E’ un privilegio essere alfabetizzati in un’età scientifica” – James Flynn
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Nel complicato panorama socio-culturale che caratterizza attualmente la nostra società moderna, è oramai sempre più evidente l’inesorabile stabilirsi di una frattura abbastanza netta che divide la scienza dagli altri contesti sociologici. Sembra quasi si stia assistendo ad un fenomeno sociologico di tipo bipolare che porta molte persone da una parte a disinteressarsi completamente dei problemi scientifici o dall’altra ad assimilare acriticamente qualsiasi cosa uno scienziato dica.
Questo strappo di natura principalmente concettuale e culturale è certamente dovuto anche al sempre diffuso, anacronistico e pericoloso basso livello di alfabetizzazione scientifica. Complice anche una strategia di comunicazione della scienza che lascia ancora molto a desiderare e che, quasi inconsapevolmente, conduce al paradosso di un’era caratterizzata evidentemente da un rapido sviluppo della scienza, la quale rimane però di fatto una cultura non ancora pienamente compresa e condivisa a livello sociale.
Una naturale tendenza alla dissonanza cognitiva tra scienza e società che è messa bene in evidenza anche in una riflessione dello storico Eric Hobsbawm, del 1994, ancora più che mai attuale:
“Nessuna epoca storica è stata più dipendente dalle scienze naturali e più permeata di esse del ventesimo secolo. Tuttavia nessuna epoca, dopo la ritrattazione di Galileo, si è trovata più a disagio con la scienza. Questo è il paradosso con cui deve scontrarsi lo storico di questo secolo”.
Ma allora, in un’epoca segnata comunque nel bene o nel male dall’avanzare inesorabile di questo gigantesco tsunami scientifico, come mai si assiste ancora al prevalere di una percezione quantomeno falsata della scienza, della ricerca e della figura stessa dello scienziato?
Non è raro infatti imbattersi in critiche generiche, più o meno giustificate, che tendono a minare nel profondo i veri valori della scienza. Quanto spesso si sente parlare di scienza o tecnoscienza (anche se scienza e tecnologia sono due cose ben diverse) come di un qualche cosa molto spesso legato al potere o manipolato dai mercati e dagli interessi economici, o come di un’attività umana che tende a peggiorare le cose e le situazioni anziché migliorarle e che mette in discussione i principi di democrazia, di libertà e di dignità umana.
Ma se è vero che obiettivamente nemmeno la scienza può dichiararsi completamente immune da questo tipo di possibile contaminazione, è anche vero però che non si sente quasi mai parlare di scienza come di un’irrinunciabile risorsa collettiva o come di un’attività legata ad una possibilità concreta di esperienza interiore che tra le altre cose è anche in grado di produrre in chi la pratica o in chi la segue la stessa soddisfazione intellettuale ed emotiva che si ha quando per esempio si costruisce o si ammira un’opera d’arte. Del resto scienza e arte, pur essendo due attività indubbiamente diverse, hanno anche in comune più di quanto si possa credere, per esempio dal punto di vista dell’abilità creativa o del gesto cognitivo che spinge lo scienziato o l’artista ad approcciare “il mondo” mediante l’utilizzo di un linguaggio e di strumenti molto specifici.
Sicuramente un consistente concorso di colpa è rappresentato anche da una comunicazione della scienza non sempre all’altezza della situazione.
Non basta infatti che si parli di più di scienza per creare nel cittadino la consapevolezza diffusa del valore della ricerca scientifica e di come la scienza in realtà pervada positivamente il nostro vivere quotidiano, ma è importante anche come queste informazioni vengono impartite.
Alla base di ogni processo di comunicazione ci sono sempre due elementi essenziali, il mittente e il destinatario. Le relazioni che intercorrono tra questi due elementi sono sempre complesse e affinché ci sia veramente una trasmissione di informazione efficace, chi comunica deve necessariamente calibrare il suo messaggio in base al destinatario che si suppone lo riceva e conseguentemente lo elabori.
Che si tratti quindi di una comunicazione orale, di un articolo, di un saggio, di un libro, la prima domanda da porsi è: a chi voglio comunicare? Non esiste infatti “il pubblico”, ma una serie di pubblici, adulti, bambini, esperti, neofiti, specialisti, per ognuno dei quali sarà necessario definire delle strategie comunicative diverse, tenendo sempre ben presente lo scopo della comunicazione.
Nel caso della comunicazione scientifica specialistica, la pubblicazione dei risultati di una ricerca è la conclusione necessaria di tutto un processo e viene oramai considerata come parte del processo stesso. Se i risultati non vengono resi pubblici all’interno della comunità scientifica è come se la ricerca non fosse nemmeno stata fatta. Esiste tutta una serie di “regole”, infatti, dalla peer-review (valutazione dei lavori da parte di almeno due esperti di settore), all’impact factor (indice correlato al numero di citazioni della rivista), non prive di problematiche, peraltro, alle quali di recente si sono aggiunti altri sistemi interessanti come l’open access (paga chi pubblica e non chi legge), modalità recepita per esempio dalla rivista di biologia PLOS, e l’open source (pubblicazione pre-print) che dovrebbe agevolare una più semplice circolazione dell’informazione per tutti e che potrebbe in qualche modo ovviare in parte a qualche eventuale e possibile errore o problema che dovesse palesarsi nel successivo processo di referaggio.
Nell’ambito della comunicazione scientifica non specialistica, invece, in cui trova collocazione anche la divulgazione scientifica le cose si fanno in un certo senso più semplici in quanto non ci sono più le regole fisse da rispettare come nel caso della comunicazione specialistica, ma allo stesso tempo si fanno anche più complicate in quanto proprio a causa di questa “libertà” di movimento e di gestione, possono di conseguenza insorgere diversi problemi.
Il primo, è sicuramente quello di una pericolosa propensione a semplificare troppo, il che comporta la possibilità concreta di distorsione dei contenuti. Albert Einstein diceva:
“ogni cosa dovrebbe essere resa il più semplice possibile, ma non più semplice di quello che è”.
Ciò significa che esistono dei limiti oltre ai quali non si può andare, certi argomenti per loro natura complessi e complicati non possono essere banalizzati più del necessario. Ciò implica anche che esiste un certo grado di difficoltà di cui bisogna prendere coscienza e che richiede un minimo di bagaglio di conoscenze di base. Non è vero che è tutto semplice, come spesso nell’ambito della divulgazione si vorrebbe fare intendere. Si pensi per esempio a questioni estremamente importanti come la gestione delle risorse energetiche e dell’ambiente, la prevenzione e cura delle malattie, la fecondazione artificiale, le cellule staminali, gli OGM, i cambiamenti climatici, problemi scientifici di enorme vastità e complessità. In altre parole un discreto sforzo intellettuale è inevitabilmente richiesto, e questo nella prospettiva di produrre un’adeguata formazione scientifica di base come strumento ineludibile per poter accedere a determinati concetti scientifici complessi e parallelamente di offrire anche la possibilità di vivere una piena cittadinanza scientifica.
Un altro problema per cui la divulgazione scientifica può diventare sostanzialmente inefficace è quello di tendere a proporre dei contenuti molto spesso preconfezionati, asettici e svincolati da ogni contesto storico o interdisciplinare. Ma così come è difficile possedere una buona cultura musicale senza conoscere Bach, Vivaldi o Stravinskij, allo stesso modo, non è facile comprendere bene la teoria sintetica dell’evoluzione se si ignorano i lavori di Lamarck, Darwin, Wallace e Huxley, o studiare la relatività di Einstein senza considerare il grande contributo di Galileo piuttosto che di Giordano Bruno. Anche la storia della scienza è importante, così come lo è la storia della filosofia, della musica, dell’arte. Una sorta di ritorno al passato per comprendere meglio il presente insomma, un’ovvietà in campo culturale. Dietro a ogni teoria infatti si celano sempre personaggi diversi, inevitabilmente figli dei loro tempi, con le loro storie, i loro stili e i loro destini. Il timore, quindi, è quello che si possa in qualche modo arrivare a sapere senza conoscere, compiendo così il primo passo verso il possibile fraintendimento.
Terzo punto importante riguarda la difesa dei contenuti scientifici dalla pericolosa invasione della pseudoscienza. Occorre sempre sgomberare il campo dai possibili equivoci. Proprio come nel gossip, infatti, anche nella scienza si infiltrano continuamente informazioni del tutto marginali e soggettive, che vengono poi tramandate sotto forma di fattoidi, per dirla con Gillo Dorfles. Argomentazioni fasulle disseminate di trappole lessicali e concettuali che solo raramente saranno approfondite successivamente oltre il circolo vizioso dei luoghi comuni, contribuendo così a generare false culture. Si pensi per esempio al dibattito pubblico sulla pericolosità dei vaccini, o alla superficialità con cui vengono seguite certe diete improbabili nel campo della nutrizione o alla credenza ancora diffusa dell’efficacia terapeutica dell’omeopatia. E poi ci sono tutte quelle storie di ciarlatani o di scienziati veri, ma che per qualche motivo, magari legato a tristi vicende personali, diventano del tutto inaffidabili. Un buon divulgatore dovrebbe essere il primo a riconoscere gli inganni e a evitare che questi si diffondano.
Il quarto punto, non meno importante, riguarda la selezione delle fonti. Un giornalista scientifico o un altro comunicatore può avere diversi tipi di fonti, dirette, principalmente gli scienziati e i loro articoli o le istituzioni e i loro uffici stampa, e indirette come per esempio i lanci di agenzia, i giornali e internet.
La fonte più importante e in genere più attendibile di solito è la rivista scientifica, in cui gli scienziati come abbiamo visto nel caso della comunicazione specialistica pubblicano i risultati delle loro ricerche. Quando si parla di rivista scientifica si intendono i periodici tipo “Nature”, “Science”, “Lancet” per esempio, e non le riviste di scienza che si trovano in edicola e che comunque possono contenere articoli, scritti da giornalisti scientifici o da scienziati, di notevole interesse divulgativo. Ciascuna di esse, peraltro, possiede anche un sito internet dove si può trovare del materiale molto interessante. Buona parte della letteratura scientifica quindi può essere consultata o almeno cercata direttamente online grazie anche a specifici motori di ricerca tipo PubMed per quanto riguarda gli articoli di medicina o Google Scholar. In rete, infine, si possono trovare i siti di società scientifiche o di importanti istituti di ricerca, che spesso pubblicano bollettini, news e sezioni dedicate ai giornalisti.
Ma per leggere, capire e tradurre correttamente la letteratura specialistica bisogna quantomeno conoscere la scienza ed essere esperti e difficilmente un giornalista, magari generalista, lo è. Ecco che allora diventa quasi obbligatorio seguire le strade più semplici, ma anche meno affidabili, legate all’uso di internet, il quale rappresenta certamente un’immensa opportunità per la diffusione delle informazioni e della conoscenza, ma anche una concreta possibilità di incappare in domini di informazione quantomeno imprecisi e molto spesso fuorvianti.
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26 commenti
Grazie a Vomiero per aver toccato un tema scottante. Io convengo con l’autore dell’articolo prima di tutto sul valore positivo della scienza naturale – che va difesa contro ogni attacco – ed anche sui difetti della comunicazione, dovuti alla generale impreparazione dei divulgatori.
Secondo me però, i maggiori attacchi alla scienza vengono oggi – a differenza del passato – dal suo interno, non dall’ignoranza esterna. La maggiore responsabilità della pericolosa perdita di sfiducia della gente verso la tecnoscienza si deve ai ricercatori e agli scienziati stessi, per la produzione di ricerche “per maggior parte false” (Ioannidis), che poi appaiono nelle riviste scientifiche specializzate e fungono da fonte primaria per quelle di divulgazione. E le cause di questo tradimento operato dai ricercatori sono 4, come gli studi di metaricerca hanno rilevato: l’ignoranza della matematica, la frode sui dati per denaro o per carriera, l’irriproducibilità e l’incontrollabilità delle ipotesi proposte, la banalità delle questioni studiate. Se uno scienziato va a raccontare con grande sussiego al Tg1, come è accaduto qualche giorno fa, che “le analisi dei campioni che saranno prelevati dall’asteroide Bennu ci permetteranno di capire per la prima volta quale è l’origine della materia organica che più di 4 miliardi di anni fa, cadendo sulla Terra, ha dato l’avvio alla nascita della vita sul nostro pianeta”, poi ci meravigliamo che la gente semplice (ma non del tutto stupida) rifiuti la chemioterapia alla figlia malata di tumore?
* perdita di fiducia, non di sfiducia, s’intende!
Mi scuso per l’errore.
Concordo prof.Masiero. Purtroppo anche il problema che lei solleva esiste e non è di poco conto. Tuttavia io credo che l’esasperato concetto conclusivo suggerito da Ioannidis 2005 vada comunque preso con le pinze e considerato per quello che è. Tra l’altro la denuncia sarebbe confortata anche da altri, opinabili lavori simili o dichiarazioni come quella fatta dal dott. Horton, caporedattore di “Lancet”, per quanto riguarda gli articoli di medicina. Servirebbe un’attenta analisi critica del lavoro, che peraltro qualcuno naturalmente ha già fatto. Bisognerebbe a mio avviso collocare la questione in un contesto molto più ampio, chiarendo bene per esempio a quali discipline ci si riferisce (l’ambito medico è molto più vulnerabile da questo punto di vista), ribadendo i concetti di limite e di fallibilità della scienza, definendo con esattezza cosa si intende per produzione scientifica e se vengono o meno incluse certe discipline a mio avviso epistemologicamente più difficili da definire quali per esempio la psicologia o la psicoanalisi (mancanza di ripetibilità), distinguendo i casi di vera e propria frode consapevole (che prima o poi però vengono smascherati). Per la mia esperienza posso dire che molto spesso e per fortuna non è proprio così e che ci sono mille ragioni per credere ed avere fiducia nel sistema scienza nel suo complesso, approcciandolo sempre con il dovuto giudizio critico, il che però necessita evidentemente di strumenti concettuali, come riferivo nell’articolo.
Forse la fisica è messa anche peggio della medicina e della psicologia, Vomiero, in termini di riproducibilità e di ipotesi fantasiose. A detta degli stessi fisici. Ma mi prefiggo di ritornarci con gli approfondimenti che l’argomento merita.
Certo che un suo approfondimento su temi così interessanti, prof.Masiero, almeno per quanto mi riguarda, sarebbe molto gradito.
Articolo interessante, che tocca alcuni punti cruciali del tema. Io non credo che i problemi della comunicazione della scienza siano dovuti all’impreparazione dei divulgatori. Il punto è che per molto tempo l’approccio che ha funzionato di più è quello cosiddetto “top-down”, con lo scienziato che spiega al pubblico ignorante (nel senso non dispregiativo del termine) come funzionano le cose. L’idea di base è che se la gente sapesse come funzionano i vaccini o gli OGM smetterebbe di temerli.
Questa idea di base si è però rivelata sbagliata, soprattutto in un’epoca come quella attuale, dove la fiducia negli esperti non è più scontata.
Ora molti parlano, come si fa anche nell’articolo, di comunicazione a doppio senso fra mittente e destinatario. Il che banalmente vuol dire che chi comunica deve anche saper ascoltare il destinatario. Cosa fondamentale, per esempio, nel rapporto medico-paziente. Se tanta gente si affida ai ciarlatani è soprattutto perché questi sanno ascoltare, cosa che non tutti i medici veri sanno fare.
Concordo anche sull’esistenza di più pubblici, e sul fatto che la comunicazione deve tenere conto delle differenze fra i vari tipi di destinatari.
Tutto questo fa capire che comunicare (non solo la scienza) è un mestiere complicato. Il problema è che certi scienziati — per fortuna non tutti — credono che comunicare voglia dire semplicemente “spiegare con parole semplici concetti complicati”, senza ascoltare i destinatari e senza curarsi delle loro idee. E questo atteggiamento ha fatto danni, purtroppo.
Concordo Greylines, grazie per il suo intervento che aggiunge ulteriori spunti di riflessione.
“L’idea di base è che se la gente sapesse come funzionano i vaccini o gli OGM smetterebbe di temerli.”
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Non credo che la gente diffidi degli OGM e dei vaccini in quanto tali, questa affermazione semplifica la questione al limite della creazione di uno “straw man” (argomento fantoccio), per usare un termine che piace negli ambienti “in”.
La questione OGM include ad esempio anche l’impiego del diserbante Roundup ch poi finisce nella filiera alimentare e nelle falde acquifere, comprende il fatto che dopo pochi anni la selezione naturale vanifica il Roundup ma restano le royalties per Monsanto e Bayer, comprende l’inserimento di geni che sarà impossibile eliminare in futuro dando luogo ad un inqunamento genetico, comprende il fatto che non tutti gli OGM hanno le stesse problematiche, dire che se la gente sapesse come funzinano a livello di tecnica è un’informazione scientifica già errata.
Lo stesso vale per i vaccini, nessuno dubita del meccanismo, ma tacere degli scandali H1N1 e H5N1 dove falsi allarmi hanno condizionato milioni di persone e intere economie creando sfiducia nlle istituzioni, e sottintendere senza nominarli che gli adiuvanti siano parte ineliminabile dei vaccini, è ancora una volta fare della cattiva comunicazione.
Io credo che purtroppo il termine OGM sia segnato da un’aura negativa (che non si merita). Vero è che in alcuni casi semi OGM vengono usati per consolidare monopoli economici, ma è anche vero che si tratta comunque di una tecnica che può essere usata per molti scopi, compresa la salvaguardia di varietà locali. Ma il fatto è che la questione non tocca solo la scienza — com’è fatto un OGM — ma anche altri campi, dall’economia alla politica, inclusa la visione del mondo che ognuno ha. È per questo che non è vero che “basta spiegare cosa sono” per vincere le diffidenze.
Per quanto riguarda i vaccini il discorso è simile. La correggo solo su un punto: non è vero che nessuno dubita del meccanismo, uno dei tanti punti sollevati dagli anti-vax (categoria ampia e sfaccettata) è proprio la contestazione della loro efficacia.
I falsi allarmi sono un’altra questione complicata. Cosa deve fare l’OMS quando c’è una potenziale minaccia alla salute pubblica? Se non dicono nulla e poi succede qualcosa, vengono criticati; se lanciano allarmi e poi la situazione si rivela meno grave del previsto, vengono criticati. Ci sono grandi dibattiti nella comunicazione del rischio su come comunicare in queste situazioni di incertezza. Poi oh, anche loro hanno preso delle grandi cantonate.
Si può separare il recto dal verso di una moneta? No. Lo stesso vale per la scienza sperimentale (fisica, chimica, biologia, agronomia, medicina, geologia, ecc.) e le tecnologie da esse applicate. È vero che la scienza è la causa prima dello sviluppo tecnologico, ma è anche vero che ogni volta la tecnica, arrivata ad una certa soglia di sviluppo, è la causa delle grandi rivoluzioni scientifiche e dei cambi di paradigma. Per questo, da Galileo, io parlo di tecno-scienza.
Nella tecno-scienza contemporanea si aggiunge una terza componente inseparabile, un incomodo molto comodo al suo sviluppo come alla sua deviazione: il profitto della grande industria e della finanza. Sta qui la causa prima di tutto bene e di tutto il male della scienza contemporanea. Solo le anime belle non vedono questa radice, e si attaccano alle cause seconde.
A questo punto però, con tutta la mia chiarezza eziologica, io non ho una soluzione,… se non da cristiano di appellarmi alla moralità dei ricercatori.
Argomento interessante quello di Fabio Vomiero.
Un esempio preso da una notizia ANSA potrebbe introdurre un comma al quarto punto:
“Esportare la vita su pianeti alieni, proposto il Progetto Genesi Possibile tra 50 o 100 anni, con sonde cariche di microrganismi.”
http://www.ansa.it/scienza/notizie/rubriche/spazioastro/2016/09/12/esportare-la-vita-su-pianeti-alieni-proposto-il-progetto-genesi-_653c504d-87ae-4701-97b7-6c1578385422.html
Il proponente Claudius Gros, 143 articoli scientifici sul motore di ricerca Scopus. H-index 30. Professore Universitario di fama.
Il progetto GENESI esporterà la vita su pianeti alieni? Probabilmente no. Ma la notorietà acquisita gli permetterà di ottenere finanziamenti per perseguire ricerche forse di maggiore rilievo scientifico ma di sicuro minore impatto sociale.
Questa divulgazione giova alla Scienza? Si e no a secondo da che parte la guardate.
Comma al quarto punto: lo scienziato a volte usa il comunicatore.
Questa di Gros non è ricerca fondamentale, che è compito dello stato. Se Gros va a proporre ad un fondo d’investimento il suo progetto da “50 o 100 anni”, lo prendono a pedate
Ringrazio Vomiero per questo equilibrato, come nel suo stile, articolo sulla comunicazione e divulgazione scientifica. Non so se era implicito nell’articolo, ma dopo gli scienziati, i divulgatori e i disinformatori, c’è un’altra categoria che pone problemi alla divulgazione della scienza: i libri scolastici.
In quel caso il mittente NON può essere accusato di ignoranza mentre il destinatario NON ha colpe ad essere ignorante perché sta nella fase in cui sta costruendo la sua formazione. Ora, molti sono cresciuti con “Invito alla biologia” e con la “Fisica di Amaldi”, entrambi della Zanichelli, e purtroppo, specie con il passare degli anni, studiando all’università, ho notato danni alla formazione scientifica di cui si parla poco, dovuti vuoi per eccessiva semplificazione, vuoi per errori concettuali veri e propri.
ESEMPI per la BIOLOGIA:
per quanto possano essere andati avanti gli studi sull’evoluzione, sono ancora duri a morire: la biston betularia, il collo della giraffa, l’adattamento degli insetti al DDT, la volpe albina e la resistenza agli antibiotici, tutti casi in cui viene spiegata, magari bene, la selezione naturale, sorvolando candidamente sull’origine dei caratteri e quindi della specie. Ciliegina sulla torta, si trovano ancora i vantaggi dell’anemia nei paesi in cui vi è il problema della malaria: lì lo studente è addirittura costretto a smontare il suo buon senso per fare spazio ad un’idea di evoluzione in cui di fatto non conta più nemmeno l’adattamento in senso lato, ma deve accettare anche l’ironia della sorte e il fattore fortuna.
ESEMPI per la FISICA:
l'”energia”, tutti pensano di conoscerla ma nessuno sa cosa sia ed è anche colpa dei libri scolastici: che vuol dire la definizione “capacità di un sistema di compiere lavoro”? Per me niente, definizione mai usata all’università perché non è operativa né aiuta a comprendere le leggi in cui essa compare. Invece è molto utile per far credere agli studenti che esista qualcosa di magico nell’universo (un magico pre-scientifico, non romantico). Problema opposto per i riferimenti necessari alla meccanica quantistica: lì dove magari uno sforzo di immaginazione potrebbe essere utile, si trova il formalismo più rude: cos’è il principio di esclusione di Pauli? Una regoletta da imparare a memoria sugli orbitali, il fatto che sia una conseguenza universale dell’indistinguibilità delle particelle e che abbia anche un aspetto “dinamico” e non solo statico non serve allo studente. E gli elettroni? Sono palline grigio-azzurre, un’idea che poi non verrà scardinata mai più se non con grosse difficoltà. E gli orbitali? Sono i fratelli scemi delle orbite, perché le orbite sono linee geometriche, mentre gli orbitali sono palloncini e caramelle colorate.
E la storia della fisica? Perché spiegare l’origine mai uguale (MAI) di una teoria, che non avviene MAI perché uno scienziato ha fatto una deduzione diretta dai dati sperimentali, quando è molto più semplice presentare i postulati di una teoria tipo legge universale ed eterna che cala dall’alto, tipo i 10 comandamenti dal tornado di fuoco che rappresenta Dio come nel film di Cecil B. DeMille?
Ecco, trovo giustissimo parlare dei problemi della cattiva divulgazione, della sfiducia verso la politica che contagia la fiducia verso la scienza e il mare di internet in cui si trova di tutto e il contrario di tutto, ma ognuno di noi si è formato in primis sui banchi di scuola e molti problemi partono da lì.
Grazie Htagliato. Sì infatti, anche i testi scolastici sono compresi nello schema della divulgazione che ho cercato di trattare, però lei ha fatto benissimo ad approfondire nello specifico riportando anche alcuni esempi. Un altro argomento che secondo me meriterebbe di essere trattato con maggiore completezza e precisione è quello sui cambiamenti climatici. Comunque sia, al di là di alcuni casi specifici poi, penso che possiamo però riconoscere che esistono anche per fortuna dei buoni testi di scienza e biologia.
“un magico pre-scientifico, non romantico.”
H TAGLIATO tutto questo intervento è un goal alla Maradona,quello dove il Pibe parte da metà campo.
Grazie, Max, per me che sono napoletano è un paragone commovente!
Mi associo al complimento!
Grazie, Valentino, vale quanto ho detto a Massimo.
Buonasera.
Ringrazio molto il prof. Vomiero per tale articolo utile ed equilibrato. È piacevole il riscontro di interventi da parte di articolisti che sappiano aggiungere sempre qualcosa a quanto detto su CS negli anni precedenti.
Ritengo, in vero, che la divulgazione sia resa difficile, su un piano psicologico direi (il lemma psicologico è ormai sì abusato da apparirmi comico pronunciandolo o scrivendolo…), anche dalla malafede dei divulgatori che, dalla glacialità dei loro piedistalli material-strutturali, offrono un’immagine acritica, aproblematica e talora straordinaria del processo scientifico (un po’ come quegli antichi mirabilia etnografici). Non escluderei inoltre l’interesse superficiale e meramente tecno-applicativo ed utilitaristico che muove la gran parte della gente nell’approcciare la scienza.
Ho apprezzato molto l’intervento del prof. Greylines, che ha d’altronde espresso in guisa più informata e concisa quanto ho argomentato poco sopra con i miei più limitati strumenti intellettuali; particolarmente vero è il discorso sui ciarlatani, e in genere su quanto sia importante la retroazione e la concordia di spirito nella comunicazione anche scientifico-didattica.
Ho inoltre apprezzato le delucidazioni di htagliato sulla mediocrità dei libri di testo scolastici, in particolare sull’Amaldi, che ho soggettivamente vissuto e deglutito; non dimenticherò mai la tendenza dell’Amaldi a definire i concetti fisici riferendosi a qualche loro accidente (operativo o matematico che sia) piuttosto che alla sostanza di quanto significhino scientificamente; un testo più utile per le esercitazioni che per la comprensione reale della materia, in vero.
Grazie a lei Alio, anch’io apprezzo i suoi interventi sempre puntuali precisi e pertinenti, che arricchiscono il contenuto degli articoli.
Caro Alio, grazie per l’apprezzamento, anche se non sono un professore. Non sia però troppo drastico: più che alla malafede (che comunque è presente, come in tutte le attività umane), attribuisco molti svarioni ad altri fattori. Di certo ci sono i casi di interesse superficiale, specialmente nel campo biomedico, ma dalla mia esperienza le posso dire che non è questo l’approccio che “muove la gran parte della gente nell’approcciare la scienza”, come scrive lei. Ci sono poi quelli che confondono la comunicazione della scienza con l’attivismo (e qui l’elenco è lungo: Dawkins nei suoi tweet, Greenpeace in certi suoi comunicati, Langone quando parla di scienza, Roberto De Mattei quando parla, eccetera…). E questi sono i casi che si notano di più, perché per un motivo o per l’altro suscitano più clamore.
Ma il problema principale secondo me rimane una certa ingenuità nei confronti dei meccanismi della comunicazione, che molti scienziati sottovalutano. Prenda il caso di Roberto Burioni, tirato di mezzo in una trasmissione televisiva con Red Ronnie ed Eleonora Brigliadori che sparavano follie irripetibili sui vaccini. La sua reazione è stata comunicativamente sbagliata, eppure sono certo che lui su questo argomento sia assolutamente in buona fede.
Per quanto riguarda i testi scolastici, concordo anche qui con Vomiero: “possiamo però riconoscere che esistono anche per fortuna dei buoni testi di scienza e biologia”. È giusto criticare chi sbaglia ma — e questo vale per la comunicazione della scienza in generale — non cadiamo nell’errore di criticare tutta una categoria per gli errori di alcuni. Errori che, come ho scritto sopra, non sono necessariamente dettati dalla malafede.
La ringrazio delle utili chiarificazioni, e mi scuso per l’errata qualifica conferitaLe di cui sopra.
Mi chiedo tuttavia ancora se, come Lei dice, questa deficienza bilaterale al riguardo delle forme comunicative, non derivi dalla permanenza di uno stato di cose perpetuata da istituzioni accademiche e scientifiche ormai avvizzite o inquinate, almeno in parte.
Mi chiedo: su 100 italiani, quanti credono che DAVVERO la Terra gira intorno al Sole perché così gli hanno insegnato le scuole di ogni ordine e grado, eccezion fatta naturalmente per gli studenti di fisica che sono arrivati alla relatività? E in Europa? E al mondo? Una bella russa è stata bocciata al concorso di miss perché non ha saputo rispondere alla domanda su chi gira intorno a chi…
Anche il dibattito su l’australopiteco Lucy è interessante.
Cade da un albero alto 12 metri e muore.Viveva sopra un albero ma aveva la possibilità di ergersi su le zampe(gambe?).
Ne hanno parlato(scritto) con entusiasmo oltre il limite della passione per esempio Repubblica,IL Fatto quotidiano ecc.
Finalmente,allora,cominciamo a capire qualcosa relativamente ai nostri antenati…..(!?).
Australopithecus Afarensis è una specie estinta di ominide del genere australopithecus,vissuto…..La chiamarono Lucy,……
Per un osservatore abbastanza “esterno” come il soprascritto c’è sicuramente qualcosa che non quadra nella comunicazione scientifica attuale. Mi trebbio in continuazione ricerche “peer reviewed” su Pubmed in cerca di novità e soluzioni alternative a varie patologie, ma pare non funzionare quasi nulla ! I ricercatori e gli specialisti seri raccomandano solo di stare sulle cure ufficiali e consolidate, ma queste sono spesso insoddisfacenti, anche a detta loro. Lo scetticismo verso la ricerca pare regnare sovrano a partire dagli addetti ai lavori, in questo modo anche le possibili innovazioni rischiano di essere ammazzate in culla. La colpa è sia di chi divulgando esagera e crea illusioni, sia di chi essendo addetto ai lavori frena su tutto, magari non sempre per motivi nobilissimi. Il mix è micidiale e porta discredito alla ricerca intera. In questi giorni i giornali hanno trovato il “filone” delle cure alternative che inevitabilmente ucciderebbero tutti i disperati che vi ricorrono, fanno di tutte le erbe un fascio, buttando nel calderone anche quel poco che ha dato qualche barlume di speranza. Guai a chi tocca la chemio, si contano i morti delle cure alternative, si tace su quelli della chemio, che sono sicuramente molti di più, se non altro per la diffusione della chiemio stessa. Anche questa è distorsione della comunicazione, si tratta di cavalcare le notizie, di morti di cancro ce ne sono ogni giorno, basta prendere quelli che hanno avuto l’ardire di provare qualcosa di alternativo e il piatto è servito. Si corre a difesa dei più forti, perché comunque un business consolidato c’è e non si può permettere che subisca dei cali significativi, ma così facendo non si aiuta molto la credibilità della ricerca scientifica, almeno agli occhi di chi cerca solo di informarsi il più possibile e senza pregiudizi.