Psiche apre la scatola d’oro (John W. Waterhouse, 1903)
Non ci mettono l’anima
di Giorgio Masiero
Perché i biologi – gli studiosi della “vita” – non sanno definire il loro oggetto di studio
Se chiedete a due biologi cos’è la vita, è quasi certo che vi daranno due risposte diverse. Come dire che la biologia è una scienza (l’unica?!) che non sa precisamente di cosa parla… Questa affermazione, Lettore, per quanto ti possa apparire incredibile, non è una mia opinione, ma l’esito di un esperimento condotto tra gli stessi biologi. Ad una conferenza internazionale svoltasi a Modena nel 2000 sui fondamentali della vita, per prima cosa fu richiesto ai partecipanti (tutti docenti universitari e ricercatori) di proporre la loro definizione di “vita”. Nessuna risposta fu uguale ad un’altra, ma ne risultarono le caratteristiche più disparate, tra cui:
- il possesso di una certa stabilità genetica, ma allo stesso tempo di una sufficiente mutabilità, così da permettere evoluzione e adattabilità; oppure
- una reattività efficace agli stimoli ambientali, per supportare sopravvivenza e riproduzione; ancora,
- la capacità di catturare, trasformare ed immagazzinare l’energia per il proprio utilizzo;
- ecc.
Un’altra definizione è quella preferita dai genetisti, dai bioinformatici e dai biologi che si richiamano all’Intelligent Design:
- la presenza d’un programma informativo nel DNA.
C’è perfino la definizione dell’astronomo Carl Sagan, fatta propria dalla Nasa:
- “La vita è un sistema capace di evoluzione attraverso la selezione naturale”,
che nello sforzo titanico di adattare la cosa all’idea, risolve ironicamente il darwinismo in un truismo.
Ora, in presenza di problemi difficili, fin dai tempi più antichi la tentazione è quella di recidere il nodo proclamandoli inesistenti. La parola preferita dai moderni imitatori di Alessandro a Gordio è illusione. Così, “il tempo è un’illusione” per quei fisici che hanno dismesso l’uso dell’orologio tra gli strumenti di misura, “la coscienza è un’illusione” per quei neuroscienziati che in serena autoscissione se ne sono convinti dopo una coscienziosissima interpretazione di bit apparsi nei loro monitor ECG ed MRI e “la vita è un’illusione” per alcuni biologi, perché “in realtà non esiste” (Scientific American, 2 dicembre 2013) non essendone stata trovata la molecola discriminante nelle analisi di laboratorio. Per questi biologi, non esisterebbe una netta separazione tra un sasso, una pianta ed un uomo, ma solo una scala graduale di complessità chimica, alla stessa maniera dello spettro luminoso dove i colori si susseguono dal rosso al violetto, con aumento continuo della frequenza.
Coloro che confondono l’arduo con l’illusorio illudono (in-ludo = giocare contro) se stessi, come fece una volta la volpe con l’uva inafferrabile, e ingannano l’ingenuo che li ascolta in venerazione, sbalordito di essersi sempre sbagliato nel suo buon senso…
Il problema della biologia è che la vita e specialmente la vita umana (nelle sue manifestazioni specifiche: la mente, la volontà, la creatività e poi l’economia, la politica, la cultura, ecc.) è nella sua struttura un fenomeno indefinibile dai biologi molecolari, perché irriducibile alla loro metodologia analitica!
Una delle insufficienze esplicative del riduzionismo, già al livello biologico d’una cellula, si chiama “Paradosso di Levinthal” e si può trovare dimostrata in un articolo della rivista dell’NIH – l’Istituto Nazionale americano di Sanità, il primo ente al mondo per investimenti in medicina –, che ha trovato una chiara divulgazione del prof. Michele Forastiere su CS. Con la matematica della scuola media vi si fa vedere che un organismo unicellulare come il Saccharomyces cerevisiae, con appena 4.500 tipi di proteine, lunghe in media 400 residui e presenti all’incirca in appena 3.000 copie per tipo, è una struttura biologica la cui replicazione (in 20 minuti) può essere spiegata solo olisticamente, con un approccio sistemico – “organico”, secondo Aristotele –, cioè prendendo contemporaneamente in considerazione tutta la rete delle interazioni tra le sue molecole (l’interattoma) e tra queste e l’ambiente.
Che cosa significa “approccio sistemico”? Il metodo riduzionistico, o analitico, tradizionale in fisica, chimica e biologia molecolare consiste nel dividere gli oggetti in parti, e poi queste in parti più piccole,… per tentare di capire il mondo dalle proprietà degli elementi “ultimi” (infine, le particelle elementari della fisica). Come ha spiegato il matematico Warren Weaver in un vecchio articolo (American Scientist, Science and Complexity, 1948), questo metodo ha dato bella prova di funzionare in 2 campi,
- quello dei problemi semplici che coinvolgono pochi elementi e
- quello della complessità disorganizzata dove sono coinvolti molti elementi non relati.
Gli strumenti matematici qui usati sono rispettivamente il calcolo differenziale e la statistica. Lo studio delle traiettorie dei corpi celesti e quello dei gas sono esempi di metodo riduzionistico applicato con successo: ricordo ancora lo stupore quando, con quella matematica elementare, vidi all’università che le 3 leggi di Keplero sono deducibili dall’equazione di Newton e che una grandezza macroscopica come la temperatura di un corpo non è che l’energia cinetica media dei suoi atomi. C’è però in natura, osserva Weaver, anche
- il campo della complessità organizzata, la “terra di mezzo” come la chiama il biologo e matematico Alessandro Giuliani, dove la grande quantità di elementi (delle dimensioni del numero di Avogadro) e quella transfinita delle loro interazioni postulano uno sguardo unitario sull’insieme (“organismo”, o “organizzazione”) nella sua relazione con l’ambiente esterno e nella sua rete di relazioni tra le parti (“organi”) a diversi livelli gerarchici, se si vuol comprendere l’identità, le regolarità e la stabilità del sistema complessivo.
“Sistemi semplici” (i moti del sistema solare), “Sistemi complessi disorganizzati” (i moti molecolari in un gas rarefatto) e “Sistemi complessi organizzati” (i cammini metabolici ed i meccanismi interni di trasporto del batterio più semplice, il Mycoplasma genitalium)
Fu il biologo Ludwig von Bertalanffy (1901-1972), nelle sue ricerche riguardanti la biofisica, l’oncologia, la fisiologia, la psicologia e l’epistemologia, a comprendere la necessità in questi campi di contemperare la specializzazione analitica con un nuovo metodo interdisciplinare. Sviluppò così l’approccio sistemico, teorizzandolo infine nel trattato “General system theory: foundations, development, applications” (1968). Nel nuovo metodo la matematica di base è quella delle reti, della topologia e delle tecniche computazionali e, in contrapposizione all’iperspecializzazione del metodo analitico, è valorizzata l’interdisciplinarità. Oggi la sistemica è utilizzata in economia e in neurologia, in architettura e in musicologia, in finanza e in sociologia, in psichiatria come in linguistica. In biologia si chiama Biologia dei sistemi (“Systems Biology”) e coniuga correntemente genomica, fisica quantistica e cibernetica.
Le svariate definizioni di vita dei biologi accademici proposte a Modena, tutte quante, si confanno alle piante, mentre falliscono a rappresentare lo splendore di sentimenti ed emozioni della vita animale e umana! È un altro caso di serena scissione la condizione psichica di questi scienziati che la mattina nelle aule scolastiche propongono una definizione puramente vegetativa di vita, anche per la specie umana, e nel pomeriggio, alle commissioni di bioetica, perorano l’eutanasia perché uno stato puramente vegetativo non è vita umana?
Lo splendore della vita animale e umana si chiama, fin dagli albori della civiltà occidentale, anima. Alle scaturigini della nostra cultura c’è Omero, naturalmente. Nell’Iliade e nell’Odissea, il corpo (“soma”, in greco) non è mai l’organismo della biologia, ma solo la carcassa o il cadavere, in via di decomposizione, di animali e uomini morti. Non che manchi in Omero la fisicità delle membra corporee: Peneleo uccise Ilioneo cogliendolo con l’asta “sotto il ciglio, nel profondo dell’occhio, facendogli saltare la pupilla. Dall’occhio l’asta passò alla nuca e [Ilioneo] s’afflosciò stendendo entrambe le mani. Poi Peneleo, tratta la spada affilata, la tirò giù in pieno collo e gli travolse a terra il capo”; Achille colpì Troo “al fegato col pugnale e dal fegato schizzato fuori colò la bile”, poi trapassò con la lancia di bronzo “il braccio di Deucalione, la dove si uniscono i tendini del gomito… e con il pugnale troncò il collo e ne gettò lontano il capo con tutto l’elmo, mentre il midollo uscì fuori dalle vertebre”; ecc., ecc. Ma nessun fisicalismo né dualismo tra corpo e anima troveremo in Omero, perché mai l’anatomia vi è separata dalla fisiologia e, soprattutto, dalle sensazioni, dai sentimenti, dalle volontà e dai ragionamenti: il diaframma che “trema dentro” è sede dell’ira e dell’eros, il cuore “vede la morte”, “battono i denti” per la paura, “le ginocchia di Priamo si sciolgono” per la commozione, il cuore di Andromaca “batte nel petto fino alla gola” per l’ansia… Insomma c’è più vita reale nella poetica di Omero che nei testi tradizionali di biologia, focalizzati sulla vita vegetativa (metabolismi, polimeri, reazioni chimiche, omeostasi, riproduzione, energia, ecc.) e sulla materia organica morta, mentre il “resto” – vale a dire il vero splendore della vita – vi appare solo come un’emergenza misteriosa o illusoria.
Per Omero, c’è nei vivi un principio che dà forma unitaria al sistema delle membra, ne preserva l’identità e le regolarità nel tempo, dalla nascita alla morte: è la psyche, l’anima. L’unitarietà apparteneva al senso comune dei nostri antenati; ai loro miti invece il dualismo, con la credenza che dopo la morte l’anima sopravvive separata dal corpo, mantenendosi come un’ombra nel mondo infero. Così Ulisse nell’Ade incontra le anime dei defunti, che gli appaiono ben riconoscibili, come “doppi” immateriali, penetrabili perché senza membra. L’anima non aveva nella narrazione collettiva ellenica il significato psichico riduttivo moderno, ma quello di un’entità spirituale (il soffio, nell’etimologia) che conferisce forma organizzativa e identitaria al sistema delle membra, altrimenti parti in scomposizione di un cadavere in-anima-to.
Con la nascita della filosofia, dopo il dualismo di Platone e il monismo materialistico di Democrito – due idealismi che avrebbero scandito tutta la storia della filosofia occidentale fino ai nostri giorni –, la concezione unitaria di Omero sarà ripresa da Aristotele, figlio di un medico, nei suoi trattati “Sugli animali” e “Sull’anima”. Aristotele vi teorizza l’anima come il principio unificante del corpo, la forma senza cui esso si disgrega in molti elementi non relati,… come nella complessità disorganizzata di Weaver. “L’anima è l’atto del corpo naturale, che ha la vita solo in potenza”, scrive Aristotele, “[…] per questo non si deve cercare se l’anima sia una cosa e il corpo un’altra, come non lo si fa per la cera e l’impronta, né in generale per la materia di ciascuna cosa e la forma di cui tale materia è substrato” (“Sull’anima”). Precorrendo la transdisciplinarità di von Bertalanffy, Aristotele dopo aver inventato in biologia i concetti di “organismo”, di “organo” ed aver postulato un principio (“psyche”) garante dell’unità organizzativa vitale, applica gli stessi concetti anche in politica, nello studio dell’equilibrio proporzionato tra le parti sociali. Le rivoluzioni, con il passaggio da una forma di governo all’altra, si avverano per le stesse ragioni generali che provocano la malattia e la morte degli organismi naturali: “I mutamenti di costituzione avvengono a volte per uno sproporzionato accrescimento di qualche elemento dello stato. Il corpo è costituito da membra che devono crescere in proporzione affinché l’insieme conservi l’equilibrio, altrimenti questo si distrugge […] Così anche lo stato è costituito di parti, una delle quali può crescere sproporzionatamente, senza che ce ne si accorga, come la massa dei poveri nelle democrazie e nelle repubbliche” (“Politica”).
In quanto forma della materia, per Aristotele le funzioni vegetativa e sensitiva dell’anima vengono meno con la decomposizione dell’organismo e dei suoi organi, mentre “forse” sopravvive al corpo un’anima con la funzione intellettiva (“nous”). Anche se nella “Metafisica” egli riconosce la necessità di una “causa agente” dell’esistenza dell’anima, tuttavia non impegna la filosofia sull’immortalità. Questo tema troverà soluzioni diverse nelle scuole filosofiche aristoteliche e nelle religioni. Il cristianesimo, nella teologia tomistica, condividerà di Aristotele la concezione dell’anima umana come forma del corpo, annunciandone per rivelazione l’immortalità individuale.
Conclusione. La meccanica quantistica ha apportato una rivoluzione nel linguaggio matematico della fisica, oltre che superato il riduzionismo con la non località, l’entanglement e la struttura del vuoto. Per secoli, le equazioni fisiche erano state uguaglianze tra espressioni matematiche contenenti esclusivamente grandezze osservabili, cioè misurabili. Prendiamo per es. l’equazione della gravitazione newtoniana
A primo membro c’è F, la forza, che è una cosa misurabile con un dinamometro; a secondo membro ci sono il numero G, due masse m1,2 misurabili con una bilancia e il quadrato di r, una distanza misurabile con un metro. Nella fisica quantistica non è più così, perché entrano nelle equazioni anche oggetti non osservabili, rappresentati con vettori, spinori, operatori, ecc. Così, nell’equazione di Dirac
Ψ non è una grandezza misurabile, ma lo “stato fisico” dell’elettrone, un concetto ausiliario a ricavare comunque predizioni sperimentalmente controllabili su grandezze misurabili (gli “autovalori”).
È possibile che la biologia superi le sue narrazioni mitiche e riduttive ed arrivi a definire la vita nella sua complessità organizzata, senza un linguaggio matematico analogo, anzi superiore in termini di livelli di astrazione, a quello che fu necessario trovare un secolo fa in fisica per rappresentarne i fenomeni semplici e complessi disorganizzati?
Io non lo credo. In assenza di questa rivoluzione linguistica e matematica in biologia, lo splendore della vita animale e umana resterà per quella scienza l’emergenza misteriosa di un insieme destrutturato di molecole morte.
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80 commenti
Delizioso. 🙂
Grazie, Dom.
Esatto, un articolo che sarebbe da mantenere “in evidenza”.
Grazie prof. Masiero.
Grazie a Lei, Muggeridge.
Dopo aver letto le prime righe, mi sorge subito una curiosità che non so tenere a freno…
Tra le tante definizioni di vita, qual è quella che il prof. Masiero ritiene più verà? O ne ha una tutta sua?
Quella ileomorfica di Aristotele, Cipriani, come unitarietà di anima e corpo.
Ciao Giorgio,
che l biologia abbia perso la sua occasione per abbandonare un vecchio meccanicismo di tipo newtoniano l’ho sostenuto anche io nel mio libro e proprio in questa prospettiva ho apprezzato moltissimo questo tuo articolo. Ecco cosa scrivevo cinque anni fa:
“Per Simpson l’unica spiegazione possibile era che il paradosso potesse essere superato solo mediante l’introduzione di una discontinuità nella velocità dell’evoluzione: ipotesi che inevitabilmente non sarebbe stata compatibile con il gradualismo.
Nell’epoca in cui si era affermata la fisica quantistica il nome che ritenne più adatto per la sua teoria fu quello di “evoluzione quantistica”, termine che in un’ottica kuhniana avrebbe dovuto portare a un salto di paradigma, cioè a uno di quei momenti in cui una nuova teoria sostituisce la precedente.
Riferendosi alle difficoltà incontrate nella nascita della teoria dei quanti, Kuhn afferma che uno degli ostacoli all’affermazione della teoria dei quanti in fisica era costituito dal linguaggio sin lì utilizzato: la fisica quantistica si affermò infatti solo dopo aver introdotto nuovi e specifici termini.
L’evoluzione “quantistica” avrebbe potuto aprire la strada a una rivoluzione scientifica coerente con la visione quantistica dei fenomeni naturali iniziata con Planck e Bohr; ma Simpson si trovò a fronteggiare una forte resistenza dei genetisti: il mondo dei paleontologi e quello dei genetisti erano separati da una distanza che si sarebbe rivelata incolmabile.
Il confronto sulla teoria dell’evoluzione fu poi rallentato dallo scoppio della Seconda guerra mondiale. Simpson tra l’altro fu impegnato come funzionario dei servizi segreti sotto il comando del generale Patton. Alla fine del conflitto il dibattito poté ripartire dai libri, che in quegli anni erano stati comunque pubblicati; tra questi vi erano quello di Simpson, Tempo and Mode in Evolution (1944) e quellodel nipote di Thomas Huxley, il biologo Julian Huxley, che nel 1942 propose Evoluzione, una sintesi moderna.”
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Oggi si insegna quindi una biologia meccanicista che ha come pensiero di sottofondo il fatto che una cellula sia solo una “macchina” particolarmente complicata, ma in quanto macchina simile in fondo ad un qualsiasi oggetto. Niente di strano quindi che qualcuno abbia infine affermato che la “vita” non esiste.
Certamente, Enzo. Dopo la negazione darwiniana di discontinuità tra uomo e animale, è venuta coerentemente da parte neo-darwiniana la negazione di discontinuità tra vita e non vita, e più recentemente la negazione da parte neo-neo-darwiniana di discontinuità tra essere e non essere, con la “fluttuazione del vuoto”.
Ma che cos’è la negazione delle differenze se non rinuncia a pensare (= pesare, dal latino)?
@unoprecisino, se vuole partecipare alla discussione potrebbe cominciare col non mettere un indirizzo fasullo nella registrazione.
Saluti
Non capisco quindi se l’anima ci aiuta a definire la vita oppure é simile a una delle mille definizioni dei biologi. Sembrerebbe che nella definizione aristotelica si possa dire che anche funghi, piante, insetti e virus abbiano un’anima. Concetto diametralmente opposto all’anima cristiana o religiosa in genere. Mi viene da pensare che come i biologi siano confusi dal concetto di vita, anche sul concetto di anima si potrebbero avere aspre contese.
La definizione aristotelica è articolata, Cipolla, in 3 livelli: vegetativa, sensitiva, e intellettiva. Le piante hanno solo la funzione vegetativa, dice Aristotele; gli animali, quella vegetativa e sensitiva; gli uomini tutte e 3.
Come ho cercato di spiegare nell’articolo, la biologia molecolare si ferma al primo livello nella sua definizione di vita. Quindi le sfugge la vita animale e umana! O mi sono perso qualcosa? C’è qualche libro di biologia, Cipolla, che dia una definizione di vita che comprenda anche le sensazioni, i sentimenti, la volontà, la creatività, ecc.?
“È possibile che la biologia superi le sue narrazioni mitiche e riduttive ed arrivi a definire la vita nella sua complessità organizzata, senza un linguaggio matematico analogo, anzi superiore in termini di livelli di astrazione, a quello che fu necessario trovare un secolo fa in fisica per rappresentarne i fenomeni semplici e complessi disorganizzati?”
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A questa domanda si risponde con facilità: no, non è possibile né ora né mai.
L’impossibilità è infatti di principio: vita (=termine astratto per il concreto “vivere”) è una nozione metafisica che esprime l’atto d’essere tipico del vivente (vita è una perfezione trascendentale dell’essere di una classe di enti, dei viventi appunto), quindi propriamente parlando una sua definizione scientifica non si può dare, a meno di non scadere in un riduzionismo scientista che 1. è ormai deceduto (anche se in effetti c’è chi tutt’oggi continua ad accanirsi sul suo cadavere) e 2. porta a situazioni assurde come quella ricordata nell’articolo, ossia affermare che se non c’è una precisa linea di demarcazione tra il regno vivente e quello inanimato allora la vita non esiste (quando a tal riguardo anche un bambino si accorgerebbe che, se un confine non esiste, si potrebbero sostenere – e forse a maggior ragione – dottrine panpsichiste, dell’anima-mundi etc.).
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Quello che spetta alla scienza allora è “solo” lo studio dell’essenza delle operazioni vitali tipiche dei viventi, individuandone le leggi ed esprimendole matematicamente. Di tali operazioni infatti una caratterizzazione scientifica la si può dare agevolmente.
PS. Ben inteso che il linguaggio matematico di cui parla Masiero sarà ovviamente fondamentale per poter esprimere formalmente le leggi di cui sopra, ma non per definire la vita.
E allora, messo con le spalle al muro, tu come definiresti la vita?
Ti chiedo: sappiamo definire la morte?
E la vita non è il suo esatto contrario?
Non sono d’accordo con Lei, ViaNegativa.
Ci sono enti che appartengono solo alla scienza naturale (per es., il flusso del campo magnetico), ci sono enti che appartengono solo alla metafisica (per es., realtà, libertà), ma ci sono enti che appartengono ad entrambe le discipline e che in ciascuna trovano propria definizione e spiegazione, in un complementare arricchimento. Tra questi ci sono per es. lo spazio, il tempo, l’universo e… anche la vita.
Certamente la biologia molecolare ha dato negli ultimi 50 anni una soddisfacente spiegazione del funzionamento della vita vegetativa, ma non può che essere muta – per i motivi che ho spiegato – di fronte alla vita sensitiva e intellettiva. Non così io penso, per l’approccio della biologia dei sistemi (in campo neurologico, e fuori da ogni schema riduzionistico), dal quale ritengo lecito aspettarsi in questo secolo importanti avanzamenti.
Insomma, prof., sarebbe pur sempre la famosa divisione tra scienza naturale/empirica e metafisica?
Assolutamente no, Cipriani, perché consegnare tutto lo splendore della vita ai metafisici, come fanno i biologi molecolari e come – mi pare – sia il pensiero di ViaNegativa? Nella mia concezione, c’è spazio per il lavoro di entrambi e anche per la loro collaborazione (nella biologia dei sistemi).
E allora anche le neuroscienze che pretendono di comprendere tutto in canali naturali e spiegabili dalla scienza empirica possono a buona ragione dire la loro? Qual è il confine, e chi lo stabilisce, tra quelle e la metafisica che si occupa di vita e anima umana?
Per ogni scienza non si tratta di “pretendere”, Cipriani (come se fossimo in una contesa politica!), ma di “dimostrare” di saper spiegare un fenomeno con il proprio metodo. Le neuroscienze, così come ogni scienza naturale ha un metodo specifico, quello di predizioni sperimentalmente controllabili.
E oltre alla comunità scientifica, c’è anche un collegio più severo di osservatori: la finanza (pubblica e privata), che esige la replicabilità.
” ci sono enti che appartengono ad entrambe le discipline […] Tra questi ci sono per es. lo spazio, il tempo, l’universo e… anche la vita”
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La vita però non è un ente, ma appunto l’atto d’essere tipico di quell’ente che è il vivente: la “vita-per-sé-sussitente” nel mondo corporeo non esiste. Vita, come ho già detto, è un termine astratto (esistono invece enti, sempre particolari, a cui competono azioni immanenti e questi diciamo essere vivi.)
Ed ecco perché la scienza non può dire uno iota al riguardo: come si formalizza matematicamente una perfezione trascendentale? Non si può, ci si può solo limitare a rilevare e spiegare scientificamente le operazioni vitali tipiche del vivente.
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Detto questo, potrà ora far caso al fatto che le definizioni di “vita” che ha riportato nell’articolo in realtà non dicono cosa la vita sia, ma quali AZIONI dovrebbero caratterizzare il vivente: es. evolve, si adatta, reagisce agli stimoli, si riproduce, cattura-trasforma-immagazzina energia etc. E falliscono tutti, perché confondono esizialmente piano metafisico e scientifico, confusione che destinerà ineluttabilmente al fallimento anche chi un giorno disporrà di quel linguaggio matematico auspicato nell’articolo.
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PS. Nel post più sotto Simon dice giustamente che è possibile distinguere il vivente dal non vivente tramite sperimentazione scientifica, ma appunto tale sperimentazione riguarda le sue operazioni vitali tipiche, che non ci dicono cosa sia la vita.
Anzi, è proprio perché sappiamo che solo al vivente competono azioni immanenti che possiamo affermare, nel caso in cui le rilevassimo empiricamente, che quell’ente è vivo!
La casalinga di Voghera tradurrebbe, più semplicemente: respira, dunque l’è vivo!
C’è da sperare solo che per la casalinga in questione i batteri anaerobi non siano “morti”…
La ti risponderebbe: perché non i respira anca loro, come fanno a vivere altrimenti? I sarà anaerobi ma no so mica scemi sti bateri.
Che?!?!
La nostra eroina di Voghera si riferiva alla respirazione anaerobica, quella che avviene in assenza di ossigeno.
Eh, una “casalinga di voghera” atipica quella che conosce la respirazione anaerobica…
Bel topic in verità, grazie Giorgio!
Potrei solo consigliare a chi vorrebbe riflettere sulla “definizione” di cosa sia la “vita” di rivisitare la nozione di entelechia che gli è connaturale.
In una precedente discussione su questo blog , benché en passant, abbiamo avuto qualche scambio sulla nozione di teleologia nella natura e Vianegativa aveva anche ben ricordato che nella natura non intenzionale il telos, si confonde con lo stato finale e la causa formale con quella finale.
Mentre è chiaro che per un oggetto che non possiede la vita il fine proprio gli è esterno e che il moto che lo porterà dalla potenza all’atto sarà ad esso esterno in quanto causa, nel caso del fenomeno vitale il fine stesso dell’ente considerato è iscritto in se stesso e, quindi, il moto che lo farà passare dalla potenza gli è proprio e non (solamente) dipendente da terzi: entelechia significa proprio questo avere il fine, telos, dentro di sè “en”.
La questione di distinguere tra un ente senza vita, cioè senza proprio fine in sé, cioè senza principio finalizzante in sé, anche chiamato “anima” (da dove la nozione di oggetto inanimato) e un ente animato, cioè possedente entelechia, è quindi in relazione coll’osservazione e può benissimo essere oggetto di affermazioni o sperimentazioni scientifiche: ci saranno casi ovvi, come il un cane o una pianta, i microbi e le cellule o d’altra parte molecole ancora non perfettamente autorganizzate e capaci di riproduzione e ci saranno casi un po’ limite dove non sarà chiaro se c’è entelechia oppure no, oppure un indizio di entelechia ma non perfettamente attuato.
L’incapacità di voler riconoscere la differenza tra un ente animato e uno inanimato può solo risultare da una cecità dovuta sia alla mancanza intrinseca di intelligenza sia alla deformazione ideologica: l’atto della conoscenza, che sia di stampo scientifico basato su un’epistemologia di tipo popperiano o sia di stampo filosofico, è sempre basato sulla capacità, sperimentale e teoretica, di distinguere le cose, per poi riunificarle in una sintesi, come già ci insegnava quel grande che era Jacques Maritain.
Consigliare a chi VORREBBE… è da penna blu.
Se la cava piuttosto bene con l’italiano per non essere la sua lingua madre: gliela passiamo per stavolta, Cipria’?
Proprio perché se la cava sempre abbastanza bene l’ho notato… E, ricorda, si migliora anche con le correzioni, me l’hanno sempre insegnato. Ma se te la prendi tu per lui, mi spiace averti infastidito mio buon Law.
Era solo una battuta. 😉
Colle mie scuse.
Le concordanze del congiuntivo sono, definitivamente, importanti e ne sono cosciente: si vede che lo scrivere bene in italiano non è già,e di gran lunga, una virtù mia, visto che qualche lotta è ancora necessaria per farlo.
Grazie, Simon.
Bisognerà scrivere qualcosa prima o poi sul “grande” Maritain, e sulla sua visione integrale (aristotelico-tomistica) del sapere!
Riflessioni in forma di domande…
Comprendere l’essenza della vita deve necessariamente passare dalla concettualizzazione di cosa è la vita? E saper definirla, in realtà puo anche valere niente? O sono tutte fisime metafisiche che lasciano, appunto, il tempo che trovano: una vita che se ne frega di essere capita e definita, in quanto è la vita che ci dà sostanza e non noi che diamo sostanza a essa… Tutte fisime anche le mie?
Tutti, anche i bambini dell’asilo, sanno che la vita non è solo pappa e cacca, Cipriani. Solo i biologi molecolari e i neurologi riduzionisti “riducono” la vita di animali e uomini al metabolismo di batteri e piante, trascurando quel qualcosina in più che si chiama percezioni, sentimenti, volontà, coscienza, ecc! Non Le pare?
@ ViaNegativa
Lei scrive: “…la scienza non può dire uno iota al riguardo… si può solo limitare a rilevare e spiegare scientificamente le operazioni vitali tipiche del vivente… le definizioni [scientifiche] di vita riportate nell’articolo in realtà non dicono cosa la vita sia, ma quali AZIONI dovrebbero caratterizzare il vivente…”
La scienza, ViaNegativa, ha le sue definizioni – operative e funzionali – come la filosofia ha le sue. I limiti delle une e delle altre sono noti, come i loro vantaggi. La Sua posizione pare a me uguale e contraria a quella degli scientisti, così come l’Heidegger della “scienza [che] non pensa” è gemello dell’Hawking della “filosofia [che] è morta”.
Le ricerche sistemiche interdisciplinari in corso di filosofi e biologi, di fisici e metafisici, sulla vita non hanno chiesto il permesso Suo né l’incoraggiamento mio per costituirsi.
In questo Prof.Masiero concordo al 100% con Lei.A cosa serve la Mente se non per pensare.
E per fortuna,in qualche angolo del globo,esiste anche qualche Uomo Libero.Difficilmente eliminabile.
Viviamo tempi, Stò, in cui è rivoluzionario dire che l’erba è verde e che la vita non è solo metabolismo, ma anche percezione e pensiero.
Siamo certamente in un periodo rivoluzionario.La Gente è stata indotta per secoli a non pensare perchè altri ENTI si sarebbero occupati dell’incombenza.Solo con il Web,nel bene(abbastanza )e nel male(molto)la pigrizia della Gente può essere scossa.Come anche i classici canali di ricerca e comunicazione dovranno lottare contro tutti i Pensiero Unico.Il che non è e non sarà facilissimo.
“La Sua posizione pare a me uguale e contraria a quella degli scientisti, così come l’Heidegger della “scienza [che] non pensa” è gemello dell’Hawking della “filosofia [che] è morta”.”
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Solitamente pare ciò che non è, e infatti io non ho mai sostenuto nulla di simile.
Ho detto semplicemente, cercando anche di rendere ragione della mia posizione, che in questo caso particolare non è nelle possibilità della scienza arrivare, propriamente, a una definizione di vita senza scadere nel riduzionismo e Lei per tutta risposta mi dice che la scienza può farlo perché ha le sue definizioni. Qualcosa non mi torna…
Metà del mio articolo, ViaNegativa, è stata dedicata a dimostrare che il metodo riduzionistico della biologia molecolare non può spiegare la sensitività (della vita animale e umana) e tantomeno l’intellettività (della vita umana). Su questo siamo d’accordo, mi pare.
L’altra metà dell’articolo – ma forse sono stato troppo conciso su un argomento poco studiato come la sistemica – è stata dedicata a ricordare che esiste un metodo non riduzionistico, e tuttavia scientifico nel senso che fa predizioni empiricamente controllabili, col quale molti gruppi interdisciplinari stanno studiando la vita percettiva e la mente e da cui possono venire contributi a spiegare gli aspetti non vegetativi della vita, e quindi a dare una definizione (scientifica, cioè operativa e funzionale) della vita, rispetto allo squallore metabolico della biologia attuale.
Da questi studi la filosofia ha molto da imparare, per es. l’infondatezza della rappresentazione cartesiana dell’anima come res indipendente dal corpo.
Quello che non sono riuscito a far passare io, evidentemente, è che non esiste, né potrà mai esistere, alcun metodo non-riduzionistico per definire scientificaemte la vita. Ma su questo forse sarò il caso di spendere qualche parola in più in futuro.
Tra la definizione di vita e la spiegazione di determinati fenomeni e meccanismi della vita sensitiva e intellettiva attraverso la scienza che li indaga… Mi pare che possa starci che una definizione sia magari inadeguata, ma anche che si possa arrivare a capirci qualcosa a livello di meccanismi naturali… Se è vero che col nostro intelletto siamo capaci di mille speculazioni metafisiche, è anche vero che una volta trovata la quadra, se la troveremo, potremo un giorno sorridere del nostro ingenuo speculare sul nulla di concreto. Tu che ne dici?
Ecco, Cipriani, io faccio mio questo Suo commento. Oggi non siamo proprio al “nulla di concreto”, ma qualcosa cominciamo a scoprire attraverso le neuroscienze. Ciò che a mio parere impedisce di correre più veloci è l’inciampo del riduzionismo (che è un metodo rispettabilissimo, ma non esaustivo in scienza), un inciampo che prima ha monopolizzato la biologia molecolare – facendo anche disastri nella cura del cancro – ed ora minaccia le neuroscienze (come spero di far vedere in qualche futuro articolo).
“una definizione sia magari inadeguata, ma anche che si possa arrivare a capirci qualcosa a livello di meccanismi naturali”
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Cipriani, questa che tu chiami definizione inadeguata etc. altro non sarebbe che una CARATTERIZZAZIONE scientifica delle operazioni vitali al loro livello più fondamentale e generico. Al proposito nota cosa ho detto in fondo al mio intervento 1 a questo articolo…
Riprendo l’ultima domanda di Giorgio nel suo post qui sopra circa la possibilità (teorica) dello sviluppo di una rappresentazione mentale della biologia che ne permetta la manipolazione dei concetti nel quadro di una complessità organizzata.
Penso che tra l’intervento di ViaNegativa e il mio sia apparso chiaro che la definizione di cosa sia la vita è propria del linguaggio filosofico cioè meta-scientifico mentre le misure e le osservazioni del fenomeno vitale stesso sono della ricerca scientifica, cosiccome la definizione di cosa sia l’essere è della filosofia mentre le modalità quantitative dell’attuazione dell’essere sono della fisica.
Rendiamoci conto di una cosa, se è vero che la molteplicità e quindi la nozione di quantità è una caratteristica propria di tutti gli enti finiti e quindi di tutti gli enti materiali è anche vero che la matematica e i concetti che utilizza non esistono nel mondo reale e sono una pura invenzione umana: sono cioè un linguaggio con le proprie regole e procedure particolarmente adattato all’oggetto che trattano il quale non è però sempre rinvenibile nella natura. Ad esempio il concetto di linea continua è già un’astrazione basata su un’interpolazione tra grandezze discrete e niente è meno sicuro che ciò corrisponda al mondo reale. Il linguaggio matematico stesso può prendere varie forme asseconda dell’oggetto al quale si riferisce e non è un’univoco: alcune dimostrazioni si fanno meglio in modo algebrico in altre in modo geometrico.
L’uso stesso di formule analitiche può essere abbandonato per altre rappresentazioni: ad esempio i fisici che partecipano su questo blog hanno tutti imparato in terza elementare a calcolare le perturbazione delle ampiezze di diffusione utilizzando estensivamente i diagrammi di Feynman che rimpiazzano vantaggiosamente le equazioni tradizionali grazie ai loro grafici: http://physique.quantique.free.fr/glossaire_files/image007.gif
Ormai anche in teorie termodinamiche che intendono descrive processi caotici si arriva a fare predizioni complete usando solamente di grafici: https://www.youtube.com/watch?v=fevurdpiRYg
Personalmente penso (è una credenza mia) che un giorno sarà possibile descrivere con un linguaggio appropriato e capace di predittività strutture complesse organizzate: ma non saranno equazioni matematiche come le consociamo oggi, ma probabilmente linguaggi metamatematici dello stampo delle due illustrazioni di cui sopra.
Rendiamoci conto però che il linguaggio vernacolare che utilizziamo tutti è probabilmente quello che, utilizzato bene (anche secondo le regole del congiuntivo) permette il meglio di descrivere e di produrre predizioni nel mondo reale e concreto, complesso ed organizzato, caotico ma causale, nel quale ognuno di noi vive.
Infatti ho chiuso, Simon, parlando di linguaggio matematico a diversi livelli di astrazione.
@Simon
http://www.treccani.it/lingua_italiana/domande_e_risposte/grammatica/grammatica_400.html
Grazie!!!!
Infatti mi pare proprio che volevo esprimere “una determinazione del pensiero e della volontà, “
🙂
Anche a me è suonata male per pochi secondi, ma ho visto che solo invertendo la frase il tutto suonava più corretto (ad es. “A coloro che vorrebbero imporre a tutti i costi la propria visione del mondo, potrei consigliare….”). Strano che un giornalista professionista non ci sia arrivato e abbia scambiato il comune e abitudinario “suonar bene” con la correttezza grammaticale (ma credo sia un segno dei tempi “conformisti” che stiamo vivendo) 🙂
Bene, allora per coerenza devo dire che ho imparato una cosa nuova… Mi spiace davvero aver fatto il sapientino ed essere scivolato su una sfumatura così bella e avvincente della lingua italiana, la più bella e diversificata, per sfumature, lingua del mondo.
Quel “vorrebbe”, allora, era riferito a chi davvero voleva riflettere, non a un ipotetico mondo di potenziali persone che avessero voluto riflettere… Una sfumatura non di poco conto. Chiedo scusa a tutti e in primis a Simon che, al di la delle diatribe da forum, stimo come persona che in fondo e alla cerca di una verità che faccia quadrare il cerchio della vita. Come tutte le persone di buona volontà, indipendentemente dal fatto che siano credenti o meno.
A mio parere i biologi non hanno dato risposte poi così diverse, anche perchè è impossibile trovare nel corso di tutta la storia una definizione univoca di vita, morte, anima. Ed i biologi che affermano che anche un sasso rappresenta una forma di vita, non dicono una cosa del tutto insensata, sebbene non abbia mai capito il discorso delle illusioni , che trovo rappresenti una scorciatoia per evitare di affrontare la questione in ogni rispettivo contesto.
Tornando ai sassi, di un aggregato minerale si può appunto parlare di “vita” in termini di trasformazione chimica o geologica, e forse anche biologica, in quanto parte dei minerali esistenti sono nati a seguito dell’attività biologica che ha innescato determinati processi di ossidazione.
Spingendosi più in là, anche il tema dell’anima è abbordabile da questo punto di vista se osserviamo come in diverse culture questa possa appartenere anche al mondo degli oggetti inanimati. Ci sono infatti i casi delle varie sfaccettature animistiche di tante tradizioni che vedono in un luogo (una montagna, un tempio, un corso d’acqua…) o in una realtà materiale (una reliquia, un talismano – o la stessa ostia consacrata o l’acqua santa per fare esempi a noi più vicini) una presenza spirituale, quindi una presenza vitale. A questo proposito varrebbe la pena ricordare Talete, citato nel De Anima da Aristotele: “Tutte le cose sono piene di dei”.
Il Suo intervento, Flavio, stimola alla metafisica!
L’essere [di un sasso, di un numero, di un ippogrifo] si manifesta in tanti modi, insegna la metafisica, di cui l’esistenza [certamente di un sasso, ma non di un ippogrifo; e di un numero?] è un modo. E la vita [certamente di una pianta, ma non di un sasso] è un modo dell’esistenza. Le distinzioni metafisiche sono importanti, a mio parere, proprio perché evitano le “illusioni” delle scorciatoie usate da chi preferisce la confusione all’esercizio della ragione. Ma io rimarrei questa volta, Flavio, in ambito scientifico, anzi strettamente biologico, piuttosto che culturale, filosofico o religioso…
Ebbene, il problema della biologia non è tanto di non avere una definizione della vita – in fondo anche la scienza dei fondamenti, la fisica, ha di molte sue grandezze soltanto definizioni “operative”, che senza spiegare di cosa parlano, indicano solo il protocollo per associare un numero!
Piuttosto, il problema della biologia (molecolare) è di avere 4-5 definizioni di vita vegetativa, 0 della vita sensitiva e intellettiva, e per giunta di voler coprire con le prime (bene adatte a batteri e piante) anche i modi di vita di animali e uomini.
Ma qualcosa si sta muovendo nella ricerca neuroscientifica non riduzionistica…
Lei sembra dare, ultimamente, caro prof. Masiero, un colpo al cerchio e uno alla botte… Tutto scientifico empirico, quasi giustificante i limiti della scienza empirica, ampliandone talvolta la portata come il più assoluto dei materialisti, fustigandola tal altra per ricondursi alla metafisica come rifugio sicuro. Insomma, se non è così, pare proprio così. Potrebbe, gentilmente, riassumere in tre punti tre, per coloro che come me rischiano di perdersi, come sa fare sempre molto bene, la sua posizione in merito alla definizione di vita? E porti pazienza se, in quanto a comprendonio delle cose alte, sono persin messo peggio di una casalinga di Voghera.
La vita è un modo dell’esistenza ed è di 3 generi:
1) genere con funzioni vegetative (batteri, funghi, piante). Qui va bene una delle varie definizioni della biologia;
2) genere con funzioni vegetative + sensitive (animali);
3) genere con funzioni vegetative + sensitive + intellettive (uomini).
Attenzione però: avevamo già parlato della pianta di fagiolo che “vede” da cosiderevole distanza e senza influenza luminica o di altro tipo il sostegno su cui potrebbe crescere, quindi la separazione delle funzioni sensitive da quelle vegetative non è per nulla netta. A quest’uso infatti la vita organica andrebbe divisa in due categorie: quella che in maniera chiara è capace di riflettere della propria esistenza ed elaborare dei pensieri astratti e quella di cui si è sicuri che questa capacità non esista o che anche evoluzionisticamente non possa formarsi.
Lei, Flavio, a proposito della pianta del fagiolo ha scritto “vede”, tra virgolette: è un “vedere” simile a quello della cellula fotoelettrica del garage, che si chiude dopo uscita l’auto, o dell’impianto di riscaldamento che arresta il boiler quando “vede” che la temperatura è sopra una data soglia.
La facoltà sensitiva cui mi riferivo è la percettibilità cosciente e presuppone un sistema nervoso, a quanto ne sappiamo. Le foglie di tutte le piante sono “sensibili” alla luce, ma non per questo hanno sensitività cosciente della luce.
No, come ho scritto prima l’influenza luminica (ad es. l’ombra proiettata dal sostegno, il quale ai fini dell’esperimento dev’essere di un colore che si confonda con l’ambiente circostante) non influsce. E se allo stesso sostegno arrivano due piante, la seconda si lascia morire, anche qualora fosse più vigorosa della prima arrivata. Poi ci sono gli esempi degli alberi che durante il riposo invernale, quindi in assenza di scambio linfatico, registrano i venti predominanti e grazie a queste informazioni dirigono la crescita estiva, però in funzione della climatologia invernale. Si tratta quindi di veri e propri processi sensoriali, non diversi da molte funzioni espletate dal sistema nervoso animale. Quel “il fagiolo vede” quindi potrebbe esser sotituito con “sente” o “annusa”, il virgolettato è dovuto al fatto che ancora non conosciamo come funzionino questi meccanismi.
Io non credo a Babbo Natale, Flavio, e ancor meno ai fagioli senzienti. Sapevo che c’è chi crede al primo e ora so che c’è anche chi crede ai secondi.
“ora so che c’è anche chi crede ai secondi”
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In effetti… http://www.corrieredellaserra.info/piante-intelligenti/ (questo dovrebbe esser pane per CS, non potreste scriverci qualcosa?)
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In ogni caso la faccenda si risolve dicendo che un aristotelico mai sosterrebbe che il proprium dell’operazione vitale animale sia il mero agire/reagire/interagire con il mondo esterno, cosa che ogni essere vivente fa, vegetali compresi. E chi vuole sostenere il contrario, semplicemente si sbaglia.
Giorgio, intende dire con “proprietà sensitive” (da sua definizione) o senzienti nel senso “dotati di intelletto”, cioè il passo successivo?
Lei, professore, ha una chiarezza e quasi un’ingenuità a dirci le cose che abbiamo appreso con semplicità da bambini, dai nostri sensi e dal contatto amorevole con chi si è preso cura della nostra crescita, le cose che ora, da adulti, sono state dimenticate, o stravolte, sotto uno strato di saccente ciarpame. Lei estrae dal fondo della nostra anima le cose che già sappiamo, ma che abbiamo dimenticato.
Grazie.
Concordo con Anna, Masiero è davvero brillante.
Chissà, caro Giorgio, se la scienza arriverà mai ad affrancarsi dal riduzionismo e dal materialismo che oggi la contraddistingue.
Grazie, Vincent.
Non ritengo necessario né utile che la scienza si affranchi dal metodo riduzionistico, che tanti meriti ha per la nostra conoscenza e padronanza del mondo. Piuttosto, è importante che quel metodo si integri con quello sistemico e interdisciplinare e, ancora più importante, è che tutti capiamo che sopra la scienza, c’è la nostra umanità, con la responsabilità che questa condizione ci comporta nei confronti dei nostri simili e degli altri esseri viventi.
Ci sono anche strade meno faticose(scienza-filosofia-metafisica)per arrivare a dare una definizione di Vita(e l’altra faccia della medaglia,non meno importante,cioè la Morte).Questo leggendo alcuni righi di una intervista al famoso attore Lino Banfi(spero non ci sia il copyright):….pare che lassu saremo tutti UGUALI,BELLI,avremo 33 anni e peseremo 7 grammi.
Peseremo ancora meno dei “famosi 21 grammi”?
Infatti dal punto di vista sterttamente antropologico, molti son convinti che la nascita delle religioni, intese come il fomulare delle risposte e mantenerle inalterate nel tempo, è in parte dovuta alla necessità di non percorrere strade troppo faticose.
Sto coi frati, dal punto di vista teologico so che i salvati avranno il corpo glorioso, ma non credo che saranno tutti “uguali”.
Per esempio, molti teologi insegnano che manterremo gli affetti e le amicizie della vita terrena, Dio rispetta l’unicità di ogni essere umano.
Flavio, le potrei parlare a lungo di esperienze religiose che hanno portato molte persone a fare esperienza del mondo sovrannaturale, ma tanto per voi materialisti sono tutte illusioni, pertanto sarebbe inutile.
Se vuole dei miracoli “facili” da verificare chieda di assistere a degli esorcismi, se avrà pazienza e seguirà il sacerdote avrà modo di vedere delle cose che le toglieranno ogni dubbio.
Glielo garantisco.
Questo mi fa pensare Flavio che lei sia un attento lettore di cose antropologiche.Un mondo,da come ,leggendo scritti di carissimi amici,molto più complicato di quello che il consumismo di un certo giornalismo vorrebbe imporre.A me sembra piuttosto molto meno faticoso evitare le “domande ultime” e preferire di leggere solo quella metà del mondo(della cultura)che si è stabilmente convinta che è inutile(perchè la “nostra scienza”afferma perentoriamente lo spreco di tempo nel seguire temi “superati”)ascoltare anche “l’avversario”.Comunque se potessi esprimere una mia sensazione,senza urtare la sua sensibilità”di materialista”,anche lei è alla ricerca di argomenti validi che siano capaci di mettere in dubbio le “sue stesse certezze”.
Lino Banfi,che si è sempre definito credente e cristiano, cosi rispondeva al giornalista che lo intervistava,certamente con una ricca vena di humour.
Stò co’ frati, infatti io parlavo di nascita di religioni, quello che si è sviluppato dopo, pur mantenendo la necessità originale del fornire risposte inalterabili nel tempo, è un altro paio di maniche. Per rimanere sul piano strettamente pratico, a me ad esempio costerebbe parecchio essere islamico: pregare più volte al giorno ad orari prefissati, rinunciare all’alcol, starmene un mese all’anno senza poter mangiare (e bere!) dall’alba al tramonto… Ci possono quindi essere parti “non facili” (osservanza dei precetti) e parti “facili” (risposte già formulate) ed è a questa seconda questione mi riferivo io. Che poi sia ancora più facile non pensare proprio a nulla è cosa evidente, però credo (e spero!) non sia il caso di nessuno dei qui presenti.
Sto coi frati, il problema dei materialisti è che vogliono essere tali perché, come ho scritto, se cercassero evidenze atte a smentire la loro visione potrebbero trovarne eccome, come ho scritto più sopra.
Vabbè pazienza.
Flavio ha la possibilità di tenersi informato su più canali,anche grazie al web(che recentissimamente qualcuno vorrebbe limitare).Sono comunque daccordissimo con lei quando afferma che seguire alla lettera una qualche religione non è del tutto facile.Se poi mi entra nell’argomento rinuncia(ho amici islamici e con loro abbiamo bevuto del buon vino italiano,senza scandalizzare nessuno)al Buon Vino allora la capisco ancora di più.Forse,mi permetta,ha dimenticato che gli ebrei e gli islamici non potrebbero mangiare carne di maiale(per motivi “igenici”).Certo è anche che pregare più volte al giorno per noi occidentali che non andiamo neppure alla S.Messa settimanale deve essere uno sforzo gigantesco.Poi pensare che un occidentale rinunci anche per un giorno alla sua santa sacra polpetta quotidiana a me sembra del tutto impossibile.La saluto.
Vincent la ringrazio dei commenti.
Per quanto riguarda Banfi le posso dire che mi ha emozionato leggere anche l’ultima parte della risposta al giornalista ovvero:Lucia si chiede come faremo a riconoscerci.
Buongiorno Giorgio, posso chiederle a quali ricerche neuroscientifiche si riferisce?
Per es., a quelle dei gruppi di (o partite da) G. Edelman, B. Libet, A. Damasio, R. Gregory, L. Colloca, F. Benedetti, …
Caro Giorgio, ha fatto bene a scrivere “o partite da…” perchè effettivamente la metà di questi riposano in pace… Immagino si riferisca alla capacità della mente d’influire sugli stati fisici, però non voglio tirare ad indovinare e forse è meglio se specifica meglio, anche perchè sarebbe interessante riuscire ad abbozzare una definizione condivisa di cosa sia l’intelletto.
Se non c’è una definizione condivisa tra i biologi della vita, Flavio, come può pensare che ne abbiano una dell’intelletto?!
Per me, come per la vita, anche per l’intelletto la definizione è quella di Aristotele.
Questo lo sapevo ed infatti sempre replico che da Aristotele in poi ne è passata di acqua sotto i ponti (ormai ci conosciamo un poco…).
Ero però interessato nel conoscere a quali studi si riferisse, perchè non ha notato in lei molto entusiasmo o particolare interesse riguardo i progressi delle neuroscienze