La Moschea del Moghul Aurangzeb a Lahore (1671-1673)
di Giorgio Masiero
Ricordi e immagini del primo Nobel per la fisica di fede islamica, a 20 anni dalla morte
Lo conobbi a Trieste nel 1970, ad un seminario sulle interazioni nucleari. Io ero uno studente di fisica, equamente impegnato a studiare le particelle elementari e a preparare la rivoluzione contro il capitalismo multinazionale. Il dolore della guerra e lo squallore del dopoguerra se n’erano andati e tutto il mondo sognava un futuro migliore. In America i giovani manifestavano per i diritti civili e contro la guerra in Vietnam. In Italia occupavamo le università, ribellandoci contro l’autorità e la tradizione, mentre i lavoratori proclamavano scioperi generali contro il governo. Solo nel pragmatico Regno Unito i giovani snobbavano la politica per fondare la nuova società sulla musica, le mode e il sesso libero: i ragazzi allungavano i capelli, le ragazze accorciavano le gonne.
In quegli anni irrequieti, con il mondo spaccato in due dalla guerra fredda, un’oasi di pace stava a due passi dalla cortina di ferro, nella regione che ospitava la maggioranza delle caserme d’Italia e delle postazioni missilistiche atomiche puntate verso Est. Era il Centro Internazionale di Fisica Teorica di Trieste, che ora porta il nome del servitore di pace. Il clima di serenità nell’istituto, interrazziale, interreligioso, internazionalistico si doveva tutto, capii subito, al carismatico fondatore.
Suo padre, un maestro di scuola del Punjab, aveva sognato d’avere un giorno un figlio destinato a servire Dio realizzando grandi imprese. Quando il figlio gli nacque, il 29 gennaio 1926, lo chiamò Abdus Salam, che in urdu significa servitore di pace. Il nome, in nomine omen, Salam l’avrebbe indossato come una seconda pelle per tutta la vita. Protetto dalla benedizione paterna, egli poté vedere la profonda unità delle forze apparentemente separate della natura con la stessa chiarezza con cui vedeva i comuni legami che uniscono tutti gli uomini nelle diverse forme dei credi religiosi e politici.
Aveva una cultura ampia, umanistica e tecnica, orientale e occidentale, che spaziava dalla poesia indo-islamica alle comiche dei fratelli Marx, dall’industria dei paesi sviluppati all’agricoltura del terzo mondo. Anche se per la maggior parte della vita visse lontano dal Pakistan, non recise le sue radici: basta dare un’occhiata alla foto che lo ritrae durante la cerimonia del Nobel, con il turbante svolazzante, l’achkan (la giacca lunga fino al ginocchio) e i khussa (i mocassini di foggia asiatica ricurvi in punta).
Salam lavorò a rivelare le belle strutture nascoste, fisiche e antropologiche, per unire fenomeni e popoli divisi senza necessità. Diceva di aver ereditato la passione per l’unità del creato dalla fede nell’unicità di Dio: “Credere nell’unità, in una Causa unica e semplice di tutto ciò che vediamo, ha in me la sua base nell’educazione spirituale che ho ricevuto”, ripeteva. Ma l’attaccamento all’islam e alla patria non limitò la sua visione del mondo, che ignorava i muri. Tra i suoi più famosi studenti, ebbe il fisico ebreo Yuval Ne’eman, che si laureò mentre era attaché militare presso l’ambasciata israeliana a Londra e cui Salam fece anche da relatore. Devoto musulmano, non disdegnò di collaborare nella teoria elettrodebole con un ateo dichiarato come Steven Weinberg. Essi non solo lavorarono fianco a fianco a quella teoria fino al Nobel, ma furono amici reciprocamente legati per tutta la vita.
Dopo quel seminario, l’avrei rivisto un’altra volta pochi anni dopo, quando già non mi occupavo più di fisica. Salam morì a Trieste il 21 novembre 1996 e fu sepolto come da suo desiderio a Rabwah, in terra natia. Nonostante la fama e i meriti nella modernizzazione del Pakistan, il paese non gli tributò funerali di stato a causa della sua appartenenza ad una corrente minoritaria dell’islam, la fazione Ahmadi, in conflitto con quella sunnita, maggioritaria e intollerante. L’epitaffio sulla sua tomba era “Primo premio Nobel musulmano”, ma l’attributo di musulmano fu in seguito cancellato per ordine del tribunale.
Sheldon Glashow, Abdus Salam e Steven Weinberg alla cerimonia del Nobel per la fisica del 1979
Capita che, quando i tempi sono maturi, nuove idee emergano simultaneamente in posti diversi. Gli anni ’60 erano maturi in fisica per la rottura spontanea di simmetria. L’idea non era nata inizialmente nell’area delle particelle, ma la speranza dei fisici che vi lavoravano – come Salam ed anche i miei docenti universitari – era che il concetto si potesse adattare alle particelle subatomiche, così da risolvere alcuni problemi della teoria dei campi, quali la presenza di quantità infinite. E poi, poteva la rottura di simmetria avere un ruolo nel programma di unificare i 4 campi della fisica? Salam mi appassionò a Trieste a questo concetto chiave della fisica teorica, cosicché intorno ad esso avrei sviluppato più tardi la tesi di laurea.
La fisica spiega la natura tramite teorie che partono da un set di assunzioni. Si progredisce quando si riduce il numero delle assunzioni e si aumenta quello delle predizioni corroborate – i teoremi di successo delle teorie, coerenti con le osservazioni. Un’assunzione apparentemente banale è che lo stesso esperimento deve dare lo stesso risultato, senza riguardo a dove e quando l’esperimento sia condotto: il luogo e l’ora nello spazio-tempo devono essere indifferenti. Più ovvio di così… Questa simmetria spazio-temporale è il fondamento della riproducibilità – come si potrebbero fare predizioni, se esperimenti identici dessero risultati differenti in altri posti o momenti? – e si traduce in una simmetria (o invarianza globale) delle equazioni. Poi, un teorema della matematica (Noether, 1915) coincide con l’implicazione che ogni simmetria genera una legge di conservazione. Per esempio, l’indipendenza dei risultati d’un esperimento dall’orientamento spaziale del laboratorio (una simmetria detta SO3) si traduce nella conservazione del momento angolare.
Una delle simmetrie che andavano di moda ai miei tempi si chiamava SU3, che è una generalizzazione allo spazio complesso della simmetria SO3 dello spazio reale 3-dimensionale. SU3 riguarda il campo nucleare forte, ma non è esatta: infatti le particelle che ricadono nella famiglia SU3 pur condividendo importanti caratteristiche hanno masse diverse. Quindi la simmetria è solo approssimata…, forse per l’intervenuta rottura d’una precedente simmetria esatta? Una simmetria approssimata non è la stessa cosa che una rottura di simmetria: lo strabismo di Venere è una simmetria approssimata nell’insieme delle simmetrie che costituiscono la bellezza femminile, ma il civettuolo difetto non deriva dalla rottura d’una previa simmetria assiale perfetta inscritta nel DNA! Nel processo di rottura spontanea, avviene invece che un sistema per sé simmetrico cade, per una qualche causa d’instabilità, in uno stato meno simmetrico o non simmetrico affatto. L’esempio più popolare a scuola è quello d’una penna poggiata verticalmente sulla punta: una posizione molto precaria, in cui il minimo disturbo provoca la caduta della penna in una direzione imprevedibile, così rompendo l’iniziale simmetria di 360 gradi indifferente ad ogni direzione. Salam ci diede a Trieste un altro esempio di rottura spontanea di simmetria: immaginiamo una mensa rotonda con un tovagliolo T collocato nel mezzo di ogni coppia di sedie S. La geometria iniziale è quella d’un anello perfettamente simmetrico STST…ST. Quando i commensali si siedono, ognuno può a priori scegliere il tovagliolo alla sua destra oppure alla sua sinistra. Tuttavia, dopo che il primo commensale ha scelto il suo tovagliolo, tutti gli altri vi si adatteranno, cosicché all’iniziale simmetria succederà una simmetria minore con il tovagliolo a destra o a sinistra della sedia.
Che cosa c’entra la rottura di simmetria con i campi di forza? Prendiamo un cilindro rettilineo: esso è simmetrico rispetto al suo asse perché un taglio perpendicolare, eseguito in qualsiasi punto, produce la stessa sezione circolare. Ma se viene flesso a formare un tubo a U, l’iniziale condizione di simmetria rettilinea globale 1) si riduce a locale, con le sezioni uguali anche nei punti di flessione solo secondo opportune definizioni, e 2) la ridotta simmetria è fisicamente garantita al costo dell’intervento di nuove forze e tensioni nel materiale per incurvarlo senza lacerarlo, tanto più grandi quanto maggiore è la curvatura. In generale, nello stato risultante da una rottura spontanea di simmetria si generano nuove forze, prima assenti.
Queste idee erano allora applicate in fisica per studiare il magnetismo o la superconduttività o la gravità e anche le interazioni forti, insomma in 3 dei 4 campi fisici. Ma Salam, insieme a pochi colleghi sparsi per il mondo, le applicherà per unificare il quarto campo, quello nucleare debole, col campo elettromagnetico. Risulterà infine che la forza elettromagnetica e la forza nucleare debole non sono altro che le “tensioni” risultanti dalla rottura di simmetria d’un campo di forza più generale.
Era la fede nell’Uno a spingerlo a credere in un meccanismo ancestrale di separazione… In quegli anni, dicevo, tutti si appassionavano alla simmetria SU3. In particolare, SU3 era privilegiata dai fisici delle particelle, perché li portava a scoprirne sempre di nuove, una più esotica dell’altra. Altro che la materia creduta fino a pochi anni prima, fatta solo di protoni, neutroni ed elettroni… Dopo l’osservazione, avvenuta in laboratorio nel 1964, del barione Omega-meno predetto da Gell-Mann, i quark e le interazioni forti avevano monopolizzato l’attenzione dei fisici. Urtando fasci di particelle particolari, i ricercatori sfruttavano il campo forte come un’officina dove forgiare nuove specie di particelle subnucleari, così da riempire tutto il catalogo predetto da SU3. Se scoprivi una nuova particella, avevi garantita una cattedra all’università…
Le interazioni deboli divennero, di conseguenza, la componente più “debole”, trascurata, dei campi della fisica. Ma non ti chiedi, Lettore, perché quelle esotiche particelle prodotte dal campo forte, che portano i nomi strani di muone, kaone, pione, ecc., fossero così difficili da osservare? le sai le loro durate di vita? Milionesimi, miliardesimi di secondo… Infatti, appena queste particelle sono prodotte dal campo forte, interviene il campo debole a distruggerle! Donde questa capacità distruttiva? Due principali indizi guidarono Salam, con Steven Weinberg e Sheldon Glashow, all’intuizione di fondere il campo debole con quello elettromagnetico:
- L’atomo, che è fatto d’un nucleo interno e d’una corteccia elettronica esterna tenuti insieme dalla forza elettromagnetica, si sfilaccia facilmente alla superficie della corteccia perdendo elettroni.
- La forza debole, che agisce solo dentro il nucleo, quindi nella parte più interna degli atomi, rilascia particelle beta, che altro non sono che elettroni.
Come si spiega che lo stesso prodotto – elettroni – emerga da due zone opposte, la più esterna e la più interna dell’atomo? c’è un legame tra il campo elettromagnetico e il campo debole? Di qui la ragionevolezza non solo “teologica” secondo il sentimento di Salam, ma anche scientifica secondo il sentire comune a tutti i fisici, di assumere un’epoca primordiale (al Big bang) nella quale le due forze fossero unite e alla quale, per una rottura spontanea di simmetria, fosse succeduta la separazione in due forze distinte. I tre riuscirono infine a costruire una teoria unificata (la “teoria elettrodebole”), poggiante sulla predizione di specie mai osservate di particelle-messaggero: i bosoni W, Z e di Higgs. Per questa teoria matematica ebbero nel 1979 il premio Nobel.
Una prima corroborazione sperimentale sarebbe venuta appena 4 anni dopo, al CERN, con la rivelazione dei bosoni W e Z, che meritò il Nobel del 1984 a Rubbia e van der Meer. La seconda corroborazione della teoria elettrodebole, a coronamento, sarebbe venuta molto più tardi, con l’osservazione della particella di Higgs, che meritò a quest’ultimo e ad Englert il Nobel del 2013. Ci si potrebbe chiedere come mai in un caso l’accademia svedese assegnò il premio ai fisici teorici prima – 4 anni prima – che le loro predizioni fossero corroborate e nell’altro caso lo assegnò aspettando – 50 anni – che le predizioni fossero corroborate. La risposta sta forse nell’entusiasmo che la teoria di Glashow, Salam e Weinberg suscitò, portando negli anni ‘70 alla rinascita della teoria quantistica dei campi e alla sua applicazione in nuove aree della fisica, dalle particelle elementari alla cosmologia.
Concludo questo flusso di ricordi su Abdus Salam con una sua affermazione del 1992: “Per l’agnostico l’autoconsistenza (se coronata da successo) può comportare l’irrilevanza della divinità; al credente essa procura niente più che una rivelazione di una piccola parte del disegno del Signore — la sua profondità, nelle aree che essa illumina, accresce soltanto la venerazione per la bellezza del suo disegno”. Trovo queste parole di Salam doppiamente significative sul piano epistemologico.
“Se coronata da successo” vuol dire che la coerenza interna d’una teoria – la ragionevolezza delle sue spiegazioni ex post – è una condizione necessaria ma non sufficiente per la scientificità. La teoria deve anche fare predizioni ex ante, che siano corroborate sperimentalmente: altrimenti con quale criterio distingueremmo una descrizione post hoc da una storiella ad hoc? “Irrilevanza della divinità… [oppure] rivelazione di una piccola parte del disegno del Signore”, significa che il dominio della scienza naturale è limitato: la supposizione d’inesistenza o di esistenza di “disegno del Signore” appartiene alla metafisica del ricercatore.
Ovvio? Affatto.
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21 commenti
Grazie, prof. Masiero, per questo ennesimo magistrale articolo che, nel suo tipico stile, esamina in maniera interdisciplinare – qui con la storia, la politica, la religione, la matematica, la fisica e la filosofia – uno stesso tema, che così è comprensibile a tutto tondo.
Può suggerire un testo semidivulgativo, dove trovare la storia fisica di queste successive rotture di simmetria nell’universo?
Grazie, Wil.
Un buon testo, che a me è piaciuto come un romanzo pur nella sua scientificità, potrebbe essere “I primi tre minuti”, proprio dell’amico di Salam e compagno di Nobel, Steven Weinberg
Come sempre pezzo gradevolissimo e denso di spunti di riflessione. Bello il riferimento all’isotropia e omogeneità dello spazio-tempo, grazie al quale si possono condurre gli stessi esperimenti in punti spaziali diversi godendo delle stesse leggi fisiche. Anche il tema relativo alla rottura di simmetria o all’esistenza di vere e proprie asimmetrie è molto interessante e mi sembra di capire che comunque in realtà questa condizione pervada l’Universo osservabile a partire dagli istanti primordiali fino alla comparsa della vita su questo pianeta: asimmetria della materia per esempio, o asimmetria della vita, vedi per esempio la chiralità di alcune molecole organiche o degli aminoacidi o comunque l’allontanamento dello stato energetico della vita da uno stato asintotico di massima entropia. Dal mio punto di vista trovo che il “mondo” sia costellato non soltanto di simmetrie, ma anche di asimmetrie, che non sono certo prove a favore di un cosmo perfettamente ordinato, e di conseguenza che non sia un caso che dopo decenni di lavoro non si sia ancora riusciti a coniugare quantomeno relatività generale e meccanica quantistica nella famosa “teoria del tutto”. Dopodichè, non manco anche di notare, e non solo da questa bella testimonianza di Masiero relativa a Salam, una certa predisposizione da parte di scienziati credenti verso appunto la ricerca della Verità Ultima e dell’Unicità, e di scienziati atei o agnostici più propensi invece verso l’accettazione, controintuitiva, dell’imperfezione dell’Universo e della contingenza del divenire e quindi di un sostanziale disaccoppiamento da qualsiasi necessità di un “Progetto architettonico”. Una sorta di bias cognitivo, presente a volte purtroppo anche negli scienziati. Avrei anche una domanda: cosa ne pensa prof. Masiero della “teoria delle stringhe” di per sé e/o come eventuale candidata verso la spiegazione ultima della realtà fisica?
Grazie, dott. Vomiero.
“La logica interna dell’attività scientifica non è qualcosa di vitale; quella della cultura, invece, sì. La scienza non presta attenzione alle nostre urgenze, ma segue la strada delle sue specifiche necessità” (J. Ortega y Gasset, “Misión de la Universidad”). Per questo la scienza non muove l’anima, la filosofia (in tutte le sue parti: metafisica, etica, politica, estetica, epistemologia, …) sì. Ha visto, Vomiero, quanto commenti (dalle stesse persone più volte intervenute con foga) all’articolo altamente filosofico di Benigni?! Questo mio articolo, se arriverà a 15 commenti, avrà suscitato un grandissimo interesse…
Gli scienziati sono uomini, prima di tutto, come tutti gli altri. Quindi io non mi stupisco se si fanno trascinare dalle loro Weltanschauung fuori dal recinto del loro mestiere. Piuttosto cerchiamo noi di separare la buona scienza da quella usata per contrabbandare altro (concezioni filosofiche, interessi economici, ecc.). Considero questo il principale merito di CS: il debunking. Certo anche gli autori di CS hanno le loro idee che li fanno scaldare. Ma non le confondono mai con la scienza.
Sulle stringhe, penso ciò che pensa uno dei loro massimi esperti, il fisico Brian Greene: “Non chiedetemi se credo alla teoria delle stringhe. La mia risposta sarebbe quella di 10 anni fa: no. E questo perché io credo solo a teorie che possono fare predizioni controllabili”. Quindi la teoria delle stringhe resta, dopo quasi mezzo secolo, ancora soltanto una teoria matematica, in attesa di successo, per usare le parole di Salam.
Si stima che più di 10.000 anni•uomo siano stati spesi nell’esplorazione della congettura delle stringhe. Può essere utile il confronto con la dozzina di anni•uomo che sono invece bastati ad elaborare ognuna delle tre principali teorie della fisica moderna: l’elettromagnetismo, la relatività e la meccanica quantistica.
Oggi i ricercatori delle stringhe sono impantanati: a dispetto dello sforzo gigantesco profuso, non un solo calcolo è stato fatto di un possibile valore confrontabile con un esperimento. La congettura delle stringhe non ha predetto la massa di una particella elementare, né la costante di coupling di un’interazione, né il numero delle interazioni di “gauge”. Peggio, nessuno dei problemi aperti della fisica nella lista di inizio millennio è stato da essa risolto. Questa situazione disperante è la ragione per la quale molti studiosi, inclusi alcuni premi Nobel, hanno del tutto abbandonato questa linea di ricerca.
Quali possono essere le ragioni di questo insuccesso? Le stringhe e le membrane sono strutture complesse di per sé: si muovono in molte dimensioni, trasportano massa e campi ed hanno tensioni. Ma un’alta complessità in una teoria alimenta sempre il dubbio che qualcuna delle sue assunzioni non si applichi alla natura. In altre parole, la congettura delle stringhe non ha avuto successo perché i suoi princìpi di base non sono mai stati chiariti: a tutt’oggi, non esistono manuali dei princìpi di base.
La stessa domanda posta al prof.Masiero sulla teoria delle stringhe , la giro eventualmente e naturalmente anche a Htagliato, sempre molto competente e preciso nella materia.
Sulla Teoria delle stringhe condivido e non ho molto da aggiungere a quanto detto da Giorgio. Non esiste nemmeno UNA teoria delle stringhe, ma molte (se non moltissime, in base a determinati punti di vista) versioni di esse. Il guaio è che eventuali specifiche scoperte (come le particelle super-simmetriche) non la corroborerebbero né la falsificherebbero.
Un mio prof. di Meccanica Quantistica mi disse che in passato molte menti giovani e brillanti hanno visto bruciare la loro carriera a causa della Teoria delle stringhe, questo perché la politica applicata nelle università statunitense era stata che non si poteva essere fisici teorici e non occuparsi di essa, o al più non si poteva non prendere posizione, quasi una guerra di religione.
Aspettavo il tuo giudizio sulle stringhe, HT, e ringrazio Vomiero per avertelo richiesto: tu da insider sei molto più aggiornato di me, che vedo le cose, non tutte, dall’esterno. Sono contento di non essermi perso niente d’importante da queste speculazioni, matematicamente difficilissime.
Credo invece che anche questo articolo, prof. Masiero, scatenerà commenti appassionati, magari non sulla parte fisica, ma su quella filosofica che è presente in grande misura. Direi che è un articolo completo, perché c’è il ricordo diretto di una grande e importante figura, c’è l’informazione scientifica che origina da questa figura, c’è il dibattito filosofico a cui Abdus Salam ha contribuito da protagonista e ci sono anche particolari che fanno pensare, come la cancellazione del termine “musulmano” dalla tomba di questo premio Nobel (quindi sarebbe rimasto scritto “Primo Premio Nobel”, ma che significa ?). Per me è stata un’ottima lettura e fonte di informazioni su molte cose che non sapevo o non avevo messo a fuoco così bene e per questo ringrazio ancora una volta il prof. Masiero e CS.
Eh, sì, Muggeridge, un tribunale locale ha imposto la cancellazione dell’aggettivo musulmano – perché gli Ahmadi non possono per legge da alcuni anni chiamarsi musulmani in Pakistan – cosicché è rimasta sulla tomba di Salam la scritta “Primo premio Nobel”, che non significa nulla!
Per il resto, grazie del Suo giudizio.
Grazie prof.Masiero e Htagliato per le preziose risposte sulla teoria delle stringhe, che peraltro confermano anche il mio scetticismo. Poi pur condividendo l’analisi di Masiero sulla preferenza del pubblico a esprimersi su temi di derivazione filosofica piuttosto che scientifica, non mi convince molto in realtà la massima di J.Ortega, in quanto sulla base di quanto affermato sembrerebbe quasi che la scienza sia qualcosa di diverso dalla cultura, di autoreferenziale e di estraneo alle esigenze umane. Ma l’esigenza di nutrirci per esempio in un certo modo, di preservarci dalle malattie o dagli insulti ambientali, di costruirci un’anzianità decente e una qualità di vita migliore, di essere bravi nel proprio lavoro, di riuscire a capire i cambiamenti delle situazioni e sapervici adattare, di conoscere e capire come tutelare le risorse naturali che abbiamo a disposizione, di capire come è fatto il mondo fisico in cui viviamo, non sono forse necessità umane? Io temo invece che il pubblico per tutta una serie di motivi, che ho anche espresso in alcuni miei scritti, spesso non riesca a comprendere completamente la vera natura che anima il fare scienza o lo spirito che spinge lo scienziato a rimanere in laboratorio fino a sera tardi. La scienza, da questo punto di vista, una volta eliminate le banalità, le contaminazioni e le falsecopie incarnate dai media, non è molto dissimile dall’arte o dall’artigianato e consiste nel profondo in un’attività creativa che può regalare le stesse soddisfazioni intellettuali e lo stesso significato di esperienza interiore. E questo lo ha confermato anche Muggeridge elogiando per esempio la bellezza e l’eleganza stilistica degli articoli del prof.Masiero.
“La scienza, da questo punto di vista, una volta eliminate le banalità, le contaminazioni e le falsecopie incarnate dai media, non è molto dissimile dall’arte o dall’artigianato e consiste nel profondo in un’attività creativa che può regalare le stesse soddisfazioni intellettuali e lo stesso significato di esperienza interiore”.
Parole sante, è proprio il caso di dirlo. Galileo aveva una visione della scienza molto artigianale, oltre a essere un signor letterato.
Grazie Greylines per la condivisione del mio pensiero e per la citazione di Galileo.
Sono d’accordo con Lei, dott. Vomiero: la scienza, in tutte le sue varianti, è cultura. In ciò l’espressione di Ortega y Gasset, che sembra riservare il vocabolo solo alle scienze umane, è infelice e pecca dell’errore uguale e contrario di chi riserva la parola scienza solo alle scienze sperimentali, escludendo quelle umane e i loro metodi. A me piacciono tutte le scienze, le stimo tutte allo stesso modo e trovo che solo cercando di metterne quante più possibile insieme sullo stesso tema (= interdisciplinarità) possiamo raggiungere la conoscenza ottimale su quel tema.
È la Weltanschauung il punto dove gli animi degli uomini si scaldano di più, dividendosi.
Avendo studiato anche a Trieste fa piacere leggere un approfondimento su Abdus Salam e scoprire, cose che non sapevo, il significato del suo nome e l’eliminazione dell’attributo “musulmano” dalla sua lapide. Sui suoi contributi alla fisica sapevo qualcosa ma è interessante rileggerne, da profano, questo condensato.
È anche affascinante notare come la scoperta scientifica possa portare al senso di meraviglia passando da strade diverse, quella religiosa nel caso di Salam e quella atea/agnostica di molti altri ricercatori.
Vero è quello che dice Vomiero, e cioè che ogni scienziato può essere influenzato dalla sua visione del mondo, ma a questo proposito, mi chiedo, non sarebbe opportuno fare una distinzione fra atei e agnostici?
L’ateo — o meglio, l’ateo positivo, o ateo gnostico — ritiene di poter affermare con certezza che non esistono divinità. L’agnostico, come pure l’ateo negativo (brutto termine, ma è per capirci), non si esprime o comunque non ritiene verificabile l’esistenza di una o più divinità.
Per come la vedo io, l’ateo positivo è quindi portato a negare a prescindere l’esistenza di progetti e disegni di qualsivoglia tipo. Atei negativi e soprattutto agnostici hanno invece meno pregiudiziali.
Poi da queste basi ognuno tragga le conclusioni filosofiche, religiose e politiche che preferisce, avendo però a mente che tali conclusioni non influiscono sulla scienza da cui sono state ispirate e non devono quindi diventare delle scuse per criticarla.
L’importante, secondo me, è che quando si parla di scienza, credenti (di qualsiasi fede), atei (di qualsiasi sfumatura) e agnostici tengano fuori da qualsiasi ipotesi scientifica idee come disegno, finalità, progetto, scopo.
Sono d’accordo con Lei, Greylines. Lasciamo, come ci invita anche Salam, il disegno e il non disegno fuori dalla scienza sperimentale, in particolare dalla fisica e dalla biologia. Io dal mio piccolo ho mandato il messaggio, di recente, a quelli dell’ID; Lei lo potrebbe ricordare al direttore responsabile di Pikaia, quando lo incontrasse.
Gentile dott. Masiero, non sono un fisico e dunque debbo accontentarmi di leggere solo testi a livello divulgativo. Ho notato che aldilà della qualità personali di scrittura, frequentemente, dai testi di fisica divulgativa, emerge una capacità di comporre le parole, una armonia, fatta di chiarezza e felicità espositiva rara. La assimilerei alle composizioni musicali che penetrano la realtà e ce la svelano tramite simmetrie di note ma anche asimmetrie che si accordano e che rivelano la profondità la complessità e la ricchezza dell’ animo umano. Qualcosa di simile potrebbe accadere al fisico che a contatto con la misteriosa bellezza del creato sente questa trasfondersi e quasi comporre le proprie parole come fosse musica. A lei questo riesce bene e la leggo con grande piacere. Belli anche i ritratti dei fisici e le loro vicende se ne ha la possibilità c’è ne faccia altri. Complimenti!
Grazie, Cacioppo. Mi sforzerò di accontentarLa!
Nella mia estetica, vedo la bellezza un mix “armonico” – cioè dinamicamente stabile – di simmetrie e asimmetrie, di ordine e caos. Ma a provocarmi i brividi non è la bellezza, bensì l’essere (piuttosto che il nulla) e l’ingiustificata efficacia matematica a descriverne una parte essenziale. Ci torneremo.
L’ ingiustificata efficacia della matematica a descrivere il mondo…aspettiamo un suo lavoro in merito. La matematica come costruzione dell’ intelletto umano? O intelaiatura nascosta della natura, già data che aspetta solo di essere scoperta…?
La matematica “come intelaiatura nascosta della natura, già data che aspetta solo di essere scoperta”: che bello, Cacioppo!
Ho sognato una vita leggere le sue parole,per meglio dire leggere non dai soliti “giornalai”, parole che mettessero in luce,aldilà delle passioni religiose e non, i meriti ad una immensa persona come Salam.Grazie,le sono di nuovo debitore.
Grazie a Lei, stó. Sì, Salam era davvero una persona immensa.