L’interminabile attesa
di Giorgio Masiero
Perché non abbiamo ancora, se mai avremo, una spiegazione scientifica dell’origine dell’uomo che sia consistente con le evidenze paleontologiche
Il premio Nobel 2015 per la fisica è stato attribuito al giapponese Takaaki Kajita e al canadese Arthur McDonald per i loro esperimenti sui neutrini, che hanno inguaiato il Modello Standard, vale a dire la descrizione migliore che abbiamo dei costituenti della materia e delle loro interazioni. I due hanno trovato che i neutrini “oscillano” tra tipi diversi e ciò vuol dire che non hanno massa nulla, sicché il Modello Standard è sbagliato perché vi hanno invece massa nulla… Fermi sarebbe contento: fu lui a dire che quando il risultato d’un esperimento è conforme alle teorie abbiamo solo eseguito una misura, mentre quando non è conforme abbiamo fatto una scoperta! Non per questo – come credeva Popper – il Modello Standard sarà accantonato. Il compito della tecno-scienza mica è scoprire la verità, cari miei, e neanche avvicinarvisi, solo controllare in qualunque modo la natura per la nostra maggiore potenza (la tecnica). Come per un’auto, ci terremo il vecchio modello anche se logoro, finché non ce ne potremo permettere uno migliore, cioè più utile! Né tra i fisici si sono erette barricate a difesa degli scienziati del secolo scorso (Fermi, Pauli, ecc.), pure vincitori di premi Nobel, che predissero l’esistenza dei neutrini (senza massa) e li osservarono…
C’è però uno strano ramo della ricerca scientifica dove alcuni corridori sembrano puntare, anziché a battere il record dei predecessori, a stabilire l’imbattibilità d’un risultato ottenuto tanto, tanto tempo fa – quando le immagini scientifiche della materia e dell’universo erano molto diverse dalle attuali! – e così s’accontentano di starci in scia. Mi riferisco alla biologia evolutiva, ai meccanismi proposti da Darwin nel 1859 e a quei ricercatori che, quando s’imbattono in risultati che il naturalista inglese avrebbe giudicato in contrasto con le sue congetture, anziché superarli con nuove idee, s’affannano a salvarli cucendo pezze e talvolta, persino, li nascondono. Se, per rispetto nei confronti di Aristotele Galileo avesse edulcorato il principio d’inerzia, o per soggezione verso Newton Einstein avesse rinunciato ad una versione forte del principio di equivalenza, o intimoriti da Lord Kelvin i fratelli Wright non avessero provato a volare con una macchina più pesante dell’aria, ecc., ecc., non esisterebbe il progresso scientifico-tecnologico! Da vile homo oeconomicus, formulo una previsione tanto facile quanto politicamente scorretta:
- o il XXI secolo riprodurrà una qualche forma di vita in laboratorio, essendo riuscito a replicarne i meccanismi reali, tutt’altro che casuali né dipendenti da selezione naturale e contorni,
- o il nostro sarà il secolo in cui l’origine della vita e l’evoluzione delle sue forme saranno per sfinimento dichiarati problemi troppo complessi, superiori alle risorse (epistemiche, tecniche o economiche) della scienza naturale, e definitivamente delegati alla fiction. D’altronde, se l’origine della vita e l’evoluzione biologica sono questioni inafferrabili da volpi, delfini e scimpanzé, perché non potrebbero superare le capacità umane che, per assunzione di partenza, differiscono dalle animali in grado e non in genere?
Dopo la pseudosoluzione dell’esplosione del Cambriano di Current Biology, esaminiamo in questo articolo un altro caso della resistenza opposta dai moderni don Ferrante al progresso della biologia evolutiva: il problema del tempo di attesa. Secondo alcuni reperti paleontologici, la specie umana è comparsa 6 milioni d’anni dopo la sparizione d’una popolazione ominide d’una decina di migliaia d’individui. Chiediamoci:
L’evidenza sperimentale di questa successione di due specie è sufficiente a corroborare l’evoluzione tra le due specie, ossia a dedurre che gli umani sono risultati da una serie continua di mutazioni genetiche d’un gruppo di grandi scimmie? 6 milioni di anni bastano ai meccanismi della teoria neodarwiniana {micro-mutazioni genetiche casuali + selezione naturale} per fissare la serie di sostituzioni nel DNA specifiche per la graduale trasformazione degli ominidi in uomini?
Alle questioni cercano di rispondere modelli matematici simulanti le traiettorie trasformative del genoma ominide in quello umano a partire da una popolazione di 10.000 individui pre-umani. Si sa che le analisi comparate su DNA umano e quadrumane mostrano un’identità fino al 98,5%. Recenti studi inoltre (ad es. questo) hanno determinato (“con sorpresa” dei ricercatori) che le differenze consistono in “riarrangiamenti” d’intere stringhe e non in singoli cambiamenti dei nucleotidi A, T, C e G. I due DNA, compresa la parte che l’ignoranza superba chiama “spazzatura”, sono due polimeri dei 4 nucleotidi, ripetuti 3,2 miliardi di volte. In termini di quantità d’informazione, equivalgono a due testi in lingua inglese (alfabeto di 26 simboli + 1 spazio) lunghi 1,35 miliardi di caratteri. L’1,5%, la parte di DNA che ci distingue dalle scimmie, è dunque un riarrangiamento di 48 milioni di nucleotidi, o di 20 milioni di caratteri inglesi. Il problema dell’evoluzione d’un genoma nell’altro è simile a quello di trasformare il Re Lear di Shakespeare nel Macbeth, per sostituzioni/aggiunte/eliminazioni di caratteri fino ad ottenere un testo dall’altro, con la differenza che i testi genomici da riarrangiare sono 330 volte più lunghi di quelli shakespeariani (60.000 caratteri = 40 pagine × 250 parole per pagina × 6 simboli per parola), quindi con un numero di combinazioni spropositatamente maggiore.
Per mezzo di modelli, i ricercatori calcolano i tempi di produzione di specifiche nuove stringhe genetiche, simulando la fissazione delle sequenze mutanti entro popolazioni virtuali di ominidi biologicamente realistiche. L’obiettivo finale è calcolare il “tempo di attesa”, ovvero la più probabile durata dell’ipotizzata, neodarwiniana evoluzione ominide in quella umana, per confrontarla infine con i 6 milioni di anni della paleontologia. Il calcolo del tempo di attesa si basa su uno schema matematico in 4 fasi:
- in una piccola popolazione, come sono 10.000 individui, si deve innanzitutto predire il tempo che qualsiasi specifico nucleotide (“lettera”) impiega per trasformarsi in uno specifico nucleotide diverso.
- Poi, si deve predire il tempo che una determinata stringa ominide di nucleotidi impiega per mutare in una specifica stringa caratteristica del genoma umano, così da far nascere una nuova “parola” genetica utile per l’evoluzione ipotizzata.
- In terzo luogo, poiché la comparsa di ogni nuova parola è rapidamente annullata dalla deriva genetica, è necessario predire quante volte una parola deve formarsi prima di attecchire all’interno della popolazione mutante.
- Infine, anche quando le nuove parole si conservano, occorre predire il tempo addizionale necessario alla selezione naturale per diffondere la nuova mutazione vantaggiosa oltre la soglia di fissazione all’interno della popolazione.
Il calcolo dei 4 tempi parziali dipende dai parametri usati in ogni modello. La loro somma dà il tempo di attesa ricercato.
Ebbene, è recentemente apparso su PubMed un articolo (“The Waiting Time Problem in a Model Hominin Population”), dove si mostra che la spiegazione darwiniana dell’evoluzione ominide → uomo fallisce perché il tempo non basta ai suoi meccanismi. Né altri meccanismi fisico-chimici si conoscono per “incanalare” l’evoluzione tra le due specie, che a questo punto è una congettura incorroborata.
Già nel 1966, come sappiamo, il matematico Marcel-Paul Schützenberger aveva dimostrato che nemmeno in tempi “ultra-cosmologici” l’evoluzione biologica complessiva è possibile per successive, casuali mutazioni elementari del genoma, a meno d’invocare “dozzine e dozzine di migliaia di miracoli”. Ora arriva, per la particolare comparsa della specie ultima arrivata, Homo Sapiens, una nuova analisi matematica a calcolare i tempi. Il risultato finale è che i tempi di fissazione d’una specifica nuova stringa crescono esponenzialmente con la sua lunghezza (Fig. 1): neanche una nuova parolina (una corta stringa funzionale di 2-3 nucleotidi) può fissarsi in pochi milioni d’anni, mentre centinaia di miliardi d’anni non sono sufficienti a fissare l’equivalente genetico d’una frase di 10-11 nucleotidi. Che dire per una stringa di 48 milioni di nucleotidi?
.
Se ne trae che la “trasformazione” – non parliamo più, per piacere, di evoluzione – della specie umana da una popolazione ominide di alcune migliaia d’individui nell’arco di alcuni milioni di anni è al più possibile soltanto tramite meccanismi fisico-chimici misteriosi, capaci di rendere conto di specifiche macro-mutazioni simultanee di molti geni alla volta.
Tutti i ricercatori che studiano il problema del tempo di attesa ottengono con modelli diversi risultati simili perché fin qui è questione di matematica; ma differiscono nelle conclusioni, che possono perfino essere opposte, perché qui è questione di Weltanschauung o… di stipendio. Così certi autori, dopo aver calcolato correttamente i tempi, li comprimono arbitrariamente di tante volte quante sono necessarie per farli combaciare con i desiderata. Può scandalizzare le anime belle, ma così va avanti ai nostri giorni gran parte della ricerca scientifica (pubblica), come sappiamo. Di solito, il gioco illusionistico procede in tre passaggi: nel primo, si riduce imperiosamente la differenza tra i DNA umano e quadrumane da 48 milioni di nucleotidi a… facciamo 8, contenti? Nel secondo passaggio, si manipola matematicamente il risultato (ancora troppo pesante nonostante l’imperioso primo dimagrimento) riducendolo di 100 volte; nel terzo passaggio, poiché il risultato contraffatto resta ancora 2 ordini di grandezza più pesante di quello paleontologico, s’invocano condizioni ambientali specialissime, soprattutto incontrollabili, per un’altra riduzione di 100 volte, così da adattare infine la durata uscita dal modellino neodarwiniano a quella paleontologica misurata col carbonio.
Per es., nell’articolo a questo link gli autori
- si focalizzano sulla comparsa di specifiche, nuove parole da 6-8 mutazioni, che sono risibilissime rispetto alle differenze milionarie misurate nei genomi di uomo e scimmia.
- Fatto ciò, calcolano correttamente in 650 milioni d’anni la comparsa d’una parola di 8 mutazioni, che per l’evoluzione antropica deve istanziarsi in una specifica posizione genomica, e identificano (provvisoriamente!) questo periodo col tempo di attesa, ignorando il fatto che quello è solo il tempo necessario per la prima apparizione della stringa (v. fasi 1. e 2. dello schema sopra).
- Più avanti, nell’articolo, il dott. Jekyll matematico presente negli autori riconosce che la fissazione (fasi 3. e 4.) della 8-stringa nella popolazione richiederebbe un tempo 100 volte superiore (così arrivando ad una durata di 65 miliardi di anni, che è dello stesso ordine di grandezza trovato dai ricercatori di PubMed); ma alla fine prevale il Mr. Hyde opportunista a fare l’operazione inversa di ridurre di altre 100 volte – evocando non meglio precisate condizioni ambientali – i 650 milioni di anni, così da far combaciare il risultato ai 6 milioni d’anni della paleontologia.
Non tutti i nostri don Ferrante corrono così allegri sull’ottovolante. Altri se la prendono direttamente con la modellizzazione dei tempi di attesa, obiettando che se è vero che all’interno di piccole popolazioni una determinata stringa richiede un tempo proibitivo per fissarsi in una posizione specifica, tuttavia da altre parti nel genoma potrebbero venire buone notizie. Per es., dicono, solo se si pretende che la specifica sequenza ATCG si fissi in una specifica posizione genomica si deve attendere un tempo interminabile, ma se ci si accontenta di trovare l’ATCG in una parte qualsiasi del genoma, non ci sarà da aspettare affatto, perché molte copie della 4-stringa ATCG vi si troveranno già istanziate. Questa argomentazione non sta in piedi.
Innanzitutto, ignora il contesto. La parola ATCG presa da sola non è un’informazione utile, più di quanto non sia la parola MELA inserita nel testo italiano “Cristoforo Colombo giunse MELA nell’odierna San Salvador il 12 MELA ottobre 1492”. Se inseriamo o cambiamo in modo casuale una sequenza genetica, la sua utilità – che vuol dire darwiniana selezionabilità per l’adattamento – dipenderà dalla posizione specifica dove l’inserimento/cambio è avvenuto. Tutte le informazioni dipendono dal contesto. C’è anche di peggio a questo mondo che risultare inutili: essere letali. Se inseriamo casualmente una stringa di 0 e 1 in un file eseguibile, solo rarissimamente il software risulterà migliorato, in alcune poche posizioni l’inserimento risulterà ininfluente, in tutte le altre posizioni (fuori contesto) crasherà il computer.
In secondo luogo, dobbiamo considerare il problema dell’entropia, ovvero della perdita netta d’informazioni dovuta alla moltitudine di mutazioni deleterie che si verificano nel complesso del genoma. A lungo andare, le mutazioni casuali causano ovunque alterazioni genetiche, che sovrastano le rare stringhe insorgenti al posto giusto e sufficientemente vantaggiose da essere selezionabili. Ciò non è solo un risultato della teoria dell’informazione, come abbiamo visto in altro articolo, ma anche un esito sperimentale, per es. del famoso progetto Lenski LTEE, in prosecuzione (stanca) da 30 anni. Infine, affidarsi alle buone notizie che possono venire da altre parti del genoma è vano, perché le mutazioni potenzialmente benefiche avvenute altrove richiedono ciascuna il proprio tempo di attesa.
In conclusione, non esiste oggi una spiegazione dell’origine della massa d’informazioni integrate (cioè di milioni di sostituzioni di nucleotidi complementari, stabiliti e fissati all’interno di un genoma-origine di specie ominide) necessarie a trasformare in tempi paleontologici una grande scimmia in un uomo. Anche nei migliori scenari, con parametri generosi immessi nei modelli (per es., nella quota di parole suscettibili di aumentare la fitness), i tempi di attesa sono proibitivi pure per le parole più brevi: la fissazione d’una parola di 2 lettere richiede decine di milioni d’anni, una parola di 3 lettere ne richiede centinaia, una parola di 6 lettere alcuni miliardi, una di 8 lettere qualche decina di miliardi. Più oltre, per le differenze genetiche realmente misurate tra uomo e scimmia, ritroviamo i tempi ultra-cosmologici di Schützenberger.
Ne “Il caso e la necessità” (1970), per poter credere contro la matematica che l’uomo sia una scimmia innalzata, Monod scelse in ultima di votarsi alla “roulette cosmica”. Con maggiore precisione dei termini, avrebbe potuto intitolare il suo libro “Il miracolo e la replica”, se ciò non portasse a pensare che l’uomo sia un angelo decaduto.
.
.
.
56 commenti
…e definitivamente delegati alla fiction.
.
Di “finzioni” (consapevoli) a proposito del modello interpretativo umano del mondo ne parlava gia` il filosofo Hans Vaihinger all`inizio del `900 (in tedesco “Fiktionen”). Cito dalla premessa scritta in italiano dallo stesso autore del trattato “Die Philosophie Des Als Ob”, che si potrebbe tradurre in italiano: La filosofia del “Facciamo finta che…”:
.
“AI congresso filosofico di Bologna offro questa opera come un saluto dalla patria del Kant e del Nietzsche, ed insieme come grato ricordo del professore bolognese Cavalieri (morto nell`anno 1647), uno degli scienziati piu sagaci del suo tempo, il quale prima degli altri riconosceva, con chiara intuizione, che l’infinitesimale, da lui nominato l`indivisibile, non e` niente che una finzione utile ed un arfifizio dell’ingegno umano.
.
E` una costellazione fortunata, che il preside di codesto congresso, il professore Enriques dell`Universita` di Bologna, degno successore del Cavalieri, nel suo libro sui problemi della scienza ha ugualmente provato con chiarezza e sagacita`, che nella matematica e nelle scienze naturali si usano concetti ausiliarii, i quali, sebbene pieni di contradizioni, sono utili, e dei quali l`ingegno umano, benche` conscio della loro falsita`, si giova come di strumenti opportuni della ricerca. AI congresso diretto da lui sia dunque raccomandata questa opera, che tratta per la prima volta in modo generale ed ampio il problema delle finzioni.”
Finzione, Lovinski, deriva come Lei m’insegna dal latino fingo, plasmo la creta.
Ora, nella scienza naturale autentica, si dà una finzione necessaria, che riguarda tutti i “concetti ausiliari”, per dirla con Enriques, che nella formalizzazione matematica servono ad ottenere infine le grandezze misurabili con l’esperimento e confrontabili con la teoria.
Nelle pseudoscienze – com’è il neodarwinismo, a mio giudizio – non si danno invece concetti ausiliari, perché infine non ci sono mai predizioni controllabili, cosicché tutto il racconto è una “finzione”, come un’opera di fantasia.
Grazie Giorgio, per questo chiaro ed esaustivo articolo che inquadra bene e ne dettaglio il problema dei tempi. Possiamo solo sperare che in futuro avvenga quel cambio di paradigma che in termini meno aulici è semplicemente il progresso.
Grazie, HTagliato.
Il cambio di paradigma avverrà se si riuscirà a replicare in laboratorio la vita. Se non si riuscirà (entro questo secolo), il mondo non cambierà il vecchio paradigma, ma semplicemente lo manderà nella cantina dei “miti”.
«perché qui è questione di Weltanschauung o… di stipendio».
.
Nel mio settore (discipline umanistiche) è più la seconda che la prima questione.
È un giudizio molto severo il Suo, Liszt!
Gent. prof. Masiero,
forse non ho ben compreso il contesto della frase, ma correlando la sua efficace espressione (Weltanschauung / stipendio) alla mia realtà, ai colleghi di Università, nel mio settore, posso serenamente affermare quanto detto sopra.
.
Dimenticavo: articolo molto ben fatto.
Grazie, Liszt!
Un articolo di Masiero brillante, chiaro documentato e preciso, un pezzo che unito a quello su Schützenberger dovrebbe mettere la parola fine a tutte le speculazioni dei neodarwinismi 2.0; 3.0 … ecc.
Ma invece già so che da quella parte si dirà che le cose non stanno esattamente così, che sono gli altri a non aver capito…
Triste destino quello del neodarwinismo, lo capiscono solo quelli a favore.
Grazie, Enzo.
Splendido articolo, Giorgio! Sarei curioso, come sempre, di leggere eventuali critiche che entrino nel merito della questione. Francamente ho imparato a non aspettarmene – finora sono state tutte del genere ricordato da Enzo, se non sbaglio – ma non si sa mai… staremo a vedere!
Grazie, Michele.
Bene, ora calcoli il candidato la probabilità’ delle estrazioni del lotto effettivamente verificatesi settimanalmente dal 1950 a oggi,e stabilisca se tale eventualità e’ ragionevole con la storia dell’universo. Poi,eventualmente,si dedichi ad altro.
PS le provocazioni sono buone per un blog e per i 4 che ci cascano, ma le sfide intellettuali si vincono in campo aperto ! 🙂
Ho fatto passare questo commento solo perché non abbiamo problemi a rispondere alle questioni poste.
Al tempo stesso non accetto toni cafoni del tipo “Poi,eventualmente,si dedichi ad altro.” e “i quattro che ci cascano”, per cui dubitando che lei abbia frquentazioni universitarie la lascio ai suoi amici del bar dello sport.
Ossequi.
L’intervento di quest’uomo, Enzo, mostra come la gente comune si spieghi l’evoluzione. Altro che epigenetica, evo-devo, ecc., ecc. È il risultato della divulgazione scientifica. C’è tanto lavoro di rieducazione per gli insegnanti e per gli strumenti di demistificazione come CS…
Acciderba Enzo mai e poi mai avrei immaginato che gli intellettuali del bar dello sport leggessero anche questo blog.Odifreddi quando parla del 90%degli italiani,spesso non sempre,indovina!
Invece trovo la conversazione tra Masiero e Vomiero di enorme vigore intellettivo.Utile per il proseguo a chi veramente interessato alla cultura.Per quanto mi riguarda continuerò a leggervi ma debbo confessare che Masiero questa volta è ancora più interessante del solito.
Grazie, Stò!
Sempre interessanti e dalla prosa estremamente elegante gli articoli del prof.Masiero, che ringrazio anche per il corposo materiale fornito su cui riflettere. Dal mio punto di vista, però, sarei tentato a prendere con le pinze anche i lavori, tipo quello riportato di Sanford et al., che avrebbero la “pretesa” di riuscire nell’ardua impresa di ricostruire e quantificare matematicamente in termini di tempo la storia degli eventi contingenti che portano alla fissazione in una popolazione di mutazioni a quanto pare puntiformi. Questo perché, a parte gli evidenti limiti epistemici imposti inevitabilmente dallo studio della complessità, il lavoro a mio avviso (almeno da quanto sembra emergere dall’abstract) prende in considerazione soltanto una possibilità particolare, ma sarebbe carente invece sotto il profilo generale per almeno due motivi: primo non esistono solo le mutazioni puntiformi, ma sono possibili anche molte altre tipologie di mutazioni, come quelle che si ottengono per ricombinazione, oppure cromosomiche, genomiche o causate da elementi trasponibili. Inoltre i tassi di mutazione possono essere molto variabili a seconda delle condizioni al contorno. Secondo, non c’è solo la selezione naturale a guidare l’evoluzione, ma ci sono anche altri processi che in alcuni casi possono accelerare le fissazioni, come ad esempio la deriva genetica o altre possibilità di ereditarietà non genetica che si stanno attualmente indagando e che hanno a che fare per esempio con l’ereditarietà ecologica (ereditarietà della nicchia) e l’epigenetica. Quindi personalmente non me la sentirei di affermare, soltanto sulla base di questo tipo di studi e di modelli, così specifici e puntuali, che il tempo in generale debba costituire necessariamente un fattore critico e non compatibile con i meccanismi teorici e sperimentali proposti dall’attuale modello della teoria dell’evoluzione che evidentemente non è soltanto mutazione puntiforme e selezione naturale.
Grazie, dott. Vomiero.
L’articolo di Sanford & C. smonta il neo-darwinismo, cioè l’esclusività, o la preponderanza delle mutazioni puntuali e della selezione naturale nell’evoluzione biologica. Ed è questa l’evoluzione com’è raccontata nella grande maggioranza dei casi, anche oggi e anche negli ambienti più istruiti.
Se invece si cerca un nuovo paradigma in cui le mutazioni riguardino interi geni alla volta e a produrle siano cause chimico-fisiche specifiche, anche ambientali, allora ciò che Lei dice coincide, mi pare, con le conclusioni che ho tratto io dall’articolo di Sanford & C.: “Se ne trae che la “trasformazione” – non parliamo più, per piacere, di evoluzione – della specie umana da una popolazione ominide di alcune migliaia d’individui nell’arco di alcuni milioni di anni è al più possibile soltanto tramite meccanismi fisico-chimici misteriosi, capaci di rendere conto di specifiche macro-mutazioni simultanee di molti geni alla volta”.
La questione che forse ci divide, dott. Vomiero, è epistemologica: la mancata (finora) riproducibilità di queste cause (e quindi l’assenza di applicabilità tecnologiche) rende per me tutte le relative ricerche con le loro sigle delle mere, rispettabili, congetture; mentre per Lei costituiscono già un patrimonio di conoscenze scientifiche.
Grazie prof.Masiero, condivido in pieno questa sua analisi e in effetti è anche per questo che siamo qui a discuterne serenamente. Io trovo che il campo della biologia evolutiva sia estremamente affascinante e stimolante anche in virtù proprio di questa sua resistenza ad essere completamente decodificato, compreso e modellato. A volte non è possibile nemmeno dare delle definizioni che siano esaustive ed univoche, vedi per esempio la definizione di “evoluzione” o “vita”. Tuttavia, per il prossimo futuro, personalmente mi aspetto un susseguirsi continuo di aggiornamenti e integrazioni, anche importanti (sintesi estesa per esempio), ma non riesco ad immaginarmi un radicale cambio di paradigma, ammesso che questo concetto kuhniano, valido senz’altro per la scienza del secolo scorso (relatività, fisica quantistica, biologia molecolare), abbia ancora senso nell’ambito della ricerca scientifica contemporanea, che sembra piuttosto muoversi in un continuo fluttuare di programmi di ricerca dalla gerarchia variabile e temporanea a seconda dei contesti.
E’ proprio questo che andrebbe detto….( e andrebbe insegnato a scuola, invece che diffondere i romanzi fantasy di Boncinelli) : non esisste una spiegazione plausibile della evoluzione biologica. Stop. Tutte le teorie avanzate cozzano contro ogni verifica, e quella del tempo è certo la principale: non c’è stato minimamente il tempo per l’evoluzione darwiniana. Una volta ho chiesto a un biologo: come spieghi , in 6 milioni di anni, l’accumulo di 50.000 cambiamenti morfologici necessari per far diventare una mucca una balena? Risposta: beh , evidentemente il tempo era sufficiente….cioè tautologia pura, malattia incurabile degli evoluzionisti.
La scienza ha difficoltà a spiegare l’origine della vita e dell’Uomo stesso perchè questi fenomeni appartengono alla Storia più che alla Scienza naturale, così come la Fisica non potrebbe spiegare la rivoluzione francese…
Io non credo, Giuseppe, che il problema di spiegare con i mezzi della scienza naturale l’origine della vita e dell’uomo sia la “storia”, ma piuttosto la complessità dei due fenomeni. In fondo, il tempo è una variabile ben presente nella fisica, dalle traiettorie atomiche a quelle dell’universo intero…, almeno nei primi 10 miliardi di anni, prima che la vita apparisse sulla Terra. Tant’è vero che un premio Nobel ha scritto un libro sui “primi 3 minuti” del mondo e ci sono dei fisici che ne vorrebbero spiegare persino l’origine!
Mi scuso molto se si tratta di una sciocchezza, ma sono del tutto profano. Una domanda: ma il caso da cui, attraverso l’intervento delle regole di Darwin, si perverrebbe all’uomo, è lo stesso caso da cui si specificano e si sono specificate, attraverso le stesse regole, tutti i viventi (vegetali ed animali) di ogni specie (estinta e presente), ovvero ogni specie ha un suo proprio caso di origine? Ringrazio in ogni caso (a proposito di caso)
Darwin, con la parola “caso” intendeva solo il riconoscimento “candido della nostra ignoranza sulla causa di ogni variazione particolare“, non un agente metafisico. Quindi le mutazioni per Darwin restano dovute a cause fisiche, seppure insondabili nella loro esatta successione e forse anche natura.
I suoi errori principali – ma non ne ha nessuna colpa, date le conoscenze fisiche e biochimiche che si avevano ai suoi tempi – furono di congetturare che le “variazioni” fossero piccole, così da realizzare un’evoluzione graduale, e che i tempi fisici fossero sufficienti per produrla.
Capisco che quanto ha scritto il prof. Masiero è qualcosa di molto valido e preciso, però ammetto di averci capito poco, anzi di aver voluto capirci poco per non impegnarmi troppo a cercare di capire. Credo si tratti di una variante della questione “mancanza di tempo” per l’evoluzione di tipo darwiniano riferita al solo passaggio dalle scimmie all’uomo. Per me resta clamoroso che con poca variazione del genoma si ottengano cambiamenti così eclatanti. Diciamo che il puntare su questa scarsa differenza genomica tra grandi scimmie e uomo costituisce un bel autogol per chi usa anche questo tipo di informazione scientifica per fini più che altro ideologici. Questa riduzione dell’uomo ad animale è tentata con ogni mezzo, ma qui mette proprio in discussione i meccanismi genetici su cui poggia la Sintesi Moderna. Anche quel 90% di stupidi individuato da Odifreddi, che è il solito tentativo di portare l’uomo il più in basso possibile, risulta superiore, e non di poco, agli animali superiori. Comunque per capire dove il prof. Masiero potrebbe sbagliarsi serve come minimo un Greylines e ne avverto un po’ la mancanza, perché con i suoi interventi di contrasto riesce a rendere più capibile quello che, per mia mancanza, non sono riuscito o non ho voluto cogliere del pregevole articolo del prof. Masiero.
Grazie, Muggeridge.
Al contrario di quanto Lei afferma, io penso che Lei abbia capito perfettamente il senso dell’articolo: 6 milioni (né 6 miliardi, né 6.000 miliardi di anni) non bastano a trasformare per mutazioni casuali quel 1,5% di sequenze genetiche che ci separa dalle grandi scimmie. Quindi, se una trasformazione da grande scimmia a uomo è intervenuta nei 6 milioni di anni della paleontologia, questa può essere avvenuta
1) solo per grandi mutazioni contemporanee di più geni alla volta (una trasformazione discontinua, piuttosto che un’evoluzione continua) e
2) per meccanismi chimico-fisici tuttora ignoti, su cui il caso e la selezione naturale non c’entrano nulla.
È, dopo 50 anni, un’applicazione del “teorema di Schützenberger” applicato alla specie ultima arrivata. Ed anche questo Lei l’ha perfettamente compreso.
Ed io non lo intendevo come agente metafisico; ma il caso, come convenzionale definizione del limite della nostra conoscenza causale, mi può stare anche bene.
Vi è una frase nell’interessante (come sempre) articolo di Masiero che mi lascia perplesso: “oppure l’origine della vita e l’evoluzione delle sue forme saranno per sfinimento dichiarati problemi troppo complessi” per poter essere compresi e spiegati da noi poveri esseri umani. Che cosa si intende esattamente? Che in linea di principio i due fenomeni possono essere ridotti a cause fisico-chimiche, seppure in maniera estremamente complicata? Al contrario, ritengo personalmente che l’origine della vita e, successivamente, della coscienza siano fatti non ulteriormente spiegabili ma primigeni, connaturati con l’esistenza stessa della realtà materiale. In fin dei conti, non si fa altro in questo modo che estendere l’ “hypotheses non fingo” di Newton, che infatti non “spiegava” la forza di gravità ma si limitava a prenderne atto. Si noti che i grandi progressi della fisica sono avvenuti proprio quando ci si è rassegnati, per così dire, all’esistenza di nuovi fenomeni non riducibili a fenomeni già noti: il campo elettro-magnetico, lo spazio-tempo dotato di metrica, la coesistenza di proprietà corpuscolari e ondulatorie negli oggetti quantistici. Accusa: ma questo è creazionismo!!! Ebbene sì, sono creazionista.
Buonasera sign. Cordani,
anche io penso che non ci sua nulla di vergognoso nel considerare un dato fenomeno come primigenio, solo che tale atto dovrebbe (almeno in fisica) corrispondere da un punto di vista formale a un pugno di postulati che permettano di generare infinite altre affermazioni scientifiche come corollari; insomma non una pietra tombale ma il suo opposto, un piano di lavoro.
Una citazione di non ricordo chi (forse Lagrange) dice che il bello di una teoria scientifica è che “si espande contraendosi”.
Sono totalmente d’accordo, Htagliato. E infatti io penso proprio al riconoscimento dell’esistenza di (mi esprimo un po’ scioccamente) un campo vitale come punto di partenza.
Bene, basta che questo eventuale “campo vitale” abbia regole e proprietà che siano sperimentalmente verificabili e falsificabili, una volta corroborato, le implicazioni filosofiche sarebbero solo uno svago.
In effetti non serve arrivare al creazionismo, però si potrebbe valutare il considerare la nascita della vita contenuta come “progetto” nella fase originaria dell’universo, cosa che, sì, introdurrebbe una novità notevole circa la natura dei principi ammessi nel cosiddetto explanans: si tratterebbe di un principio finalistico, contro la secolare tradizione della fisica, ma tuttavia la logica della spiegazione scientifica – per come è andata codificandosi – non ne rimarrebbe intaccata, esigendo quest’ ultima che da certe proposizioni ammesse seguano delle proposizioni formalmente corrette che descrivono i fatti da spiegare (e non aggiunge restrizioni circa il significato/natura delle proposizioni.)
–
E lo scienziato si fermerebbe lì. Se poi si volesse espandere metafisicamente il discorso potrebbe anche farlo, però non come scienziati, ma come metafisici. E non è detto che lo si debba poi fare per forza.
Salve Vianegativa,
cosa intente scrivendo ” la logica della spiegazione scientifica – per come è andata codificandosi”? La logica non dovrebbe essere comunque basata su predizioni scientificamente controllabili e falsificabili, a prescindere da ciò che succede nei secoli?
So che dopo ha proseguito dicendo che devono seguire proposizioni che spieghino i fatti, ma onde evitare che per “spiegazione dei fatti” vada bene anche solo una loro narrazione più o meno persuasiva, sarebbe meglio chiarire il punto precedente.
Concordo con HTagliato: la scienza naturale, “così com’è andata codificandosi” da Galileo in poi, non può accettare un principio finalistico, perché non osservabile. Per questo, ci sono altre scienze.
Htagliato e Masiero, purtroppo non ho il tempo di articolare una risposta adeguata, ma se lo avessi dovrei giocoforza sviluppare i seguenti punti:
–
1. perché storicamente la spiegazione teleologica è stata esclusa dalla spiegazione scientifica (e ciò non ha nulla a che fare con l’impossibilità di “misurazione” del finalismo. Se dicessi così, starei ragionando in circolo, dato che presupporrei come unica spiegazione scientifica possibile quella che sottende il paradigma meccanico di conoscenza);
–
2. spenderei qualche parola sul processo di codificazione della logica della spiegazione scientifica;
–
3. specificherei cosa si debba intendere precisamente per “progetto”/finalismo/teleologia (e per carità, nulla a che vedere col creazionismo, l’ID e – in certo senso – nemmeno la metafisica se è per questo) e quindi
–
4. analizzerei le situazioni particolari (quelle cd “originarie”) in cui tale spiegazione (finalistica) è invocata perché indispensabile (se si vuole almeno tentare di dare una spiegazione) e non come una specie di deus ex machina.
–
Magari avrò occasione di farlo in futuro, ma per il momento vorrei tranquillizzarvi dichiarando che non sto (ancora!) farneticando, bensì mi sto rifacendo all’insegnamento di Evandro Agazzi, epistemologo e filosofo della scienza che credo non abbia bisogno di presentazioni e i cui scritti epistemologici – sono certo – risulterebbero di sicuro interesse agli amici di CS.
–
A presto.
Grazie, ViaNegativa. Accennando alla teoria dei sistemi, pensavo proprio ad Agazzi – che stimo molto – e alla sua scuola. Però io, per “scienza naturale”, intendo quella codificata dal metodo galileiana, infine riducibile alla fisica. Per questo non vedo, in questo codice, spazio per il finalismo, né per campi “vitali”. Cmq, basta intendersi sui termini.
“Cmq, basta intendersi sui termini.”
.
Infatti, credo che in seguito ad un’adeguata explicatio terminorum ci si troverebbe infine in accordo, forse non proprio al 100%, ma in larga misura.
Spero che in futuro potrà approfondire il suo punto di vista, ma per quanto riguarda il punto (1), se è di scienza sperimentale che stiamo parlando, allora non posso che confermare l’impossibilità di misurare col finalismo, per ragioni meramente pratiche: ogni esperimento ha sempre uno schema del tipo “prendo un sistema, costruisco determinate condizioni INIZIALI e confronto ciò che succede con ciò che prevede la teoria”. NON posso proprio fisicamente imporre condizioni finali (al massimo sul mio foglio di carta impongo le finali e con un calcolo al contrario scopro le iniziali da imporre in laboratorio). Ad una persona posso dire “se vuoi dimagrire, allora fa sport”, per cui il desiderio di dimagrire diventa un motore delle azioni presenti.
Tale discorso vale anche per quei casi in cui un fisico dice “il sistema evolve PER minimizzare il funzionale d’azione”; ovviamente il minimo del funzionale NON è lo scopo del sistema in mutamento.
In breve è all’atto di sperimentare che la scienza esclude fine, essenze e tante cose che facevano parte della Scienza in un senso più ampio, prima della scienza galileiana, non è per qualche pregiudizio o giù di lì.
“NON posso proprio fisicamente imporre condizioni finali”
–
Certo H, però il mio discorso è diverso e non si oppone a ciò, ma lo integra. Ripeto, ci tornerò.
Grazie, Cordani.
Ho scritto che la nascita della vita e dell’uomo potrebbero essere “dichiarati problemi troppo complessi, superiori alle risorse (epistemiche, tecniche o economiche) della scienza naturale”; intendevo quindi della tecno-scienza e del suo metodo (galileiano), non di altre discipline scientifiche, come la scienza dei sistemi o la stessa metafisica.
Secondo la mia visione epistemologica, la fisica chiude la scienza naturale o tecno-scienza – perché oltre per mancanza di riproducibilità non si danno applicazioni tecnologiche -, ma la fisica non è certo chiusa né autofondantesi. Essa si fonda sulla metafisica.
@Cordani
.
Molto interessante il tuo commento grazie al quale scopro ora che esistono 4 interazioni fondamentali non riconducibili ad altre forze.
.
https://it.wikipedia.org/wiki/Interazioni_fondamentali
.
scusate se ci arrivo solo ora.
Come non ricordare il grandissimo Pascal ?
“L’ultimo passo della ragione, è il riconoscere che ci sono un’infinità di cose che la sorpassano.”
Gli articoli citati vengono da riviste con impact factor minore di 2, di cui una pure open access; non proprio un granchè.
Infatti, un modello che descrive le mutazioni genetiche come cambio puntuale di singole basi è ridicolmente semplice rispetto alla realtà. È evidente che _se le mutazioni genetiche fossero solo quello_ l’evoluzione non si spiegherebbe – ma esse non sono solo quello.
Questo articolo, Vidani, è rivolto alla massa che crede ancora che l’evoluzione sia il risultato di cambi puntuali e casuali, tipo il sig. Raemo di sopra, così come istruiti da molta letteratura specialistica, a pagamento e no, dalla divulgazione di massa, dai testi scolastici e dai professori universitari alla Dawkins & C., con cattedre anche in Italia; non certo alle persone come Lei, che sanno bene che l’evoluzione, se c’è stata, può essere solo accaduta per macromutazioni – come ho scritto – e che crede anche di conoscere i meccanismi fisico-chimici che le hanno prodotte.
Perché su questi meccanismi non ci scrive un articolo, che saremmo onorati di pubblicare?
“l’evoluzione, se c’è stata” ??
Ma Pennetta non ripeteva di continuo che l’evoluzione è un fatto e si tratta “solo” (enormi virgolette) di capire come è avvenuta? Adesso siamo a “l’evoluzione se c’è stata”?
Io penso con la mia testa, Vidani, ed ho una epistemologia da fisico (come Galileo, Bohr, Hawking, ecc.) secondo la quale in scienza naturale non esistono “fatti”, ma “fenomeni” (e teorie per spiegarli). I fatti appartengono alla storia, i fenomeni alle tecno-scienze, e sono osservabili e misurabili.
In biologia evolutiva il fenomeno sono i fossili, che rivelano UNA SUCCESSIONE temporale di forme biologiche a complessità crescente. Che queste forme siano comparse per EVOLUZIONE (o meglio, per TRASFORMAZIONE dato che le mutazioni non sono puntuali) è tecnicamente una congettura scientifica ragionevole, una teoria scientifica. Io sono evoluzionista, perché la considero la congettura più ragionevole. Ma non la confondo con un fenomeno osservato, né tanto meno con un fatto.
Ciò detto, Le rinnovo l’invito a scrivere su CS – che è un luogo pluralista – per spiegarci quali sono a Suo parere i meccanismi fisico-chimici che hanno prodotto le macromutazioni genomiche.
Questo è il campo del confronto libero, non c’è nessun bisogno di campi “neutri”.
Se poi le serve un pretesto per evitare di metterci la faccia il discorso è un altro.
PS data l’inconsistenza dei suoi interventi mi preoccuperei se la pensassimo allo stesso modo, sentirsi dire da uno come lei che dico “cretinate” è pressoché un complimento.
Le provocazioni del sign. Raemo mi hanno fatto pensare ad una scena comica dell’autore teatrale Raffaele Viviani presente in “Tuledo ‘e notte” (http://pulcinella291.forumfree.it/?t=63897211)
Tummasino è un camorrista “vero”, mentre “Filiberto” è un “guappo di cartone” (un uomo che si atteggia a duro e strafottente ma fa solo scena). Filiberto vorrebbe aggredire Tummasino, ma preferisce piazzargli davanti delle donne dietro cui nascondersi per poi, quando Tummasino si calma, scostare con violenza le donne facendo finta che siano state loro a trattenerlo:
TUMMASINO – Ma qua’… (È pronto anche lui a slanciarsi, ma gli amici lo trattengono)
FILIBERTO – (indietreggia, spingendo Ines e Margherita in avanti, poi, visto il rivale calmarsi, riprende la posizione di prima, facendosi largo fra le due donne, a viva forza) Levateve ‘a miezo! (E fa il gesto di voler-le schiaffeggiare. Si fruga addosso; ad Ines) Ma io nun tengo ‘o rivolvero, comme m’appicceco? (Ines gli dà la rivoltella. Filiberto la mette nel taschino del panciotto, col manico ben visibile; e si fa avanti, spavaldo, come a lanciare all’avversario una sanguinosa offesa) …Quindi…
Grazie per l’articolo Dott Masiero. A prescindere dai contenuti, sui quali posso essere d’accordo solo con l’uso della ragione e della logica data la mia ignoranza che non mi permette di confermare né smentire, (penso anch’io che occorrerebbero persone come Greylines per sviscerare la questione) leggerla è sempre un grandissimo piacere. Se fosse stato uno scrittore di romanzi sarebbe lì lì nel contendere il primo posto, nella mia personale classifica, a Conan Doyle. Avvincente davvero!
Avrei una domanda.. forse tipica dello studentello distratto. Da cosa han dedotto che lo “scarto genomico” tra il progenitore e noi sia 1,5%? Questo scarto non è quello che solitamente c’è tra noi e gli scimpanzé? (Anch’essi, come noi, derivati dal progenitore). Questo studio penso che almeno una cosa la conferma. Non discendiamo, per motivi di tempo, dagli scimpanzé.. e questo è quello che la teoria darwiniana infatti afferma. Non discendiamo dagli scimpanzé ma da un progenitore comune. Riprendo quindi la domanda nel caso non fosse chiara: Come sanno che il progenitore aveva anch’esso una differenza con noi dell’1,5%? Hanno supposto che fosse uno scimpanzé? Sarebbe supposizione ben strana penso. O probabilmente non ho capito niente io.
Grazie a Lei, PaoloS.
La differenza nel DNA dell’1,5% non è tra il “progenitore” (che nessuno sa chi sia, e pertanto non è osservabile) e l’uomo, ma tra gli ominidi e gli umani. E nelle teorie evoluzionistiche, tutti presumono che l’uomo sia disceso da un ominide…
Buonasera. Premetto che sono un incompetente in materia e che ho trovato provocatorio l’esempio della serie di numeri usciti al lotto dal 1960: è ovvio che una serie doveva uscire, ciascuna era equiprobabile, ma una doveva certamente uscire. tuttavia vi chiedo. nell’affermare che non c’è tempo sufficiente ad arrivare all’uomo sulla base di micro-mutazioni successive si intende proprio all’uomo o ad un essere con complessità sovrapponibile? magari sarà proprio un paragone idiota, ma ecco: un conto è dire che non c’era tempo per andare fino a Stoccolma a piedi percorrendo la strada in modo random perché ci saremmo ferrmati, che so, a Bologna (quindi non si potevano proprio percorrere tutti quei chilometri), quindi non c’era proprio tempo per raggiungere un risultato anche solo simile, equivalente all’essere umano, un altro conto è dire che resta clamoroso che siamo arrivati a Stoccolma ma in realtà – a casaccio – avremmo comunque potuto raggiungere una città posta alla stessa distanza di Stoccolma rispetto al punto di partenza. voglio dire, nelle probabilità contrarie vengono messe anche le probabilità che uscisse – che so – un uomo intelligente come noi, ma non bipede ecc, perché questo sarebbe sbagliato secondo me, metodologicamente. spero di essermi spiegato, anche se con un paragone così strano. ringrazio il prof Pennetta e tutti i principali autori dei contributi di questo blog molto interessante, a partire dal prof Masiero
Ciao Cristiano, il punto è che non stiamo parlando della improbabilità di arrivare all’Uomo ma di quella di arrivare alla prima cellula.
Colgo l’occasione per mostrare la fallacia dell’argomento di Raemo.
Il fatto che nel corso delle estrazioni una serie deve pur uscire vale se qualsiasi serie è equivalente all’altra, ma se mi serve una serie ben precisa non è affatto detto che esca, credo che lo sppiano i giocatori del superenalotto nel quale l’uscita del 6 ha una probabilità di 1 su 622,614,630 (6,2^8).
Ma se la serie che si chiama “prima cellula” ha una probabilità di uscire pari a 1/10^40.000 quindi pensare che esca in un universo che ha un’età di 10^18 secondi è esattamente come aspettare un miracolo. E di quelli clamorosi.
Questo dimostra la totale ignoranza oltre che arroganza, del signore in questione.
Grazie, Cristiano.
Lei tocca, con la Sua domanda, il tema del “cespuglio”, un’altra invenzione del neodarwinismo per risolvere con il fattore caso/contingenza due suoi problemi irrisolti: l’assenza di forme biologiche intermedie, anche al solo livello di fossili (una volta si chiamavano anelli mancanti), in particolare tra ominidi e uomini e, soprattutto quello che Schützenberger chiamava la “seconda classe di miracoli darwiniani: il fatto che le macro-mutazioni, ammesso che siano avvenute, si sono sommate sempre in una direzione ben definita a costituire grandi tendenze, culminate con l’apparizione dell’uomo. Queste macrotendenze sono: complessificazione del sistema nervoso, interiorizzazione del processo riproduttivo, apparizione delle ossa, dell’orecchio, arricchimento delle funzioni relazionali, ecc. Per questo trend i darwinisti si appellano al caso e ai cespugli, mentre l’aumento della complessità e della funzionalità sono fenomeni osservabili e misurabili.
Nell’uomo, assistiamo alla comparsa quasi simultanea di numerosi sotto-sistemi che lo distinguono dalle scimmie superiori: il bipedismo con le modifiche concomitanti del bacino e del cervelletto, una mano abile con impronte digitali a conferirle un tatto molto più delicato, le modifiche alla faringe necessarie per la fonazione, la modifica del sistema nervoso centrale al livello dei lobi temporali per un riconoscimento fine della parola, ecc., ecc.
E non parlo di arte, intelletto, linguaggio astratto, ecc. Ammesso che l’evoluzione ominide -> uomo sia avvenuta, la specie umana è quindi lo sbocco più avanzato di un processo di complessificazione e funzionalità crescenti, causato da meccanismi fisici ancora ignoti, e non una possibilità tra tante altre equiprobabili – come anche il fenomeno della deriva genetica esclude.
grazie per i chiarimenti e la pazienza ad entrambi i prof