Quando venne l’astrazione a comandar la scienza, dopo le arti figurative e la musica
I due tavoli di Eddington
di Giorgio Masiero
Quando venne l’astrazione a comandar la scienza, dopo le arti figurative e la musica
Hanno scritto questo articolo due me, seduti su due sedie a due tavoli in due stanze di due case,… appartenenti a due mondi diversi. Non è fantascienza, ma la nuda e pura verità, caro (doppio) Lettore. Due mondi sincronizzati e connessi, eppure di due nature reciprocamente aliene. Il primo mondo è quello familiare a tutti dalla nascita, popolato di colori, suoni, odori,…, e di pensieri, speranze, timori, ecc. È il mondo che spontaneamente ci appare quando apriamo gli occhi, tendiamo gli orecchi, tocchiamo con le mani,… quello dei 5 sensi, del senso comune e della vita. Lo chiamerò il mondo concreto.
Il me n. 2, il tavolo n. 2, il Lettore n. 2,… sono invece gli “oggetti” del mondo scientifico. Il primo me – che comprende l’Io – ha saputo dell’esistenza del secondo mondo a scuola, dallo studio della fisica, della chimica e della biologia, lo usa nel lavoro e vi si tiene aggiornato con la lettura. Ma anche dopo mezzo secolo di frequentazioni non vi si sente a perfetto suo agio, perché? Perché quanto il primo mondo gl’inebria l’Io di qualia, tanto il secondo gli confonde l’intelletto di quanta; tanto il primo è colmo di materia e forme, altrettanto il secondo è vuoto di sostanza. Il me scientifico, il mio tavolo scientifico,… tutto il mondo scientifico sono composti di miriadi di particelle elementari – non aventi alcuna analogia con le particelle del mondo concreto – in moto a grandissime velocità, attraentisi e respingentisi, il cui ammasso totale ammonta ad un milionesimo di miliardesimo del volume occupato dai corrispondenti oggetti nel primo mondo! Anzi, per un’interpretazione della meccanica quantistica, vale uno 0 (zero) tondo, il suo 100% essendo campi di energia, vale a dire pura potenzialità, non realtà attualizzata, se le parole hanno un senso.
Un mondo etereo siffatto, composto di pure forze, era stato concepito dal gesuita dalmata Ruggiero Boscovich (1711-1787) nella sua “Philosophiae naturalis theoria” (1758). Qui Boscovich realizzò una sintesi originale di dinamismo leibniziano e di meccanicismo newtoniano, con un’ipotesi di struttura della materia secondo cui questa consisterebbe in punti discreti, inestesi e indivisibili, e in una forza repulsiva di corto raggio centrata in diversi punti dello spazio, in aggiunta alla forza gravitazionale attrattiva di lungo raggio di Newton. Il gioco delle due forze produrrebbe sui punti spaziali effetti empiricamente equivalenti ai moti di atomi democritei collocati negli stessi punti…, solo che gli atomi democritei non sono più necessari! Gli “atomi” di Boscovich non sono sferette massive di qualche materiale, “senz’alcun voto impenetrabili” (Lucrezio, “De rerum natura”), ma coerentemente al rasoio di Ockam che regola la scienza moderna, sono i centri geometrici d’una forza repulsiva il cui superamento, col diminuire della distanza, diventa via via più difficile fino a diventare impossibile ad un qualche piccolissimo raggio. Insomma, Boscovich stese nel 1758 il programma di geometrizzazione della fisica e di smaterializzazione della realtà che sarebbe stato 157 anni dopo realizzato da Einstein per la forza gravitazionale con la relatività generale e qualche decennio più tardi ancora da Dirac e da Feynman per le forze elettromagnetica e nucleari con la teoria quantistica dei campi.
Con riguardo all’uomo, il contrasto tra i due mondi è ancor più netto. Mentre il mondo concreto della vita passa il tempo a provare calde emozioni, tramare fini intelligenti e curare responsabilità etiche, quello scientifico della biologia è a priori, per statuto, vuoto di vissuto, teleologia e libertà. Ogni ricercatore sembra dividere la sua giornata come il dott. Jekyll e mr. Hyde: al lavoro, indaffarato tra i numeri delle sue misure e le equazioni dei suoi modelli, nella vita sociale, pervaso dalle emozioni intraducibili e dai progetti di futuro. Intervistato, dice cose sconvolgenti come “la libertà non esiste”, “il tempo è un’illusione”, “la materia è un mito”; fuori scena, si comporta come tutti e non abbandona il senso comune del mondo concreto, perché solo questo dà a lui, come agli altri mortali, l’immagine che ognuno ha di sé e la capacità di vivere. Nessun fisico guida l’automobile contro un muro confidando sull’effetto tunnel, nessun neuroscienziato propugna l’abolizione di reati e pene in nome dell’inesistenza del libero arbitrio. Nessuna conoscenza importa infine all’uomo, se non è legata alla pace della sua anima.
Ovviamente la mia (immateriale) sedia scientifica sostiene il me scientifico, che continua a mantenere la sua corpulenta unità biochimica nonostante la sua fisica vuotezza, con altrettanto successo di quanto facciano sedia e me nel mondo concreto. Ciò non è casuale, ma accuratamente disposto dalla comunità scientifica, che ha accomodato i campi repulsivi ed attrattivi che permeano il vuoto del secondo mondo così da spiegare la solidità apparente del primo. Per calare di peso, non occorre necessariamente dimagrire; si può anche ridurre la forza di gravità, andando in regioni a minore curvatura, per es. sulla luna, dicono alla Nasa. Questo lo so bene. Anzi, dirò di più ad onore della scienza: mentre il mio Io ignora come mai, nell’eventualità d’un incendio calamitoso, sedia e me concreti si dissolvano in cenere e fumo, per i corrispondenti scientifici invece, la chimica gli fornisce una spiegazione soddisfacente della sparizione di entrambi. Così come so bene che una molecola di acido acetilsalicilico disciolta nel sangue trasla il mio Io da uno stato sofferente ad uno indolore. Domani, si dice, gli scienziati potranno osservare i pensieri attraverso una risonanza magnetica da sensori applicati alla testa dell’osservato. Ma i due mondi sono condannati a stare separati, due continenti nello stesso oceano della Realtà, perché il vissuto meditabondo dell’osservato non è la stringa di bit letti dagli osservatori sul monitor dello scanner MRI, come l’euforia di un guidatore che ha bevuto una birra in più non è l’indice letto dai poliziotti all’etilometro.
I due continenti non sono stati sempre divisi. La scienza primordiale del pastore errante per la Mesopotamia, che di giorno usava l’aritmetica per contar le pecore e di notte la geometria per riconoscere le costellazioni, apparteneva al senso comune. E così valeva per i sacerdoti egizi dai crani lucenti e dal perizoma bianco, che divisero il tempo con l’orologio solare per le ore diurne e quello ad acqua per le notturne, redassero il calendario con l’osservazione delle fasi della luna e delle stelle, ed unificarono gli dei del cielo e della terra con la geometria della piramide. E così per la scienza di Pitagora, Ippocrate, Euclide, Archimede, Tolomeo e Galeno. Perfino nella nova scientia di Vesalio e Galileo, di Newton, Lavoisier e Hertz, il corpo umano, il tavolo, i corpi celesti, le sostanze terrestri e le onde elettromagnetiche di minuteria metallica appartenevano all’unico mondo concreto. Ancora erano fenomeni di una Realtà indivisa.
La “deriva” dei continenti avvenne nei primi decenni del XX secolo, quando arrivò l’astrazione e comandò l’arte, la musica e la scienza: sopravvennero una pittura (cubista) senza più mimesi, una musica (atonale) senza più armonia, una matematica (formalista) senza più verità, una fisica (dei campi) senza più materia.
Nessuno più del fisico, matematico e filosofo Arthur S. Eddington (1882-1944) visse da protagonista la rivoluzione astrattista, il prima e il dopo, così cogliendo in flagrante lo scisma. Dopo la Grande Guerra, nel 1919, Eddington era andato a São Tomé e Príncipe ad osservare un’eclissi totale di sole. Fotografando le regioni situate sul bordo del disco nero, aveva localizzato una stella visibile in una posizione leggermente spostata verso l’esterno, proprio dove prevedeva la teoria di Einstein. Fu all’inizio difficile per lui convincere la Royal Society che il grande Newton – “tale tantumque humani generis decus”, come sta inciso sulla sua tomba all’abbazia di Westminster – fosse stato superato da un ebreo tedesco, ma alla fine Einstein venne accolto a Londra e la nuova teoria della gravitazione soppiantò la vecchia.
Eddington acquistò così, anche lui, tale tantumque decus da essere invitato nel 1927 dall’università di Edimburgo a tenere le prestigiose Gifford Lectures. Le lezioni furono pubblicate l’anno successivo in un libro, “The Nature of the Physical World”, che fece epoca perché, dopo David Hilbert nella matematica, Piet Mondrian nella pittura e Arnold Schönberg nella musica, sancì la divisione dei due mondi anche nella scienza. “Mi sono deciso ad affrontare il compito di trascrivere le mie lezioni e ho avvicinato le mie sedie ai miei due tavoli. Due tavoli! Sì, ci sono duplicati di ogni oggetto intorno a me. Due tavoli, due sedie, due penne…”, è l’incipit delle lezioni edimburghesi di Eddington.
Noi moderni conviviamo dunque con due immagini diverse del mondo. Entrambe sono rappresentazioni intersoggettive e non arbitrarie, perché entrambe sono concezioni condivise, costruite nel tempo dagli uomini nelle loro interazioni ambientali e reciproche ed utilizzate come risorsa quotidiana per vivere.
L’immagine concreta è una visione nata nelle nebbie dell’evoluzione e della preistoria umane, che fu gradualmente interiorizzata – geneticamente e culturalmente – divenendo senso comune. Per l’immagine concreta del mondo, la conoscenza è adeguamento dell’intelletto alle cose tramite i 5 sensi. L’immagine concreta produce verità immediate, relativamente stabili da milioni di anni, ma quasi solo contemplative, perché i modi di procedere delle cose le restano celati. Essa non sta a postulare entità non-concrete dietro le concrete e così restringe i limiti della sua potenza replicativa. L’immagine scientifica invece è mediata da ibridi di fenomeni osservabili quantitativamente, cioè riducibili a numeri (e in quanto tali già idealizzati), e di entità postulate: enti matematici, strutture, teorie e paradigmi. Questa copula di astrazioni genera senza posa modelli di quali potrebbero essere le cause e i modi dietro le trasformazioni naturali, ricavandone predizioni. E quando le predizioni sono confortate dall’esperimento, anche se il successo non implica che le cause ipotizzate siano quelle vere perché potrebbero solo simulare nel limitato contesto sperimentato le ragioni vere e in altri contesti risultare falsificate, comunque l’immagine scientifica produce nuove applicazioni con un crescente dominio sulla natura (il progresso tecnologico).
Inventare deriva dal latino invenio, trovare, che è diverso da creare, o ricreare. Per la sua origine ancestrale, l’immagine concreta salva l’etimo: tutta l’intelligenza del senso comune è rivolta all’apprensione della realtà ed essa inventa in quanto trova solo ciò che c’è già. Lo scienziato invece, nella costruzione dell’immagine scientifica del mondo, è un inventore-creatore e allo stesso tempo un inventore-ricreatore, perché ricrea nelle ricadute tecnologiche le repliche della natura che gli sono consentite dalle teorie che crea con la sua intuizione.
I due mondi hanno bisogno l’uno dell’altro. È superfluo anche solo accennare a quanto il mondo concreto della vita abbia bisogno di quello scientifico, dei suoi utili gingilli e dei suoi lampi di conoscenza. Ma anche il secondo mondo non può vivere senza il primo. La teoria dello scienziato si caratterizza rispetto alla fiction dello scrittore per un vincolo: la controllabilità empirica. Prima o poi lo scienziato si deve sporcare le mani e allora, nel vaglio finale dei dati adotta il senso comune dell’immagine concreta, per quanto sofisticato sia l’apparato tecnologico di controllo.
Ci si potrebbe chiedere infine quale delle due immagini del mondo sia più oggettiva, più aderente alla Realtà. A questo ufficio dovrei scrivere un altro articolo, armandomi di una razionalità “terza”, neutra tra le ragioni del senso comune e quelle della scienza. Questo arbitro è la filosofia dell’essere, alias metafisica
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59 commenti
Prof. Masiero la ringrazio di questo fantastico articolo. Davvero illuminante. Trovo il suo modo di pensare unico nel suo genere. Offre degli spunti ogni volta veramente meditativi, che inducono la mente a passare “sopra”, “andare oltre” a quello che si sente, si vede o si percepisce. Avercene docenti così in Italia.
PS: Ho consigliato i suoi articoli ad un mio amico, studente di Fisica….
Grazie, Dom.
Pensi, prof., che prima di arrivare alla sua conclusione, fin che leggevo le prime righe riferentisi ai due tavoli, già pensavo al terzo tavolo… Articolo che nasce monco, pensavo, il prof. dimentica il tavolo per lui più importante, quello della metafisica/teologia che tutto rappresenta, tutto domina, tutto chiarisce. Buon per lei che ha tale certezza, e siamo di sicuro tutti qui in attesa degli sviluppi nel prossimo articolo in materia…
Intanto, per me profanissimo, uomo del concreto, uomo che vive prevalentemente al tavolo 1 con qualche digressione da dilettante nel tavolo 3 e una speranza, quella di sedermi qualche volta al tavolo 2 per imparare cose, per me balza all’occhio una verità profonda bene espressa nel suo avvincente racconto…
Ogni uomo “fuori scena, si comporta come tutti e non abbandona il senso comune del mondo concreto, perché solo questo dà a lui, come agli altri mortali, l’immagine che ognuno ha di sé e la capacità di vivere… Nessuna conoscenza importa infine all’uomo, se non è legata alla pace della sua anima.” Che bello che sia così, ed è davvero così!
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Vede, per me che sono agnostico, ma agnostico spirituale, questa è la verità contenuta nel suo splendido narrare… Tutto il resto viene dopo, tutto il resto è noia, direbbe il Califfo, e la prenda solo come una battuta da tavolo 3.
Grazie prof.!
Grazie, Cipriani.
Mi è molto piaciuta la definizione che Si è dato di Sé come “agnostico spirituale”. Se considera i dubbi che anch’io credente ho di tanto in tanto – e che quando confido al mio confessore, questi mi confida di condividere con me, giustificandoli come inevitabili nella fede -, forse Lei ed io non siamo così lontani.
Ho sempre pensato che non siamo così lontani, caro Masiero…
Chiedo scuasa per il fuori tema .
Ciao Giuseppe . Non conosco quel libro tanto meno l’autore . Se reputi che sia Interessante , allora provvederò a leggerlo . Grazie per l’informazione . Ciao e buona serata .
OT doveroso
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Caro Emanule, ti consiglio di farti prima un’idea del libro qui (e approfondisci in rete):
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https://it.wikipedia.org/wiki/Il_male_oscuro_(romanzo)
http://www.ibs.it/code/9788817012195/berto-giuseppe/male-oscuro.html
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La scrittura è particolare, occorre tempo per abituarsi alla punteggiatura quasi assente, ma (parere mio) ti entra dentro. Ciao
Ottimo e condivisibilissimo articolo caro Giorgio!
Purtroppo uno dei problemi attuali, non è neanche il pensare al tavolo 2 (che è cosa lecita), ma il fatto di “credere” che quel che si pensa al tavolo 2 sia la verità circa il tavolo 1!!!
Tutte queste cose dovrebbero già essere insegnate a livello liceale e ripetuto al primo trimestre di ogni cursus universitario: ci eviterebbe di avere palloni gonfiati in giro.
Giusto un’osservazione se mi permetti: quando tu parli di “dematerializzazione” non sono concettualmente 100% d’accordo con te. Cioè, capisco quel che vuoi dire in termini di linguaggio volgare, ma in realtà quel che vediamo è un processo di “decorporizzazione”: cioè l’incapacità di vedere il corpo. La materia è potenza (la materia prima è pura potenza): in realtà nel discorso scientifico si discute del lato quantificabile della potenza, l’atto sperimentale la rende attuale, cioè corporale.
Siamo in una società che odia il corpo e che vive in pieno dualismo tra, da un lato un mondo puramente potenziale ma quantificabile, e d’altro lato uno corporeo, non totalmente quantificabile e odiato per non essere confacente alle proprie ideologie.
Grazie ancora per il pezzo e buona domenica.
Siamo in una società che odia il corpo? In che senso, Simon?
A me risulterebbe l’esatto contrario… purtroppo.
@Giuseppe Cipriani
Ti rispondo con Pasolini:
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Primo: la lotta progressista per la democratizzazione espressiva e per la liberalizzazione sessuale è stata brutalmente superata e vanificata dalla decisione del potere consumistico di concedere una vasta (quanto falsa) tolleranza.
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Secondo: anche la “realtà” dei corpi innocenti è stata violata, manipolata, manomessa dal potere consumistico: anzi, tale violenza sui corpi è diventato il dato più macroscopico della nuova epoca umana.
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Terzo: le vite sessuali private (come la mia) hanno subito il trauma sia della falsa tolleranza che della degradazione corporea, e ciò che nelle fantasie sessuali era dolore e gioia, è divenuto suicida delusione, informe accidia.
@Giuseppe Cipriani
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Pensa solo al tentativo della societa` di scoporare la sessualita`, atto corporale par excellence, che in un mondo materialista si risolve nel poter aver atti sessuali con esiti fisici istantanei e non duraturi, in tutti i sensi: senza il fardello della riproduzione, delle malattie e senza strascichi cerebrali, che pero` sono fisici anch`essi, intesi come possibilita` di ripensamento, perdita di intimita` , ecc …
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Tentativo doppiamente illusorio, vista la reale efficacia della contraccezione e della profilassi e, anche se lo fossero, l`impossibilita` di separare il significato profondo dell`atto sessuale dal mero gesto.
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Indicativo di quest`ultimo aspetto e`, secondo la mia esperienza, la percentuale degli atti sessuali consumati e favoriti dall`assunzione di alcolici o sostanze psicotrope che, tragicamente, credo siano ormai la maggioranza.
Caro Cipriani,
Mi sembra difficile dirti molto di più che le risposte si Lovinski che traducono esattamente quel che ho tentato di esprimere.
La scorporazione della sessualità che ti ha illustrata ne è un ottimo esempio.
“Società che odia il corpo”… Lo pensavo contrapposto all’edonismo, forse generalizzando troppo i concetti…
Tutto il resto qui ventilato (compresa la “scorporazione della sessualità”) mi sfugge, per fortuna, in quanto cerco di coltivare mens sana in corpore sano.
@Cipriani
sul tema “Odio del corpo” si può leggere anche questo breve brano “L’elogio del rutto”, di Fabrice Hadjadj, che a dispetto del nome è decisamente interessante ed esplicativo in tal senso: http://www.gliscritti.it/blog/entry/3363
Non si puo` pero` far finta di niente: Il consumo di alcol per favorire o, addirittura, ormai consentire i rapporti sessuali, in una societa` che dovrebbe aver eliminato la disibinizione e la repressione, e` indicativo di come possano esistere anche vincoli fisici e corporali, oltre che culturali e sociali.
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Questo vincolo corporale non e` altro che la mente, che non e` un`entita` disincarnata, ma si appoggia al cervello e ai suoi ricordi e sensazioni.
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Il motto che si sente ripetere spesso e`: “basta che ci sia il consenso”, ma questo consenso, quello istantaneo per l`atto momentaneo, che dovrebbe appagare il corpo, non basta: e` necessario che il consenso non solo sia positivo, ma anche duraturo e stabile, appunto per appagare anche la “mente”, che pero` e` fisica anch`essa.
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Alcune statistiche:
100,000 students between the ages of 18 and 24 report having been too intoxicated to know if they consented to having sex (Hingson et al., 2002).
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Nearly 50% of the males and 41% of the females reported having consumed alcohol just prior to sex
When asked about their alcohol use in connection with their sexual activities, 49% of men and 38%
of women reported having sex as a direct result of drinking
Sex and Alcohol on Spring Break: Some Statistics – Apostolopoulos, Y., Sonmz, S., & Yu, C. H. (2002)
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Questa mi pare addirittura troppo pessimistica:
Eight out of 10 teenagers lose their virginity when they are drunk
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http://www.theguardian.com/uk/2006/may/21/schools.education
@ Masiero
Anche a me è piaciuto moltissimo questo articolo ma sono un po’ perplesso sul concetto di “dematerializzazione”, nel senso che la comprendo per la Relatività Generale ma vorrei capire meglio cosa intende per le altre tre interazioni fondamentali: in che senso la materia non ci sarebbe?
Dematerializzazione? Non si parla si smaterializzazione della realtà? Stesso concetto o altro paio di maniche?
Grazie, HTagliato.
Immagino che le tue perplessità si riferiscano non a considerazioni metafisiche, dato che la fisica non tratta la realtà, e quindi nemmeno la materia [del resto, la materia neanche esiste come “grandezza” nei testi di fisica]; ma che si riferiscano alle “particelle materiali” del materialismo democriteo e poi, giù per li rami, settecentesco. Ebbene, ho trattato in dettaglio la progressiva “smaterializzazione” di queste particelle, intervenuta prima con la RG, poi con la prima MQ e infine con la TQC nell’articolo “Che cos’è la materia (2)”.
Oggi la massa m (attenzione: non la materia!) che cos’è se non un parametro non nullo (diventato positivo col meccanismo di Higgs, cioè con un attrito di campo!) in una Lagrangiana e costruito ex post (vedi gli esperimenti al Cern sui bosoni) per accomodare i bit osservati alla teoria?
Per i fisici la materia, infine, si riduce al noumeno (un fantasma) che sta dietro ai loro fenomeni idealizzati e che, con l’energia, è per il 95% “oscuro”. Giusto?
Naturalmente auguro a te fisico di ridurre quel 95% con qualche nuova teoria che riuscirai a creare!
Grazie, Simon.
Naturalmente condivido il tuo richiamo ad usare un linguaggio filosoficamente preciso (decorporizzazione e non smaterializzazione, perché la materia è potenza), ma come hai ben compreso ho usato il termine che ho ritenuto più confacente per un articolo di divulgazione. Prova ne sia i commenti che sono seguiti sul “corpo”…
buongiorno.
premetto che dal basso della mia giovane età e poca esperienza [se confrontata con la vostra] posso risultare un po’ impreparato per partecipare attivamente a questi dibattiti che tanto mi affascinano;
quindi partirei subito con l’esprimere il mio dissenso, dottor Masiero, circa l’argomento trattato in questo vostro articolo:
non credo che entrambe le realtà siano necessarie, le uniche realtà necessarie sono quelle le cui qualità soddisfano la propria concretezza, essendo la scienza priva di qualità non potrebbe sostenere la propria esistenza quindi sarebbe non necessaria.
il fatto è, che la necessità di avere una ruota di scorta nel bagagliaio non sarebbe valutabile se quando foriamo non possiamo fermare la macchina o scendere dall’auto o avere le chiavi per cambiarla..
la scienza non è in grado di “aumentare di un singolo grammo” il peso della nostra esistenza.
questi comunque sono discorsi che poco hanno a che vedere con gli argomenti che spesso trattate su critica scientifica di cui sono un fan e sostenitore.
per settimana prossima buon lavoro,
per ora buona domenica
Lei, Pianarosa, “esprime dissenso” da me, perché Lei “non crede che le due realtà trattate in questo articolo siano entrambe necessarie”, come invece, secondo Lei, sarebbe il mio giudizio. Ma dove, per cominciare, ho scritto che trattasi di due “realtà”? Per me sono due “immagini” della realtà, come ho più volte ripetuto, due “mondi” costruiti dall’uomo, e una delle due è molto più astratta dell’altra, perché lontana dal vissuto, come credevo di essermi spiegato. Né tantomeno, in secondo luogo, questa seconda immagine è “necessaria” all’altra (tutt’al più utile, oggi), come dimostrano milioni di anni di vita umana senza di essa. Come pure credevo di avere spiegato.
Ho lasciato apposta aperta, proprio nell’ultimo capoverso dell’articolo, la questione (metafisica) su quale delle due immagini (non due realtà!) sia più vicina alla realtà, ma Lei forse, insieme alla giovane età e alla conseguente necessaria poca esperienza, legge anche troppo in fretta gli articoli prima di commentarli.
Tanti criticano la scienza, eppure tutti sfruttano a piene mani i progressi scientifici, senza i quali , peraltro , non sarebbe stato possibile diffondere così capillarmente le stesse conoscenze che sono servite a formare la mente e le coscienze degli stessi che oggi la criticano.
Si critica lo scientismo, non la scienza: le pretese della scienza, non i traguardi.
Difesa d’ufficio della Scienza con la S maiuscola quella di Mentelibera65, caro Lovinski, di uno che non ha niente da dire sul lucidissimo articolo del prof. Masiero e che piuttosto di tacere va OT.
Fuori dalle sentenze universalmente condivisibili, ML, per mia curiosità e anche per stare in tema, c’è qualcosa di quanto ho scritto che Lei non condivide?
La mia era una considerazione generale , quasi un pensiero a voce alta, e sicuramente un po OT, ma non credo troppo,
Siamo talmente immersi nelle conseguenze delle scoperte scientifiche , da non renderci conto che molte delle sensazioni che proviamo come uomo 1 (colori, suoni , odori, etc ) sono create o alterate da quanto nei secoli prodotto dall’uomo 2.
L’uomo 1 che nascesse in un mondo dove fin dalla nascita dovesse lottare con fame, sete , freddo e pericoli naturali , avrebbe probabilmente una sensazione diversa del mondo e della realtà che lo circonda,
Non a caso anche i grandi filosofi del passato appartenevano ad un elite minima di popolazione, rispetto ad una stragrande maggioranza di persone per le quali la sopravvivenza giornaliera era l’unica filosofia praticabile.
Per questi ultimi ogni cambiamento in meglio della propria condizione, derivante dalla applicazione di una scoperta scientifica, era una benedizione, e lo scienziato un eroe.
E’ quindi inevitabile che si sia affermata nei secoli la convinzione che la scienza, ben più della filosofia, sia utile per l’uomo. Certo ora, nel caldo delle nostre casette, con l’acqua corrente che scorre a comando e la possibilità di accedere a milioni di informazioni con un clic, possiamo fare ben altri pensieri.
L’utilità per l’uomo integrale della tecnica derivata dalla scienza, ML, l’ho ribadita anch’io nell’articolo. Ma io Le avevo chiesto se e dove NON è d’accordo con me, perché mi era parso di cogliere un velato dissenso nel Suo primo commento. Vorrà dire che mi sono sbagliato. Grazie.
Quanto alla filosofia, non ne ho mai parlato in questo articolo. Su quale delle due attività, filosofia e scienza, importi più all’uomo, penso dipenda dalla visione filosofica che uno ha di che cosa sia un uomo.
No no ..non c’era nessuna polemica.
Però ora che lo ha scritto, un bell’articolo su quale tra le due discipline (scienza o filosofia) sia stata, in definitiva , più utile per l’uomo, sarebbe un grande spunto!
Quando dico utile, intendo di quale delle due si sarebbe potuto fare a meno con meno danni! Un tentativo di valutazione oggettiva, direi…scientifica! Un gioco che darebbe spunto a centinaia di commenti 🙂
E può farlo solo lei che è un mix tra scienziato e filosofo (metafisico)
mi perdoni ma la mia è solo curiosità, ciò che in verità non comprendo a fondo sono alcune sue affermazioni;
la prima:
l’immagine della sua realtà, quella concreta e piena di colori (aggiungerei il quadro la cui firma a noi ignota) viene a conoscenza di un immagine astratta e vuota di significato..
poi afferma che i due mondi (immagini della realtà) hanno bisogno l’uno dell’altro..
Non ho capito la prima domanda, Pianarosa.
Quanto alla seconda, il secondo mondo è utile al primo (non indispensabile) per le applicazioni (pensi alla medicina), mentre il primo mondo è utile (anzi, necessario) al secondo nella fase finale di corroborazione sperimentale delle sue teorie, che si fa sempre sulla base dei 5 sensi e del senso comune. Come ho scritto.
evidentemente devo aver sbagliato a tradurre la sua frase di chiusura
-i due mondi hanno bisogno l’uno dell’altro- considerando il termine ‘bisogno’ come ‘necessità’ e non ‘utilità’,
alla luce di quella sua considerazione iniziale.
buona serata.
Buongiorno Giorgio e grazie per l’interessante spunto. Se a me dovessero mettere con le spalle al muro e mi obbligassero a rimanere solo con la scienza o solo con la filosofia, allora m’inclinerei sicuramente per la seconda opzione, ma solo per una questione di gusto personale, perchè m’immagino più felice con la poesia e senza la razionalità che il contrario.
Il problema sembre essere nel rispettare i singoli ruoli per evitare di contrapporli o confonderli più del dovuto, perchè è lì dove appaiono i conflitti più evidenti. Non credo comunque che nessuno sia esente dal commettere l’errore di non separare sufficientemente il necessario agnosticismo scientifico dal lecito fideismo filosofico. E nel fondo sono contento che sia così, perchè un mondo così compartimentato, oltre che ad essere sommamente noioso, credo non sarebbe più in grado di produrre menti brillanti.
Non capisco, Flavio. Qui non ho fatto filosofia, forse la farò, come ho scritto alla fine, in un prossimo articolo. Qui io ho solo riportato le due immagini del mondo, quella che ci danno i 5 sensi e quella scientifica. Tanto per capirci: ho scritto qlc su cui Lei non è d’accordo?
Grazie cmq.
Non sempre bisogna obiettare, caro Giorgio, per il momento ho letto di una storia che non conoscevo e che ho ritenuto interessante. Riguardo il fare filosofia, invece è inevitabile farla quando scriviamo qualsiasi cosa che non sia la lista della spesa, che è proprio quanto volevo dire col mio intervento. Ma lasciamo questo per il prossimo sviluppo dell’argomento…
Buonasera,
ringrazio il prof. Masiero per l’interessante articolo, il quale, credo, è più intenso e sottile di quanto possa sembrare; quasi sarebbe necessario scrivere un articolo di risposta da parte mia, per poterlo commentare tutto; ma mi limiterò ovviamente a commentare, da utente di media cultura quale sono.
Trovo interessante questa suddivisione fra mondo concreto ed astratto, avvenuta nel XX secolo, nonostante non la condivida in pieno in quanto a descrizione della realtà e dell’evoluzione del pensiero.
Anzitutto, anch’io ho sempre pensato che la fisica novecentesca si fosse differenziata dalla precedente non solo sul piano paradigmatico, ma (soprattutto) su quello sostanziale (la quale frase può sembrare banale, ma non lo è).
E non solo la fisica, ovviamente.
Si è avuta una musica senza armonia (schoenberghiana), astratta, ove domina l’intelletto, e non vi è cittadinanza per la cosa; il che produce qualcosa di apprezzabile solo intellettualmente, ma non sensibilmente. Lo stesso vale per molta arte (le Avanguardie) del Novecento, nonostante la natura visiva, ovvero sensitiva, che caratterizza le arti figurative faccia sì che non di rado scintille concrete possano emergere da una matrice intellettuale; il che può solo che arricchire l’opera artistica.
In vero, sono un fautore dell’adeguamento di cosa ed intelletto non solo gnoseologicamente, ma anche esteticamente; per questo reputo migliori le opere letterarie, musicali ed artistico-figurative in cui sia un’associazione monistica, sincera ed ispirata, di ambedue i piani (penso a Dante, Bach, Brunelleschi ecc).
Vengo quindi alle mie opinioni che sono maggiormente divergenti da quanto detto nell’articolo: non penso che i piani astratto e concreto si siano letteralmente separati all’inizio del Novecento; reputo piuttosto che abbiano sempre convissuto nel pensiero occidentale, ma che la Rivoluzione Copernicana criticistica prima, e di conseguenza l’Idealismo tedesco poi, abbiano fondato una nuova sorta di “weltanshauung metafisica” (non penso si possa parlare proprio di metafisica) riferita alla coscienza, alla dimensione cui si confa l’astrazione, differentemente da qualsiasi sistema filosofico prekantiano, preferenzialmente orientato verso l’essere, il concreto, l’esterno (eccezione fa la filosofia medievale, che per prima in Occidente, credo, indaga ambedue i piani; e.g. la disputa fra nominalisti e realisti ecc); la quale nuova weltanshauung ha dunque privilegiato sempre più l’approccio astrattistico, ovvero lo svincolamento dalla dimensione concreta (la smaterializzazione, o meglio decorporizzazione suddetta), di cui si è avuta ampissima testimonianza nel XX secolo, per quanto concerne qualsiasi branca della scientia.
Inoltre, non solo reputo che il piano concreto e quello astratto (scientifico, nel caso si parli in termini epistemologici e/o gnoseologici) si completino a vicenda, ma li intendo pure in un particolare rapporto dialettico nel quale il secondo risulti naturale evoluzione dell’altro, nel quale tuttavia (e qui concordo con il prof. Masiero) è la Metafisica, attraverso il Linguaggio (Verbum, Logos, Kalam, chiamiamolo come più ci piace), a risultare elemento di sintesi (della dialettica, per l’appunto, suddetta).
Mi auguro di essermi esplicato bene, e di non aver errato nelle vallate dell’inferenza ignorante.
Grazie, Alio, soprattutto per il Suo commento intenso da cui ho molto appreso.
E’ certamente impreciso voler stabilire delle date a classificare la storia della cultura umana sotto l’aspetto dell’astrazione, perché la crescita del simbolo (e quindi dell’astrazione) scandisce tutta quella storia. Solo per la fisica, già Galileo con la sua separazione degli accidenti dalle essenze nei fenomeni, aveva fatto fare un bel salto nel campo dell’astrazione alla scienza. Però la coincidenza di a) matematica formalista, b) pittura non figurativa, c) musica atonale e d) fisica quantistica intervenuta negli stessi primi decenni del XX secolo mi è sembrata degna di essere segnalata,… quasi a stabilire un limite superiore e insuperabile nell’astrazione? Chi vivrà vedrà.
Certamente l’esperienza avutasi con il ventesimo secolo, per la sua globalità, ci risulta particolarmente paradigmatica nel descrivere i salti dell’astrazione. E’ pur vero però che chi vivrà vedrà, e vedrà di cosa l’umanità sarà ancora capace nello stupirsi in questa dialettica concreto-astratta (a giudicare da come vadano le cose or ora, non vi è da esser ottimisti…).
Due immagini del mondo applicabili solo all’essere umano. cioé all’animale evoluto dotato di consapevolezza o coscienza di se stesso. Probabilmente la presa di consapevolezza (qualche centinaia di migliaia di anni fa?) ha portato ad un aumento dell’intelligenza (intelligenza caratteristica, del resto, di tutti gli animali evoluti…) ma solo nell’Uomo poteva emergere l’immagine della realtà correlata ad una crescita scientifica e alle applicazioni della stessa. Cosa é infatti la consapevolezza se non lo “speculare” e il “progredire” (anche) indipendentemente dai 5 sensi?
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Secondo me nessuna delle due immagini é comunque “aderente” alla realtà come accenna il prof. Masiero (o comunque é nelle condizioni di vincere il premio per essere considerata “la migliore”). La prima (quella correlata ai sensi) può essere solo una presa d’atto della realtà, momentanea, parziale e necessariamente finita; in altre parole non é sottintesa alcuna “dialettica” ma solo supina accettazione di ciò che si percepisce. La seconda (quella della scienza) allo stesso modo non può considerarsi aderente alla realtà perché non arriva a spiegare la realtà ma solo a caratterizzarne (parzialmente…) dinamica e consistenza senza essere in grado di risolvere il problema dell’inizio e della fine (o del mancato inizio e della mancata fine… meglio precisare anche il complemento a uno della questione….).
Certamente, Beppino. L’uomo è la misura di tutte le cose! Però io, come l’Aquinate (“Nulla è nell’intelletto che prima non sia nei sensi”), non riesco proprio a concepire qualcosa che non parta dai 5 sensi.
Sulla seconda parte, Lei entra nel discorso metafisico su cui mi riservo d’intervenire in altra sede.
Partire dai 5 sensi presuppone la soluzione del problema della calamita; se sei troppo vicino non riesci a staccarti e sei condizionato circa la speculazione futura (e ciò porta, ad esempio, alla supponenza dello scientista…). Se invece sei troppo lontano viene meno, all’origine, proprio “il concepire qualcosa” da quel poco che abbiamo; a meno che “concepire qualcosa” non sia correlato esclusivamente alle necessità della sopravvivenza fisica o “accontentarsi” delle due immagini della realtà da Lei introdotte (che a mio parere, ripeto, non sono aderenti – o completamente aderenti – alla realtà, se con “aderenza” intendiamo in particolare la condizione necessaria e sufficiente per acquisirne in modo esaustivo i perché e percome).
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Vedremo l’introduzione dell'”arbitro” cosa comporta. Speriamo non ci faccia fare la fine che ci ha fatto fare un altro “arbitro” più “relativo” (un certo Moreno… 🙂 ).
Prof. Masiero,
scusi ma ho una domanda da farle.
Questo articolo ha esposto in modo chiaro e lucido il suo pensiero fisico e metafisico circa la realtà. Infatti, crede sia di natura binaria.
Ora, visto e considerato che io appunto molto bene nella mia mente i suoi pensieri (stia attento! ;-)), se non erro lei considera i miracoli parte del mondo fisico (cose che ancora non sappiamo come sono fatte). Quindi, se i miracoli sono di questo mondo e non dell’altro, perché la nostra anima è in questo mondo se appartiene all’altro?
Speculando, potrebbe capire la struttura del paradiso, del purgatorio o dell’inferno, visto e considerato che sappiamo com’è/cos’è un’anima?
Scusi ancora prof. Masiero!
Assolutamente no, Dom, io non ho esposto in questo articolo il “mio pensiero metafisico sulla realtà”. Al contrario, se Lei rilegge l’ultimo capoverso, vedrà che ho rinviato ad un futuro articolo questa esposizione. Restiamo in tema, please.
OKAY
Rileggendo l’articolo m’è balzata alla memoria la figura dello scienziato Mendel… E me lo sono figurato seduto su un’unica sedia con (al massimo) davanti due tavoli, un braccio appoggiato sul tavolo 1 e l’altro sul tavolo 2. M’è parso, insomma, il prototipo dell’uomo/scienziato che non ha la doppia personalità jekyll & hyde, ma che le incarna entrambe con estrema naturalezza: quel che vede l’uomo della strada istantaneamente nutre l’intuito/creatività dello scienziato. Chiamale, se vuoi, emozioni.
Immagine graziosa, signor Cipriani. Anch’io stimo molto Mendel.
Bell’articolo, prof. Masiero, che mi ha fatto riflettere sull’inadeguatezza della scienza a conoscere la realtà completa (“il Tutto”. direbbero Hawking & Co.) , inadeguatezza che non è solo di tipo storico e progressivo, ma è implicita in ogni acquisizione di tipo scientifico alla quale mancherà sempre qualcosa per descrivere una realtà completa dell’oggetto studiato , mentre l’opinione comune, influenzata dallo scientismo, ritiene che la scienza progredisca acquisendo sempre più conoscenze perfette della realtà sino ad arrivare a conoscere la Realtà tutta intera (il Tutto, appunto). Inoltre apprendo che la metafisica sarebbe la filosofia dell’essere (io pensavo fosse l’ontologia) e rappresenterebbe il giudice imparziale nel confronto tra questi due tavoli e chiedo in base a quale criterio la metafisica potrebbe fare da giudice davvero imparziale tra il senso comune e la scienza.
Grazie, Muggeridge.
La scienza non solo è “inadeguata a conoscere la realtà completa, il Tutto”, ma anche a conoscere una pagliuzza o una mosca più di quanto faccia da solo il senso della vista in un bambino: “Si per multos annos viveres, adhuc naturam unius festucae seu muscae seu minimae creaturae de mundo ad plenum cognoscere non valeres” (S. Bonaventura).
Prima di stabilire se X è un pesce, bisogna dare la definizione di pesce. Così prima di stabilire se X appartiene alla realtà, bisogna dare la definizione di realtà. Ecco, io do di metafisica e di ontologia le definizioni di Quine, ossia rispettivamente la conoscenza di che cosa vuol dire essere “reale” e la conoscenza di che cosa “è reale” (e che cosa, al contrario, non è reale). Con queste definizioni, la metafisica precede l’ontologia (e la comprende).
Pertanto, se lo scopo è di capire quale delle due immagini (concreta e scientifica) più si avvicina alla Realtà, dobbiamo prima invocare la metafisica che della Realtà dà la definizione. Stabilite poi con l’ontologia le cose che sono reali, potremo rispondere quale immagine si avvicina più ad esse.
Lo scientismo non è la stima della scienza, ma la più grande fuga dalla realtà.
Per fare un esempio terra terra… Se una malattia della vite, mettiamo la peronospora, si combatte con un prodotto adeguato, nella fattispecie un fungicida, qual è la situazione? Ovvero:
1) Al tavolo 1 vedo che la vite ha quella malattia, la riconosco con gli occhi per dei sintomi bene evidenti, che non lasciano dubbi
2) Al tavolo 2 qualcuno ha capito che essendo quello un fungo, viene inattivato con speciali sostanze (definite per l’appunto fungicide) da irrorare nei tempi giusti; addirittura la scienza ha scoperto anche di più: che la malattia compare con determinate condizioni di temperatura e umidità e che il trattamento può essere efficace anche a livello preventivo…
Ebbene: che utilità ha la metafisica, in questo caso concretissimo? Prima di stabilire se la peronospora è un fungo deve dare la definizione di fungo?
E l’ontologia? Tutti d’accordo che quello è un fungo, per come l’ha ben definito la metafisica, stabilisce se la malattia della vite è reale oppure no?
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Tutto ciò, tirato per i capelli, mi dà l’idea di un qualcosa assolutamente inutile.
“Prima di dire che la peronospera è un fungo, devo dare la definizione di fungo”? Direi di sì, Cipriani, anche se qui non c’entra la metafisica (che dà la definizione di reale), ma la micologia (che dà la definizione di fungo).
E poi, finché non si tirano in ballo le teorie scientifiche, ma si resta nelle classificazioni, come ho spiegato, siamo sempre nel mondo 1, perché non è ancora arrivata l’astrazione.
Possiamo dire: un banalissimo caso in cui la metafisica non c’entra nulla e non può stabilire nulla, ché tutto è stato definito dalla scienza?
Direi un banalissimo caso in cui la metafisica non ha nulla da dire, e in cui molto (non “tutto”) può essere detto dai sensi, dal buon senso e dalla scienza.
Non per essere pedante… Ma in questo banalissimo caso perché quel (non “tutto”)?
Direi che anche il buon senso può essere bandito, in quanto bastano i sensi (la vista) e la conoscenza empirica affinata da prove sperimentali ed esperienza di campo collaudatissime: tot interventi, tot dosaggi, al tot tempo. Applicabile anche da chi di metafisica non sa nulla, senza più nulla da aggiungere, se non la scoperta (scientifica) di altri prodotti magari più efficaci.
Una questione, insomma, in cui tavolo 1 e tavolo 2 si completano mirabilmente senza necessità/possibilità che nessuno giudichi (possa metterci il becco in modo costruttivo) su chi più aderente è alla “realta”.
Perché secondo me 1) il buon senso serve sempre (x valutare le giuste condizioni di temperatura, ecc.) altrimenti un agronomo varrebbe l’altro, 2) “tutto” sulla peronospera non si saprà mai e si scopriranno sempre nuove cose, che forse smentiranno vecchie credenze e 3) al livello attuale della scienza agronomica il mondo 2 non è ancora stato immaginato.
Insisto…
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“il buon senso serve sempre (x valutare le giuste condizioni di temperatura, ecc.) altrimenti un agronomo varrebbe l’altro”
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Beh, in questo caso della peronospora è tutto ben codificato, bastano un termometro e un igrometro e si seguono delle tabelle-guida, niente buonsenso (che rischia solo di ingannare)
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“2) “tutto” sulla peronospera non si saprà mai e si scopriranno sempre nuove cose, che forse smentiranno vecchie credenze”
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Chiaro, ma l’intervento di aggiornamento con nuove conoscenze (su nuovi prodotti o su modifiche del fungo che magari evolve e diventa resistente) lo fa solo la scienza; le vecchie credenze per me non sono scienza da aggiornare, ma solo vecchie credenze da superare (con la scienza).
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“3) al livello attuale della scienza agronomica il mondo 2 non è ancora stato immaginato.”
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Cioè? Questa non la capisco, cosa dovrebbe immaginare un agronomo che dà le dritte al viticoltore che sia un di più di quel che oggi serve ed è sufficiente per lottare il fungo? Porti pazienza.
Anche per usare il termometro serve il buon senso, cioè l’intelletto. Si può guardare senza vedere, e vedere senza saper interpretare. Buonanotte.
Chiaro che bisognava intendersi sul significato di buon senso… Ma non l’avremmo finita più. Tutto per una banalissima malattia fungina della vite. Buonanotte anche a lei.
La ringrazio, prof. Masiero, per le sintetiche e comunque esaustive spiegazioni alle mie richieste di delucidazione. Non vedo l’ora di leggere anche l’articolo che tratterà di questo giudizio sui due tavoli, anche se ho il sentore che l’esito dello stesso sia già intuibile da quanto ha scritto qui sopra. Ovviamente non confondo la scienza con lo scientismo, ma credo che quest’ultimo finisca appunto per mettere in cattiva luce la scienza stessa inasprendo ulteriormente una presumibile sentenza sfavorevole. Non mi pare che il senso comune possa soffrire di analoghi svantaggi causati da chi, esaltandolo oltremodo, finisca per danneggiarlo, ma magari mi sbaglio.
Profondo articolo, prof. Masiero.
Mi permetta una domanda: lei assegna alla scienza un grande ruolo nelle applicazioni, però non mi è chiaro se per lei la scienza ha anche un ruolo di conoscenza, epistemico come a lei piace dire. La scienza da’ anche conoscenza?
Grazie, Anna.
Sì, la scienza dà anche conoscenza.
Seguendo Platone, definiamo la conoscenza come “credenza vera giustificata”. Se credo che oggi è giovedì, non ho conoscenza, perché non è vero che oggi è giovedì. Se credo che Lei, Anna, sia bionda e Lei è davvero bionda, ancora non ho conoscenza perché ho solo indovinato, non avendo alcuna giustificazione per dire che Lei è bionda.
Naturalmente non possiamo aspirare sempre ad una conoscenza certissima, soprattutto nei fenomeni naturali, perché non abbiamo spesso giustificazioni sufficienti ad affermare A o not(A). Così come è possibile che esistano fenomeni naturali su cui non sapremo mai nulla, nemmeno con una qualche plausibilità.
Io considero che la scienza dia conoscenza nelle affermazioni protocollari che possiamo, almeno in linea di principio, controllare coi sensi. Per es.
A = ‘La Terra è rotonda’,
B = ‘La distanza dalla Terra al Sole è di 150 milioni di km (circa)’,
ecc. Quando si è detto, per la prima volta, che la Terra è rotonda, non si poteva immaginare di portarsi fuori della Terra, per controllarlo, però si poteva immaginare un Gedanken Experiment… e questo oggi si osserva comunemente dallo spazio! Forse non si potrà mai misurare “direttamente” la distanza Terra-Sole, però sono immaginabili esperimenti per corroborare o falsificare B.
Dove, invece, le affermazioni scientifiche vanno prese con le pinze, epistemicamente parlando, è soprattutto nel campo delle teorie e dei modelli. Che una teoria o un modello “funzionino”, non significa che sia vero, non implica che le cose stiano proprio così! Vedi la teoria di Newton, che sembrava la più certa di tutte le teorie della fisica fino al 1915, tanto da cercare pianeti vicino a Mercurio per spiegare l’anomalia predittiva della teoria nella precessione di quel pianeta.
Quando poi, come nel caso delle due principali (anzi. uniche e totali) teorie della fisica, la RG e la TQC, esse sono in reciproca contraddizione, mi pare ovvio che, per quanto siano corroborate (cioè, platonicamente “giustificate”), non possano essere entrambe “vere”!