Il concetto di “libero arbitrio” è uno dei più importanti della filosofia e della teologia e (volendo essere sincero con chi mi legge), il mio preferito: se la fede in qualcosa si potesse misurare con qualche strumento, nel mio caso si scoprirebbe che la mia fede nell’esistenza del libero arbitrio è anche più forte di quella di…Giorgio Masiero (non ho ancora avuto il piacere di conoscerlo di persona, in linea di principio potrebbe essere solo un lavoro di copia-e-incolla ad opera di Enzo Pennetta).
Per avere chiari i termini del discorso, citiamo prima una definizione di libero arbitrio (da Wikipedia):
Il libero arbitrio è il concetto filosofico e teologico secondo il quale ogni persona è libera di scegliere da sè gli scopi del proprio agire, tipicamente perseguiti tramite volontà, nel senso che la sua possibilità di scelta è liberamente determinata.
Ora dovremo però porre una grossa limitazione a tale vastissimo argomento, perché molti filosofi ed intellettuali incomparabilmente migliori di me hanno già trattato a fondo tale questione, per cui, dopo una prima parte di sintesi delle posizioni filosofiche più importanti, cercheremo di rimanere quanto più possibile nel tema proposto da un nostro lettore nell’articolo a richiesta. In questo caso la questione è se è vero e no e perché il libero arbitrio confuterebbe il riduzionismo. Per “riduzionismo” in questo caso ci riferiamo a quell’approccio che spiega in termini puramente materialistici il rapporto mente-cervello:
Il riduzionismo si propone di studiare la mente riducendola ad un oggetto della fisica: leggi che descrivono il funzionamento della mente sarebbero riconducibili a leggi fisiche, quindi la mente deve essere studiata come qualsiasi altro oggetto fisico. Assumendo che la mente si manifesti soprattutto in due aspetti, il cervello e il comportamento, il riduzionismo riduce la mente a questi aspetti e si propone di studiare solo questi, senza fare altre assunzioni su una eventuale realtà oltre o dietro questi fenomeni. Con ciò di fatto si elimina ogni aspetto possibilmente metafisico della mente.
Perché il libero arbitrio confuterebbe il riduzionismo? In breve, dal momento che gli impulsi elettro-chimici dei neuroni del nostro cervello, come tutti i processi chimico-fisici, sono determinati dalle leggi della fisica mentre il libero arbitrio (affermatene la sua esistenza) si basa sulla libera volontà del soggetto, allora esso non può essere spiegato in termini riduzionisti, per cui il riduzionismo non può spiegare talea aspetto così importante della vita umana: niente potere esplicativo, niente giustificazione filosofica e il riduzionismo va scartato.
Il discorso scientifico-filosofico sul libero arbitrio, come avrete notato, non può essere reso facilmente indifferente a quello religioso, ma per non scaldare gli animi bisogna precisare la seguente situazione “a quattro classi” (utili per la sintesi che avevo preannunciato): esistono credenti che credono fortemente nel libero arbitrio (in primis i cattolici), esistono credenti che vi credono poco o per nulla (tutti quelli che accolgono o estremizzano il pensiero di Lutero), esistono non-credenti che però credono nel libero arbitrio e non-credenti che lo negano.
La posizione dei cattolici è facile da comprendere: se esiste il libero arbitrio, significa che sta al singolo sforzarsi di scegliere il Bene e di rifiutare il Male, tale scelta si ripercuote poi sul destino escatologico della persona ma già in questa vita diventano corollari il concetto di “peccato” e di capacità di Dio di non abusare della sua onnipotenza per determinare le scelte degli uomini (cioè per il cattolico l’uomo è libero perché Dio lo lascia libero).
Nel caso dei cristiani più fatalisti invece il peccato originale e la concupiscenza (la tendenza innata a preferire le scelte sbagliate) hanno corrotto troppo in profondità l’animo umano, per cui di fatto la sua libertà non esiste e solo la Grazia può portarlo alla Redenzione e alla vita secondo il Bene.
Mette curiosità la circostanza per cui una cosa che viene vista in toni pessimistici e cupi da alcuni cristiani (l’incapacità di scegliere liberamente) diventa libertaria per alcuni non credenti (la quarta classe citata prima). Rientrano in questa categoria Friedrich Nietzsche e Michel Onfray. Il primo scrisse (in Ecce homo):
Il concetto di “peccato” inventato insieme con gli opportuni strumenti di tortura, insieme col concetto di “libero arbitrio”, per confondere gli istinti e fare una seconda natura della diffidenza per gli istinti!
Come qualcuno avrà intuito, la negazione del libero arbitrio è una posizione non facile da appoggiare per ragioni di incoerenza: se il libero arbitrio non esiste, chi o cosa sta decidendo le nostre azioni e i nostri pensieri, inclusi quelli di chi nega il libero arbitrio? Se il soggetto non è responsabile delle sue azioni, che senso hanno i concetti di colpa e di merito? Senza libertà non esisterebbero posizioni filosofiche e nemmeno gastronomiche o calcistiche, ma semplicemente quelle che i fattori che determinano le nostre scelte (apparenti) hanno prefissato. Seguire con coerenza fino in fondo una tale posizione filosofica è qualcosa che, forse a causa della mia ignoranza, ho visto fare poche volte, ma oltre a Nietzsche rientra in questo “fortunato” caso il filosofo francese, di cui lessi “Trattato di ateologia”, un saggio sulla storia dell’ateismo sulle sue basi. In questo saggio il livello degli attacchi alle principali religioni monoteiste, a mio avviso, è lo stesso di Odifreddi, ma ho apprezzato quei pochi passaggi in cui il filosofo prova ad essere “costruttivo”. Secondo Onfray un bravo ateo non dovrebbe limitarsi ad attaccare le religioni in sé ma anche tutte quelle conseguenze filosofiche che restano come impronte non cancellate anche in chi non è credente: non basta non essere cristiani, occorre abbandonare anche quelle “sotto-credenze” del tipo il libero arbitrio. Una conseguenza di questo “ateismo radicale” è che va cambiato il modo in cui pensiamo alla figura del giudice. Ormai tutti diamo per scontato che chi sia capace di intendere di volere sia responsabile delle proprie azioni e quindi perseguitabile penalmente e punibile se colpevole. Onfray riesce a vedere, giustamente, la metafisica che si nasconde dietro questo approccio al diritto:
Anche se il tribunale opera senza simboli religiosi, si attiva tuttavia in funzione di questa metafisica: lo stupratore di bambini è libero, può scegliere tra una sessualità normale con un partner consenziente e una violenza inaudita su vittime distrutte per sempre. Perfettamente consapevole, dotato del libero arbitrio che gli permette di volere questo piuttosto che quello, preferisce la violenza – quando avrebbe potuto decidere diversamente! Di modo che in tribunale è possibile chiedergli conto delle sue azioni, ascoltarlo vagamente, non sentire quello che dice, e mandarlo a passare anni in prigione, dove probabilmente prima lo violenteranno, come benvenuto, poi marcirà in una cella, da cui uscirà senza che la malattia che lo affligge sia stata curata.
Il “povero pedofilo” che secondo Onfray in realtà non può controllarsi, non va punito ma curato, ma purtroppo:
La collusione tra libero arbitrio e scelta volontaria tra Bene e Male che legittima la responsabilità, dunque la colpevolezza, dunque la punizione, presuppone il funzionamento di un pensiero magico, che ignora ciò che invece viene chiarito dall’approccio postcristiano della psicanalisi di Freud e da altri filosofi, che mettono in evidenza la potenza dei determinismi inconsci, psicologici, culturali, sociali, familiari, etologici ecc
Il libero arbitrio è “magico”, cristiano, mentre il determinismo è “postcristiano”, moderno e scientifico.
Ammesso pure che il determinismo sia postcristiano e moderno, è davvero “scientifico”, cioè giustificabile grazie al riduzionismo? Per rispondere ci facciamo aiutare da un articolo de L’Osservatore romano del 4 Marzo 2012 presente nel libro “Chi sono i nemici della scienza?” di Giorgio Israel (lo stesso libro di cui parlai qui ).
Avrete forse sentito parlare di esperimenti che avrebbero dimostrato l’inesistenza del libero arbitrio, essi sono sempre del tipo descritto in “Mind Time” di Benjamin Libet. Lo schema di tali esperimenti è il seguente: si chiede ad una persona, monitorata tramite risonanza magnetica o con altri strumenti che segnalino l’attività neuronale, di compiere una determinata azione semplice (far toccare indice e pollice oppure premete un bottone), quindi si vuole dimostrare che l’istante in cui parte l’impulso neuronale che comanda il gesto fisico avviene prima di quello che segnala l’atto di scegliere di compiere tale gesto, cioè che l’azione precede la scelta, di conseguenza non sarebbe vero che una persona scelga e poi agisca ma al contrario agisce e poi il cervello le riproduce la falsa consapevolezza di aver scelto liberamente.
Mentre è semplice trovare l’area del cervello addetta ad un dato movimento fisico, più complicato è trovare quella della scelta dello stesso gesto, cioè le aree che “predeterminano le intenzioni consapevoli”.
Come obbiettare all’interpretazione di questi esperimenti? Già lo fece per noi Giorgio Israel:
Non è difficile vedere i vizi di questa procedura. In primo luogo, dare per scontato che esistano aree che «predeterminano» le intenzioni consapevoli indica che la tesi dell’inesistenza del libero arbitrio viene data per dimostrata prima di averlo fatto, anzi viene usata per dimostrarla. Inoltre, è chiaro che è improprio chiedere a una persona di annunciare l’istante in cui egli assume una decisione per confrontarlo con un istante di natura totalmente diversa: quello in cui ha inizio una vaga «attività preparatoria» nel corso della quale viene elaborata la decisione: è evidente che il momento in cui rifletto se uscire o no di casa viene prima del momento in cui decido di uscire. Ma c’è un vizioancor più grave. Da un lato si misurano grandezze fisiche, osservabili misurabili con apparecchi di laboratorio: intensità di correnti, flussi sanguigni. Dall’altro lato si ha a che fare con qualcosa di diverso, ovvero con un rapporto con cui il soggetto dichiara l’esistenza di uno stato mentale: “premo il bottone o indico una lettera, e così informo di aver compiuto la scelta”.
In breve, non è vero che è stata osservata un’azione realizzata prima della sua scelta, perché si è misurato l’istante di tempo in cui la scelta è stata dichiarata, non presa.
Non mi illudo che basti far notare questo per mettere in crisi un riduzionista, perché dalla sua ha il vantaggio della “concretezza”: gli impulsi elettrici, i flussi sanguigni, sono concreti, si vedono, mentre cose come l’anima sanno di aria fritta e di castelli per aria. Senza introdurre anche il delicatissimo tema dell’anima e appurato che la negazione del libero arbitrio porta a dei paradossi di così chiara evidenza che discuterne potrebbe essere troppo difficile per il mio livello culturale (avete letto bene, non sono bravo a spiegare le cose che reputo fin troppo ovvie), non resta che discutere della terza delle classi di cui ho scritto in precedenza: non credenti che credono nel libero arbitrio.
Se il libero arbitrio esiste ma non vogliamo introdurre nulla che abbia anche solo l’odore della metafisica, come ne usciamo dalla rigida causalità dei meccanismi fisici?
Una risposta molto ampia a tale questione venne avanzata nel famoso saggio “Gödel, Escher, Bach: un’eterna ghirlanda brillante” del filosofo Douglas Hofstadter. Sappiate innanzitutto due cose: ha vinto il premio Pulitzer ma è lungo circa 800 pagine. Htagliato l’ha letto, ma potrà anche riassumerlo? Vi lascio col dubbio perché preferisco mirare al tema dell’articolo e aggiungere ciò che serve per comprendere ciò che ci interessa.
Il riduzionismo di Hofstadter è molto particolare, dire che per lui l’autocoscienza, i pensieri e il libero arbitrio si spiegano in termini di processi neuronali è di fatto un torto al suo pensiero. L’idea è che i processi neuronali avvengono nel cervello secondo le leggi della chimica e della fisica come già sappiamo mentre il libero arbitrio è la capacità dell’Io di muoversi in un altro tipo di spazio, lo spazio dei simboli, dove la capacità di accettare o di rigettare un dato pensiero o azione è possibile. Tra cervello e mente però non esiste un “unico ponte” ben preciso e localizzato (tipo la ghiandola pineale che secondo Cartesio è la sede dell’anima), ma una struttura molto più complessa dove funge da concetto chiave l’autoreferenza (il cardine di tutto il suo saggio). L’autoreferenza è la capacità che ha un sistema di riferirsi a sé stesso, resa possibile dall’esistenza di due livelli, quello di partenza e quello indicato dal prefisso “meta-“ (che vuol dire “oltre”).
Nel nostro caso, il livello base è quello delle cellule cerebrali e dei loro impulsi, poi vengono impulsi che agiscono su altri impulsi (potremmo chiamarli “meta-impulsi”), poi configurazioni di impulsi che agiscono su altre configurazioni e così via finche non si arriva agli ultimi due livelli costituiti dai simboli e dai simboli che agiscono sui altri simboli, in primis il simbolo dell’Io che agisce sui pensieri e sceglie quelli da tradurre in azione.
Il cervello segue le sue leggi, la mente le proprie garantendo sia il libero arbitrio sia un approccio “riduzionistico” anche se non troppo radicale.
Tutto molto interessante, in particolare per Hofstadter è cruciale il fatto che il soggetto non conosce che solo una parte dei suoi livelli con cui è strutturato questo “continuo” tra cervello e mente, per cui l’Io non agisce sui neuroni se non molto indirettamente e sicuramente non conosce i meccanismi deterministici delle sue cellule, conosce solo quei meta-livelli che gli siano “più vicini” e
Da questa situazione di equilibrio tra conoscenza di sé ed ignoranza di sé proviene la sensazione del libero arbitrio.
Il discorso sembra reggere bene ma purtroppo per Pennetta sono ancora giovane ed ingenuo, privo di quella necessaria riverenza che permetterebbe ad una persona più matura di me di concludere un articolo di questo tipo a questo punto, invece ignorerò il fatto che mi meriterò molte critiche e proverò a spiegare i punti deboli di questo saggio di 800 pagine vincitore del Pulitzer.
Un problema di natura scientifico-filosofica (che poi è quello di tutti i riduzionismi che vogliono far appoggiare un’etera filosofia sulla robustezza di dati sperimentali) è che i livelli più alti della struttura immaginata da Hofstadter non hanno niente di sperimentalmente controllabile, sono di fatto ontologicamente diversi dai livelli più bassi.
Se prendo un atomo di ferro, tutti i suoi elettroni seguono una certa orbita intorno al nucleo, se invece prendo moltissimi atomi di ferro tenuti insieme per formare una sbarra solida, allora gli elettroni più esterni (in prima approssimazione) sono praticamente liberi di andare dove gli pare, senza essere vincolati ad un particolare nucleo, formando quello che viene detto “gas di elettroni”.
Se prendo un atomo, non ha senso parlare della sua temperatura, mentre se ne prendo moltissimi, allora sì.
Cosa c’entrano questi due esempi? Sono due casi in cui passando da una struttura semplice ad una macroscopica vedo emergere qualcosa di nuovo che prima non c’era: nel primo caso si trattava “solo” di un diverso stato degli elettroni (cioè una diversa proprietà), nel secondo di una vera e propria grandezza fisica “nuova”. Sono due esempi (veri) in cui si ha un fenomeno che emerge tramite l’interazione (o gli urti) di tantissime parti semplici, ma in ambo i casi sul piano ontologico non cambia niente: particelle per particelle, grandezze fisiche per grandezze fisiche. Analogamente non si comprende veramente perché configurazioni, meta-configurazioni e meta-meta-configurazioni (e così via) di impulsi elettro-chimici (osservabili in laboratorio) ad un certo livello dovrebbero diventare qualcosa di non-misurabile (concetti, simboli, coscienza). Il problema non è che “non lo si riesce ad immaginare ma potrebbe essere così”, il problema è che non è misurabile tale passaggio.
Se non è misurabile, non è riproducibile e quindi passiamo ad un secondo problema, stavolta di tipo “pratico”. Uno degli scopo del saggio di Hofstadter era di dimostrare che le parole e i pensieri possono essere tradotti in un insieme di regole formali implementabili in un sistema fisico come quello dei computer, includendo anche cose come l’autocoscienza, quindi il saggio fungeva anche da “direttiva filosofica” per la realizzazione di una possibile Intelligenza Artificiale. Il saggio è stato pubblicato nel 1979: a che punto stiamo con l’intelligenza artificiale? Ad oggi, non esiste ancora, quindi la seconda domanda è a cosa abbia realmente portato la capacità di costruire strutture sempre più complesse basate sull’autoreferenza.
Risultati sono stati ottenuti, anche molto sofisticati e in parte noti al grande pubblico: i linguaggi di programmazione di alto livello (cioè codici che si riferiscono a codici) hanno permesso di lavorare con formalismi più intuitivi e sempre più simili al linguaggio “umano” e lontani da quello macchina (degli 0 e degli 1), ma si è ottenuto un linguaggio più semplice, più avanzato, non autocosciente e libero. Anche i programmi che agiscono su programmi sono di uso comune e permettono un uso più sofisticato ma semplice dei dispositivi informatici, ma non esiste alcun programma dotato di qualcosa che assomigli al libero arbitrio.
Non fatevi ingannare da quelle notizie su un eventuale “programma che cerca e sceglie la migliore strategia per risolvere un problema” perché, senza negare l’ingegnosità di tali lavori, concettualmente parliamo sempre di programmi che percorrono in brevissimo tempo tutte le soluzioni possibili di un sistema con numero finito e ridotto di gradi di libertà (cioè di possibilità) e grazie ad un meccanismo di feedback scartano quelle che non soddisfano una data condizione e alla fine resta solo quella che realizza meglio il problema.
In pratica è una specie di antinomia: programmare un programma a programmarsi.
Si potrebbe obiettare che quella di Hofstadter è una soluzione sbagliata al problema del riduzionismo ma che un altro approccio riduzionistico corretto esiste ma non è stato ancora trovato.
Perché dovrebbe esistere? Appurato che non sarebbe scientificamente osservabile, filosoficamente si potrebbe insistere su questo fronte dicendo che siccome ormai è noto che “tutto” (pensieri, emozioni, scelte) avviene nel cervello, allora deve esistere necessariamente un meccanismo naturalistico all’origine del libero arbitrio, anche se non è quello di Hofstadter.
Una risposta è che questo ragionamento molto alla moda soffre in realtà di una petizione di principio (include la tesi nell’ipotesi): se “tutto avviene nel cervello” allora sto già ammettendo il riduzionismo, per cui è un’ovvia conseguenza che il libero arbitrio avrebbe un’origine riduzionistica e non è una dimostrazione.
Giustamente si può dire che anche l’idea che all’origine del libero arbitrio ci sia qualcosa di metafisico può essere considerata non dimostrabile nel senso rigoroso del termine (nel senso di dimostrazione inattaccabile e non di persuasione soddisfacente). Purtroppo so che la scienza non può rispondere alla domanda del perché esiste il libero arbitrio, perché per sua stessa natura la scienza è lo studio del come un sistema passa dallo stato A allo stato B e non altrimenti e non tramite una “scelta libera del sistema” (non avrei più la predicibilità, cuore del metodo sperimentale). D’altro canto non posso nemmeno negare l’esistenza del libero arbitrio ma non perché “crollerebbe la mia fede”, ma perché cadrebbe l’idea in sé di dare un significato a quello che faccio e a quello che fanno gli altri (Nietzsche, coerentemente, arrivò a negare l’esistenza del Bene e del Male).
Quello che posso dire in conclusione è che il libero arbitrio non è un problema (che può quindi avere una soluzione, molte o nessuna), ma un mistero: non lo si risolve, ma lo si contempla, immateriale come il pensiero ma più concreto di una roccia.
Mi correggo, è più di un mistero da contemplare, perché la contemplazione implica un’osservazione, partecipata nel profondo ma pur sempre un’osservazione, invece il libero arbitrio è anche azione, una cometa che non si ferma ma che può solo essere deviata, un’arma contro ogni agnosticismo e indifferentismo, perché è vero che non possiamo conoscere tante cose, ma non possiamo non sceglierle.
Il libero arbitrio è proprio questo: la condanna a prendere posizione…liberamente!
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111 commenti
Complimenti all’autore per la chiarezza e la prosa.
Ora però arriva l’immancabile “ma” 🙂
Io credo che pochi oggi vogliano ridurre le esperienze umane alle “sole” interazioni elettriche che avvengono nel cervello. Ed io, come credo molti altri, non mi situo in nessun lato di questa barricata. La libertà di scelta esiste ma non è mai assoluta. Proprio ieri facevo quest’esempio con Muggeridge: abbiamo la libertà di non pensare a qualcosa? La risposta ovviamente è no, perchè in quanto menzioniamo tale cosa ecco che la stiamo pensando! Per questo motivo io credo che il libero arbitrio esista, ma che non corrisponda con l’idea che di questo danno i cristiani, o nello specifico caso i cattolici.
2 domande per Flavio.
1) Quale sarebbe, secondo Lei, “l’idea che [del libero arbitrio] danno i cristiani, o nello specifico caso i cattolici”, cosi’ diversa dalla Sua?
2) Lei non riduce i pensieri a sole trasformazioni fisiche nel corpo, come pensano alcuni neuroscienziati. E che altro c’e’ oltre alla fisica, secondo Lei, alla base dei pensieri?
Caro Giorgio, dissento sostanzialmente con la netta contrapposizione con i principi deterministici e sul piano pratico dissento con il fatto che quando si evoca il libero arbitrio è per parlare di bene e male relegando tutto ciò che è dubbio o relazioni di causa/effetto, o comunque fattori che non dipendono dalla nostra volontà, ad un piano secondario. Per dirla in breve, non concordo con certa maniera “severa” d’interpretare la realtà perchè nega quel sano relativismo che invece io ritengo molto importante per avvicinarmi ad un’idea più precisa di verità. Per ultimo, ma questo lo sa bene, non concordo con chi ritiene che solo la natura umana possa accedere a questa possibilità.
Riguardo la sua seconda domanda le posso dire che alla base dei pensieri non vi sono solo i segnali elettrici del cervello, perchè questi si formano dopo che gli organi di senso hanno captato le immagini, i suoni, gli odori… Il segnale elettrico è quindi il mezzo per cui si compongono i pensieri e non sono i pensieri in sè. Anche se riduttiva, perchè credo sia ingeneroso paragonare il corpo umano a delle macchine ancora molto rudimentali, è l’idea del software, o meglio di diversi software che interagiscono tra di loro. Quindi il programma è lì, ma ha bisogno dell’elettricità per poter funzionare, mentre qui qualcuno afferma che il “nostro” programma può funzionare senza necessità di elettricità.
Grazie, Flavio, per i complimenti.
Il suo esempio di limite del libero arbitrio non contraddice quello che pensa la Chiesa Cattolica (a prescindere che in realtà si tratta solo di uno scherzetto di logica perché per non pensare a qualcosa devo prima sapere a cosa non devo pensare e quindi ovviamente ci sto a pensare). Per la Chiesa non sono suscettibili di libero arbitrio i pensieri “appena formatisi” né la loro origine, per es. un uomo può essere tentato 24 ore su 24 ma non commettere mai peccato (tipo un santo) oppure la Chiesa non considera peccato qualunque cosa lei faccia in suo sogno.
Le esperienze umane non sono solo interazioni elettriche, ma nel caso dell’argomento in questione sono tenuto a ricordarle che ho presente che in passato lei diede a Masiero una definizione di “materia” MOLTO generale (per lei materia sono anche le idee e i pensieri) e con tale definizione il paradosso del libero arbitrio non si risolve ma è solo occultato.
Se invece per materia intendiamo ciò che dice la Scienza (ciò che è dotato di massa e occupa un volume) allora i pensieri non sono fatti di materia né di campi né di vuoto quantistico, eppure influenzano il cervello. In questo vi sta il paradosso.
Htagliato, credo sia necessaria una precisazione. La mia definizione di materia si riferiva a quella ritenuta tale dal materialismo, o almeno dalla mia concezione di materialismo, che considera appartenente al mondo materiale tutto ciò che possiamo osservare e che quindi riteniamo esista. Cerco di spiegarlo con un esempio estremo che però può rendere l’idea: il vuoto quantistico in fisica è assenza di materia (mi corregga se sbaglio, dato che lei è il fisico), ma se il vuoto quantistico esiste (ad es. laddove l’universo crea spazio nella sua espansione) per un materialista sarà considerato “materia” nel senso che è un qualcosa che appartiene alla nostra realtà fisica. A un fisico che invece affermasse che il vuoto quantistico è materia, cioè un qualcosa con massa e volume, probabilmente gli verrebbe ritirata la patente di fisico. Ora non ricordo quella specifica discussione, ma non credo di aver affermato che i pensieri sono materia, ma più probabilmente credo di affermato che anche i pensieri appartengono al mondo materiale.
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Una cosa poi ha richiamato la mia attenzione. Lei ha scritto: il libero arbitrio non è un problema ma un mistero: non lo si risolve, ma lo si contempla. E’ un’osservazione che può anche esser condivisibile e che a me ricorda come anche in campo scientifico certe definizioni siano sfuggevoli ed infatti guardi, per tornare al discorso impulsi elettrici/pensieri, cosa dice wikipedia della carica elettrica: “…è una di quelle entità che può essere misurata ed utilizzata, ma non può essere definita in termini facilmente comprensibili, perché, come per lo spazio, il tempo e la massa, non è facile darne una esauriente definizione. Forse il modo migliore di definirla è di osservarne gli effetti”. Osservarla dunque, proprio come dice lei del libero arbitrio per lei. Curioso no?
Appurato che ora capisco meglio il suo che tipo di materialismo è (è più simile a quello che alcuni chiamano “scientismo”), siamo al punto di partenza: i pensieri e il libero arbitrio NON sono cose “osservabili” alla maniera degli altri enti naturali studiabili dalla scienza. Naturalmente lei sa bene che esistono, ma non fanno parte del mondo materiale nemmeno nel senso più largo come lo intende lei. In un esperimento può osservare immagini, suoni, impulsi elettrochimici, ma non stati mentali, e il libero arbitrio lo si postula, non lo si osserva, perché nessun esperimento può assicurarle che un soggetto ha compiuto una certa azione liberamente. Sono altri strumenti di verità a convincerla di questo magari, ma non quelli scientifici.
L’immagine che lei può vedere sullo schermo del suo computer non è solo i pixel di cui è composta ma anche quanto evoca nella sua mente. Ora lei può anche dire che questo fenomeno non è indagabile dalla scienza, mentre io credo di aver dimostrato sufficientemente come in questi ultimi anni le varie discipline hanno prodotto tanti studi in questo campo, scoprendo ad esempio come non tutte le decisioni siano legate alla nostra esplicità volontà, ridimensionando così la portata di quello che comunemente chiamiamo libero arbitrio.
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Tra fideismo e scientismo c’è una strada che può essere anche molto stretta ed io faccio di tutto, come spero faccia lei, per percorrerla senza scivolare nè da una parte nè dall’altra.
Effettivamente, l’immagine evocata, cioè il complesso di idee che emergono nella mia mente alla vista di un’immagine del computer, non è indagabile dalla scienza.
Le varie discipline scientifiche (se rispettano il metodo scientifico), si baseranno sempre su ciò che è osservabile, per cui potrà progredire all’infinito la neurologia e altre cose simili, ma varrebbe sempre quanto riassume Masiero qui (http://www.enzopennetta.it/2016/01/il-libero-arbitrio/#comment-46004)
I ridimensionamenti del libero arbitrio (se per questo, non sono in grado di decidere nemmeno i ritmi della mia digestione) non risolvono il paradosso di una cosa a cui quasi tutti crediamo, che è vitale, ma che non è spiegabile con il fisicalismo.
Ecco le scienze cognitive le scienze psicologiche cancellate d’un solo colpo!
Osservazione legittima, mi spiego meglio:
la psicologia, anche se non è “esatta” come altre scienze, è una scienza ed il suo oggetto è la mente, ma essa non è “osservata” nel senso di “misurata”: l’inconscio, l’Io, il super-Io sono luoghi astratti che servono per fare un modello del funzionamento della mente, ma essi prescindono dalla natura ontologica della mente. In linea di principio, che la mente sia fatta solo di configurazioni neuronali oppure sia anche un prodotto dell’anima la psicologia non se ne cura. La mia critica è al fisicalismo, non alla capacità in sé di studiare i pensieri.
In linea di massima siamo d’accordo, ma per me la domanda si potrebbe rivolgere così: la scienza si occupa solo di cose che possono essere misurate fisicamente? La mia risposta è no, perchè potrei far l’esempio di un disagio psichico, quindi non fisico, che viene “scientificamente” corretto con uno psicofarmaco. Ma poi potrebbe arrivare qualcuno a dire che tale disagio invece è “misurabile” per i tassi di serotonina presenti nel corpo o magari per la presenza o meno di qualche gene o di altri fattori fisici. Oppure, nel caso si trattasse di una sindrome, sarebbe “misurabile” con i diversi gradi con i quali questa è stata definita. Dico questo perchè è impossibile stabilire una frontiera che dica che un determinato argomento, come può appunto essere quello della volontà e del libero arbitrio, non è indagabile dalla scienza, sia questa “esatta” oppure “meno esatta”. Per quanto riguarda la critica al fisicalismo invece mi associo anch’io, soprattutto se è inteso in senso assoluto.
Ciao Flavio, quando passa una bella ragazza , io te e molti altri, non possiamo fare a meno di girarci. La nostra fisiologia ci impedisce di fare diversamente. Abbiamo una corteccia visiva che ha come superficie la fiancata del Titanic rispetto a quella femminile. È sovrumano riuscire a non girarsi senza provare una enorme curiosità o addirittura del fastidio nel non esserci girati. Poi però possiamo decidere per quanti millisecondo indugiare con lo sguardo, millisecondi, secondi, minuti, a volte anche decenni. Io ad esempio ho superato da tre anni il primo decennio. Libero arbitrio non vale su tutto perché non siamo onnipotenti.
Buonasera Massimo, la questione credo sia dove situare l’asticella della volontà e di conseguenza della natura delle decisioni che a questa seguono. Lei cita l’attrazione tra le persone e so che il cristianesimo (come ogni altra morale d’altronde) dice di non desiderare la donna altrui. Ora le vorrei far l’esempio di un uomo innamorato di una donna, prima fidanzata e poi sposata con un altro uomo (mi viene in mente L’amore ai tempi del colera, di Marquez), che la desidera tutta la sua vita, la desidera ardentemente, tutti i giorni e tutte le notti, ma non si palesa e non gli fa la corte perchè sa che questa donna è sposata. Ora come può immaginare, nessuno si sentirà di condannare o giudicare quest’uomo, giacchè egli vive il suo amore in maniera autentica, pura, esclusiva, personale… per cui è impossibile alzargli obiezioni di alcun tipo. Morale della favola: quest’uomo sta disobbendo ad un importante comandamento, ma nessuno si sente di condannarlo.
Flavio, il “sentire” oppure no la colpevolezza di qualcuno, per un cristiano, non è un criterio affidabile per capire se una persona sta peccando oppure no. “Al cuor non si comanda” e può succedere a chiunque di innamorarsi di una persona che è già impegnata in un’altra relazione, ma l’innamoramento è solo una fase iniziale, anche per gli amori corrisposti, poi subentrano cose che sono determinate da noi e non più dagli ormoni. Ora, non ho letto il libro, purtroppo, ma nella vita reale, non solo per un fatto di peccato, sconsiglierei ad un uomo in quella situazione di rimuginare su una persona che non può “avere” e di comportarsi come se non esistessero altre donne. Nel campo cristiano la non-condanna scatta per tutto ciò che non si può decidere (incluso il passato di chi si è pentito di un male), ma il giudizio può scattare dove subentra la scelta.
Effettivamente credo che nella vita reale chiunque consiglierebbe a quella persona di cercar di distrarsi altrove, ma il mio esempio vorrei servisse per capire che anche nelle scelte che dovrebbero essere più chiare vi è una componente istintuale molto importante e che questo non suppone sempre un fatto negativo, in quanto la nostra volontà non funziona come un interruttore che dice “si/no” davanti ad ogni bivio, anzi a volte la scelta è appunto lasciar fare all’istinto o anche all’azzardo (ad es. la curiosità) senza aver poi troppi sensi di colpa. E’ proprio quell’idea estremamente manicheista, come ho spiegato più sopra a Masiero, che non condivido e per questo credo che non sia il libero arbitrio il problema in sè, ma piuttosto dove si pone l’enfasi.
Il manicheismo che lei condanna non credo faccia parte né del pensiero mio, né di Masiero, né della Dottrina della Chiesa Cattolica: nessuno condanna gli istinti a priori, lei dovrebbe prendersela più con gli stoici o con Kant, forse.
Mi riferico a alla dualità bene/male e di come questa sia esacerbata proprio in ambito religioso, mentre tutti gli altri campi d’indagine sono generalmente più possibilisti. Credo che questo sia un fatto che non si possa negare.
Invece, almeno nel caso del cattolicesimo, è un fatto che si può negare, nel senso che non è proprio nei termini in cui lei lo pone: benché il Bene e il Male esistano (in tutte le religioni e non solo quelle, anche in quasi tutte le filosofie di vita), il fatto che a volte le circostanze generino casi in cui stiamo in una “zona grigia” è una cosa contemplata dai tempi di San Tommaso d’Aquino e prima (faccia una ricerca sui tre aspetti per cui un’azione è detta “buona” secondo il dottore della Chiesa). Saper leggere le circostanze per trarne il bene anche quando non sono perfette è proprio lo spirito con cui è stata redatta, per fare un esempio recente, la relazione del Sinodo sulle famiglie.
Di nuovo, il manicheismo non è un nostro problema.
Io non la vedo così, per me il cattolicesimo non è esente da questa netta ed insalvabile contrapposizione tra bene e male, basta sentire le parole del Papa sul Diavolo in cui ribadisce che non rappresenta un’ideale o un mito, ma è un’entità che esiste veramente ed infatti lo chiama Male con quella stessa maiuscola che usate per scrivere Bene (oppure Verità, spesso a parer mio confondendo con la verità comunemente intesa) che si usa normalmente nello scrivere i nomi propri.
Libero arbitrio… Consapevole che in questo campo s’è detto di tutto (senza trovare una soluzione univoca impossibile) e che le posizioni possono essere innumerevoli (persino un ateo che ci creda in pieno), pongo una domanda:
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Come si concilia filosoficamente un Dio creatore onnipotente che tutto sa delle sue creature con la libertà, il libero arbitrio (inteso come scelte, pensieri, immaginazione…)? Non vi pare che sia più facile che smentisca il libero arbitrio questo (il destino ultimo di una creatura conosciuto da questo Ente soprannaturale) che tutti gli altri limiti posti in luce da Htagliato?
Dove sta la contraddizione, Cipriani, se si ammette, come spiega HTagliato, che Dio pur potendo intervenire decide normalmente di rispettare la liberta’ degli uomini?
PS. Qualche volta mi chiedo se Lei, con questo tipo di domande che sottintendono una contraddizione logica nella dottrina cristiana, non consideri nel Suo intimo tutti i filosofi, teologi e scienziati cristiani una manica di deficienti o se invece chiede per conoscere.
Dio ci ha creati, crea in continuazione nuovi esseri umani, giusto?
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E di ciascuna delle sue creature conosce il destino. Giusto?
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La sua scelta è libera: può creare una persona o farne a meno. Giusto?
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Se decide per la creazione di una persona destinata alla dannazione (Lui, fuori dal tempo, vede nell’immediatezza il destino ultimo di quella sua creatura). Dove starebbe la libertà di quella persona di poter salvarsi? E aggiungo: se quella persona si salva (perché come dite voi è libera di scegliere quella via), smentendo l’esito nefasto già evidente nella mente di Dio, allora si cade in contraddizione, avviene un cortocircuito logico…
Se Dio sa che io non mi salvo, io non sono libero di salvarmi. Se io sono libero di salvarmi e mi salvo, allora Dio sa che mi salvo. Non può sapere entrambe le cose: che mio salvo e che non mi salvo, è impossibile anche per Lui prevedere due avvenimenti contraddittori.
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Non reputo deficiente nessuno, spero di non essere reputato deficiente.
“E di ciascuna delle sue creature conosce il destino. Giusto?”
Faccia attenzione all’uso che fa della parola “destino”: se la intende come “esito escatologico” allora si, Dio lo conosce, ma se lo intende come “cosa che avverrà inevitabilmente” allora è vero che Dio lo conosce ma non è vero che è inevitabile: è il risultato finale delle scelte che il soggetto farà liberamente. Non ci sono “forze” o “vincoli” che vanno ad agire sul soggetto, una cosa è “sapere” un’altra è imporre.
“Se Dio sa che io non mi salvo, io non sono libero di salvarmi.”
No, perché Dio questa cosa la sa “per osservazione” non perché lo decide Lui, punto.
Non ho mai fatto intendere, Cipriani, di reputarLa deficiente. Quindi, quando Lei dice di “sperare di non essere reputato deficiente” è forse Lei che considera talmente assurda la compatibilità dell’onniscienza divina con la libertà umana da considerare deficienti chi non la pensa come Lei. O no?
No, io desidero solo confrontarmi. Ho imparato qui su CS più che altrove che deficiente, eventualmente, è colui che non si mette in discussione. Chi, magari faticosamente, cerca di farlo con vero spirito critico e fame di giustizia, beh di ogni parrocchia egli sia per me è un eroe dei tempi moderni. Quindi bando a ogni dubbio, qui e con quel che affermo, cerco solo di capirne di più e di accrescere, per quanto possibile, superato da un po’ il mezzo del cammin della mia vita, il bene che si può ricavare dalla propria essenza.
Una volta ho ricevuto la stessa domanda da un mio collega agente di commercio, stavamo andando a concludere una trattativa da 75 mila euro, una cosa seria soprattutto per lui che riceveva le provvigioni. Gli dissi che sapevo esattamente che da lì a due ore si sarebbe molto arrabbiato con me. Gli spiegai che avrei potuto descrivere quello scanner per imagino molecolare in modo poco convincente perdendo la trattativa. Sorrise e capì. Per conoscere il futuro serve conoscere chi hai davanti. Più lo conosci e chi interagirà con lui.. Più vai avanti nel suo futuro.
Cipriani ti offro uno spunto di riflessione sebbene non sono sicuro di averlo inteso sino infondo io stesso. Mi pare fosse Origene a interrogarsi sul “tempo di Dio”, sostanzialmente la dimensione del Tempo e il suo scorrere esiste per le creature ma non per il Creatore; quando si dice che Dio è infinito non vuol dire passare per una infinita serie di momenti finiti, ma piuttosto avere come unica dimensione temporale un attimo identico a sè stesso da sempre, se così fosse allora Dio non sceglie non giudica nè condanna; in tutti i suoi aspetti è sempre stato identico a sè stesso egli semplicemente E’ da sempre, ed anche la tua e mia storia personale è sempre stata.
Questa è una idea molto pericolosa ed in odor di eresia e protestantesimo se si cede alla tentazione di credere che sia già tutto scritto e che nulla può essere cambiato; in verità però tu non puoi sapere “cosa” sta scritto dunque, il rassegnarsi è quanto di più fallace possa fare, così dunque non ci si salva solo per fede ma anche per le opere. In un certo senso ci troviamo davvero in una posizione privilegiata, la dimensione spazio temporale in cui ci muoviamo e la sostanziale ignoranza con cui ci muoviamo costituiscono le necessarie premesse per determinare la nostra storia.
Mi rendo conto che è davvero capzioso come concetto non so se ho reso si tratta di una questione di prospettive; nei tuoi pronunciamenti tu parli come se ti trovassi nel “tempo di Dio” cioè l’attimo, ma tu non ti trovi assolutamente in quel contesto tu sei nel tempo che scorre, quindi qualsiasi pronunciamento basato sulla prima visione temporale è errato poichè non ti appartiene.
La sua domanda, Ciprini, mi perdoni se faccio un “meta-commento” (che in generale è da evitare) è MOLTO antica e mi meraviglio che non abbia per es. già studiato le risposte dei filosofi a scuola o almeno la spiegazione poetica di Dante nel Paradiso.
Il Dio cattolico sa, ma non decide; Dio compie una libera limitazione della sua onnipotenza per permettere agli uomini di poter decidere e il fatto che Lui veda passato, presente e futuro non influenza il nostro cervello né la nostra anima. Fine.
Ahahaha HTagliato, avevate (tu e Giorgio) già risposto ma non me ne ero accorto, scusatemi. 🙂
Vincent, va benissimo se porta un contributo ad una discussione già iniziata tra due interlocutori, le chiedo solo la prossima volta di essere un po’ più sintetico, altrimenti un’eventuale quarta persona che ci sta leggendo con interesse (ma che non vuole commentare) poi ci rinuncia, scoraggiato da risposte così lunghe che sembrano un altro articolo.
Ok Htagliato, ma dammi del tu, dopotutto ho 26 anni! 😉
Onniscienza di Dio e libero arbitrio dell’uomo sono un mistero, ma con questo termine teologicamente non si dovrebbe intendere una contraddizione, bensì qualcosa che può assomigliare più a un paradosso logico o scientifico o a una “singolarità”, tanto per provare un approccio più adatto a orecchie scientifiche (o scientiste). Non ho gli strumenti per approfondire l’analisi, ma per me questo mistero potrebbe avere a che fare con il tempo immaginario (immaginario in termini matematici):
https://it.wikipedia.org/wiki/Tempo_immaginario
O comunque il tempo immaginario può servire per intuire come onniscienza divina e libero arbitrio possono non contraddirsi. Del resto parlando della Croce si fa spesso riferimento alle due parti che La compongono come rappresentazione della dimensione orizzontale (terrena) e di quella verticale (ultraterrena). Si potrebbe dire che ogni momento che noi viviamo come un istante dello scorrere continuo e irrecuperabile del tempo in senso orizzontale, a livello verticale e ultraterreno è comunque eterno. Il destino “è già stato” (a viste umane), ma ciò nondimeno noi lo possiamo cambiare in ogni momento con le nostre scelte.
Cipriani, queste obiezioni sono (perdonami) alquanto vetuste.
Innanzitutto, questo tipo di obiezioni implicano una nozione classica di tempo e di futuro che la teoria della relatività ha confutato. Ma anche volendo concepire il futuro in senso classico, dimentichi che Dio è al di fuori del tempo e dello spazio e non esiste né passato, né futuro per Lui. Egli semplicemente è. L’obiezione sull’onniscienza implica invece che anche Dio sia sottomesso alla legge dello scorrere del tempo, il che ovviamente è falso.
Ma l’equivoco più grande e meno sottile in cui inciampa l’argomento è un altro ancora. Ovvero assume che, il fatto che Dio conosca le nostre decisioni “future” allora Egli abbia influenza su di esse. Ma solo perché Dio può prevedere la scelta che faremo non significa che non possiamo scegliere liberamente un’altra opzione. Se scegliamo A Dio aveva previsto A, se scegliamo B Dio aveva previsto B. Dov’è il problema?
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Noi saremmo influenzati se conoscessimo il pensiero di Dio sulla nostra vita, ma non conoscendolo le nostre scelte rimangono libere. Lui non influisce su di esse, ma conosce cosa sceglieremo. Allo stesso modo, noi possiamo prevedere con nostro figlio mangerà la caramella che sua sorella ha lasciato sul tavolo della cucina, ma questo non lo influenzerà a farlo. Mentre noi parliamo di “previsione” per Dio il futuro è “conoscenza certa”, ma il discorso non cambia: la Sua conoscenza delle nostre azioni future non influisce sulla nostra libertà a scegliere come comportarci.
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Per rispondere ho usato la concezione di futuro classica, usata abitualmente da chiunque, mostrando che anche in questo modo di pensare al tempo, onniscienza e libero arbitrio sono chiaramente compatibili.
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Un’altra teoria è quella elaborata da alcuni teologi che, rifiutando il concetto di onnipotenza come non rispondente alla rivelazione biblica, parlano di un “Gott im Leid” (Dio nel dolore) coinvolto e compartecipe nelle sorti della vicenda umana e cosmica, giungendo ad affermare perfino una kenosi intra-trinitaria (Moltmann).
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Non so se lo sai, Cipriani, ma per noi Gesù, che è Dio, incarnandosi si è svuotato (Kenosis, appunto) rinunciando, durante la Sua vita terrena, ad esercitare determinati attributi come l’onniscienza e l’onnipotenza per favorire un’autentica e reale incarnazione, e alcuni teologi affermano che la kenosi sia fin dalla creazione del tutto, non solo fin dall’incarnazione.
Cito da qui http://mondodomani.org/teologia/palmieri2011.htm
Di fronte alla creazione Moltmann si pone le seguenti domande: «Per Dio la creazione è necessaria o soltanto accidentale? Deriva dalla sostanza o dalla volontà divina? È eterna o temporale?».33
Per rispondere a questi interrogativi, Moltmann ricorre al concetto di «contrazione» in Dio (tsim tsum) sviluppato dal cabalista ebreo Isaak Luria34 secondo il quale può esistere qualcosa di esterno al Dio onnipotente ed onnipresente, cioè può avvenire una creatio ex nihilo, solo se precedentemente è avvenuta un’autocontrazione in Dio. Dunque, «per creare un mondo «al di fuori di lui», il Dio infinito deve aver dato spazio, in se stesso, ad una finitudine»35 cioè, per creare i presupposti per l’esistenza dell’altro da sé, ha ritratto la propria presenza e potenza: questo spazio che si determina per l’autocontrazione di Dio Moltmann lo definisce «spazio di abbandono di Dio» perché esso è un «nihil nel quale Dio crea la sua creazione e la conserva all’esistenza».36
Questo far spazio in se stesso ad un altro ci dà, secondo Moltmann, una raffigurazione di Dio di tipo femminile che si discosta nettamente da quell’immagine patriarcale di Dio che ha legittimato nel passato il potere del padre sui figli e la moglie e il potere assoluto del sovrano sul popolo. Questa immagine patriarcale di Dio i cristiani l’hanno mutuata dalla religione e dalla cultura romana per cui, a partire dall’epoca costantiniana, Dio è stato visto come il Signore e Padre, come colui che dispone «della vera potestas vitae necisque su tutti gli uomini.».37 Ma è questo il Padre verso cui Gesù si rivolgeva amorevolmente chiamandolo Abbà? È questo il Padre che Gesù ci ha insegnato a invocare attraverso la preghiera del Padre nostro? Dalle Scritture sembra proprio di no perché in esse «l’Abbà di Gesù è quel Dio che in modo materno si impietosisce di quelli che versano nell’abbandono, e un giorno «tergerà tutte le lacrime dai loro occhi» (Ap. 21, 4)».38
Questo Padre «materno», dunque, che si impietosisce per la sua creatura è quel Padre che, per permettere a quella stessa creatura di nascere, le ha fatto spazio dentro di sé limitando se stesso e questa autolimitazione che Dio opera su se stesso per rendere possibile la creazione Moltmann la vede come una vera e propria autoumiliazione, una Kenosi, in quanto Dio contrae se stesso per far spazio all’altro, l’Infinito si auto contrae per fare spazio al finito.
Questa autoumiliazione ha luogo prima dell’atto della creazione per cui si può affermare che «il primo di tutti gli atti non è un atto di rivelazione ma un atto di occultamento, non una dilatazione ma una limitazione divina.».39 Dio, dunque, è kenotico fin dal principio perché contrae se stesso affinché l’altro possa avere uno spazio per nascere e tutto questo Egli lo fa per amore: «l’amore creatore di Dio è fondato sul suo amore che si umilia, si abbassa. È appunto l’inizio di quell’autoalienazione di Dio che Fil. 2 considera come il mistero divino del Messia. Già per creare il cielo e la terra Dio si è estrinsecato dalla sua onnipotenza ed ha assunto, da Creatore, l’immagine di servo.».40
3.2. L’incarnazione del Figlio
«La kenosi divina, che ha inizio con la creazione del mondo, raggiunge nell’incarnazione del Figlio la sua figura completa»41: l’incarnazione, dunque, è per Moltmann il culmine del processo di autocontrazione e autoabbassamento, di Kenosi, di Dio. Moltmann, infatti, rifiuta la tesi sostenuta da alcuni teologi secondo cui l’incarnazione del Figlio ha avuto luogo al fine di riconciliare gli uomini con Dio per cui si è resa necessaria a causa del peccato dell’uomo e aderisce piuttosto alla tesi che afferma che l’incarnazione sia stata voluta da Dio fin dall’eternità indipendentemente dal peccato dell’uomo. Sarebbe riduttivo, secondo il nostro autore, considerare l’incarnazione come una semplice «misura necessaria» che Dio prende per risolvere il problema della presenza del peccato nel mondo perché «nell’incarnazione del Figlio abbiamo ben più che un mezzo atto allo scopo e la cristologia è ben più di un presupposto per la soteriologia.».42
Moltmann, dunque, ritiene che l’incarnazione sarebbe avvenuta anche nel caso in cui l’uomo non avesse peccato perché l’incarnazione è la conseguenza dell’amore di Dio. Quello stesso amore quindi che ha prodotto la prima kenosi, cioè quell’autoumiliazione di Dio che ha permesso la creazione, ha prodotto anche questa nuova kenosi che è l’incarnazione la quale non è finalizzata in prima istanza a salvare l’uomo dal peccato ma all’autocomunicazione di Dio al suo mondo.
Ma l’incarnazione di questo «Dio solidale» che vuole auto comunicarsi alla sua creatura unendosi ad essa nell’incarnazione e che, in questo modo, patisce per noi e con noi, è un atto divino rivolto solo all’esterno oppure ad esso corrisponde anche un processo intratrinitario? Come abbiamo detto, secondo Moltmann, «la kenosi divina, che ha inizio con la creazione del mondo, raggiunge nell’incarnazione del Figlio la sua figura più completa»43: egli vede dunque l’incarnazione come l’acme di quella serie di autoumiliazioni che Dio opera su se stesso per fare spazio alle sue creature. Nell’incarnazione del Figlio il Dio Uno e Trino diventa il «Dio umano» operando su se stesso la più completa autoumiliazione in quanto, attraverso l’incarnazione, «Dio non entra soltanto nella finitudine dell’uomo ma anche nella sua situazione di peccato e di abbandono da Dio. Non entra soltanto in questa situazione ma l’accoglie pure e la tramuta in un brano della sua propria ed eterna vita. La kenosi si realizza sulla croce».44
Questa kenosi, dunque, non è soltanto funzionale alla redenzione dell’uomo ma produce anche dei cambiamenti a livello intratrinitario: infatti, secondo Moltmann, «l’incarnazione all’esterno presuppone l’autoumiliazione all’interno. Per tale motivo l’incarnazione incide sui rapporti interiori della Trinità.».45 La motivazione di tutto questo movimento kenotico è l’amore: l’amore di Dio cerca una risposta d’amore da parte dell’uomo ma, essendo l’uomo immagine di Dio, questa risposta dell’uomo deve essere necessariamente data liberamente. Dio non può dunque costringere l’uomo a rispondere al suo amore e così «per garantire questa libertà e la risposta proferita in libertà Dio si limita e si aliena. Riduce la propria onnipotenza perché confida nella libera risposta dell’uomo.».46 L’incontro fra Dio e l’uomo che garantisce questa libertà di risposta è appunto l’incarnazione: in essa, infatti, «Dio incontra l’uomo non «in modo divino» ma «in modo umano» nel Figlio incarnato e crocifisso. Rispetto all’onnipotenza divina ciò significa limitazione e rispetto alla bontà divina dilatazione.».47
Questo significa che l’amore e la bontà divina si dilatano in maniera incommensurabile nell’incarnazione, in essa Dio è forte nella sua debolezza perché in essa il suo amore si esprime in tutta la sua potenza: «Dio non è mai tanto «grande» quanto lo è nella sua umiliazione, mai tanto glorioso quanto lo è nella sua impotenza, mai tanto «divino» quanto lo è nella sua incarnazione.».48
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Come vedi quindi ciò che hai esposto non rappresenta affatto un problema per la nostra teologia.
Ringrazio HTagliato per aver trattato col suo caratteristico stile semi-leggero questo tema importante. La mia posizione sul libero arbitrio è che
1) esiste,
2) la sua esistenza non è dimostrabile né negabile con mezzi scientifici,
3) la sua esistenza è incompatibile con il fisicalismo e
4) la coesistenza sociale non può conservarsi senza postularne l’esistenza.
Quella di Hofstadter è una posizione spettacolare (molto confusa e anche contraddittoria) e gli esperimenti di Libet (e di altri neuroscienziati dopo) non ne dimostrano l’inesistenza, come del resto lo stesso Libet ha precisato: una cosa è l’apprensione, un’altra il giudizio come ben spiegato in un articolo del fisico Tito Arecchi (http://www.enzopennetta.it/2012/11/fenomenologia-della-coscienza-dallapprensione-al-giudizio/ ) consulatabile su CS.
Prego, prof., sono contento che le sia piaciuto l’articolo; sono d’accordo con tutti e 4 i suoi punti, ottimo riassunto della questione!
Buon articolo , htagliato: ma sarà difficile trattarlo molto meglio che nell’esame scritto di filosofia di fine di liceo classico ( se ce n’è uno in Italia, come esiste in Francia ad esempio).
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Le mie osservazioni:
(a) La descrizione scientifica del mondo attuale ( il mito scientifico in voga oggi) è compatibile con l’esistenza del libero arbitrio da quando si è abbandonata grazie alla MQ e alla termodinamica dei sistemi lontani dagli stati di equilibrio l’insopportabile pretesa newtoniana che la determinazione di uno stato fisico implichi la predicibilità dei singoli avvenimenti: sottolineo che non lo dimostra né lo inficia, giusto che il libero arbitrio in quanto fenomeno è ammissibile nelle teorie fisiche odierne.
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(b) Il libero arbitrio in quanto tale non può essere oggetto di ricerca scientifica: libero arbitrio sta a contrazione di liberum arbitrium voluntatis e la volontà è una caratteristica dello spirito umano e, come tale, non può essere oggetto di studi scientifici in quanto tale. A comprova il fatto che che il libero arbitrio è individuale e quindi irriproducibile: un discorso scientifico verterà su comportamenti di insiemi di umani e non sull’individuo in quanto tale; per giunta il discorso scientifico esiste solo quando riproducibilità e predicibilità sono possibili almeno in principio, il che è per definizione quel che non è il libero arbitrio
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(c) bisogna distinguere tra liberto arbitrio della volontà che è una potenza della persona umana dalla nozione di libertà che è uno stato della stessa persona umana. La libertà è lo stato nel quale la potenza di libero arbitrio aumenta, ma non è l’esercizio stesso del libero arbitrio: uno che impara a cantare o a pensare filosoficamente è più libero di uno che non li ha imparato, infatti il suo libero arbitrio di utilizzare o no il canto o la filosofia è molto più importante di quello di uno che non li ha imparato e che proprio è impossibilitato ad accedere al ballo e alla filosofia e ne è handicappato fisicamente e intellettualmente
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(d) dalla relazione tra libero arbitrio e la libertà si può costruire una morale: un atto di libero arbitrio della volontà è buono quando accresce la mia libertà cioè mi permette di raggiungere un livello ancora più elevato di libero arbitrio ed è cattivo quando diminuisce la mia libertà cioè la mia possibilità di libero arbitrio.
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(e) importante è ricordare che, apparentemente paradossalmente, più un atto buono è ripetuto fino al punto di diventare un automatismo inconscio, più sono in realtà libero è quel che si chiama virtù: essere virtuoso è essere capaci in modo automatico di accrescere la propria libertà, più ci si esercita ad essere temperanti più lo si diventa e più si è liberi di fronte alle varie concupiscenze. A contrario è vizioso chi si rinchiude in atti (ossessivi e deterministici) che costringono la libertà, come il drogarsi, praticare l’onanismo, la pigrizia, eccetera.
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(f) Dio è pura libertà.
Grazie Simon, chiarisco solo una cosa sul punto (a) (essendo d’accordo con “b” e apprezzando i punti “c”, “d”, “e” ed “f” che sono di fatto un approfondimento):
la MQ stabilisce che posso conoscere lo stato di un sistema ma che questo non è univocamente determinato (cioè è in una sovrapposizione di stati a meno di un collasso della funzione d’onda), ma tale stato è solo INDETERMINATO, non LIBERO. Il collasso in un particolare stato segue leggi stocastiche certo, non deterministiche, ma che comunque non c’entrano con cose come la libera volontà, coerentemente con il punto b.
Concordo con Htagliato: l’indeterminismo della MQ non ha nulla a che vedere col libero arbitrio.
Credo, caro htagliato, che hai sovrainterpretato il mio commento (a): non ho fatto nessuna affermazione di libertà in relazione ad uno stato quantistico e come avrei potuto farlo quando al punto (b) ben chiarisco che ciò non è scientificamente possibile? Concedimi almeno di essere coerente in uno stesso intervento anche se tra due paragrafi differenti (a) e (b)!
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Ho solo detto che la MQ e la termodinamica à la Prigogine sono compatibili (come qualunque fisica di fondazione aristotelica senza congetture newtoniane) con la presenza di attori fisici possedenti il libero arbitrio, mentre invece la fisica newtoniana non lo è per costruzione.
Bene, allora se non sbaglio la sua è un’idea a cui pensò anche Penrose: un ente dotato di libero arbitrio potrebbe realizzarlo fisicamente sfruttando l’indeterminazione degli stati quantistici, anche se poi il problema verrebbe spostato al capire di che cosa sarebbe fatto questo “attore fisico possedente il libero arbitrio”. Infatti, per ora, gli enti che permettono il collasso della funzione d’onda solo a loro volta enti fisici ben noti e banali, come rivelatori e altri strumenti di misura usati da uno sperimentatore.
È un modo di approcciare il problema, ma ancora una volta non è il mio che è prettamente aristotelico-tomista.
Il libero arbitrio è esercitato dalla volontà, e questa è una proprietà della forma umana e, come già abbiamo discusso in lungo ed in largo nei posts precedenti, non è materiale e quindi non risiede in un solo luogo: non c’è principio di località che la costringe e questo gli permette di informare qualunque corpo (per definizione materiale), ma questo è compatibile solo con sistemi fisici che permettono stati perfettamente determinati ma le cui attualizzazioni individuali (risultati sperimentali singoli, particella per particella ad esempio) rimangono a priori imprevedibili, ovviamente.
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A questo punto vorrei rendere attenti i lettori che i neuroni non si trovano solamente nel cervello (85 miliardi) ma anche ovunque nel corpo (500 milioni) ; i primi dei quali finora abbiamo identificato 100 neurotrasmettitori e nei secondi già ben 40; il cervello producente 50% della dopamina ed i neuroni non cerebrali il restante 50%; i neuroni cerebrali 5% della serotonina e gli altri il 95%.
Questo per chi “crede” che la coscienza sia “nel”cervello o in un “luogo” particolare….
Grazie Simon per gli ulteriori chiarimenti sulla sua posizione e per gli approfondimenti di neurologia.
Buongiorno,
anch’io ringrazio htagliato per questo pregevole articolo, in questo simpatico stile (come osservato) semi-leggero.
Vorrei esprimere un parere al riguardo, ma ammetto che le mie idee sul libero arbitrio e sul rapporto mente-cervello, pur propendendo per una soluzione anti-riduzionistica, siano pure affascinate da posizioni simili a quella di Hofstadter (o meglio, propendo per una derivazione metascientifica, pur ignota, della mente dal cervello). Purtroppo, in verità, mi rendo spesso conto di essere ignorante ed auto-contraddittorio al riguardo. Per tal cagione preferirò osservare la discussione, piuttosto che scrivere cose di cui potrei pentirmi o aver ripensamenti.
Grazie ancora ad htagliato, e buon fine-settimana.
Grazie Alio, se davvero è convinto di non avere le basi per commentare, può eludere l’ostacolo esprimendo un suo pensiero in forma di domanda, in modo che qualcun’altro che lei reputa più preparato potrà risponderle.
Caro ħ, era un po’ che non mi trovavo a commentare i tuoi articoli!
Secondo me si fa sempre bene a criticare le idee di oltre trenta anni fa, altrimenti non ci si muoverebbe mai!
Ed infatti ho avuto non solo il piacere di leggere quel libro, ma anche di presentarlo ad una persona che fa ricerca nel settore dell’intelligenza artificiale e mi ha confermato che queste idee non solo sono molto filosofiche e poco pratiche, ma sono anche obsolete. Con questo non voglio sminuire il pensiero di Hofstadter, questo libro è ricco di spunti riflessivi e secondo me regala tantissimo a chi lo legge, solo farti i miei complimenti per non esserti fatto prendere dal senso di reverenza!
E mi trovo anche d’accordo con la conlcusione finale, il libero arbitrio è, aggiungerei come la religione, qualcosa in cui si può credere o meno. Questo guiderà le nostre scelte quotidiane, anche mentre lavoriamo, ma la scienza non può porsi questo problema perchè è fuori dai suoi limiti. Non ho mai sentito parlare uno scienziato che lavora nell’ambito dell’intelligenza artificiale di libero arbitrio, se non quando decideva consciamente di prendersi una pausa dal lavoro e filosofeggiare!
Bene, Koala, grazie per le tua testimonianza!
““Se Dio sa che io non mi salvo, io non sono libero di salvarmi.”
No, perché Dio questa cosa la sa “per osservazione” non perché lo decide Lui, punto.”
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Questo potrebbe essere estremamente convincente… Ci medito su.
Bellissimo articolo e molto interessanti i commenti, grazie.
OT un articoletto su Alva Nöe e il suo “perché non siamo il nostro cervello” ? Ne avete già parlato altre volte?
Grazie Alé Udin! Non conosco Alva Noe, anche se abbiamo discusso spesso, specie negli ultimi giorni, del rapporto mente-cervello.
Bell’articolo anche se la chiosa finale conferma il mio punto di vista sulla filosofia in generale.
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A questo punto ho una domanda: Dio ha il libero arbitrio?
Certo e sceglie sempre la propria infinita libertà, analogicamente a qualunque persona di provata virtù.
Qual è, Luca M., se posso chiedere, il Suo “punto di vista sulla filosofia in generale”?
Grazie Luca, ma anche io, come Masiero, vorrei chiederti qual è il suo punto di vista sulla filosofia in generale per capire in che modo la chiosa finale lo confermi.
P.S.: Dio ha il libero arbitrio, come già spiegato da Simon.
Si può dire, a proposito del libero arbitrio dell’Ente soprannaturale, che poteva fare o non fare quel che ha fatto. Ha scelto di farlo, rinunciando a non farlo e quel che davvero sgomenta è che sapeva che l’avrebbe fatto e che non sarebbe stato possibile non farlo… Un bel rompicapo anche questo, insomma. Da lasciare ai filosofi di base che non scalano i picchi eccelsi della filosofia, della teologia.
@Cipriani
stai facendo dell’antropomorfismo, Dio non decide o cambia idea come un uomo immerso nel tempo, è tutto immediato, istantaneo contemporaneo dal Suo punto di vista.
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Su http://www.accademiadelredentore.it/ sezione filosofia o teologia padre Barzaghi, trovi un sacco di bellissime conferenze che parlano anche di questo.
Non vedo nessun rompicapo, Cipriani, semplicemente il fare una scelta e sapere di farla è cosa ovvia e non limita la libertà; ogni ente libero è un ente che si auto-determina, sono solo modi diversi di dire la stessa cosa.
“Io sono libero”=”io mi determino da solo a fare le cose”.
Al di là delle altre considerazioni, ma come farebbe a esercitare il libero arbitrio un Ente che non vive nel tempo… Cioè se non c’è un prima e un dopo la sua “libera” scelta?
Vedo adesso quel che risponde il forza udinese sopra… Deve girargli parecchio la testa a Uno che vive tutto contemporaneo, istantaneo… che esegue una libera scelta nell’istante, l’unico che gli è presente e che non ha né prima né dopo.
Premesso che per le questioni più profondamente teologiche conviene chiedere a persone come Simon, Dio vive in un tempo che non è il nostro, cioè è come un eterno presente, ma che non deve essere inteso come un tempo contratto in un solo istante, con conseguente incapacità di agire (è più un “tempo di secondo livello”). È il modo in cui Dio vede il nostro tempo dal suo punto di vista che invece è “panoramico”, come se tutto avvenisse in un solo istante.
Cipriani, be se vogliamo scherzare, l’amore fa girare la testa e visto che Dio è Amore… Inoltre gira parecchio visto che non è Uno ma Tre che sono Uno in continua relazione d’amore.
Ovviamente Cipriani fa (apposta per teppismo, perché non credo che sia così ignavo) dell’antropomorfismo.
Ma anche in un quadro antropomorfico poteva rispondere alla sua domanda alla quale avevo già dato risposta in quella a Luca M.
Infatti, un essere virtuoso sceglierà solo soluzioni che aumentano e non diminuiscono la sua virtù, in quanto scegliere qualcosa di non virtuoso diminuisce la propria libertà.
Ma non c’è diminuzione di libero arbitrio, anzi questi, in quanto potenza, accresce sempre di più: per questo Dio è Dio appunto in quanto non sceglie mai il male anche se ha l’assoluta libertà di farlo, per parlare antropomorficamente.
Tu, Simon, che sei in fondo più teppista di me, non fai antropomorfismo e sembra che conosca Dio meglio di noi tutti… Devi essere, come i grandi teologi, un espertissimo delle qualità e proprietà divine… Mi chiedo come fai, ragionandoci umanamente, intendo.
LOL
😀
@prof Masiero & htagliato
Dopo duemilacinquecento anni di filosofia siamo qui a porci ancora le stesse domande che si poneva Platone, per cui non è vero che la filosofia cerca la verità, semplicemente il filosofo è un bravo retore, un giocoliere delle parole.
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«P.S.: Dio ha il libero arbitrio, come già spiegato da Simon.»
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Simon non ha risposto ma si è limitato, come sempre, a fare un gioco di parole.
La miglior definizione di filosofia la lessi anni fa su Dylan Dog: «La filosofia è la scienza con la quale o senza la quale tutto resta tale e quale».
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Ed è pure un gioco di parole! 🙂
Dylan Dog, l’indagatore dell’Incubo… Peccato abbia perso il mordente di allora, oggi s’è un po’ perso anche lui, peccato! E scusate l’OT di un bonelliano doc.
In realtà la filosofia è molto più “concreta” di quello che sembra, principalmente per tre motivi:
1) la Scienza sperimentale è figlia di un set di posizioni filosofiche imprescindibili (realtà oggettiva, leggi eterne e universali, natura descrivibile con l’intelletto, matematica applicabile alla natura….)
2) Quando si compie una scelta, spesso si da per scontato di conoscere le alternative e il problema sta nel trovare la migliore, ma cosa c’è all’origine di un insieme di possibilità? È sempre la filosofia (la propria filosofia di vita) a stabilire le alternative, perché la filosofia è esercizio di pensiero e osservazione della realtà senza di essa le alternative si riducono
3) Senza filosofia non vi è etica.
Qui non si nega che la filosofia occorra, senza saremmo tutti morti, manco agnostico spirituale potrei essere. Qui si nega, piuttosto, la cattiva filosofia e il filosofeggiare per sofismi tipico di molti guru e cervelloni che seminano vento… A noi del popolino serve una filosofia concreta, chiara e anche portatrice di giustizia, oltre che di cerca della verità, perché no?
Cipriani, io stavo rispondendo a Luca che mi è parso molto più radicale di lei nell’attaccare (tutta) la filosofia…che come diceva Aristotele bisogna necessariamente farla per poterla attaccare!
La cattiva filosofia su CS la denunciamo spesso, su quale sia quella concreta, chiara e portatrice di giustizia oltre che di ricerca della verità non l’abbiamo ancora fatto in modo formalmente organizzato ma solo nello stile di CS, per esempio apprezzando il lavoro di altri, tipo http://www.enzopennetta.it/2015/09/la-donna-che-disse-no-a-truman/
Luca M. sa perchè Dio ha il libero arbitrio? Perchè la libertà è scegliere la Verità.
Già: la verità rende sempre più liberi.
Chiedo: un’affermazione come questa non presupporrebbe averla conosciuta (raggiunta) tutta, la verità?
Meglio se è il caso.
Ma anche con il ragionamento ci si arriva: se sono un capo impresa sono più libero circa la mia decisione se conosco bene o se conosco meno bene la vera situazione della mia impresa?
Luca M., credo anch’io che la teologia sia da questo punto di vista (la capacità di giocare sulle parole e le loro sfumature) l’arte più sopraffina… Alcuni dicono la scienza più imperfetta, altri il contrario. Ma il bello è proprio questo: già sull’argomento di base oggi in essere si potrebbe imbastire una discussione chilometrica senza far spostare di una virgola i diversi interlocutori riguardo a qual che credono o non credono, ritengono o non ritengono, sostengono o non sostengono…
La teologia non è retorica, è “solo” una filosofia come le altre con le sue premesse, le sue conseguenze e le sue conclusioni: può non condividere le premesse (la fede), può considerarle solo dei postulati, ma TUTTE le filosofie, anche il materialismo radicale, altro non sono che dei postulati da cui si traggono conseguenza nel modo quanto più rigoroso possibile.
Il fatto che le opinioni degli altri (e le sue) non cambierebbero con una lunga discussione 1)non è detto, è solo improbabile; 2) non implica che la discussione sia inutile, perché il far cambiare opinione è solo uno dei tanti motivi per cui si può imbastire una discussione (chiarimento delle proprie posizioni, approfondimenti, limiti che non si notavano, conseguenze mai osservate…)
La filosofia cerca la Verità, il problema è che nessuno l’ha trovata in modo definitivo, o meglio, ci sono stati parecchi filosofi che erano sicuri di aver trovato la Verità su qualcosa, ma poi un filosofo successivo ha detto “Non sono d’accordo perché…”.
In genere se la filosofia le sembra solo retorica è perché non ne comprende né il contenuto né l’importanza, inoltre anche la scienza non le assicura la Verità (veda http://www.enzopennetta.it/2015/07/il-principio-di-autorita/)
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Visto che la risposta di Simon non l’ha compresa, le dico io che il Dio (cattolico) è dotato di libero arbitrio.
Che htagliato mi permetta un apparente OT (ma in realtà scavando, non così tanto OT) per illustrare alcune curiosità intellettuali da prendere con sorriso, ma senza scartarle a priori.
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Come notato nei posts precedenti l’autocoscienza à l’atto immediato e volontario (cioè espressione di libero arbitrio) di una conoscenza che si conosce ( pensare pensare, cogito ergo sum, etc): questa informazione è, come ognuno di noi può sperimentare, assolutamente istantanea e perduratile su un “tempo” indeterminato dipendente dalla volontà che la attua.
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Da questo se ne deduce che se ci fosse un “organo” dell’autocoscienza esso dovrebbe essere di dimensioni inferiori alla distanza di Planck, cioè 1,616 252 x 10^(-35) m: sennò ci vorrebbe un tempo finito per l’informazione per propagarsi da un punto all’altro di quest’organo e permettere l’istantaneità.
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Dalla relatività ristretta sappiamo per altro che l’informazione viaggia ad una velocità massima di 3×10^8 m/s: questo implica che le informazioni che ricaviamo dal nostro corpo con una distanza media di 1 metro, sono in media generate 3×10^(-8) secondi prima nel nostro passato: cioè noi siamo nel futuro dell’universo e più particolarmente nel futuro del nostro stesso corpo.
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Se prendiamo come volume della scatola cranica media 1500 cm3 e assumiamo avere 10^11 neuroni, se non mi sono sbagliato nei miei calcoli ( rifateli e correggetemi) la distanza media tra due neuroni è dunque di 25 10^(-6) cm il che vuol dire che il cervello è in media 10^(-13) secondi indietro di noi cioè, rispetto al tempo di Planck, che è di 5,39106×10^(-44) secondi cioè 31 ordini grandezza inferiore!
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Allora. non solo non è possibile dire dove si trova la forma umana ma neanche… quando 😉
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Un occhiolino a tutti! 😉
ERRATA CORRIGE:
“sennò ci vorrebbe un tempo finito per l’informazione per propagarsi da un punto all’altro di quest’organo e permettere l’istantaneità : per essere comprensibile va da essere letto cosi`:
“sennò ci vorrebbe un tempo finito per l’informazione per propagarsi da un punto all’altro di quest’organo e non ne permetterebbe l’istantaneità sperimentata da ognuno di noi.”
Mille scuse.
@ Luca M.
Grazie di avermi risposto.
Lei scrive: “Dopo duemilacinquecento anni di filosofia siamo qui a porci ancora le stesse domande che si poneva Platone, per cui non è vero che la filosofia cerca la verità, semplicemente il filosofo è un bravo retore, un giocoliere delle parole”.
Osservo:
1) Le due conseguenze (“… per cui non è vero che la filosofia cerca la verità, semplicemente il filosofo è un bravo retore”) che Lei trae non discendono logicamente dalla premessa (“Dopo duemilacinquecento anni di filosofia siamo qui a porci ancora le stesse domande che si poneva Platone”);
2) anche Lei non rinuncia a filosofare, seppur in modo logicamente errato, in questo caso. Sembra dunque che la filosofia sia inevitabile.
Mi permetta a questo punto 2 altre domande:
a) che cosa intende per “verità”, cui Lei e tutti aspiriamo?
b) quale via, se esiste, consiglia per arrivare alla verità?
@ prof Masiero
Si, ha ragione a dire che le conseguenze non seguono logicamente la premessa, ma la logica non è tutto.
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« a) che cosa intende per “verità”, cui Lei e tutti aspiriamo?»
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Intendo una verità eterna, immutabile, esterna e indipendente dall’uomo ma comunque intelligibile.
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« b) quale via, se esiste, consiglia per arrivare alla verità?»
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Qui mi coglie impreparato. Secondo me non esiste nessuna via certa per giungere alla verità. Per me Dio, cioè l’intelligenza creatrice dell’universo, non è raggiungibile dalla mente umana, sostenere il contrario equivarebbe ad abbassarlo a livello dell’uomo, un essere decisamente imperfetto. Ogni verità dovrebbe avere lo stesso peso però c’è comunque il problema che alcune verità possono essere più esatte di altre, come ci mostra la scienza, almeno fino a quando non si trova un dato che le confuti costringendoci a ritornare sui nostri passi oppure a cercare altre vie.
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Nè la filosofia nè la scienza possono aiutarci nella ricerca della verità, dobbiamo comunque continuare a provare.
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Anch’io vorrei farle un paio di domande se posso:
1)Dio ha il libero arbitrio? (Nè Simon, nè htagliato hanno risposto)
2)Come fanno i cattolici a dire che Dio non è Ialdabaoth? (Questa è OT)
1) Certo che ho risposto (http://www.enzopennetta.it/2016/01/il-libero-arbitrio/#comment-46042), la risposta è Sì
2) È per fede che per i cattolici Dio è quello della Bibbia, per cui tutto si riconduce alle ragioni della fede del singolo credente (che in genere tra cristiani sono riassumibili nel cosiddetto “incontro con Cristo”).
P.S.: Almeno in questa vita, anche secondo i Cattolici Dio non è (completamente, cioè nella sua essenza) conoscibile.
Anche io ho risposto (in http://www.enzopennetta.it/2016/01/il-libero-arbitrio/#comment-46030 )
Non solo! Ma ho anche esplicitato la conseguenza di tale risposta: se non la capisci, prego, chiedi chiarimenti con domande sensate addizionali.
Citando nell’articolo Hofstadter e Odifreddi assieme, non può mancare una menzione ad uno scritto di quest’ultimo che risale a più di 20 anni fa, QUESTO.
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Volendo poi apportare un contributo modesto alla discussione, mi sentirei di dire che:
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1) proprio in virtù di teoremi fondamentali di meta-matematica, la costituzione simbolica deve avvenire “al di fuori” del sistema che manipola simboli;
2) l’attività del pensiero è irriducibilmente legata alla costituzione di simboli logici che poi la capacità computazionale del cervello andrà a manipolare.
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Ora, in chiave monista-materialista, dato che ogni processazione dell’informazione avviene all’interno del singolo cervello umano, dovendo avvenire la costituzione simbolica al di “fuori” del sistema, quale sarà questo “fuori”? A me pare che la risposta sia una sola: i simboli devono essere attinti esternamente da una sorta di “intelligenza universale”. [Questo è un tema ricorrente nella storia del pensiero: storicamente infatti una intelligenza simile è stata identificata nel dio dei neoplatonici, nell’intelletto separato averroista, il dio cartesiano, il dio sive natura spinoziano etc.]
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Ed è proprio questa la conclusione a cui giunge Hofstadter, che identifica neospinozianamente tale IU con il presunto determinismo assoluto della natura fisica. Ma i cervelli umani, appartenendo ovviamente anch’essi alla natura, dipenderanno TOTALMENTE dalle sue leggi.
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Ed ecco che per voler negare l’immaterialità delle facoltà superiori dei singoli individui umani (il “fuori dal sistema”) , il prezzo da pagare è quello di negare che essi siano realmente in grado di pensare e di deliberare, atti – questi ultimi – che sono dunque irriducibilmente legati all’immaterialità delle suddette facoltà. Se poi la forma sostanziale dell’uomo da cui tali facoltà dipendono sia anche sussitente (possa cioè sussitere dopola morte della persona) è una questione indipendente che in questa sede è possibile tralasciare.
Grazie per il suo contributo, Vianegativa: sono abbastanza d’accordo con l’articolo di Odifreddi e anche con il suo modo, Vianegativa, di vedere l’argomento di Hofstadter come una variante dell’intelligenza universale è molto interessante, non ci avevo pensato.
Intervento succulento, caro Via Negativa e ragionamento stringente. Grazie
[Errata corrige: sussiStente, sussiStere]
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Grazie a voi. Certo che se possiamo considerare l’argomento stringente, bisognerà giocoforza considerare allo stesso modo quello di Nagel al darwinismo-riduzionista! 😉
Quella è sofistica.
Tale “attrezzatura” la rivelerai specialmente nei dibattiti politici o ” l’arte della supercazzola” che tutto domina e che molti fa votare,che molti porta allo sterminio più della bomba atomica.Niente ha ucciso più esseri umani di ideologie sofistiche,nessun arma puo creare tanta devastazione come la persuasione che ti spinge a usarla,e infondo niente può rendere più schiavi ma apparentemente liberi.
Sono le armi che uccidono o le parole che portano a usarle?Sono le guerre che uccidono o le parole che portano a persuadere nel farle?
Riprendo Dylan Dog: «La filosofia è la scienza con la quale o senza la quale tutto resta tale e quale».
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Non credete che l’affermazione contenga/esprima una parte delle verità che tutti cerchiamo?
No, perché anche l’uomo più ignorante e/o che odia di più la filosofia NON può non avere, di fatto, una sua filosofia, cioè una sua posizione su
– l’esistenza (a prescindere dalla conoscenza) della Verità oggettiva
– l’oggettività oppure no del reale
– l’esistenza del Bene e del Male
– la forma più adatta di governo di un popolo
– altro…
Quella frase di Dylan Dog è quella tipica dello studente svogliato che crede di essere pragmatico ed efficiente quando non cerca la consapevolezza delle sue inevitabili posizioni filosofiche, ma di fatto appoggerà nella vita qualche filosofia minore alla moda senza rendersene conto, in primis l’edonismo reaganiano= “goditi la vita e fregatene dei problemi profondi”.
Ciao htagliato.
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Non so se hai mai letto Dylan Dog ma sappi che è un fumetto ricco di filosofia, in particolare di esistenzialismo (le storie scritte da Sclavi sicuramente).
Se non ricordo male quella frase la pronuncia Groucho, il folle assistente di Dylan, in una storia intitolata “Il Signore del Silenzio” dove l’indagatore dell’incubo è sulle tracce del testo di Uskebasi, un antico filosofo alle dipendenze di re Salomone, capace, con un perfetto ragionamento, di portarti al suicidio, perché contiene la risposta riguardo il senso della vita. La nuova ragazza di Dylan, studentessa universitaria, è appassionata di filosofia, particolarmente di tutte quelle domande che assillano chiunque abbia molto tempo per pensare e tenta di coinvolgere Dylan in una discussione ma lui risponde con la solita amara ironia: «Sono problemi da liceali,Justine. Poi si cresce e le domande diventano davvero fondamentali. Tipo: come faccio a pagare il mutuo della casa?». Dopo l’inevitabile serie di morti Lord Wells, uno dei pittoreschi personaggi che popolano l’universo dylaniato, dice «ancora una volta, come fece Salomone, scacciamo Uskebasi con la sua tremenda risposta! E che la morale sia non chiedersi mai qual è il senso della vita».
Quindi la tesi qui sarebbe “meglio il suicidio dell’intelligenza che correre il rischio della tremenda risposta”.
Visto che l’intelligenza assieme alla volontà è quel che definisce una persona umana, tale suicidio dell’intelligenza è equivalente al suicidio della persona umana.
In altre parole, meglio vivere da bestie che da umani.
Adesso ho capito dove vanno a parare certi utenti. 😀
E se invece la morale fosse che la ricerca della Verità, e la pretesa di possederla, sia la causa di male anziché di bene?
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“Certi utenti” non vogliono andare a parare da nessuna parte, fanno semplicemente qualche domanda.
Comunque la Verità non può essere posseduta: se lo fosse allora chi la possederebbe ne potrebbe fare quel che vuole, come ogni proprietario.
La ricerca della Verità è invece cosa sempre buona se ci si mette umilmente in una relazione di dipendenza ad Essa.
In finis, la Verità nessuno se la può dare e ancor meno darla ad altri: al massimo si può proporre il cammino per incontrarLa e percorrerlo assieme.
@ Luca M.:
ho letto alcune storie di Dylan Dog, conosco lo stile del fumetto.
Sono esistiti filosofi che erano convinti di aver trovato la Verità e non nego che tale approccio possa essere pericoloso (pensi alle ideologie del Novecento), ma esiste anche il male opposto, più subdolo ma sempre nocivo: vivere ignorando la ricerca della Verità e smettendo di meravigliarsi di fronte al Reale (dovrebbe essere questo senso di meraviglia l’origine di una ricerca filosofica, non la pretesa snob di sapere tutto).
Vivere senza la Filosofia è un auto-inganno perché di fatto è impossibile, si vive sempre secondo una certa filosofia, una certa idea di ciò che si ritiene vero. L’uomo che lascia perdere il senso della vita perché vuole dedicarsi a pagare le bollette non sbaglia a cercare vie per restare in regola con le tasse e per portare il pane a casa, ma siamo sicuri che sia così liberante e appagante mettere al centro della vita le bollette? E se al centro della vita ci fosse qualcos’altro, tipo un amore, l’uomo che snobba la filosofia poi dovrebbe spiegare perché ha messo al centro della propria vita un’amore e non per es. la collezione Panini.
Una credenza su tale tipo di affermazione su che si baserebbe? Su un ‘esperienza personale? Su molteplici esperienze personali, ma mai universale? E che verità sarebbe senza universalità?
E chi mai cercherebbe verità da credere? Non è meglio cercare una verità che si sa vera invece di creduta vera?
E cos’è la verità tanto per cominciare? Un’affermazione o piuttosto un giudizio? Una relazione a qualcosa o a una persona? E che tipo di relazione? Imposta o voluta? Personale o generica? Ma se generica in cosa mi concernerebbe?
Io penso che abbia trovato un bella fetta di verità chi sia riuscito a sconfiggere tutti i suoi conflitti interiori, chi sia in grado di vivere sereno pur in mezzo alle difficoltà che lo sovrastano, chi dà alle cose il giusto peso e, soprattutto, chi si rende conto di essere una piccola cosa ma agisce ogni giorno con tutto il suo essere, come fosse l’ultimo giorno della sua vita. Che ne pensi, Simon?
Penso che sia una tappa essenziale, “una bella fetta” come dici tu.
In fin dei conti quel che dici, e mi trovo d’accordo con te, è che l’uomo virtuoso già partecipa in un certo qual modo della verità.
Dylan Dog nasce nel 1986, quella frase apriva un manuale di filosofia in uso nei licei classici nei primi anni ’70 e veniva messa in bocca a un’anziana popolana, si tratta quindi di un detto popolare che si perde nel tempo. Particolare curioso, un mio conoscente, venne appunto interrogato su cosa fosse la filosofia dal preside in visita alla sua classe, rispose con quella frase che aveva letto sul manuale e venne cacciato dall’aula dal preside stesso.
Ho letto i commenti ed ogni volta che leggo una frase del tipo: “ma se Dio è fuori dal tempo… Ma se Dio non è sottoposto al tempo…” ecc. Ecc. Non so, è come se un allarme risuonasse dentro di me. Io ho questa concezione riguardo il rapporto tra Dio e tempo: l’ uomo ha fatto l’ errore secolare di scindere la Divinità dal Tempo, come se quest ultimo fosse un entità a parte slegata da Dio, e quindi corrisponda ad una seconda divinità, il che è ovviamente confliggente con il monoteismo cristiano. Eppure io concepisco Dio come matrice di tutti gli enti e come Assoluto Unico capace di dare a tutti gli enti delle proprietà, delle capacità, la possibilità di interagire tra di loro. Un errore in cui cadono gli scientisti di oggi è per esempio questo, quello di dare per scontato che un ente qualsiasi, privato di finalismo e di intelligenza, abbia da sé la capacità di interagire com un altro ente privato di finalismo e di intelligenza, e che quest’ interazione, sempre casuale, abbia avuto persino la capacità da sé di generare la vita. Ecco, io mi chiedo come possa la scienza dare per scontato il fatto che ogni atomo abbia determinate proprietà ed effetti relazionali con altri atomi tali da generare una cosa complessa come la vita, anche se questi atomi non hanno intelligenza e finalismo. Per quanto me concerno io, se la scienza dà per scontata questa questione, non so fino a che punto possa andare avanti. Penso invece che ogni ente abbia avuto capacità di interagire e di relazionarsi ad un altro ente solo in virtù del fatto che ci sia stato un Essere Assoluto, cioè la matrice di tutti gli esseri, che è e sempre è,a dare tale logicità a tutti gli atomi. Cioé io sto invitando a chiedersi: “ma questa logicità e questa capacità relazione de gli atomi, possiamo darla per scontata??? gli esseri che oggi vediamo esistono in virtù di un Principio, che è l Essere, cioè Dio, ma questo Essere non è un verbo, una parola, è un “codice” inscritto in ogni ente. “Ogni ente è essere”, ma questa proprietà deriva dal fatto che ci sia sempre un Essere Assoluto che inscriva tale codice. E riguardo il tempo e Dio, io la penso così. Il tempo non è una cosa a sé stante da Dio, non sono due realtà distinte e separate. Il tempo è solo il lasso in cui gli enti si muovono e producono, ma tale movimento e produzione sono possibili solo in quanto c’ é dentro di sé tale proprietà, che proviene da un’ Entità che può codificare ma che non è codificabile da altro. La logicità di ogni ente è possibile solo perché la matrice del tutto è la Logica. Penso quindi che Dio avrebbe potuto codificare come logiche interazioni di enti che in questa realtà non sono per niente logiche, tipo che idrogeno+ossigeno=combustione, e che in questo caso vivremmo in una realtà in cui questa formula sarebbe il palese, tuttavia la realtà in cui viviamo oggi funziona in un modo e non in un altro perché le i criteri logici di Dio sono stati questi e non altri. Questo è il Suo universo e queste sono le Sue Regole. E Dio è il tempo, il tempo è in Dio, oppure il tempo è solo il prodotto del interazione degli enti. Dio, che è al di là dell’ interazione, è l’ Interagire Assoluto, é una sorta di macchina codificatrice. Il tempo non è “in re” a Dio, ma è un suo prodotto. Scusate se ci sono errori. Ho scritto dal cellulare, che è scomodissimo..
Personalmente non so se il tempo esista: certo esiste la costruzione mentale che chiamiamo “tempo” e che rappresentiamo matematicamente con una dimensione addizionale nello spazio delle fasi fisico e che è strumentale per ordinare intellettualmente il cambiamento.
Il cambiamento esiste in sé, non c’è dubbio, come il moto, il trasformarsi delle cose che sono tutte cose che sperimentiamo individualmente… ma il tempo? cioè il Tempo (colla T maiuscola per giunta)? Non ne sono così sicuro.
Posso condividere.
Fammi capire, Simon… Se tu dai appuntamento a uno fra un’ora, che cos’è quell’ora lì se non il tempo che deve scorrere tra l’adesso e il dopo? Una costruzione mentale? Cioè?
Ma l’ ora è una congettura, i secondi sono una congettura, i minuti anche. Ovvio che sono costruzioni mentali. Avremmo potuto anche stabilire che l’ ora si chiamasse “sedia” e fosse di 140 minuti, e che un minuto fosse Composto da 3 secondi. Abbiamo scelto un criterio per poter misurare il tempo ma potevamo sceglierne tranquillamente un altro. Non dare per scontato il fatto che un minuto sia composto da 60 secondi in senso assoluto. è ovvio che le misure del tempo sono delle costruzioni mentali, ma io preferisco chiamarle con il termine più appropriato, ovvero “congetture”. Il tempo può benissimo non esistere in sé e per sé.
Aggiungo: bisognerebbe capire INNANZITUTTO quale definizione diamo noi al concetto di”tempo” (perchè è fondamentalmente un concetto) quando lo chiamiamo in causa. Se per tempo s’ intende “l’ atto di qualsiasi ente di poter cambiare, mutare, muoversi”, allora sì, ok, questo concetto può passare. Ma in questo caso il tempo è un prodotto di Dio, è una sua conseguenza, non una causa a cui è sottoposto.
Caro Giuseppe,
la nozione di tempo anche per i fisici non è così semplice tale quale l’esprimi tu.
Ad esempio se dai appuntamento a qualcuno che viaggia ad elevate velocità rispetto a te tra un’ora, può anche essere che tu muoia pima che la sua ora sia passata.
Lo stesso ti capiterebbe se dai appuntamento a qualcuno in un campo gravitazionale molto più intenso di quello in cui sei.
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Per alcuni fisici (penso a Rovelli ma non è il solo) il tempo è una proprietà emergente, cioè non esistente in sistemi più semplici, dello spazio in certe condizioni particolari: ad esempio all’orizzonte di un buco nero lo spazio sarebbe “naturalmente” senza tempo e così anche al momento del big bang ( esempio di proprietà emergente la pressione atmosferica, se hai solo qualche atomo in giro non puoi parlare di pressione, non ha senso, quando ne hai una grande quantità in un volume relativamente ristretto questa grandezza misura un fenomeno emergente come la pressione che conosciamo tutti).
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Il tempo, 60 minuti, non è una realtà in sé in modo così palese benché ci siamo tutti abituati a questo concetto al punto di ritenerlo una realtà in sé: in pratica è la relazione tra un cambiamento ( un moto, etc) e un movimento periodico che si presume abbastanza regolare, associato univocamente ad un numero eppoi trattato matematicamente secondo le teorie.
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Per poter misurare un “tempo” si deve quindi postulare l’esistenza di movimenti periodici senza i quali non sarebbe possibile misurare una “durata” (cioè il numero di occorrenze pendolari avvenute durante un cambiamento dato): ci vuole, in finis, almeno un campo gravitazionale, in quando solo in un campo gravitazionale puoi definire un pendolo…
Insomma, misuriamolo come vogliamo, ma ne siamo sottoposti… Mi spiego: il momento in cui ho cominciato a scrivere questo mio ultimo intervento è già passato ORA SCRIVO IN MAIUSCOLO e rimane un atto presente per un solo istante, quel che scriverò tra una riga è tempo futuro e non esiste adesso… Qualche puntino di sospensione e arriviamo all’ultima riga che scrivo in un altro presente che sarà subito passato… Questo per me è il tempo, il nostro tempo, senza sindacare che parametri servono per codificarlo e senza porsi problemi riguardo o meno all’esistenza di un campo gravitazionale… Visto che c’è.
Non sono forse stato chiaro: non si misura il tempo, si misura il cambiamento di un ente in paragone ad un altro ente il cui cambiamento è periodico. Quindi il tempo è questa comparazione che è misura.: è un’operazione della mente.
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La tua descrizione di tempo se guardi bene è un costrutto mentale nel quale ordini l’esperienza del presente, il solo che sia, con quel che è stato e che non è, e quel che che sarà e che neppure esso non è: crei un concetto per riunire queste tre osservazioni esperienziali (è, non è più, non è ancora) e lo chiami tempo.
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Ma la sola cosa che puoi sperimentare in prima persona non è questo costrutto ma il cambiamento che avviene sul tuo foglio di carta mentre scrivi: è questo che cambia e che verifichi sperimentalmente.
Ancora per Cipriani.
Non prendere troppo all leggera la questione della gravità nella nozione di tempo.
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L’assenza di gravità o di massa per una particella, ad esempio i fotoni e le altre particelle senza massa che viaggiano tutte alla velocità della luce, non hanno tempo: tali particelle, dal loro punto di vista, non vedono il tempo scorrere tra il momento in cui sono stati prodotti e quelli in cui sono riassorbititi.
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Come forse sai si da un anno o due è stato dimostrato sperimentalmente che i tre tipi di neutrini (e, tau e mu) si cambiano in l’un l’altro senza causa esterna: i neutrini erano supposti essere senza massa e viaggiare alla velocità della luce, ma con questa scoperta appare chiaro che un minimo di massa la devono avere per poter rendere conto di questa periodicità intrinseca….
“Come forse sai si da un anno o due è stato dimostrato sperimentalmente…”
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Ti ringrazio per gli approfondimenti, ma il fatto che siamo immersi nel tempo (che quindi esiste realmente, e fino al midollo) lo dimostri anche tu con la frase qui sopra… Ti ringrazio anche per la stima dal momento che presumi che possa seguire fino in fondo i ragionamenti e le info che mi fornisci. Io mi fermo alla sostanza che percepisce la famosa casalinga di Voghera… Invecchiamo e ci trasformiamo… Tu dici che solo questo (come il foglio di carta che cambia) è sperimentale, ma a me dimostra che il tempo passa. E che c’è.
Ahem non proprio: i fotoni, come ogni particella senza massa che viaggia alla velocità dell luce, non hanno tempo, come neanche l’orizzonte dei buchi neri né l’inizio proprio del big bang.
Eppoi, l’affermazione essere “nel” tempo è un credenza basata su un concetto lungi dall’essere corrispondente al reale in quanto tale: nell’esempio più sopra circa il fatto che il nostro Io è nel futuro del nostro corpo ( o più precisamente che il nostro corpo, cervello compreso, è sempre nel nostro passato) dovrebbe anche farti riflettere quanto l’essere “nel” tempo possa essere semplicemente una circonlocuzione verbale….
Non beviamoci tutto quello che la cultura ambientale ci propina beatamente ed ingenuamente. 😉
Bel dibattito, davvero.
Piccolo appunto che mi sento di darvi è riguardo un particolare forse un po’ tralasciato: le scelte altrui.
Perché anche queste finiscono per determinare la libertà di una persona.
Per cui, per me, non c’è una vera libertà tout-court, umanamente intesa, ma quanto piuttosto una libertà di agire entro un quadro di partenza.
L’ambiente, lo spazio in cui viviamo, determinano le nostre potenziali scelte e quant’altro.
Poi, anch’io sono un cattolico, credo che la libertà coincida sempre con la Verità, anche le nostre piccole verità quotidiane spesso tralasciate nel “grande dibattito”.
DOM on 17 GENNAIO 2016 13:49
Il libero arbitrio Dom in senso religioso non puo´essere determinato da scelte altrui in nessun caso , neanche in caso di minaccia di morte , di prigionia ecc. Sarai sempre tu che deciderai se scegliere tra il bene o il male ,
quella vocina che ti parla in testa ( che non sei tu perche non sei in grado di controllarla neanche per un secondo ) ti consigliera sempre in modo positivo o negativo che sia , la scelta alla fine la farai sempre tu.