominevole in sé ma solo se lo è relativamente alla morale di quella società; se per quella società la cosa non è vista come abominio, allora il singolo individuo può fare solo due cose: emigrare oppure usare qualche argomento per cambiare la sua società ma non potrà mai andarlo a pescare tra quel mare di cose RELATIVE come il senso della dignità, il bene, il male…
Resta solo il criterio dell’utile e con esso l’idea che le persone sono strumenti, non persone.
P.S.: “se la pratica dell’infibulazione fosse abominevole in sè e per sè, questa abominevolezza ricavabile dalla ragione si imporrebbe automaticamente a tutti gli individui del mondo, cosa che non è avvenuta come è dimostrato dal fatto che sono ancora numerosi gli individui che la ritengono sacrosanta.”
Detto così, è davvero molto ingenuo, perché si da per scontato che le persone compiano il bene dopo averlo riconosciuto come tale dalla ragione, dimenticando di aggiungere la Volontà di farlo. Davvero qui si vede quanto il Relativismo sia arcaico, precedente al cristianesimo e ai suoi contributi.
La volontà di fare il bene non c’entra nulla qui, mi perdoni. Lei fa confusione: nei paesi in cui l’infibulazione è pratica sacrosanta gli individui non è che valutino razionalmente l’infibulazione un male, che la sentano come un male ma poi non abbiano la volontà di mettere in pratica il bene rinnegandola. In quei paesi l’infibulazione è proprio ritenuta razionalmente giusta e sentita come giusta, questo è il punto caro mio. Le ragioni in questioni morali DIVERGONO, i sentimenti DIVERGONO, questi sono fatti. il relativismo non è una filosofia che si intende imporre, il relativismo è un dato di fatto che scaturisce dalla realtà. Quando lei dice che l’infibulazione è una pratica che va considerata assolutamente abominevole lei postula qualcosa che deve dimostrare.
Premesso che “caro mio” lo dice a suo fratello, lei non si rende conto del fatto che si sta mettendo la zappa sui piedi a dimostrarmi che persino l’idea che l’infibulazione sia un abominio sia relativa, perché una volta che le avrei dato ragione, come la mettiamo con la tanto decantata “tolleranza” del relativismo?
Tolta la morale, tolto il sentire, cosa resta? La mia risposta è il criterio dell’utile, che ha come immediata conseguenza il vedere le persone come mezzo e non come fine, per cui facciamo bene a condannare il relativismo. L’esistenza di ragioni diverse e sentimenti diversi NON è la prova che non esiste un Bene e un Male assoluti, è la prova semmai che i nostri strumenti conoscitivi sono abbastanza limitati.
L’errore comune di relativismo, scetticismo e nichilismo è pensare “siccome il Bene e il Male assoluti (cioè validi per tutti) non riesco a trovarli con la ragione e/o con sentimenti, ALLORA o non esistono oppure non sono importanti”. Si deduce dal deficit gnoseologico quello ontologico, ma tale passaggio è ARBITRARIO.
Chiedo scusa ma quando lei parla di BENE e MALE da un punto di vista ontologico purtroppo io non la seguo. Vada pure lei.
Allora mi spiego meglio: il problema del relativismo è che siccome la Ragione e/o il Sentimento non permettono (in teoria) di trovare il Bene e il Male (nel senso “assoluti”), cioè di conoscerli (gnoseologia) ALLORA deduce che non esistono (ontologia) e agisce di conseguenza.
Aldilà dei paroloni, il relativismo come gioco di retorica mi sta anche bene, ci ho giocato anche io in passato
http://www.enzopennetta.it/2015/05/una-modesta-proposta/
In questo articolo faccio finta di presentare una proposta di legge sulla legalizzazione dell’omicidio col fine implicito di ripristinare la lotta tra gladiatori.
Il punto è che finché stiamo a giocare allora sì, possiamo anche divertirci a negare le connotazioni morali di cose come l’infibulazione, ma all’atto pratico il relativismo non è né tollerante né uno strumento su cui fondare la società, infatti finora non ha contraddetto i punti (2) e (3) del mio commento di ieri, anzi, li sta confermando.
Htagliato, per agire di conseguenza io ho bisogno di conoscere che cosa è male o bene, se io non li posso conoscere, anche ammesso e non concesso che bene e male esistano poi ontologicamente (e le ripeto che non la seguo su questa strada) a me cosa ne viene dato che non posso agire sulla base di ciò che non conosco? Non le pare?
E lasciamo le vertigini mentali degli idealismi tedeschi ai tedeschi, che a noi italiani non ci fregano.
🙂
Invece io ritengo che un vero e un giusto esistano, a costo di cadere nel Naturalismo, quando il mio cane subisce un torto si incavola non poco, come farebbe chiunque. Bisognerebbe rivalutare il cattolicesimo e i suoi “et…et” al posto degli “aut…aut” che sono delle degenerazioni estremistiche e assolutiste e delle caricature della posizione cattolica che media tra gli opposti. Alla fine il relativismo, il naturalismo, lo storicismo e lo psicologismo sono posizioni estremizzate di concetti che sono accettabili. La versione cattolica, e primigenia, del relativismo è la comprensione dell’altro come persona, se la estendiamo agli animali abbiamo il naturalismo, se la estendiamo alle epoche storiche abbiamo lo storicismo, mentre lo psicologismo può essere visto come il relativismo che mette l’accento sui processi interiori dell’uomo. Diceva appunto S. Paolo “Vagliate ogni cose e trattenete ciò che è buono”, ebbene c’è del buono in queste posizioni e questo buono è la comprensione e l’apertura verso gli altri esseri viventi. Quello che non è buono è l’estremizzazione di queste posizioni, il solito “aut…aut” che caratterizza le cosiddette eresie che si allontanano dall’universalismo cattolico, l’unico “relativismo” accettabile perché equilibrato, rispettoso degli altri e misericordioso.
Grazie comunque al prof. Benigni per aver scritto in modo chiaro e comprensibile su questi temi.
Grazie, MUGGERIDGE
Concordo in pieno con la sua osservazione: un certo grado di relativismo (ma perché no, anche di scetticismo) è del tutto salutare. Si trata di capire bene di cosa parliamo, dove e come viene applicato, quali possono essere le conseguenze vicine e lontane.
pensare che un essere umano diverso da me possa costruire una sua verità personale senza che questa corrisponda alla verità che io condivido/vivo è un esperienza che faccio ogni singolo giorno.
veramente non esiste una verità che non sia rivelata.
a questo punto non basterebbe risalire alla genesi di un pensiero logico e valutare la falsità oppure la verità che lo sostiene?
in particolare mi riferisco alle ideologie, alle teorie filosofiche, alle religioni.
Se il relativismo finisce per accettare l’infibulazione come tradizione di alcuni popoli e paesi dovrebbe parimenti accettare le discriminazioni anche molto pesanti di quei paesi verso gli omosessuali, altrimenti più che di relativismo parlerei di “furbismo” 🙂
Lei non ha ragione, lei ha più che ragione. Un relativismo serio è quasi introvabile, così come un serio nichilismo. Sento di frequente accusare il mondo moderno di relativismo, di nichilismo…ma io vedo solo caricature.
Comunque sia, lo ripeto: al relativista può benissimo repellere la pratica dell’infibulazione, semplicemente egli sa che questa sua repulsione non dipende dal fatto che l’infibulazione sia repellente in sè e per sè.
Perché gli dovrebbe “repellere” in quanto relativista?! Gli repellerà come uomo cresciuto in Occidente, ma la troverà normale in quanto uomo relativista, che anzi sarà ancor più confermato nella sua concezione a-morale…
Tu, Giancarlo, sei un sofista perfetto ed è uno spasso leggere le tue contraddizioni.
Insiste male, perchè il furbismo non c’entra nulla, lei non vuol capire che cosa sia il relativismo, si affretta a giudicarlo ma non lo ha compreso. Se lei pensa che scetticismo e relativismo siano esclusiva dei Sofisti, alzo bandiera bianca. Se vuole le faccio una lista che occupa tutta la storia della filosofia, ma se fa una seria ricerca se la trova da solo. Sulla nomea che i Sofisti avevano ci sarebbe molto da dire, si cerchi cosa ne pensa Nietzsche
Egregio Giancarlo… temo che un relativismo o un nichilismo “serio”, cioè coerente con sé stesso, sia una contraddizione in termini, se non votato all’autodistruzione, cioè alla nichilizzazione o alla relativizzazione di sé stesso.
Lei coglie invece bene il suo carattere di “parodia”: in effetti, proprio come una parodia, questo pensiero utilizza gli strumenti della filosofia chiamiamola “realista” (in senso lato) in modo del tutto inappropriato. E mi viene in mente come esempio artistico il famoso Orinatoio del dadaista (relativista-nichilista) Duchamp.
Egregio Stefano,
ma la realtà e l’esistenza sono una contraddizione e un assurdo.
Non lo ha notato?
La contraddizione e l’assurdità appartengono al discorso, non ai fatti. La realtà e l’esistenza sono, in quanto tali sono fatti. Ciò che hai scritto, Giancarlo, è un altro non senso.
E con il bene e il male come la mettiamo quindi?
Sono nei fatti o solo nel discorso?
Il bene e il male sono FATTI. Se hai dubbi, va a visitare Auschwitz.
Insisto sul fatto che si tratti di “furbismo”, ossia di un modo per giustificare davanti agli altri quello che ci piace o ci piacerebbe fare o non fare. Del resto i sofisti più che filosofi erano come degli “avvocati” che si addestravano a sostenere qualsiasi tipo di causa e anche il suo contrario per puri fini di convenienza e magari di lucro, nulla che appartenga seriamente alla storia del pensiero, se non per il fatto che di loro si sono occupati Socrate e quindi Platone. In altre parole “sono esistiti” grazie ad altri e non brillando di luce propria, non sono mai stati considerati dei filosofi, ma più che altro dei cialtroni.
Lei si contraddice, mi dispiace. Se l’esistenza è, in quanto tale puro fatto, a cui non posso applicare il concetto di razionale o irrazionale, assurdo e contraddittorio, allora qualsiasi avvenimento all’interno dell’esistenza è solo quel che è, puro fatto, al quale non posso applicare il concetto umano di bene o male. Secondo il suo ragionamento Auschwitz non può che essere un puro fatto, non può definirlo nè male, nè bene. É Spinoza, lo sa? Ed è un pensiero fondamentalmente scettico. Se la prenda anche con lui.
Mi scusi, Giancarlo, visto che ormai abbiamo capito benissimo in cosa consiste la pars destruens del Relativismo, ci può dire se esiste una pars costruens?
Anziché dirci cosa non possiamo fare, ci dica cosa possiamo fare. Per esempio, se mi viene voglia di riaprire Auschwitz, però mandandoci non più minoranze etniche e/o religiose o cose simili ma semplicemente tutti quelli che mi stanno antipatici, posso farlo senza crearmi problemi di coscienza?
Giancarlo, con Lei tutto è uguale a tutto ma allo stesso tempo è uguale a niente.
Non parli di contraddizione perché per Lei niente ha senso.
Il fatto che Lei possa pensare Auschwitz come un bene o come una sedia o un pokémon non implica che ciò che è stato sia relativamente malvagio, addirittura moralmente inesistente.
Se Lei non crede in Dio, non crede neanche nel senso, ma solo nella manipolazione lessicale, nell’ artificio retorico, nei modi d’ intendere. Eppure il male e il bene non sono nel concetto, ma nella coscienza umana, cioè sono vitali per l’ uomo. E se la coscienza umana non è empiricamente misurabile e calcolabile, a maggior ragione questo va a rafforzare la fede in Dio.
Il bene è il male sono dati di fatto nella coscienza umana, ma la coscienza umana si esprime nel discorso, ma il discorso non coincide con l’ essenza dell’ oggetto che sta dimostrando. Altrimenti Giancarlo, mi sta dicendo che tutto è discorso, quindi anche l’ ucciderla nel sonno non è in sé sbagliato se il discorso lo manipolo in modo tale da renderlo un gesto “generoso”.
E l’ amore Lei dove lo mette?? La carità dove la mette?? L’ altruismo dove lo mette??? Non esistono perché Lei può dire che la carità fa schifo, l amore fa schifo e l’ altruismo fa schifo??? Il semplice pensare che facciano schifo implica l’ inesistenza di questi? Ma di cosa sta parlando? Giancarlo, si aiuti che sta sprofondando in un baratro secondo me.
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Se io la uccidessi mentre sta dormendo (evitandole la sofferenza fisica) perché credo di salvarla da un’ esistenza priva di senso come la definisce Lei, e che decida di interpretare la sua opposizione come un legame insano con la sua stessa vita dovuto ai suoi istinti, e decida d’ interpretare questi stessi come un errore della sua mente, Lei non crede che possa farle un favore? Le ho “donato la pace che merita, da buon granello di sabbia. Io sono la tua pace” come direbbe l’ antagonista del libro che sto scrivendo.
Io le auguro con tutto il cuore di uscire da questo baratro senza fondo. Ci possiamo girare quanto vuole, ma se esiste Dio c’ è un senso nelle cose, se non esiste Dio non c’ è nessun senso.
Se Lei ha bisogno di essere costretto a credere in Dio mentalmente senza avere facoltà mentale di pensare altrimenti, mi dispiace tanto ma la dottrina relativa parla di un Dio che ha creato l’ uomo libero. Se Lei non ci crede, mi dispiace tantissimo perché i suoi atti di fede totali verso Nietzsche potranno portarla ad una tremenda psicosi, per poi dopo la morte rendersi conto di aver sbagliato assiomi. Ascolti in cuor suo, le sembra possibile che non ci sia nessun senso, Le sembra possibile non contare nulla, Le sembra possibile essere uno scherzo della natura i cui pensieri frutto del puro caso? Le sembra possibile che persino Auschwitz possa essere considerato né buono né cattivo? Io glielo consiglio con tutto il cuore, parli con un sacerdote, uno psicologo, un amico, con qualcuno e metta da parte l’ orgoglio e i fantasmi nietzschiani che faranno a lei la stessa fine di lui, si apra ad un equilibrio tra ragione ed emozione, e lì potrà scoprire qualcosa di nuovo o di perduto. Io la capisco perché so cosa sta passando, questo nickname è un urlo di dolore al relativismo.
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Si ricordi che il semplice pensare diversamente un oggetto, non implica la sua non esistenza.
E chi l’ha detto, Giancarlo, che non posso attribuire ai fatti gli aggettivi razionale, giusto, bello, vero, ecc.? Gli aggettivi son fatti per questo!
Gli aggettivi che ho detto non si possano applicare ai fatti sono quelli di contraddittorio e di assurdo (ed anche altri), che tu avevi applicato all’essere, ed invece hanno significato solo applicati al discorso!
Li hai fatti i primi esami di Logica? Li conosci i diversi livelli di linguaggio?
Le aggiungo questo bellissimo pensiero di Giovanni Romano Bacchin:
“La «prova» dell’esistenza di Dio si formula facendo, entro i limiti del suo intento, di Dio il suo «oggetto»; ma come è possibile «oggettivare» Dio?
In essa, il tema è ipotizzato diverso dalla sua «tesi», ed insieme intrinseco.
La relazione senza di cui l’oggetto non sarebbe, non tocca qui la peculiarità dell’oggetto, così che entrare in relazione con questo è restare fuori relazione: tentare di relazionarsi a Dio è tentare di ridurlo a tentativo.
[…]
L’autenticità ( = senso) della prova non è l’esito, ma l’impossibilità di questo […].
Ma proprio ciò che sembra togliere alla prova valore, l’assenza di esito è ciò che ne assicura validità: l’impossibilità di superare il «tentativo» […] è anche impossibilità di identificarlo con l’assoluto, necessità che l’assoluto trascenda infinitamente il tentativo di raggiungerlo.
La prova perviene a provare solo se stessa, nel senso che solo restando «tentativo» essa è trascesa da ciò che non si lascia «tentare» e non abbisogna di essa per essere o per affermarsi, laddove essa abbisogna di fallire per essere vera.
Il suo perenne fallimento, che ne è l’infinitezza, la continuità inarrestabile, l’assenza di esito, è assicurazione dell’insicurezza che mantiene la differenza irriducibile tra Dio a cui essa tende e l’uomo su cui essa ripiega.
[…]
nulla vi può essere di «assoluto» in ciò che è totalmente trasceso dall’assoluto.”
– Anypotheton, pp. 303-304.
Nemesis, purtroppo debbo dirle che lei distorce completamente il senso tanto del relativismo quanto dello scetticismo e a questo aggiunge una predica, che va bene, per carità, ma che non coglie minimamente nel segno.
Per quanto riguarda il pensiero di Bacchin, devo confessarglielo, lo ritengo delirante. Senza offesa. 🙂
Ma lo dice a me che non colgo i l senso del relativismo e dello scetticismo che studio filosofia da 5 anni accademici?? Ma come si permette? Parla Lei che non ha un briciolo di metodo è criterio per fare un ragionamento filosofico razionale. Lei ragiona ripetendo quello che dicono Spinoza e Nietzsche. ” Siccome loro hanno parlato così, allora è cosi”. È chi lo dice? Poi Lei ha saputo solo offendere senza entrare nella questione. Le ho chiesto: “è sbagliato ucciderla nel sonno se motivo bene l omicidio?”. È Lei nn risponde perché sa che è giusto. Io trovo delirante piuttosto un uomo che crede che non esista in sé senso e razionalità nelle cose, tranne che nel suo modo di pensare. Ma d’ altronde tutte le ideologie sono così. Per Lei niente ha senso, glielo ripeto, e ancora devo capire perché ha senso quello che dice Lei, che mi confessa che ucciderla può essere un atto buono. Come dice Tagliato, abbiamo capito bene qual è la pars destruens del relativismo, ci parli invece della pars costruens ora che l unico pensiero razionale valido è credere che la razionalità non c’entri niente con le cose esterne all uomo
Nemesis, lei insiste con gli esempi ma io ho già risposto a degli esempi e qualunque esempio avrà la medesima risposta. Perchè non lo capisce? Non c’entra la manipolazione del discorso. Uccidere, nel sonno, non nel sonno, in qualunque situazione, non può essere considerato giusto o sbagliato in sè. Qualsiasi asserzione morale, logica, estetica, poichè non ha di fronte a sè un oggetto su cui possa controllarsi, in sè non è vera nè falsa. Su questo veda Simmel. Ma la constatazione di ciò non mi impedisce di ritenere sbagliato uccidere, sono consapevole però che sono io a ritenerlo sbagliato e non che è sbagliato in sè. Spero sia chiaro adesso.
Sì ma non ho capito come fa ancora a essere certo di quello che pensa. Mi dice sempre: “L ha detto Nietzsche, l’ ha detto Leopardi, l’ ha detto Simmel” ma non s’ accorge che motiva sempre la sua posizione in questo modo. “Siccome l’ ha detto lui allora è così!”. I suoi sono dei fastidiosissimi argumentum ab auctoritatem, si dice relativista-scettico ma parla come uno che è strasicuro di ogni cosa! Ha un criterio di pensiero anti-accademico, cioè fideistico e ingenuo. Io mi sto stancando di leggere le sue risposte auto-confutantesi.
Senta Anna, quando io dico assurdo intendo irrazionale, mi sembra lampante. Mi vuol spiegare perchè posso attribuire ai fatti l’aggettivo di razionali e non quello di irrazionali????
Intanto assurdo non è sinonimo di irrazionale, Giancarlo. Secondo, tu negando l’esistenza della ragione, non puoi nemmeno chiamare razionale o irrazionale alcunché. E con questo chiudo con te, perché non trovo ragione di ragionare coi sofisti.
QGiancarlo ma come può parlare di irrazionale se il senso lo inventiamo noi? È irrazionale perché Lei lo sente così? È irrazionale perché glielo dice lo Zibaldone di Leopardi? Prima Lei ha fatto un ragionamento sull’ esistenza che è priva di fine, ma guardi che per me la sua visione è un modo d’intendere. Io potrei anche intenderla in maniera diversa, non capisco proprio come fa a essere certo dei suoi modi d intendere. Tra l altro Lei dice che non esiste senso intrinseco nelle cose, quindi il senso è un invenzione umana. Ok, ma perché il suo modo di intendere sarebbe quello esatto? O non esatto, che per Lei è un po’ la stessa cosa. Io ho paura che farà la stessa fine di Carmelo Bene. Un cortocircuito mentale io cui arriverà persino a credersi Dio credendosi nulla, e unico vivo in mezzo a tanti zombie. Mi sta facendo preoccupare, mi creda.
Caro Giancarlo: e niente ci cado anch’io, allarghiamo pure il discorso ai massimi sistemi 🙂 da parte mia io credo che “la realtà e l’esistenza sono una contraddizione e un assurdo” *solo* se ci si pone fuori da un Disegno intelligente e si affida la spiegazione al Caso-onnipotente oppure non se ne dà alcuna. 🙂
Caro Alessandro,
premesso che non c’è nella realtà nessuna ragione, anzi che non c’è ragione e nemmeno non ragione, che razionale ed irrazionale sono concetti della nostra mente che li applica ai fatti per interpretarli ma che ai fatti non appartengono (si pensi a Hume e alla questione della necessità logica “che è nella mente e non negli oggetti” o a Spinoza e al suo “La perfezione e l’imperfezione sono in realtà soltanto modi del pensare, cioè nozioni che siamo soliti inventare..”), premesso ciò, così Anna è contenta, una volta applicati i concetti di razionale ed irrazionale alla realtà, a me questa appare irrazionale, assurda e contraddittoria.
Lei non sente un’insopprimibile ripugnanza ad ammettere che l’Ente perfetto, completo,eternamente beato, abbia emesso il turbine dei mondi, delle cose e delle esistenze finite chiuse nel circolo mostruoso di reciproca distruzione e dolore (dukkha diceva il Buddha) che le lega in maniera indissolubile?
Dalla pianta, agli insetti, agli animali di ogni specie, all’uomo, è un incrociarsi di reciproche distruzioni necessarie alla conservazione di altre esistenze. Ogni esistenza, invece di avere un fine in sè, non ha per fine che di essere annientata a beneficio di altre, che a loro volta hanno anch’esse per unico fine il proprio annientamento e così via, all’infinito, senza meta. Mostruoso assurdo che tutte le esistenze che si aggirano nell’universo sono semplici mezzi l’una dell’altra, CIOE’ MEZZI DI NESSUN FINE.
Nessuna teologia o filosofia sono mai riuscite e mai potranno riuscire ad eliminare questo assurdo. Non si creda che noi non si sia sperato, alcune per un momento ci hanno anche conquistato, ma ben presto è tornato ad afferrarci il senso che tutto ciò è chimera.
“Gli esistenti esistono perchè si esista, l’individuo esistente nasce ed esiste perchè si continui ad esistere” come poteva essere più efficace Leopardi nel cogliere la spaventosa verità che che l’esistenza non è per l’esistente, ma l’esistente per l’esistenza? Il fatto che la natura per conservare l’ordine dell’universo debba distruggere gli individui che partorisce come possiamo giustificarlo? Fatto che “essendo necessaria conseguenza dell’ordine attuale delle cose, NON DA’ UNA GRANDE IDEA DELL’INTELLETTO DI CHI E’ O FU L’AUTORE DI TALE ORDINE”.
Il fatto quindi che il male sia non elemento accessorio bensì ESSENZIALE dell’ordine del mondo è tale che che costringe a chiederci “che epiteto dare a quella RAGIONE O POTENZA CHE INCLUDE IL MALE NELL’ORDINE, CHE FONDA L’ORDINE NEL MALE”.
A me pare quindi che la prova apodittica che DIO non esiste e che non c’è alcun DISEGNO INTELLIGENTE, sia “la creazione” stessa. Io davvero non posso sopportare di attribuire a DIO tutto questo. Dio non può aver creato.
La poesia – la creatività senza briglie altre che i propri sentimenti – è una cosa (commoventissima nel caso di Leopardi), la filosofia – l’esercizio della ragione – un’altra, Giancarlo. Naturalmente se la ragione non esiste, come tu dici di credere, bastava dirlo subito: come possiamo dialogare?! e tu chi vuoi convincere di che cosa a parole, vale a dire ragionando? Addio.
Si sbaglia, qui sono presenti ragionamenti filosofici evidentissimi, non c’entra proprio nulla la poesia. Qui c’è puro esercizio della ragione come in tutte le pagine dello Zibaldone. Purtroppo lei denigra quel che non può confutare.
E chi ha detto che la ragione non esiste? Ma lei sa leggere?
Che”Ogni esistenza, invece di avere un fine in sè, non ha per fine che di essere annientata a beneficio di altre, che a loro volta hanno anch’esse per unico fine il proprio annientamento e così via, all’infinito, senza meta” questa è per lei poesia o è un fatto?
Che l’esistenza per continuare ad esistere abbia bisogno di nutrirsi di se stessa le pare poesia o è un fatto?
Sinceramente per me è poesia.
è la solita banalità “se esistono i viventi che muoiono o vengono uccisi, allora Dio non esiste perché sarebbe malvagio”.
Quindi se Dio esistesse tutti i viventi sarebbero immortali, indistruttibili, incapaci di riprodursi e sarebbero sempre gli stessi.
Metti arbitrariamente la parola annientamento a fulcro di tutto il pensiero, e Dio diventa automaticamente un annientatore che non può esistere. è un modo d’ intendere e non un fatto. Perchè sarebbe un fatto?
Uh mamma sono tantissimi i commenti: mi fa molto piacere che questo mio piccolo intervento abbia suscitato un così vivo dibattito. Avete scritto cose molto belle, che mediterò di sicuro e chissà, magari proverò una sintesi, se mi viene. Rispondo solo al problema del male.
Ha ragione chi qui sopra – non riesco a vedere il post, ma credo che l’importante sia l’argomento più che chi lo sostiene – denunciava la fatica a dover ammettere che un Ente perfetto ha creato un mondo imperfetto, dove c’è tanto dolore, sopraffazione, ingiustizia, morte. Posso dare una risposta da leibniziano? 🙂
Anzi no. Proverò a scendere sul personale e a darne una mia. Da ragazzo, quando studiavo (poco, purtroppo 🙂 ) la teodicea di Leibniz mi aveva affascinato, ma non convinto. e’ vero: è logicamente inammissibile che un Ente creatore perfetto crei qualcosa di altrettanto perfetto. si deve scendere di grado. Di quanti gradi, però? Un mondo come il nostro, tolto il mio mal di testa attuale, soddisferebbe il requisito logico ed ontologico di non essere pari al Creatore, e nel tempo stesso sarebbe un po’ più perfetto di questo. Perché dunque, l’Ente perfetto e che ha solo qualità positive (per dirla alla Godel) non mi toglie il mal di testa, o di denti, o quello che volete? Eccoci al punto: è proprio qui, che da ateo sostanziale (lo sono stato dai 16 anni ai 42!) si pone un non facile problema. Lo risolve la fede. Io la penso così, amici: se Dio c’è, ed è davvero buono, apre una vita eterna al nostro cospetto. Come diceva Cusano? Tra infinito e finito non c’è proporzione. Allora sarà un lento e progressivo sprofondare nel Divino, sempre di più, senza fine. Con la differenza che chi ha più patito in questa vita potrebbe godere di questa immersione in un modo più profondo degli altri. Non so se rendo l’idea, ho l’immagine chiarissima ma fatico a renderla. Tanto che logicamente – se avessi davvero fede – dovrei chiedere a Dio di non risparmiarmi nulla di finito, per godere più a fondo dell’infinito. In sintesi: il male lo vedo. La teologia cattolica spiega un po’, poi si ferma. E’ un Mistero. Ha ragione. Però qualche ipotesi possiamo farla: quanti tipi di infinito esistono? Infiniti, secondo Cantor. Ecco: ad ogni infinità diversa, compete una vita eterna diversamente infinita. Ed il male, da questo punto di vista, con buona pace dei Relativisti, è davvero relativo. Per profondo ed accecante che sia. scusate la lungaggine e buon proseguimento. Grazie a tutti.
Nemesis, lei non ha colto il punto che ripeto è un fatto e non poesia così come è un fatto e non poesia che l’acqua bagni e il fuoco bruci. L’ordine della Natura si basa necessariamente sul fatto che la vita per esistere ha bisogno di distruggere se stessa. FATTO NON POESIA. Una realtà che si mantiene solo annientandosi, che si afferma togliendosi, che si pone negandosi non è forse assurda? Non è il semplice problema della morte (che comunque mi sorprende lei definisca banale, beato lei che lo ritiene tale). Schopenhauer utilizza l’immagine della vita che affonda i denti nella sua stessa carne, che si nutre di se stessa. Lei rispetta il precetto divino del non uccidere ma non nota che l’ordine della Natura si regge sull’infinita uccisione reciproca delle esistenze?
Se per lei questo è normale, ne prendo atto.
Ma non si dica che è poesia perchè è la realtà.
Che l acqua bagni è un fatto fisico, la giustizia e il bene non sono fatti fisici, sono fatti metafisici, ma il fatto che siano metafisici e quindi non misurabili non implica che non esistano. Uno dei punti deboli del suo pensiero è che valuta come fatto fisico ogni cosa esistente, così facendo tutto ciò che non è condiviso da tutti diventa inesistente. Ma ciò che non è condiviso da tutti è tale perché non è un fatto fisico come l acqua che bagna. Così giustizia, amore, verità, ideali, valori e via dicendo diventano oggetto non esistenti per Lei perché non sono come l acqua che bagna. Se per questo ribadisco che i punti di vista di Leopardi, suscitati più da emotività che da razionalità, restano per me più poesia che ragione.
La natura poi è malvagia solo in relazione alla mente umana che la concepisce come tale, perché priva di valori, ma guarda caso c’ è una mente che comprende i valori e giudica la natura in base ad essi, come sta facendo Lei.
Altrimenti Lei da relativista incoerente che non è altro dovrebbe ammettere persino che la natura non è né malvagia, né priva di valori perché questi stessi in realtà non esistono e l’ uomo che la giudica come malvagia lo fa sbagliando, come fa Lei.
Cioè Lei da relativista non può neanche affermare che la natura sia malvagia e senza valori. Tutti i suoi artifici retorici si risolvono in un nulla cosmico. è vero ed è falso nulla e nulla è vero e falso.
Io riconosco che la natura è diversa da me ma proprio questa diversità rafforza la mia fede in Dio. Tanto è vero che se non esistessero valori, diritti ed ideali, non saremmo neanche capaci di concepirli, neanche capaci di renderli parole.
Riconosco quindi che io sono altro dalla natura, pur facendone parte e riconosco di essere un essere morale dotato quindi di facoltà mentali libere, a differenza di qualsiasi forma di natura esistente.
Non vedo quindi che problema c’ è a porre Dio anche in una natura immorale di cui non fa parte la coscienza umana.
E concludo dicendo anche che se vuole fare il relativista non parli di assurdità, perché per Lei non essendo senso, non può esserci neanche assurdità, cioè l’ assurdità è solo frutto di processi emotivi. Lei sente che la natura è ingiusta, quindi è così. Benissimo, ma il sentire che la natura è ingiusta dovrebbe essere per Lei un errore mentale, quindi non capisco perché lo valuta come verità per provare l’ inesistenza di Dio.
Se vuole fare il relativista, si comporti da relativista, per favore.
Lei non ha letto il mio primo intervento con attenzione dall’inizio, ho infatti detto:
_premesso che non c’è nella realtà nessuna ragione, anzi che non c’è ragione e nemmeno non ragione, che razionale ed irrazionale sono concetti della nostra mente che li applica ai fatti per interpretarli ma che ai fatti non appartengono (si pensi a Hume e alla questione della necessità logica “che è nella mente e non negli oggetti” o a Spinoza e al suo “La perfezione e l’imperfezione sono in realtà soltanto modi del pensare, cioè nozioni che siamo soliti inventare..”), premesso ciò, così Anna è contenta, una volta applicati i concetti di razionale ed irrazionale alla realtà, a me questa appare irrazionale, assurda e contraddittoria.
La sua obiezione relativa alla mia incoerenza è confutata da quello che quindi avevo premesso.
Quindi per lei è perfettamente conseguente che un Ente massimamente buono e intelligente abbia creato un mondo che si regge sulla costante e infinita reciproca distruzione degli esseri che vi vivono. Di modo che anche lei per vivere non può fare altro che divorare altre vite (animali o piante che siano).
E’ questo il DISEGNO INTELLIGENTE?
Va bene, ho capito.
Giancarlo, come chiunque abbia viaggiato un po sa benissimo, in un viaggio la cosa più interessante finisce spesso per l’essere il viaggio stesso, più che la meta.
Come si può banalizzare la vita, solo perchè prima o poi finisce?
Tralasciando la religione, lo scopo della vita è almeno la vita stessa! Tanto è vero che nessuno di noi , tranne rare eccezioni, vi rinuncerebbe mai a cuor leggero, pur sapendo che in fondo c’è la morte,
Dall’inzio del mondo una parte dell’umanità si dibatte nella domanda “perchè esisto?” , invece di domandarsi “posto che esisto, come posso rendere piena la mia esistenza?”
“Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza, per affrontare solo i fatti essenziali della vita, e per vedere se non fossi capace di imparare quanto essa aveva da insegnarmi, e per non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto. Non volevo vivere quella che non era una vita, a meno che non fosse assolutamente necessario. Volevo vivere profondamente, e succhiare tutto il midollo di essa, vivere da gagliardo spartano, tanto da distruggere tutto ciò che non fosse vita, falciare ampio e raso terra e mettere poi la vita in un angolo, ridotta ai suoi termini più semplici” (Henry David Thoreau)
@Masiero e Benigni
Veramente a me risulta che la differenza genetica tra due qualsiasi individui della specie umana attuale sia dell’ordine di meno del 2 per mille e non dello 0,16%.
Mi scusi, Vomiero, ma quello 0.16% che separerebbe due specie di Homo non è ancor meno del 2 per mille che separa me da Lei?!
Sì, in effetti sono valori confrontabili, per cui, se questi valori sono esatti, dal punto di vista delle differenze genetiche saremmo lì… Grazie per avermelo fatto notare.
Il relativismo poteva nascere solo da una religionelibera come il cristianesimo. Travisandone ovviamente i contenuti assoluti, ossia il messaggio e il lascito del Cristo.
Condivido, Jaco. Ci sarebbe molto da dire, in effetti, sul relativismo. Forse è come il colesterolo, c’è quello buono e quello cattivo. 🙂 Noi prendiamo di mira il secondo.
Che il relativismo assoluto sia fondamentamente una furbata dialettica e che andando ai fatti finisce per rivelarsi
inconsistente lo può dimostrare un esperimento ipotetico. Immaginiamo un uomo normale che si trovi a
scegliere se andare a letto con, facciamo l’ ipotesi, Vanessa Incontrada o con Rosi Bindi, l’ inguaribile
dialettico risponderà :”dipende”, a parole… In realtà il sig. Giancarlo e relativisti vari sanno benissimo
quale sarebbe, nei fatti, la loro scelta! Senza esitazione! Alla faccia del di tutte le chiacchiere relativistiche,
saprebbero con intuito sicuro in quale dei due letti infilarsi!
Giancarlo, a mio parere la cosa di cui si discute è leggermente complicata da secoli di “filosofia”.
Quella che etimologicamente era concepita come una “dilezione per la sapienza”, dovrebbe avere il compito di procurare strumenti razionali per dare ragione a ciò che di per sé è assiale, cioè aldilà (non aldiqua) della razionalità.
Dare cioè ragioni a quall’Intuizione che Socrate chiamava “thaumazein” — stupore — da cui tutto nasce, anche e soprattutto il pensiero.
Quella verità assiale, intuitiva, non razionale, sintetica, non analitica, per cui lei, nonostante tutto, parla con noi incoerentemente rispetto al suo relativismo e nichilismo (ed io la ringrazio sinceramente per i suoi stimoli).
Se gli strumenti razionali della filosofia sono utilizzati in modo inappropriato possono diventare veri strumenti di distruzione psichica di massa. O, nella migliore delle ipotesi, la valigetta degli attrezzi dell’infelicità.
Complicata da secoli anche di filosofia scettica e relativista, che qui si intende liquidare con imbarazzante superficialità.
Se lei comincia a parlarmi di verità “assiale”, “intuitiva” “non razionale”, io brancolo nel buio, non riesco più a capire di cosa parla, chiedo venia.
Giancarlo: non direi superficialità, direi piuttosto in modo sintetico. Qui intendiamo per Relativismo l’idea (molto comune) secondo la quale non esistono verità assolute sotto il profilo gnoseologico, gli enti son tutti uguali (dal punto di vista ontologico) e si può fare più o meno quel che si vuole (dal punto di vista etico). Mi fermo qui. Grazie e buon proseguimento.
Ma lei intende molto male caro Alessandro perchè continua a banalizzare un’imponente posizione filosofica.
Veramente è la posizione filosofica meno imponente di tutte, tant’ è vero che è una non-filosofia, cioè una ricerca verso il sapere di non poter sapere niente, il sapere di essere niente, il sapere che niente è se non fenomeno. Essa non è ricerca del sapere, quindi del vero, ma è la ricerca della sua negazione, quindi lo svuotamento di tutto il pensiero umano, talmente svuotante da svuotare persino sé stessa e renderla di fatto relativismo dello stesso relativismo.
Mi meraviglia che le sue emozioni possano reputarla una posizione filosofica “imponente”, dal momento che non ha nessuna criterio neanche per porre sé stessa.
E’ possibile che la mia sia una banalizzazione, non ne discuto. Faccio però rilevare (e mi rendo conto che non è un argomento in sé) che sono in ottima compagnia. Cito solo quelli a me più cari, ma l’elenco è lunghetto: da Platone ad Aristotele, da Husserl a Gentile o – se vogliamo sconfinare nel registro della teologia cattolica – da San Tommaso a Benedetto XVI. Dall’altra parte ci sono i Vattimo e i Derrida (con i dovuti distinguo): credo di poter dormire sonni tranquilli. 🙂
Mi fa piacere che voi riteniate superflui Pirrone, Timone, Arcesilao, Carneade, Sesto Empirico, Cicerone, Celso, il relativismo etico di Spinoza, Montaigne, Charron, Sanchez, Glanvil, Huet, Bayle, Poiret, Pascal, per molti versi Hobbes, Machiavelli, per certi versi Locke, Hume, la gigantesca filosofia leopardiana dello Zibaldone, Voltaire, Diderot, Helvetius, Lichtenberg, per certi versi Renouvier, Nietzsche, De Gaultier, Rougier, Vaihinger, Simmel, Spengler, FCS Schiller, N. Hartmann…
Procedo per numeri:
1)Mi vuole spiegare intanto cosa c’ entra Pascàl con il suo relativismo? Per la critica al cogito cartesiano ignorando però tutto il resto della sua filosofia?
2)Vuole paragonare Pirrone, Sesto Empirico,Arcesilao e Carneade a Platone, ad Aristotele e ad Agostino, che sono le radici di tutta la filosofia occidentale mentre i suoi scettici si trovano in un angolino a parte, buoni solo per essere citati in accademia in sostegno di Aristotele, possibilmente? Persino Cicerone viene studiato e considerato più come oratore e scrittore che come filosofo.
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3)Mi vuole spiegare come concilia il deismo di Voltaire, di Helvetius, di Spinoza, di Locke e di Renouvier con il suo fideismo scettico, che la fa dubitare persino della sua esistenza?
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4) Lo zibaldone non è considerato dalla comunità filosofica una vera e propria opera di filosofia, tant’ è che non viene mai affrontato e considerato, tranne da Lei che addirittura lo fa diventare un capolavoro filosofico, bah.
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5) Il suo metodo filosofico è fideistico. Se le si prova a chiedere le ragioni della sua posizione Lei risponde che l’ ha detto Hume, l’ ha detto Nietzsche, l’ ha detto Vaihinger.
Ma è impossibile confutarla non perché abbia ragione, ma proprio perché Lei nega che ci siano ragioni, in questo modo è chiaro che vince Lei, per poter confutare un pensiero filosofico io necessito di metterne in dubbio quanto meno i postulati, quindi poi gli assiomi. Ma se Lei pone come assioma il fatto che non ci siano ragioni, io più che invitarla a osservare la realtà in maniera meno teoretica e più pratica, non so in che altro modo farglielo capire che è in errore.
A me risulta evidente che le cose abbiano un senso, ma né Lei né io io riusciamo a convincere l’ altro, solo che Lei “vince” da un punto di vista teorico perché stabilisce che non ci sono ragioni, quindi io nel momento in cui do delle ragioni, cadrei automaticamente in errore, io vinco da un punto di vista pratico, perché Lei non ha modo di sviluppare una pars costruens.
Immagini se tutta l’ umanità la pensasse come Lei, cosa ne diventerebbe. Ci scanneremmo e ci suicideremmo tra di noi come le bestie.
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6)A me invece fa piacere che Lei consideri superflui con tanta sicumera il deismo e il teismo di Platone, di Aristotele (che la ritiene uno che vegeta e non ragiona), Agostino, Boezio, Avicenna, Averroè, Anselmo d’ Aosta, D’ Aquino, Eckhart, Bacone, Cartesio, Berkeley, Kant, Spinoza, Leibnitz, Heidegger, Gadamer, Hegel, Jung, Bergson, Husserl, Wittgenstein, Gentile, Einstein e chiudo così perché la lista non finirebbe mai.
Dopo 5 anni di studio filosofico accademico devo dire che non ho mai sentito né Glanvil né Rougier e solamente citati Montaigne, Bayle, Diderot, Vaihinger e Hartmann. Simmel e Splenger invece sono affrontati con trascuratezza solo in Filosofia Morale ed Ontologia.
I miei professori però li considerano poco.
8) Devo ripetere che il suo scetticismo-relativismo continua ad essere una contraddizione in termini. Nel momento in cui crede che tutto sia relativo e dubitabile, Lei è però sicuro di non dubitare del suo pensiero, quindi Lei ammette che la mente può conoscere parzialmente la verità, ma siccome Lei la nega ontologicamente, sta dicendo che Lei dice il vero perché lo dice a priori.
Il mondo è anche cattivo, perché non c’è altro modo di (far) capire che esiste il bene e il male, in un mondo perfetto, che secondo gli scettici dimostrerebbe l’esistenza di Dio, non si potrebbe discernere nulla, non si saprebbe cogliere nemmeno se le cose progrediscono ed evolvono oppure no. Per il nihilismo del pensiero orientale il mondo è sempre lo stesso, noi siamo in grado di dire che non è per nulla sempre lo stesso, che evolve, quindi sappiamo distinguere a livello anche elementare tra il bene e il male e in che direzione procedere. Questa è un’altra grande e fondamentale eredità del cristianesimo (e della scienza moderna che ne è figlia) ed a ben vedere è una eredità dirimente riguardo alla questione qui disputata.
Ma perchè mai la suprema realtà intemporale che deve possedere in sè tutto il bene, avrebbe necessità di effettuarlo ed estrinsecarlo in processi temporali? Perchè non intemporale e istantaneo raggiungimento, anzi presenza, di tutto quello che doveva essere?
se posso inserirmi, Giancarlo: a me sembra che “estrinsecare” in questo caso sia sinonimo di “creare”. E siamo così al punto di prima (Leibniz etc.)
No scusi ma vorrei una risposta alla domanda..
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