La Chimera (Gustave Moreau, 1867)
Mente umana e intelligenza artificiale, secondo Gelernter
di Giorgio Masiero
L’intelligenza artificiale è uno zombie che calcola, la mente umana un organo a 5 sensi che pensa
“Un tesoro nel mondo della computer science…, il più versatile e profondo tra i suoi operatori”, lo ha definito Jaron Lanier, capo dell’interdisciplinarità al dipartimento ricerche di Microsoft; “un pioniere nella cooperazione tra computer dedicata alla soluzione d’un problema complesso”, secondo Danny Hillis, matematico, progettista della Connection Machine, il super-computer parallelo del MIT di Boston; “uno degli scienziati più brillanti e visionari dei nostri tempi nel campo dell’intelligenza artificiale” per Bill Joy, fondatore di Sun Microsystems: i giudizi si riferiscono a David Gelernter, professore alla Yale University, un genio universalmente riconosciuto del settore fin dal 1991, quando nel suo libro “Mirror Worlds”, di fatto un manuale per i tecnici della computer science, previde i servizi che il web avrebbe gradualmente caricato e che oggi usiamo correntemente: siti, blog, realtà virtuale, video in streaming, tablet, e-book, motori di ricerca, telefonia su IP, comunità distribuite online che funzionano come gli odierni Facebook e Twitter, cloud, cloud computing, ecc. Non solo: Gelernter concorse a costruire il nuovo ciberspazio, progettando linguaggi di programmazione come Java e architetture come Apache River.
Nel ‘93 fu ferito in modo serio dal pacco bomba d’un terrorista famoso di quegli anni, che colpiva indiscriminatamente tra gli atenei americani ed era denominato Unabomber dagli investigatori. Fu operato più volte, si assoggettò ad un periodo di riabilitazione e ne uscì infine nel ‘95 senza la mano destra, orbo di un occhio e con altre minori menomazioni. Questi avvenimenti accaddero proprio nel periodo in cui internet accelerava diventando ciò che “Mirror Worlds” aveva profetizzato. Le conseguenze fisiche, penosissime, non abbatterono il morale di Gelernter, ma ne esaltarono la creatività: egli riprese l’insegnamento e si dedicò alla progettazione dell’internet 2 (“industriale”), così da tornare protagonista della computer science anche nel nuovo millennio. Anzi, la vicinanza con la morte e la convivenza abituale col dolore acuirono in lui l’intuizione dello iato tra la mente umana ed un calcolatore disincarnato, puramente algoritmico e privo di sentimenti, com’è la cosiddetta intelligenza artificiale (IA).
Mi è capitato tra le mani in questi giorni l’ultimo suo libro: “The Tides of Mind: Uncovering the Spectrum of Consciousness” (2015). Chi vive in religiosa attesa della “Singolarità” – quell’avvento prossimo venturo a dar retta a Ray Kurzweil ed altri futurologi in cui l’IA trionferà sulla razza umana – vi troverà molti umani e ragionevoli motivi di delusione. La singolarità di Kurzweil non ha nulla a che fare con la scienza, vi argomenta Gelernter, ma è una “filosofia computistica, una religione laica” che ignora grossolanamente ovvie verità, “evidenti anche ad un bambino”, sulla differenza tra calcolo logico-aritmetico e pensiero umano.
Ecco allora lo strombazzamento sul nuovo software di Google che sconfigge il miglior giocatore al mondo di Go, un gioco da tavolo simile agli scacchi, ma ancora più arduo per i problemi di strategia e tattica che pone, sia nel concepire i propri piani che nel leggere quelli dell’avversario. Fino a ieri l’IA si era cimentata invano con Go, ora è riuscita a sconfiggere l’uomo: fin dove potrà spingersi? chi le metterà quali limiti? Eppure le cose stanno molto semplicemente, ci mostra Gelernter, e l’errore di questi futurologi sta nel far coincidere il pensiero con la pura razionalità, nell’identificare l’intelligenza umana con la velocità di calcolo e la capacità di memoria numerica. Innamorati dei loro dispositivi come gli adolescenti dei propri telefonini, essi trascurano la centralità del sentire ed intendere attraverso i sensi, non solo come essenza della vita umana, ma già per le strette connessioni che sensi e sentimenti hanno con la mente e la razionalità logico-matematica.
Il punto è che l’intelligenza umana è inseparabile dalle emozioni, e quindi da un corpo organico e dai 5 sensi, tutti terreni da cui l’IA si tiene alla larga essendo incapace anche solo di accostarvisi. L’IA si occupa di pitagoriche stringhe di 0 e 1, non di carne viva: “Neanche approssimativamente l’IA sta percorrendo la direzione giusta per avvicinarsi alla mente umana. È come se volesse raggiungere la California restando lungo l’I-95 [la strada interstatale nordamericana che costeggia l’Atlantico, NdR]”, esemplifica Gelernter.
Il computer è una macchina di Turing, logico-aritmetica, che esegue 3 operazioni: NOT, AND e OR; la mente umana non è una macchina di Turing, neanche per un istante: non è talora razionale e fredda, talaltra emotiva e dipendente dall’umore, dal capriccio o dal caso. No, le sue “maree” si muovono durante il giorno tra alti e bassi lungo uno “spettro” continuo, che va da momenti di quasi puro pensiero riflettente sulle cose esterne ad altri di quasi puro essere vivente le emozioni interne. Il bello sta in quel “quasi” che mescola sempre, 24h/24, pensiero ad essere.
Quando alla sera ci addormentiamo e sogniamo, tocchiamo il fondo, ma la discesa non è stata lineare durante la giornata, perché vi abbiamo oscillato secondo un andamento personale, dipendente dai ritmi del lavoro e dallo stile di vita. Al mattino siamo intellettualmente energetici, navighiamo sopra un’alta marea occupata dalla riflessione: mentre facciamo colazione, ponderiamo le notizie del giorno e speculiamo sul futuro del mondo, poi gradualmente saliamo al vertice della concentrazione nel lavoro, dove la memoria fa da docile assistente alla fredda razionalità.
Alla sera penzoliamo all’altro capo dello spettro, verso cui scendiamo man mano che ci rilassiamo. Nella bassa marea, esistiamo solo per noi stessi, con le nostre emozioni: ora è la memoria a controllare l’agenda mentale. Le percezioni di caldo e freddo, la visione del viola o l’odore dell’erba tagliata, il malessere fisico o la sete, l’euforia o la malinconia indotte da un’aria musicale, tutte queste sensazioni hanno una causa intellettualmente sondabile, ma non ce ne curiamo. La mattina invece, la nostra mente si focalizza sulla primavera che è arrivata con le sue scadenze sociali e fiscali; la sera di nuovo, l’Io si rinchiude nella sensazione di una piacevole brezza gratuita.
Possiamo rappresentare in un software l’interezza dello spettro? Il calcolo logico – un estremo – può essere riprodotto in un computer, ma il sentimento – l’altro estremo, e con esso tutto lo spettro che è un mix dei due – no, perché è incomputabile. In questa intraducibilità algoritmica dei sentimenti si situano le colonne d’Ercole che separano i rivoli dell’IA dall’oceano della mente umana.
Ma ciò non limita necessariamente l’IA, perché il software può simulare il sentimento – replicano gli informatici della “Singolarità” alla Kurzweil, Altman, ecc. o gli astronomi della “Zoo hypothesis” di Ball (1973), Kuiper, deGrasse Tyson da ultimo, ecc., una teoria opposta, curiosamente consonante con l’Intelligent Design, secondo la quale l’umanità terrestre sarebbe un parco divertimenti di super-programmatori alieni –. È vero, ribatte Gelernter, la simulazione è digitalmente riproducibile, un robot può dirci di essere depresso e può comportarsi da depresso…, ma resta il fatto che non prova nulla! L’IA può in linea di principio costruire una macchina che riproduce tutte le sfumature del pensiero umano, espressesi nella storia della filosofia e della letteratura mondiali; questa “mente” artificiale può persino comportarsi in modi umani…, a dispetto di essere del tutto inconscia! Un perfetto zombie.
David Gelernter nel suo studio
“Una mente artificiale per assomigliare ad una umana dovrebbe poter occupare l’intero spettro, come facciamo noi continuamente durante la giornata; dovrebbe mescolare in rapporti diversi logica e sentimento come un pittore carica il blu marino sul rosso metallico, passando gradualmente dai rossi ai rosso-viola ai porpora ai blu-porpora. La mente umana consiste in un segmento completo di sfumature, non in un punto di sola razionalità, e nemmeno in un mix di razionalità con un contorno di emozioni dei 5 o 6 tipi classificati nei testi di psicologia. Lo spettro umano è un intervallo continuo”.
Al trascorrere del giorno (e al declinare della luce naturale), il flusso d’informazioni dalla memoria soppianta gradualmente il flusso di percezioni dall’esterno, mentre affondiamo in noi stessi come la fiamma in una candela. Il sogno non è una strana intrusione dentro il pensiero ordinario, ma l’esito normale dell’alternarsi delle maree mentali, come gli aerei che atterrano dopo aver decollato e poi decollano di nuovo e atterrano… Noi viviamo i nostri sogni, ma non riflettiamo sul loro significato mentre avvengono, piuttosto lasciamo che tutte le situazioni più improbabili ed assurde vi si svolgano. La minore consapevolezza di sé è uno dei motivi per cui nella bassa marea il pensiero è sempre difficile da afferrare, dai tempi di Giuseppe col Faraone a quelli di Freud a Vienna alle interpretazioni degli strizzacervelli di oggi. L’IA vuole riprodurre un’intelligenza simile all’umana? Deve ricalcare ogni bit del suo spettro, a cominciare da quell’attività di bassa marea che è la creatività.
Già, la misteriosa facoltà euristica della mente umana di produrre qualcosa da “nulla”. Prendiamo una storia a caso, quella di Otto Loewi, il pioniere delle neuroscienze che propose per primo l’idea che nel funzionamento di nervi e muscoli agissero dei mediatori chimici. Egli non riusciva però, per quanto si spremesse le meningi, ad immaginare un esperimento per testare la sua teoria. L’intuizione di un tale esperimento, che gli avrebbe procurato nel 1931 il Nobel per la medicina, gli venne finalmente da una sequenza di sogni ed associazioni durante un dormiveglia.
Che cosa c’è di più necessario all’intelligenza umana della creatività e allo stesso tempo di meno euristico del software? Tutti i casi studiati sono simili a quello di Loewi e fanno ritenere che l’atto creativo accada in noi non quando siamo focalizzati sul problema, ma quando la nostra mente vaga liberamente nella parte bassa dello spettro cosciente. La creatività scatta allora d’improvviso inventandosi un’analogia, che permette di vedere il problema sotto una nuova luce. Ma qual è l’origine dell’inattesa analogia? Quando in una sua elegia Rilke paragonò il volo di un pipistrello nel cielo serotino ad una crepa in una tazza di porcellana, ci suggerì la risposta: l’analogia è suscitata quando due fatti diversi ci inducono emozioni e sentimenti simili. L’emozione gioca in noi umani il ruolo di una funzione molto potente di codifica e sintesi per il pensiero: essa salva un’intera scena complessa in un unico, esile sentimento che la memoria in difficoltà può usare come un indice per trovare, tra una grande collezione di candidati, propria la cosa che cerchiamo.
Nello spettro realistico di Gelernter io ho ritrovato quella relazione tra i sensi e la ragione che fece dire a Tommaso d’Aquino che “nulla è nell’intelletto che non sia stato prima nel senso”. Per gli idealisti dell’IA sovrumana o transumana o aliena invece, dal primo maestro di tutti, il Platone delle Idee, al Cartesio della res cogitans ai futurologi della Singolarità agli astrologi dello Zoo, il pensiero può esistere di per sé, senza una carne. Per essi una mente può funzionare indipendentemente dai nervi, dai muscoli, dagli organi di senso…, insomma dal corpo; è solo algoritmo (in fin dei conti, un numero naturale) che può girare in qualsiasi tipo di supporto materiale: macromolecole al carbonio, chip al silicio, superconduttori quantici… Ci sono o ci fanno? Non conoscono l’arte, la musica e l’amore essendo prigionieri della loro “caverna”, o scrivono per scrivere essendo in crisi di creatività scientifica?
Epilogo. Questa settimana mi sono deciso a rottamare un vecchio desktop, che occupava inutilmente spazio nel mio studio. Prima l’ho smontato per estrarre il disco rigido, che neutralizzerò a parte affinché non cada in brutte mani. Mi ha colpito il vuoto: pochi fili, minuterie metalliche e di plastica, e qualche scheda elettronica ad eseguire le operazioni dell’algebra booleana; tutto in una scatola di latta. Nessun bambino al mondo – solo qualche adulto alla ricerca di un’immortalità surrogata – potrebbe credere che questo coso, quando acceso, sia simile ad una mente umana, pensante, cosciente, sensibile. E la Connection Machine di Boston? o il Tianhe-2 di Guangzhou? o il D-Wave di Moffett Field? Altre macchine di Turing: fili, plastica, viti e schede elettroniche in scatole di latta, solo con una maggiore velocità di calcolo ed una maggiore memoria numerica. 100101110…: tutta qua l’IA. La vita è altro. Ho portato il desktop alla discarica, con la stessa indifferenza con cui in “2001, Odissea nello spazio” il comandante dell’astronave disinnesca il computer di bordo HAL 9000, mentre questo simula pentimento per il suo errore.
.
.
.
51 commenti
Ecco un uomo che fa uso intelligente di tutti i propri mezzi per guardare in modo non parziale alla questione.
Difficile dargli torto, meglio, impossibile, eppure c’è chi insiste con questo sogno terrificante della singolarità e del transumanemiso.
Mi ha colpito molto l concetto del “continuo” che è l’uomo e mi sembra che proprio questo cosituisca il punto centrale della questione.
L’uomo no è una macchina che calcola raffrontando i dati raccolti dai propri sensori con quelli presenti ne database dell’hard disk e quindi in base al risultato decide, l’uomo è nello stesso tempo l’unità di calcolo, la memoria i sensori ma è qualcosa di più è anche qualcosa il sentimento, l’emozione, l’istinto, la curiosità, la volontà.
Una macchina potrà anche avere una potenza di calcolo enormemente superiore a quella di un uomo ma la parte non matematica di sè potrà solo simularla tramite algoritmi matematici.
Una simulazione, come il modello non aono mai “la cosa” ma appunto, una simulazione.
.
Avvincente ed emozionante questo pezzo di Masiero…particolare importante, almeno per me, soprattutto nella parte conclusiva: gli spazi vuoti di una materia /corpo, rispetto all’altra del cosiddetto corpo umano. Di tutte le connessioni e le connettività possibili, tanto nei primi che nei secondi, ridotti solo agli aspetti di certi tessuti, la trama di questo pezzo si connette a sua volta, non solo cinematograficamente, alla storia di Humandroid. Sembra solo un film per bambini, colcacchio che lo é! altro che animismo… l’anima è un dato di fatto, (non solo psicoanalitico, non solo inconscio, o irrazionale, o sentimenti o emozioni), per fortuna indimostrabile, verso la quale addirittura pure le stesse macchine potrebbero, prima o poi, anelare (asimov docet) e allora sì, che vivaddio, sarebbero cacchi per gli umani eh eh eh eh 🙂 …ovviamente cacchi di calcoli e connessioni di altro tipo
*
ps
” creatore, mi hai creato per morire?”
lunga vita a Chappie in ognuno di noi!
🙂
Un dato di fatto indimostrabile… Che vuol dire? Nulla.
mio caro GìPì 🙂 , è inutile che fai così, hai capito perfettamente che il laboratorio richiesto per questo esperimento, è un bel po’ diverso da quelli normalmente intesi dalla storia delle scienze ai centri di ricerca e sviluppo d’impresa. Sarebbe come dover dire a uno come te, che è quello illustrato dal nostro amico Franz, nel noto processo, tramite il povero signor K. Tuttaltro che nulla con cui provochi te stesso. Ricorderai che a proposito di prigioni (rivolo generato da un tema centrale di due post fa), il nostro signor K si trovò accusato; apparentemente “libero” di muoversi epperò di fatto imprigionatissimo . Era come se fosse in prigione senza mai essere stato carcerato, imbrigliato nel razionalismo della coscienza, imbrogliato dal concretismo di bizantismi procedurali. Il suo processo (leggi laboratorio) finisce quando lui compie 30 anni e insieme finisce la sua vita. Questo signor K ha ostinatamente rifiutato per una vita questo laboratorio(leggi processo). Delegato , differito, snobbato, trasferito sempre ad altri, fuori dal suo grande io (ferito?), questa sua colpa (?).
Ha disatteso la sua legge (quella unica e relativa a sé, di intima adesione al suo centro più segreto). Si ritrovò in fin di vita non a causa della sentenza di altri laboratori(leggi tribunali), ma per essere stato estraneo a se stesso, ben di più di un banale provvedimento di un pur becero laboratorio (leggi potere) ufficiale o costituito. Infatti, nel celebre passo degli scritti introduttivi alla legge, un altro tipo, che spiega bene la misera fine del signor K, arriva davanti alla porta della legge. Cerca anche di corromperne il guardiano, le tenta tutte tutte. Ma non c’è nulla più da fare perché come per il signor K, quando era in vita, anche sotto lente d’ingradimento durante l’accusa, quella porta non era mai stata chiusa, anzi quel laboratorio con le sue leggi era riservato solo a lui. E’ lui e solo lui che non è entrato in quel laboratorio mentre era in vita, non altri e il custode alla sua fine non può che chiuderla.
Divaghi…, ma adoro Kafka. Chiedevo solamente come l’anima possa essere al tempo stesso dato di fatto e indimostrabile… Delle due l’una, altrimenti il significato della tua affermazione è nulla. Tutto lì.
Se l’anima, l’Io, … chiami il Soggetto che ciascuno di noi è come preferisce, fosse “dimostrabile”, Cipriani, dipenderebbe per la sua esistenza da qualcosa altro, ancor più evidente. Ma non è così, per fortuna. Nessuna realtà è più evidente a ciascuno del proprio Sé, e sono certo che anche Lei – se ci pensa un attimo – troverà il Suo Io indimostrabile ma certissimamente esistente, prima (per Lei) di ogni altra cosa. Ed anzi, ciò dalla cui esistenza tutto il resto (per Lei) dipende.
Direi che è quasi banale definire se stessi un dato di fatto… Sentiamo che ci siamo, siamo noi, unici, irrepricabili, ci sto… Questo è la realtà, la stessa realtà che percepisce un gatto, per me.
Tutti abbiamo la nostra anima (uomini, bestie e verdure), basta intendersi sul concetto di base, ma non sono d’accordo che non possiamo dipendere da qualcosa d’altro, anzi, dobbiamo per forza di cose dipendere, in fisico e spirito. E questo vale per un agnostico spirituale come me, e dovrebbe valere ancor di piu per un credente come lei. Dunque è vero che un’anima è indimostrabile, proprio perché e unica e personalissima, ma è pure vero che è un dato di fatto intimo che non è possibile spacciare come concetto universaĺe… Non so se sono riuscito a renderla partecipe del mio sentire, che aveva mosso quella considerazione rivolta a rò.
Nel commento delle 12.27 Lei, Cipriani, Si chiedeva “come l’anima possa essere al tempo stesso dato di fatto e indimostrabile… Delle due l’una…” e io Le ho ricordato che esistono realtà – come il nostro Io – che sono proprio così: reali e indimostrabili. D’altronde fu il sommo Aristotele a evidenziare negli Analitici che, in termini di conoscenza, c’è un livello di conoscenza superiore alla dimostrazione e che è dato dal nous. E che la stessa dimostrazione dipende, per le premesse da cui il sillogismo trae le sue conclusioni, da principi indimostrabili dettati dal nous.
Chiaro che qui siamo in filosofia pura… La dimostrazione appartiene a un livello di scienza empirica, fatico a tenere unite le due cose. Ma è colpa mia che in questi campi balbetto e lo ammetto.
Mi chiedo se un Io possa essere falsificato con la morte, e rientrare in un range scientifico empirico, ma mi rendo conto che potrebbe essere letto come una bestemmia a rigor di logica.
L’immortalità dell’anima umana è tutt’altra questione, Cipriani, e per me è solo una questione di fede.
Invece l’esistenza dell’anima è una certezza più che scientifica – dove non ci sono certezze! -, esistenziale.
@Masiero: Che l’anima esista è un dato di fatto (io, lei, il Cipriani) siamo tutti animati.
Che poi non possa in alcun modo sopravvivere alla morte del corpo ospitante è un altro dato di fatto; che, almeno fino ad adesso, non è ancora stato smentito.
Cosicché, Davide, tutti gli scienziati, i filosofi e la gente comune che crede nell’immortalità dell’anima (tra questi anche il sottoscritto) andrebbe contro i fatti?
Non è così, perché nel Suo ragionamento c’è un errore, quello di confondere l’assenza di evidenza con l’evidenza di assenza.
L’esistenza di A non dipende dalla nostra capacità di osservare A. Non è che le GW, rilevate per la prima volta nel settembre scorso, prima non esistessero perché non erano mai state osservate! Anzi, esistevano almeno da un miliardo di anni se è vero che si sono prodotte da un BBH ad un miliardo di anni luce dalla Terra. E se un evento simile, molto raro secondo gli astronomi, si fosse svolto appena qualche milione di anni luce più in là, noi e i nostri posteri non l’avremmo mai probabilmente potuto osservare, per quanti sforzi avremmo fatto, ma ciò non ci avrebbe autorizzato a negare l’esistenza di GW.
La non osservazione di ETI (finora) non ci autorizza a dire che ETI non esiste.
Peggio ancora, l’universo osservabile si estende fino a 14 miliardi di anni luce (e mai supererà questa soglia), ma questo non ci autorizza a dire che oltre non esiste nulla!
Dove sta il cielo delle anime beate, se c’è? Certamente non entro la portata dei telescopi. Questo è tutto ciò che la filosofia naturale può dire.
Grazie prof. Masiero, per l’ennesima volta. In questo articolo mi ha portato alla conoscenza di un genio che non conoscevo e che mostra che l’uomo di scienza che in qualche modo recupera le basi umanistiche del pensiero è di gran lunga migliore e più avanzato di chi resta isolato nel proprio orticello esclusivamente scientifico. Mi pare di capire che delle esperienze personali piuttosto drammatiche abbiano portato quest’uomo a vedere più in là di quanto possano vedere gli altri ricercatori nel suo campo, la vita, sopratutto quando è ricca di sentimenti sia positivi che negativi, è ovviamente la migliore insegnante di cosa sia la vita stessa, o meglio, di cosa “non” possa essere.
Ogni uomo, alla fine, si esprime a 360 gradi… Nessun uomo è un’isola, e nessun uomo può pensare di esserlo a lungo. I sentimenti prevalgono sempre, non è detto che siano quelli migliori, ma di certo non siamo macchine, calcolatori elettronici.
L’importante, per me, è che non si arrivi mai alla balzana idea della famosa marcia in più dello scienziato credente…
Qualche volta sono le balzane idee di scienziati non credenti, come quelle di DeGrasse Tyson o di Kurzweil secondo cui noi uomini siamo macchine elettroniche, a farmi pensare, Cipriani, che gli scienziati credenti hanno una marcia in più, non tanto come scienziati, ma come uomini coi piedi per terra.
Giusta precisazione, non posso che concordare, con l’aggiunta che non occorre essere credenti per avere i piedi ben piantati per terra.
Una volta tanto non posso che concordare con lei, sig. Cipriani; anche se in tutta sincerità chi si beve le assurdità gender non posso ritenere abbia ‘i piedi ben piantati per terra’.
E se ci riflette minimamente, si renderà perfettamente conto che sia le follie trans-umaniste che i deliri gender hanno la stessa comune radice: l’idea che l’uomo possa agevolmente superare tutti i limiti che la natura o (Dio per chi crede) gli ha dato; il delirio dell’uomo di diventare onnipotente come Dio.
Saluti.
Per me gli uomini non si dividono mai in buoni, perché credenti, e cattivi, perché materialisti atei col cuore ricoperto di pelo… Per me gli uomini si dividono in quelli carichi di buona volontà, rispettosi dell’altro, e quelli carichi di egoismi e narcisismo, poco rispettosi dell’altro… E scusate l’apparente semplificazione, senz’altro, a mio avviso, meno parziale e falsa di quella che li divide in base al credo (o meno) religioso.
Grazie, Muggeridge.
Prof. Masiero, la ringrazio per questo prezioso articolo che mi spinge a voler recuperare il prima possibile il libro di cui parla.
Faccio qualche commento:
“Questa settimana mi sono deciso a rottamare un vecchio desktop, che occupava inutilmente spazio nel mio studio.”
Qualche pseudofilosofo la potrebbe accusare di aver distrutto un universo che, anche se un po’ primitivo, avrebbe anche qualche possibilità di contenere addirittura un programma pseudocosciente, forse un’artista! (O una versione di Paint un po’ datata…?)
“Ci sono o ci fanno? Non conoscono l’arte, la musica e l’amore essendo prigionieri della loro “caverna”, o scrivono per scrivere essendo in crisi di creatività scientifica?”
Per arrivare a supportare un delirio mentale al pari del transumanesimo bisogna essere andati oltre alla negazione dell’uomo (e tutti i valori ad esso correlati che lei ha citato), passaggio che deve affrontare chiunque adotti la fede ateistica e filosofie riduzioniste. Sebbene il transumanesimo nasca innegabilmente da tale passaggio, è la prova evidente dei paradossi e l’irrazionalità SOCIALMENTE PERICOLOSA che esso comporta: a che scopo cercare di elevare lo stato dall’uomo a qualcosa che è secondo loro superiore, se ogni cosa è priva di senso, se non sussiste alcuna verità, se le possibilità dell’uomo sono riducibili ad un numero naturale? Perchè prolungare qualcosa di insensato ed addirittura illusorio?
Semplice, per auto-fornirsi una realtà deformata nella quale la “vita” è intesa come un “godere” senza limiti, senza conseguenze e responsabilità; una realtà fittizia nella quale non si avrebbe più quella consapevolezza, insopportabile per chi aderisce allo scientismo, di non avere tutto sotto controllo in quanto tutto risulterebbe computabile, prevedibile e spiegabile.
Perchè rappresentano paradossalmente il fantoccio che criticano: il timorato della morte, del giudizio (con relative conseguenze) a cui si aggiunge un relativismo in collisione con il bisogno morboso di certezze e spiegazioni date secondo una filosofia materialistica che la fede scientista si dimostra costantemente incapace di fornire.
Difficile dire se ci siano o se ci facciano: secondo me sono in molti che, in assenza di creatività scientifica, decidono di assumere posizioni simili per migliorare la propria situazione economica, tuttavia esistono anche i deliranti veri e propri che seguono ciecamente i primi da bravi allocchi.
Grazie, Fefaz.
E già, ma se è vero, o almeno plausibile che il transumanesimo in generale sia una (pseudo) risposta alla paura della morte, io credo che ciò sia solo la sua veste pubblica mentre per i signori al vertice della piramide sia un mezzo di controllo ulteriore di quella massa terrorizzata dalla morte e che oggi affolla i parchi pubblici con il loro jogging alla moda nella speranza di aggiungere un secondo in più alla loro vita.
Mi dispiace molto dover dare giudizi così all’apparenza sprezzanti su queste persone che “vivono secondo natura! (?), amano il verde, attribuiscono agli animali diritti superiori e fuggono atterriti gridando e tremando di fronte ad una biscia che attraversa la strada ma purtroppo sono patetici non iteressati affatto dei meravigliosi meccanismi della vita, preferiscono delle narrazioni improbabili ma rassicuranti.
Vivono per cosa? Solo per vivere, senza scopo, senza traguardi senza fini e illusoriamente senza fine.
Per loro qualsiasi cosa possa rassicurarli che non dovranno morire ma potranno sopravvivere, magari nella memoria di un computer, è auspicabile, e in un futuro non lontano (ma sempre futuro) realizzabile.
“You can’t catch a leprechaun” (non puoi catturare un folletto) e questo è vero semplicementeperchè i folletti non esistono se non nella fantasia immateriale nello stess modo non si può catturare la coscienza perchè è qualcosa di immateriale, assai più di un folletto che almeno è definibile; la coscienza è di per è stessa indefinibile nella sua totalità e appartiene a qualcosa d’altro rispetto al mondo materiale ma attraverso noi con esso si intreccia e lo permea; mi sembra più probabile che il noi fisico sia prodotto della coscienza piuttosto che il contrario e pensare di intrappolarla in un qualcosa di materiale una semplice assurdità.
La morte non può avere una ragione per chi non trova ragioni nella vita
‘l transumanesimo in generale sia una (pseudo) risposta alla paura della morte,’….
mi è piaciuto molto questo passaggio, e potrei replicare che anche le varie religioni svolgono questa funzione; sono esattamente la stessa identica cosa: una (pseudo) risposta alla paura di morire, paura del dopo, dell’oltre.
Ma non ho scritto questo per una vis polemica, tutt’altro; volevo solo far notare come una volta negata la religione, una volta negato l’aldilà (qualunque esso sia); anche l’ateismo (o meglio quella corrente ateista che va decisamente per la maggiore e nella quale non mi riconosco più) si sia trovato nella costrizione di dover elaborare anche esso una sua risposta alla paura del dopo.
“Io credo che ciò sia solo la sua veste pubblica mentre per i signori al vertice […] in più alla loro vita.”
Concordo, tra l’altro è quello che ho scritto nel mio post. Comunque, più che una risposta alla paura di morire evidenzierei maggiormente la costante consapevolezza di non ottenere spiegazioni soddisfacienti e compatibili con un’ideologia materialista e riduzionista dalla fede scientista che seguono. Una condizione la quale impedisce loro di avere tutto sottocontrollo, sollevarsi dalla responsabilità delle loro azioni e di ciò che accade e ridurre la vita ad un puro godimento.
Allora, l’ateismo non è fede, ma la semplice constatazione che non esiste nulla al di là della nostra vita terrena, non esiste nulla, constatazione che, come ha dimostrato il Nobel Francis Crick Francis il bagaglio di funzioni che per solito vengono riassunte nel concetto di anima – a cominciare dall’autocoscienza – possa essere spiegato in termini di interazioni tra le cellule cerebrali, ossia di reazioni biochimiche (e non credo ci volesse un Nobel per dedurre tutto ciò).
Premesso questo non concordo affatto che essere atei implichi automaticamente adottare una la visione riduzionista della vita e la negazione di valori che voi parlate.
Anche io, da ateo convinto, condivido in toto le vostre critiche ai deliri trans-umanisti e nell’ideologia gender che, a mio modestissimo avviso sono accomunati (come ho appena risposto al Sig, Cipriani) al denominatore comune che consiste nell’illusione all’essere umano di poter superare i propri limiti imposti dalla natura e divenire onnipotente (ed anche onniscente) come Dio.
Comprendo comunque che oramai nel mondo ateo ‘ufficiale’, quello di Dawkins, Hitchens e di Carcano per intenderci. oramai si stia instaurando una pericolosissima deriva tendente alla riduzione dell’essere umano e negazione di qualsiasi valore assoluto che invece dovrebbe essere comun sentire di qualsiasi umano.
Ecco che, come ha mirabilmente scritto, la “vita” è intesa come un “godere” senza limiti, senza conseguenze e responsabilità; il matrimonio non viene più visto come una promessa al coniuge fatta per il resto della propria vita, ma ‘eterna finché dura’ (tanto per parafrasare il titolo di un film di Verdone), il bimbo in grembo non come una vita che ha tutti i diritti a svilupparsi ma pesante fardello dal quale potersene sbarazzare se diviene un intralcio, la maternità (e paternità) un ‘diritto’ e non un dono d’amore verso il proprio compagno/a di vita.
Sono una mosca bianca ?
Mah, pensando a Ferrara ed alla Fallaci, mi (auto)definirei piuttosto un ‘ateo devoto :-)’ o cristianista.
Saluti
@Davide
no no, l’ateismo è proprio una fede e se avrà voglia di approfondire constaterà che l’essere umano non è riducibile a scariche elettriche e a procedimenti biochimici.
Già su questo blog potrà leggere articoli a riguardo, con relativi commenti molto interessanti.
Io quando ero ateo non ho potuto fare a meno di estremizzare arrivando al nichilismo più assoluto ma sono contento di vedere che altri atei abbiano la lucidità di vedere errori/orrori che si stanno palesando nella attuale società.
Potrebbe aver ragione e sarei disponibile ad un eventuale approfondimento…..
Non so se continuerò a perseverare nelle mie convinzioni ateistiche; di certo è mia intenzione distanziarmi il più possibile da tutti quest orrori che si stanno palesando nell’attuale società, portati avanti da una certa corrente ateistica che oramai è egemone,.
@Davide
per eventuali approfondimenti le consiglio caldamente queste conferenze, ascoltabili in formato mp3, sono molto interessanti anche per un non credente:
.
http://tinyurl.com/gpqqbf6
.
sezione: Conferenze varie.
@ALEUDIN: Thanks… le ascolterò molto volentieri; promesso !!!
En passant, noterei che Francis Crick il Nobel se l’è guadagnato in un campo abbastanza lontano dalle neuroscienze, area di ricerca a cui si è prestato solo in seguito e dove è riuscito a dire “ingenuità” (chiamiamole così) non da poco, anche a causa del suo spessore filosofico pari a quello della carta velina.
–
In un commento di qualche tempo fa ( http://www.enzopennetta.it/2016/04/la-penultima-illusione-del-nichilismo/#comment-48817 ) accennavo alla questione facendo implicitamente riferimento proprio alle sue affermazioni.
Non mi convince…. non può certo mettere in dubbio il lavoro di Crick, e la sua serietà di scienziato, semplicemente perché Crick ha vinto il Nobel sulle ricerche del DNA (che tra l’altro è sempre afferente alla medicina e fisiologia umana),,,, a questo punto potrei dubitare dell’espansione dell’universo adducendo il fatto che Hubble era avvocato laureato in legge e non astrofisica.
Io metto in dubbio, Davide, la serietà di Crick come filosofo: oggetto della mia critica, infatti, non è il suo lavoro scientifico (sull’attività del SNC), ma l’interpretazione “filosofica” che ha preteso darne.
Gelernter mi sembra che giunga alle stesse conclusioni di Thomas Nagel sull’irriducibilità della mente alla pura materia.
Ed è uno che i computer li conosce davvero, comincio a sperare che prima o poi si ammetta che la mente non è una secrezione del cervello.
Ma come dice Nagel, ammesso questo ne deriva che “la visione darwiniana del mondo è quasi certamente falsa”. Sarà dura.
Il compito epistemologico che si è assunto Nagel in “Mind and Cosmos” è stato immane: dimostrare che il fisicalismo non può spiegare 3 facoltà della mente: la coscienza, la cognizione intellettuale e l’intenzionalità (da cui deriva anche la responsabilità etica). La conclusione di Nagel è che la mente è una proprietà del mondo naturale altrettanto fondamentale degli oggetti usuali della fisica come le particelle e i campi. Tutti i padri della scienza moderna, da Galileo a Cartesio a Newton, ed anche molti della rivoluzione quantistica del XX secolo, come Bohr e Schrödinger, concorderebbero. Dal fallimento del fisicalismo, Nagel trae l’erroneità del materialismo neo-darwiniano come spiegazione filosofica completa del mondo.
Il compito che si è assunto Gelertner è molto, molto più modesto e riguarda la Macchina di Turing. Egli mostra che la Macchina di Turing (e quindi ogni tipo presente e futuro di software) non ha sentimenti – una cosa ovvia, ma oggi si è eroi a dire che l’erba è verde di fronte a certi articoli di Science! – e siccome la mente umana è un mix di calcolo e sentimento, Gelertner trae la conclusione che la mente è irriducibile al software.
Col suo ragionamento “informatico” Gelertner non affronta il problema se, con altre tecniche fisiche la mente sia artificialmente riproducibile, allo stesso modo che con strade diverse dalla I-95 è raggiungibile la California. Nagel fa invece un ragionamento “filosofico” per inserire tra le sostanze di natura una nuova sostanza non riducibile alla fisica: la res cogitans.
Secrezione del cervello è stonatissima, Enzo. Capisco che probabilmente vuoi usare un termine che renda l’idea che tu hai delle profondità degli odiati materialisti, ma non si parla di bile o di fegato… Si deve trovare un altro termine, che non saprei individuare per bene su due piedi. Il fatto è che se pure la coscienza di sé è irriducibile al cervello e ai meccanismi che determinano il pensiero, è dal cervello che nasce tutto… E oso dire, spero di non provocare troppo, che la stessa irriducibilità vale almeno per qualsiasi altro primate, per rimanere nel solco dei primati che noi siamo. O no?
Riprendo in toto, facendo un cut&paste, di una mia riflessione che feci il 13 Aprile scorso, secondo la quale la questa follia trans-umanista commette lo stesso identico errore, ad ennesima dimostrazione della totale incapacità della nostra specie di imparare le lezioni che ci impartisce la storia, che fecero gli illuministi del 1700 quando vollero ridurre l’uomo al solo intelletto, ignorando sentimenti, ‘irrazionali’ sì ma presenti anch’essi nell’animo umano, quali ad esempio l’amore che si prova per una specifica persona dell’altro sesso (perché le donne con i capelli rossi e non le bionde ?) oppure l’avversione che provo per la Juve…. ciò venne compreso dai ‘Romantici’, come il Foscolo o Leopardi.
La mia paura comunque è che questa follia (non tanto quella trans-umanista, quanto piuttosto la sua alter ego cioè l’ideologia gender) riesca a produrre mostri esattamente come lIlluminismo produsse il Terrore e la repressione Vandeana, ed alla lunga, anche gli orrori del comunismo, folle ideologia che dell’illuminismo potrebbe essere visto come un’evoluzione.
Chissà, spero per me, per la mia dolcissima metà, tutti i miei familiari (e quelli di mia moglie), ed anche per tutti voi che mi leggete di sbagliarmi in questa mia fosca previsione; lo spero proprio anche se non lo ritengo affatto credibile.
Buongiorno, ho da poco scoperto questo blog e devo dire che lo trovo molto, molto interessante, così come anche l’ultimo argomento affrontato dal prof.Masiero. Io credo che il pensiero di fondo che emerge dalla sempre lucida analisi del prof.Masiero sia quello della probabile irriducibilità di un sistema cognitivo a una macchina di Turing o più in generale ad un sistema computazionale. La cosa interessante anche di questa analisi è il riferimento ad un pensiero molto simile elaborato da un esperto di informatica, ma se non sbaglio di formazione umanistica, Gelernter, e dal filosofo Nagel. Abbiamo quindi un fisico, il prof.Masiero, un umanista (?) e un filosofo che sostengono, mi pare, tutti lo stesso punto di vista, una visione unica elaborata da prospettive intellettuali diverse, alla faccia della parcellizzazione del sapere. Ne aggiungiamo una quarta, la mia, per la cronaca sono un biologo. Io credo che l’intelligenza umana sia non soltanto irriproducibile e inseparabile dalle emozioni, ma inseparabile anche dall’ambiente circostante, un ambiente sempre impredicibilmente mutevole e che di conseguenza orienta sempre diversamente il nostro filtro cognitivo. Io credo che la visione meccanicista della sfera intellettuale umana sia soltanto un retaggio di una logica riduzionista che dopo aver determinato grandi successi scientifici fino al ventesimo secolo, ora sta palesando invece grosse difficoltà nell’approcciarsi alle nuove frontiere, anche metodologiche, aperte dallo studio dei sistemi complessi e dell’emergenza di proprietà collettive. Per evitare equivoci, chiarisco che nessuno sta parlando di inutilità del riduzionismo o di diatriba tra riduzionismo e olismo, che a mio parere rappresentano invece interessanti possibilità di approccio complementari.
Cordiali saluti
Grazie, dott. Vomiero. Concordo con Lei, al 100%. In particolare, anche sulla plasticità della mente umana all’ambiente, che sarebbe un tema molto interessante da trattare al livello interdisciplinare, fisico, biologico e culturale.
Buonasera Fabio, grazie per le sue considerazioni.
Voglio sottolineare un passaggio del suo intervento che trovo molto condivisibile:
.
“credo che la visione meccanicista della sfera intellettuale umana sia soltanto un retaggio di una logica riduzionista che dopo aver determinato grandi successi scientifici fino al ventesimo secolo, ora sta palesando invece grosse difficoltà nell’approcciarsi alle nuove frontiere, anche metodologiche, aperte dallo studio dei sistemi complessi e dell’emergenza di proprietà collettive. Per evitare equivoci, chiarisco che nessuno sta parlando di inutilità del riduzionismo o di diatriba tra riduzionismo e olismo, che a mio parere rappresentano invece interessanti possibilità di approccio complementari.”
.
Molto interessante questo articolo del dott. Masiero (come tutti gli altri del resto). Una sola cosa mi lascia un po’ perplesso. L’affermazione di san Tommaso che nulla è nell’intelletto che non sia stato prima nel senso, estrapolata dal contesto dal quale è tratta, sa un po’ di sensismo e si presta quindi a scadere nel soggettivismo. E’ l’errore compiuto da alcuni neotomisti del ‘900 che riducono il pensiero di Tommaso ancorandolo al nihil est in intellectu di Aristotele. In realtà il pensiero dell’Aquinate è più ampio e nei punti cruciali si rifà ad Agostino e quindi anche a Platone.
Penso che da un punto di vista gnoseologico, l’interpretazione più corretta e completa del pensiero del Dottore Angelico in epoca moderna l’abbia data il beato Antonio Rosmini con la sua idea dell’essere in universale.
Sono argomenti molto interessanti e difficili ed ammetto onestamente le mie lacune a riguardo che spero di colmare al più presto.
Quel che mi riferisco è contenuto per sommi capi in questo articolo:
http://www.philosophiedudroit.org/ottonello,%20tommaso%20rosmini.htm
Grazie, Luca C.
A me Tommaso piace per il suo realismo, per il suo stare coi piedi per terra, e per il suo buon senso, che gli fa sempre evitare gli estremi, vuoi dei materialisti, vuoi degli idealisti. Senza entrare troppo in una discussione tecnica – che gente come noi, lascia agli specialisti -, cosa dice in sostanza Tommaso del rapporto tra intelletto e sensi? Che gli uni sono necessari all’altro e viceversa.
Tommaso sostiene che le sensazioni subiscono una prima organizzazione nella percezione del senso comune, il quale integra i dati offerti dai 5 sensi esterni. Così, da molte sensazioni si forma l’immagine, e da molte immagini il ricordo nella memoria. L’intelletto infine separa le idee universali e i primi principi, cogliendo l’ontologico nel fenomenico, il necessario nel contingente, l’intelligibile nel sensibile.
Più ragionevole di così… A questo punto, come possono quelli dell’IA pensare, anche per un minuto solo, ad avere una mente artificiale senza sensi? Per organizzare dei dati servono dei dati, non si può organizzare il nulla!
Perfettamente d’accordo con lei. La mia era solo una puntualizzazione dettata dal mio interesse sulle questioni gnoseologiche.
Io direI che il “nihil est in intellectu…” è condivisibile anche quando avulso da qualsiasi contesto, se poi le cognizioni vengano “tutte intere da’ sensi” o meno è un altro paio di maniche. In ogni caso non si dà uno scadere automatico nel soggettivismo a partire da tale affermazione.
–
Per quanto riguarda le tesi del Rosmini a cui qui ci si riferisce, mi sembrano corrette le critiche del p. Sordi. secondo cui l’errore rosminiano consiste nell’affermare che l’astrazione trova l’universale, quando invece bisogna dire che lo fa: nell’idea particolare tutto è particolare e concreto, non si danno due elementi l’uno intrinsecamente universale e l’altro no.
Diversamente affermando, si finirebbe per farsi (nuovamente) assertori di un apriorismo sintetico, ma dove per Kant l’intelletto aggiungerebbe le “categorie” al contenuto dell’esperienza, per il Rosmini aggiungerebbe l’idea dell’ essere.
Per rimanere realisti allora va affermato, contro questo apriorismo sintetico, l’apriorismo astrattivo (=l’intelletto dà il modo di essere (universale) al contenuto dell’esperienza, ma non le aggiunge alcunché) riconoscendo l’apriori dove effettivamente si trova.
Contavo, ViaNegativa, sul Suo intervento, a beneficio dei lettori più esigenti. Grazie.
Non c’è di che, magari giusto un ultimo appunto: Rosmini, per difendere la sua tesi dell’innatezza dell’idea dell’essere, sosteneva anche che se questa sorgesse con l’esperienza – ad un determinato momento – ce ne dovremmo accorgere, cosa che invece non è e, anzi, ci accorgiamo di non esserne mai stati privi. Si risponde: non è possibile aver coscienza di una tale scoperta perché è con tale scoperta che inizia la conoscenza umana. Diversamente dovremmo “conoscere prima di conoscere” , ma…
Sarà vero pittosto che quando iniziamo a riflettere l’idea dell’essere ce l’abbiamo già da un po’ – ab immemorabili – e non che ce la ritroviamo innata. E qua chiudo l’OT, buona giornata.
“… non è possibile aver coscienza di una tale scoperta perché è con tale scoperta che inizia la conoscenza umana”
.
Possiamo fare un’ipotesi terra terra per noi profani?
.
Si intende che il momento in cui, per esempio un bambino, inizia a riflettere, dà il via alla conoscenza e non potrà mai capire che da quel punto il suo essere ha iniziato a conoscere? C’era in potenza (ab immemorabili? ma da quando esattamente?) e a un certo punto si rivela con la prima riflessione che non ha un prima perché è come un inizio?
I colori non sono innati e nessuno ha coscienza di averli scoperti ad un certo punto. Semplicemente la loro “scoperta” coincide con l’attività stessa del vedere.
Stessa cosa per l’essere: nessuno ha coscienza di aver scoperto l’essere, la sua scoperta coincide con l’inizio dell’attività della conoscenza.
–
L’idea dell’essere invece, quella verrà solo poi, quando – più grandi – si sarà in grado di riflettere e di passare dalla conoscenza dell’ente concreto alla conoscenza dell’ente in quanto ente (all’essere dell’ente).
Allora ci si accorgerà che l’idea dell’essere la si ha da un bel pezzo.
Piano piano riesco a intendere… E ti ringrazio davvero.
ciao viaNegativa. Senza voler entrare nella secolare questione rosminiana (anche perché non è l’argomento dell’articolo e non ho studiato le confutazioni portate avanti dai rosminiani alle teorie del padre Sordi) vorrei conoscere il tuo parere sulla tesi dell’esistenza di una linea platonica nel pensiero di san Tommaso. In particolare sulla tesi sostenuta in questi video (sempre ovviamente se avrai tempo e voglia di vederli).
Come posso contattarti?
Grazie. Scusate l’OT
http://www.cattedrarosmini.org/site/view/view.php?cmd=view&id=188&menu1=m2&menu2=m6&menu3=m58&videoid=836
Non ho visto il video, ma posso già dire che Tommaso = Aristotele + (neo)platonismo. Togli uno dei e non hai più Tommaso. Di più: la struttura della ST è un vero e proprio omaggio di Tommaso alla mente neoplatonica!
–
Se vuoi contattarmi posta pure su Crove-Via scrivendo la tua mail nello spazio apposito (come fai qui su CS). Se vuoi intavolare una discussione pubblica, fallo pure, magari in un articolo in cui il commento risulti maggiormente IT. Diversamente scrivi qualsiasi cosa, il commento – in quanto primo (se non hai mai postato nel blog) – finirà in coda di moderazione, io vedrò la tua mail e ti contatterò. Ciao.
Si’ infatti, il computer e’ una mente che calcola. O almeno questo e’ l’approccio della linea di Kurzweil (e tanti altri, molti altri, quasi tutti). E non a caso porta, come notato, al tentativo di primato della razionalita’ sull’umano, appunto perche tale ricerca focalizza su che formalismo usare per “istruire” il computer. I famosi linguaggi di quinta generazione. Non hanno portato a nulla.
Non che fosse sbagliato, Solo che e’ il solito sogno da fanatici astratti, sperare che un linguaggio (nella sua golosissima qualita’ di automatismo) potesse risolvere l’improbo lavoro di istruire una mente meccanica. E manco tiro in ballo il problema superiore, cioe’ insegnare ad imparare significati nuovi, cioe’ apprendere. Mi limito a parlare del puro popolamento di esempi, dato uno schema mentale fisso (cioe’ che non apprende ma impara solo diversi casi del pero’ medesimo concetto).
Quindi solo lo spiegare, che so, gli innumerevoli modi che possono riguardare il concetto di “scavare la terra” e relazioni scelte tra un set fisso (cioe’ senza imparare), si rivela qualcosa di non meccanizzabile e mostruosamente oneroso. Facile con una scacchiera, modellabile esaustivamente facilmente. Gia’ per “scavare la terra” questo e’ incredibilmente piu’ vario e pieno di sfumature.
Personalmente riterro futile parlare di intelligenza artificiale fino a che non avremo costruito un computer che si puo’ mettere davanti alla realta’ (ma anche davanti alla televisione) e che riesca ad individuare, quando si presenti, ogni istanza del concetto di “scavare terra”.
Ecco, li’ saremo a livello 1.
Poi livello 2 imparare nuovi concetti (e qui un giorno potrebbero tornare utili i linguaggi di ennesima generazione).
E fin qui non c’e’ necessita’ di tirare in ballo i linguaggi naturali,
Poi livello 3 creativita’ cioe’ completare le ambiguita’ lasciate dai linguaggi naturali, appunto.
Solo a questo livello potra’ cominciare l’intelligenza artificiale “dei film”.
Ma siamo anni luce dal primo livello… e anche fosse, c’e’ l’ostacolo spaventoso che richiederebbe plotoni immani di programmatori “balia”.
Quello che cioe’ vi dovete togliere dalla testa e’ che si possa automatizzare il processo di insegnare. La solita idea di desiderare un linguaggio che “programmi i programmi”. Di nuovo, anche fosse, ci si scorda che lo sforzo artigianale e non automatizzabile di creare informazione sarebbe almeno pari a quello esercitato dal caso nel Darwinismo. Ma che volete da noi programmatori? NUN SE PO’ FA, e se si’, ce vole uno sbrego di tempo e fatica.
Lo volete un consiglio? Rimanere sui linguaggi non umani, quindi nessun computer superera’ mai il test di Turing pero’ almeno saranno utili burattini.
E’ come per i viaggi oltre la Luna, tante chiacchiere ma la cruda realta’ e’ che il problema insormontabile attualmente sono le radiazioni, e’ un po’ tempo perso ottimizzare altri aspetti.
E per me la linea di Kurzweil ha tentato di ottimizzare una cosa attualmente inutile.