La creazione di gruppi nati intorno al fatto di essere “vittime” si dimostra un utile modo di addormentare la protesta politica.
Ed anche un altrettanto utile modo per censurare la libertà di espressione e di pensiero.
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Secondo la tradizione, sarebbe stato Filippo il Macedone, padre di Alessandro Magno, a coniare il motto che poi sarebbe passato alla storia nella forma latina divide et impera (in greco διαίρει καὶ βασίλευε, diaírei kài basíleue: dividi e regna). È la strategia, usata dal potere, di mettere gli uomini gli uni contro gli altri, fomentando discordie e rivalità, in modo che si facciano la guerra tra di loro e non riescano quindi a unirsi contro il potere stesso.
Con l’indebolimento di istituzioni come la Chiesa, i partiti politici e le grandi ideologie, le persone si sono messe alla ricerca di qualcosa che definisse le loro identità. Un’identità autodefinita è vista come qualcosa di fisso, che nessuno può contestare. In questi ultimi anni, quindi, abbiamo assistito alla nascita di molti gruppi basati su queste identità da loro stessi definite. Il modo più semplice per creare questi gruppi è scegliere delle persone “vittimizzate”.
La vittima creerà la sua identità intorno al fatto di essere vittima e spenderà le sue forze a combattere i carnefici (veri o presunti), in perfetto stile divide et impera. Un vittimista sarà talmente impegnato a piangersi addosso, a rimuginare sulle sue disgrazie (vere o presunte) e a prendersela col resto del mondo che di certo non darà nessun fastidio al sistema. Se poi il gruppo a cui si appartiene viene politicizzato, si può stare certi che le proprie rivendicazioni saranno accettate a tutti i livelli delle istituzioni, il che ovviamente aumenterà le pretese del gruppo in questione.
Anche nel caso in cui non si venga politicizzati, però, il gruppo di vittime può avere molte funzioni.
Una, ad esempio, è quella di limitare la libertà di espressione. Con la scusa di non ferire quella particolare categoria, si puniranno le persone che dicono cose ritenute “offensive” verso tale categoria: avremo così non solo una forte censura, ma anche un’autocensura. E sappiamo bene che se una cosa non la puoi dire, alla lunga non riuscirai più nemmeno a pensarla. Qui in Italia siamo ancora all’inizio, ma negli USA e in Gran Bretagna il processo è già parecchio avanzato, tanto che negli ultimi due decenni sono usciti diversi libri proprio per denunciare questo preoccupante fenomeno. Grazie alla creazione della nuova categoria di crimini noti come hate speech, qualsiasi idea ritenuta offensiva, pericolosa o discriminatoria viene bandita e la persona punita. Sarebbe ora impossibile fare un resoconto di quello che sta succedendo, ma basti dire che, tra i casi più assurdi, ci sono persone che sono state multate, hanno avuto decurtazioni di stipendio, perso il lavoro o che addirittura sono finite in cella per aver citato passi della Bibbia, per aver cantato l’inno della propria squadra di calcio, per aver fatto battute sul cavallo di un poliziotto, per aver definito la propria vicina “una stupida e grassa puttana australiana” mentre invece era neozelandese, o, in generale, per aver espresso le proprie idee. Ci sono ragazzi (maschi) che vengono denunciati per “molestie” (le cosiddette “microaggressioni”) solo per aver fatto apprezzamenti verso una ragazza, e sono quindi costretti ad affrontare il processo e tutto quello che ne consegue. Nemmeno le star sono al sicuro. L’attore Benedict Cumberbatch, ad esempio (famoso per la serie TV Sherlock e nominato all’Oscar per The Imitation Game), è finito al centro di una polemica per aver usato l’espressione “di colore” (coloured) mentre faceva un discorso contro la discriminazione delle persone di colore. Questo dunque significa che esistono non solo idee o concetti che non si possono esprimere, ma anche parole che sono assolutamente vietate, in qualunque contesto. Ovviamente anche gli attori comici risentono di questo clima e per loro trovare battute non politicamente scorrette sta diventando sempre più difficile.
Altre ripercussioni si stanno avendo persino sulla qualità dell’insegnamento scolastico e universitario, al momento soprattutto negli USA e in Gran Bretagna. Già dagli anni ’90 del secolo scorso alcune persone avevano notato che le politiche di cosiddetta parità di genere stavano influenzando negativamente il rendimento scolastico degli studenti maschi, come risulta ancora oggi dalle statistiche. I maschi vengono visti tutti come persone potenzialmente violente, e fin da piccoli devono essere “demascolinizzati” per annullare il loro potenziale violento, mentre tutte le lezioni e l’ambiente scolastico vengono costruiti intorno ai bisogni (veri o presunti) delle ragazze.
Le università inglesi e americane, poi, stanno praticamente abbandonando quello che dovrebbe essere il loro compito primario: fare cultura. Nell’intento di dare spazio alle varie minoranze, si stanno moltiplicando i corsi ad esse dedicati, togliendo ovviamente non solo spazio, ma anche importanza ai corsi “classici”, che sono sentiti troppo “eurocentrici”, “patriarcali” e “maschilisti”. Un esempio su tutti. Nel corso di Letteratura inglese della celebre UCLA (University of California at Los Angeles) sono obbligatori corsi sugli: studi di genere/razza/etnie/disabilità/sessualità; studi di imperialismo transnazionale o coloniale; teoria critica. Ma non sei obbligato a seguire corsi su Shakespeare. In pratica una persona può laurearsi in Letteratura inglese senza aver mai sentito parlare del più grande autore in lingua inglese, ma sapendo tutto sui problemi relativi alla razza e alla disabilità. E questo sta accadendo non solo all’UCLA, ma in quasi tutte le università umanistiche americane (come si può capire anche da questo articolo ). Tutti i problemi del passato sono ridotti a questioni relative all’identità e alle classi sociali e quindi (come dicevo prima) tutta la tradizione occidentale viene ripudiata, perché propugna la “supremazia bianca” e il “razzismo”. D’altronde nella tradizione culturale occidentale non ci sono donne (o perlomeno ce ne sono poche) o persone di colore. Sulla stessa scia, nel 2014 l’annuale conferenza dell’American Literature Association aveva come punti di discussione: personificazione [embodiment], povertà, clima, attivismo, risarcimenti e l’essere governati in modo ingiusto, in modo da “mostrare i punti dolenti della vulnerabilità”. La letteratura, come vedete, non è pervenuta.
Ci sarebbe poi molto da dire sui cosiddetti trigger warning e i safe space. I trigger warning sono degli avvertimenti che vengono messi prima di testi, o fatti prima di lezioni o conferenze per informare i lettori/uditori che il contenuto dei suddetti potrebbe urtare la sensibilità di qualcuno. Ovviamente, come potete immaginare, qualsiasi cosa, qualsiasi libro o qualsiasi lezione potrebbe urtare la “sensibilità” di qualcuno. Un soggetto particolarmente delicato sembra essere lo stupro. Uno studente americano di Lettere è stato costretto a ritirare un suo scritto (quindi un’opera di fantasia) da un concorso proprio perché parlava di stupro. Molti professori di Giurisprudenza hanno addirittura deciso di non trattare più, nelle loro lezioni, la giurisprudenza che riguarda i casi di stupro, poiché erano stanchi delle lamentele delle studentesse (per cui ci saranno degli avvocati donna incapaci di trattare casi di stupro). E se proprio un professore o un relatore dovesse essere così crudele da trattare temi particolarmente delicati, ci sono i safe space, cioè delle stanze in cui gli studenti si possono ritirare e restarsene tranquilli, al sicuro da idee moleste (contro i quali ha parlato anche il nuovo primo ministro britannico). In molte università esistono persino dei “codici espressivi (speech codes) che limitano o vietano alcune espressioni, sia orali che per iscritto. In alcuni campus ci sono però le free speech zone, in cui si può parlare liberamente. Insomma, i luoghi che dovrebbero aprire la mente dei giovani stanno diventando il rifugio del conformismo e della chiusura mentale.
Altri due brevi esempi possono dare l’idea del clima opprimente che si respira in questi campus, sia inglesi che americani. Un ristorante messicano all’interno di un campus inglese ha dovuto eliminare tutti i sombrero che aveva esposto, perché c’era il rischio che potessero essere percepiti come razzisti dai messicani, e una festa a tema “Il giro del mondo in 80 giorni” è stata annullata perché l’utilizzare i costumi etnici dei vari popoli poteva essere visto, anche in questo caso, come “inappropriato e razzista”.
L’idea che si è fatta strada è che i campus debbano essere, per gli studenti, sicuri e protetti come le loro case, quindi qualsiasi cosa che possa risultare “traumatica”, “dolorosa”, “scioccante” o “molesta” deve essere bandita, poiché gli studenti hanno il diritto a non essere offesi. Il finto diritto a non essere offesi, quindi, precede il diritto vero alla libertà di parola.
Non potendo approfondire qui l’argomento, consiglio a chi sa l’inglese i libri Who Stole Feminism e The War Against Boys, entrambi di Christina Hoff Sommers; I Find That Offensive!, di Claire Fox; Trigger Warning, di Mick Hume; Feel Free to Say It, di Philip Johnston; The Victims’ Revolution, di Bruce Bawer; The Shadow University, di Alan Kors; Illiberal Education, di Dinesh D’Souza; Unlearning Liberty, di Greg Lukianoff e in italiano La chiusura della mente americana – I misfatti dell’istruzione contemporanea, di Allan Bloom, scritto alla fine degli anni ’80 ma ancora attuale.
Continua:
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31 commenti
Grazie, Emanuela, per questo illuminante articolo di critica sociale. Vediamo se ho capito: in una società dove manca un grande collante, un’identità oggettiva comune, ci si butta su una forma di autodeterminazione arbitraria e poco costruttiva ma che viene tutelata con lo stesso rigore con cui venivano difese le identità del secolo scorso. Il meccanismo lo vedo, grazie a questo articolo, più chiaro nel suo essere un circolo vizioso: non conosco le mie radici -> creo delle mie radici ma sono poco profonde -> mi faccio spazio rimuovendo il passato -> ho distrutto quelle che dovevano essere considerate le mie radici -> non conosco le mie radici -> …
Sì più o meno funziona così. Bisognerebbe trovare qualcosa che sostituisse le vecchie ideologie e le vecchie identità ma che non sia soggettivo, e che quindi non crei divisioni tra le persone.
E a proposito di trigger warning, un prof. dello University College of London, che insegna Archeologia dei conflitti moderni, ha detto ai suoi studenti che se qualcosa durante le lezioni dovesse disturbarli, posono lasciare l’aula… http://www.nationalreview.com/article/440517/university-college-london-archeology-professor-class?utm_source=nr&utm_medium=facebook&utm_content=timpf%3Futm_campaign%3Darcheology
Per fortuna finora nessuno l’ha fatto.
“archeologia dei conflitti moderni”?!?
Sembra una contraddizione in termini, la cosa mi disturba…
A parte gli scherzi, che pazzia è mai questa, mi immagino se dovessi dire questo in classe, nel caso qualcuno uscisse, poi posso interrogarlo sull’argomento o va esonerato?
Questi stanno alla frutta.
Infatti non è chiaro se poi agli esami queste persone sensibili vengono interrogate solo su ciò che vogliono loro… Devo indagare!
archeologia dei conflitti moderni sembra una di quelle materie assurde che si divertiva a inventare Umberto Eco (che, con tutti i suoi difetti, era spiritoso), tipo “urbanistica nomadica” …
Esattamente!
sono nato troppo presto ahimé. diventare medico senza mai vedere una goccia di sangue (mi fa un po’ impressione) era il mio sogno, da cuccioletto.
Quanto scritto ora da Emanuela, specialmente la parte dedicata al mondo universitario (quella fucina dove si dovrebbe “fare cultura” o per lo meno trasmetterla), è una fotografia di quanto sta accadendo in Inghilterra e USA (anche se ho ricevuto segnalazioni da altri luoghi non meno rinomati in Europa). In Italia ci si sta arrivando…
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Storicamente, l’Europa ha vissuto le sue più grandi pagine storiche, come continente, quando vi è stata una svolta nella percezione della sua identità.
Sulla seconda parte del suo commento: tutto dipende da cosa intende per “svolta”: siccome credo che lei condivida la tesi dell’articolo, allora capirà pure che qui più che di passaggio da un’identità ad un’altra, si tratta di andare da un’identità ad un vuoto colmato giocando su tante minoranze spesso soggettive; quindi con queste promesse non è detto che stiamo alle porte di una svolta.
Sì, la sua interpretazione è corretta ed era quello che intendevo con quella chiosa finale.
Mah, sarà una prerogativa delle facoltà umanistiche e affini. Sono stato in almeno tre dipartimenti di Fisica di università americane, e ‘ste stronzate (scusate il francesismo), non avvengono…
Sì infatti come ho scritto riguarda soprattutto facoltà umanistiche e storiche (e un po’ anche quelle giuridiche). In quelle scientifiche i trigger warning non avrebbero molto senso.
Fino ad ora affermazioni del tipo “gli elettroni sono fermioni” non urtano la sensibilità di nessuno, ma mai dire mai.
Giusta considerazione, ovviamente solo dove si parla di esseri umani ci può essere un trigger warning, gli studi matematici, fisici e chimici sono salvi.
Però effettivamente le sorprese non finiscono mai!
U n grandissimo grazie ad Emanuela, questo intelligente articolo è molto utile a mostrare alcune delle tecniche di disgregazione sociale che passano inosservate.
E conoscere è già difendersi.
Un piccolo esempio che secondo me rende molto bene questa follia del politicamente corretto.
Sicuramente conoscerete, anche solo di nome, il romanzo di A. Christie Dieci piccoli indiani. Il titolo originale di questo libro era Ten little niggers e faceva riferimento a una filastrocca in cui dieci piccoli negretti morivano uno dopo l’altro. Alcuni anni dopo l’uscita, temendo che potesse suonare offensivo per le persone di colore, lo si cambiò in Ten little indians e i negretti della filastrocca si trasformarono in indiani. In seguito, in occasione di una messa in scena a Broadway, i produttori temettero che il riferimento agli indiani potesse risultare offensivo per quei quattro nativi che ancora sopravvivevano in America, per cui modificarono il titolo in And then there were none (E alla fine non rimase più nessuno) e i negretti/indiani si trasformarono in soldati (dato che, com’è noto, nessuno si offende se dei soldati vengono uccisi). Al momento, se non mi sbaglio, è quest’ultimo il titolo con cui il libro viene venduto nei paesi di lingua inglese.
Un’ultima curiosità. Lo scorso inverno la BBC produsse una miniserie tratta dal libro (appunto col titolo And then there were none) e uno dei personaggi, un investigatore privato, ex poliziotto, è stato trasformato in omofobo, nel senso che il suo “crimine segreto” era l’omicidio di un uomo arrestato per sodomia. Nel romanzo, di tutto ciò non v’è traccia. Nel romanzo il poliziotto arresta un uomo innocente, che poi muore in carcere.
Cara Emanuela, circa la BBC le dò pienamente ragione… per restare nel mondo letterario della Christie, sono rimasto davvero “sconfortato” alla visione della recente serie di Miss Marple (personaggio che amo molto), prodotta dalla BBC, anche quella inficiata dal Pol.Cor.
Ti dico solo che nel film tratto da E’troppo facile ci hanno ficcato dentro un incesto che nel libro non c’era…
Permette solo una piccola, insignificante, critica ?
A mio avviso avrebbe potuto citare il recente bando, in una università statunitense, di un’importante opera letteraria per il semplice fatto che la parola ‘nigger’ compariva oltre 200 volte.
Quest’opera non è uno scritto di qualche fanatico razzista del KKK, ma bensì “Huckleberry Finn”, dello scrittore Mark Twain, da sempre considerata una pietra miliare dell’antirazzismo.
Credo che citandola avrebbe potuto dare un’idea molto più completa dell’attuale corto circuito mentale del cosiddetto “politicamente corretto”.
Le metto “9”, e non “10Lode”, per questa lacuna.
Buona Domenica a tutti
Grazie per questa integrazione Davide, una conferma al fatto che iniziative folli portano a maggior follia.
PS non vorrei essere in Emanuela a presentarmi a casa con un “misero” 9…. 😀
@Davide: di esempi ce ne sarebbero a bizzeffe, anche con risvolti legali, ma siccome il mio articolo (questa è solo la prima parte, non so se l’hai notato dal titolo) non parla di questo nello specifico, ho fatto una cernita, sennò sarebbe venuto lunghissimo. Tra l’altro se non mi sbaglio esiste un romanzo di Conrad dal titolo The Nigger of the Narcissus: mi chiedo se abbiano bandito anche quello.
Un tempo non lontano il termine “negro” designava semplicemente una persona con la pelle nera e nessuno si sognava di usare tale vocabolo per offendere qualcun altro.
Oggi, grazie alla stupidità intrinseca nel politicamente corretto unita a quella tutta speciale dei radical chic italioti, una parola perfettamente innocua è diventata un insulto a disposizione di chi se ne vuol servire.
Sicché col nobile intento di “proteggere” si è creata solo una nuova arma per ferire.
Al riguardo ricordo che il mensile dei missionari comboniani si chiama “Nigrizia”, che aprano le missioni per divertirsi a insultare?
Ma tra l’altro sbaglio o in spagnolo “nero” (inteso come colore) si dice proprio negro?
Splendido e agghiacciante articolo, meriterebbe molta risonanza
Una questione che incredibilmente permette di concordare anche con Dawkins… https://twitter.com/richarddawkins/status/658022567085801472
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En passant segnalo un caso recente – a mio giudizio paradigmatico. E quando fatti simili avvengono anche nella ristretta cerchia dei filosofi cristiani, allora la frutta la si è digerita da un pezzo…
Infatti ha ragione. Restassero a casa se hanno paura del mondo.
Ed allora cosa dovrei dire io che, una volta tanto, non posso che essere completamente d’accordo con Papa Francesco ?
http://www.corriere.it/esteri/16_ottobre_02/famiglia-papa-francesco-attacca-teoria-gender-92569dd0-8829-11e6-bf16-41bc56635276.shtml
Non c’è più religione…. 🙂
‘E sappiamo bene che se una cosa non la puoi dire, alla lunga non riuscirai più nemmeno a pensarla.’….
Sicuramente avrò una fissazione, ma a me queste frasi (sulle quali non posso che concordare) non fanno altro che farmi venire in mente la funzione principale del ‘newspeak’ in 1984.
Poi, se dite che devo cercarmi un buon psichiatra, vi chiedo cortesemente di suggerirmi qualche nominativo.
Buona Domenica.
Beh volendo già da adesso si potrebbe fare un elenco di cose che molti non riescono neanche a pensare.
PS: forse intendevi doublespeak?
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