Il principio antropico
di Giorgio Masiero
Perché questo universo inimmaginabilmente grande è l’unico buco in cui una creatura come l’uomo può vivere
Quando un giorno del 1971, tanto presente nel mio spirito quanto remoto nel fisico, il presidente della commissione di laurea, allora a capo dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, ci congedò dopo la discussione della tesi, si rivolse così ai noi giovani dottori in fisica: In 350 anni, sono stati fatti passi giganteschi nella comprensione della struttura della materia. Ora disponiamo del modello Standard, che descrive 3 dei 4 campi di forza e tutte le particelle elementari. Ad oggi tuttavia, anche se le verifiche sperimentali si sono mostrate in accordo con le predizioni, il modello non può considerarsi una teoria completa delle interazioni fondamentali, dal momento che è incompatibile con la relatività generale e così non include la gravità. Ma forse il suo maggior difetto è un altro: esso contiene una ventina di parametri i cui valori non hanno alcuna spiegazione. Se spiegare vuol dire ridurre all’Uno, all’Indistinto, la vostra missione sarà di contribuire a cercare l’Unica Equazione, la Superteoria, da cui emersero i 4 campi e quei 20 fastidiosi numeri apparentemente arbitrari. Queste più o meno le parole del prof. Claudio Villi, del quale ricordo anche la smorfia con cui accompagnò il cenno ai “fastidiosi numeri”, che poi sono i rapporti d’intensità tra i campi di forza, la velocità della luce, le masse delle diverse particelle, la costante di Planck, ecc., tutte quantità che tuttora ci possiamo solo contentare di ricavare ex post, per via sperimentale. Frequentai ancora il prof. Villi per qualche tempo e poi non lo vidi più fino a quando non divenne senatore della Repubblica, nel cui ruolo ci reincontrammo per altre questioni. Negli anni seguenti sarebbe emersa un’evidenza stranissima di quei numeri che, mentre ne confuta “l’apparente arbitrarietà” dimostrandone al contrario l’univoca necessità, provoca tuttavia un “fastidio” ancor maggiore nella comunità scientifica. Procediamo con ordine.
Nel suo libro “Natural Theology; or Evidences of the Existence and Attributes of the Deity” (1802), il teologo William Paley scrisse: “La luce ci arriva dal Sole alla velocità di 12 milioni di miglia al minuto, con una forza apparentemente capace di frantumare in tanti atomi anche i corpi più pesanti. Com’è che esistiamo pur investiti da una così prodigiosa velocità? Evidentemente la grandezza delle particelle che compongono la luce è proporzionalmente minuscola”. Solo un secolo dopo si sarebbe riusciti a misurare la “minuscola grandezza” dell’energia d’un singolo fotone, ma intanto dalla conoscenza dell’elevatissima velocità della luce e dall’evidenza che una specie biologica come la nostra sopravvive all’impatto, Paley poté predire che le particelle di luce sono minute. In questo ragionamento egli applicò quello che nella comunità scientifica, a partire dal Congresso internazionale di Astrofisica di Cracovia (1973), è chiamato il principio antropico “debole”.
Il principio antropico debole consiste nella necessità che le leggi della fisica siano compatibili con l’esistenza di vita intelligente in almeno un pianeta. Come dire che se siamo qui a contemplare l’universo vuol dire che esso ce lo permette. Una banalità? Certamente, se ci fermiamo al significato filosofico del principio; uno strumento predittivo in scienza sperimentale invece, quando siamo capaci, come Paley, di estrarne proposizioni controllabili. Esso non è da confondere con la sua versione “forte”, secondo cui questo universo è stato, fin da principio, strutturato in completezza per ospitare un giorno osservatori come noi (che lo attualizzano tra i tanti a priori possibili, corrispondenti ai diversi stati quantici). La versione “debole” asserisce solo che le leggi fisiche realizzano (oggi) le condizioni necessarie alla vita e all’informazione, è tautologica filosoficamente ed è scientifica in quanto potenzialmente predittiva di proposizioni controllabili. La versione “forte” invece, promuove quelle leggi anche a condizioni sufficienti, con una sottile implicazione teleologica ed idealistica, ma soprattutto con un’infondatezza scientifica basata sul fatto che noi ignoriamo quale sia il set completo di condizioni affinché, in presenza di una fisica e di una chimica adeguate, la vita intelligente abbia necessariamente a comparire. D’ora in avanti, riferendoci al principio antropico intenderemo solo la sua versione “debole”, scientifica.
Un’altra applicazione del principio antropico, molto meno evidente di quella sulla minutezza delle particelle di luce, fu data da Paley nello stesso libro investigando la relazione tra la stabilità del sistema solare e la legge della gravitazione universale scoperta da Newton:
Il capolavoro di Newton contenente la legge, “Philosophiae Naturalis Principia Mathematica”, è del 1687 e così in quell’anno fece la sua apparizione il primo dei “numeri fastidiosi”, G, il cui valore (“arbitrario”? casuale?) sarebbe in seguito risultato uguale a 6.67 × 10^(-11) in unità SI. Paley pose però la sua attenzione sull’esponente 2 della distanza r (tra due corpi) al denominatore e si chiese: in un “mondo” con l’esponente diverso da 2 al denominatore, oppure con un esponente qualsiasi della distanza al numeratore sarebbe possibile la vita? Ebbene, egli dimostrò matematicamente che se s’impone che la forza di attrazione tra i corpi celesti, in particolare tra un pianeta e una stella, muova il pianeta lungo un’orbita chiusa stabile (com’è necessario alla conservazione della vita), solo il newtoniano esponente 2 al denominatore funziona. In altri “mondi”, con esponenti diversi, una minima perturbazione dell’orbita (provocata dalla caduta di un meteorite, o dal passaggio di una cometa, o dallo stesso muoversi degli altri corpi celesti del sistema, ecc.) farebbe spiraleggiare il pianeta schiantandolo sulla stella o lo farebbe allontanare indefinitamente da essa…
Il fisico Paul Ehrenfest riprese nel 1917 la linea di ragionamenti di Paley in un famoso articolo intitolato “In what way does it become manifest in the fundamental laws of physics that space has 3 dimensions?”. Chiedersi se sia proprio vero che lo spazio ha 3 dimensioni e quali siano le conseguenze fisiche di una geometria del numero 3 piuttosto che di 2 o 5, queste sono questioni così ovvie da essere inconcepibili per la gente comune. Che cosa c’è di più familiare alla nostra esperienza quotidiana delle 3 direzioni indipendenti, in larghezza, altezza e profondità dello spazio?! Saranno questioni ovvie, ma sembra che le grandi scoperte, quando non accadono per un colpo di fortuna, capitino solo a chi ha l’ardire di porsi tal tipo naïf di domande.
Questo era capitato anche a Newton. Che i corpi cadano sempre dritti giù per terra era stato spiegato da Aristotele con l’ipotesi che quello sia in terra il loro moto “naturale”, mentre in cielo sarebbe il moto circolare… Ma Aristotele si sbagliava. Se nei secoli dei secoli fu sempre ovvio per tutti (sommi filosofi, umani comuni e animali superiori) che le pietre dalle montagne e i frutti dagli alberi si muovono solo verso l’ingiù e mai verso l’insù né di sghimbescio, la cosa invece apparve poco chiara ad Isaac Newton il quale, un giorno del 1666, “dopo pranzo, in una giornata di caldo afoso, mentre stava seduto con gli amici in giardino” nella sua tenuta di Woolsthorpe, “a prendere il te all’ombra d’un melo […] ebbe l’idea della gravitazione. L’occasione fu la caduta d’una mela, che lo fece cadere in assorta contemplazione. Perché, si chiese, le mele cadono sempre perpendicolarmente all’ingiù?”, racconta uno degli “amici”, il rev. William Stukeley, nel suo diario. E la gravitazione universale si rivelò nel suo splendore agli uomini.
In maniera altrettanto ingenua e geniale, Ehrenfest si chiese perché lo spazio abbia 3 dimensioni e scoprì matematicamente che solo in un universo a 3 dimensioni spaziali (+ 1 temporale) la gravitazione permette orbite planetarie stabili. Il prezioso esponente 2 della legge di Newton risulta quindi una conseguenza del numero 3 delle dimensioni spaziali. Non solo: dalla tridimensionalità dello spazio, Ehrenfest derivò anche la stabilità di atomi e molecole e le proprietà caratteristiche degli operatori d’onda e dei vettori assiali della meccanica quantistica, che sono pure tutte condizioni necessarie all’esistenza di osservatori umani. Cosicché “Flatlandia” (Edwin A. Abbott, 1884) conserva il diritto ad essere un racconto popolare tra i cultori di fantascienza, ma solo in un mondo a 3+1 dimensioni spazio-temporali il racconto può esistere, con il suo autore intelligente e i suoi lettori divertiti.
Dopo Ehrenfest, venne Hermann Weyl a dimostrare in “Space, time and matter” (1952) che solo in universi (3+1)-dimensionali l’elettromagnetismo di Maxwell può derivare da una forma integrale invariante dell’azione, ciò che “non solo conduce ad una comprensione più profonda della teoria di Maxwell, ma anche mostra che la (3+1)-dimensionalità del mondo – una cosa finora accettata come un accidente casuale – è un fatto inerente alla nostra possibilità di capirne la struttura”. Ancora quindi, si ribadisce che un universo con un numero di dimensioni spazio-temporali diverso da 3+1 sarebbe inabitato da creature come Weyl, così eccelse in filosofia, matematica e fisica da “capire la struttura del mondo”.
Risale al 1929, ad opera dell’astronomo Edwin Hubble, la scoperta inimmaginabile (di fatto mai immaginata da alcun mortale, dall’alba dell’umanità) che l’universo si espande. L’assurdo apparve nella sua nuda, indiscutibile evidenza osservando al telescopio lo spostamento verso il rosso dello spettro luminoso delle galassie lontane, come abbiamo visto in altro articolo. Da quella scoperta si poté desumere che la grandezza dell’universo (una quindicina di miliardi di anni luce) è strettamente legata alla sua età (una quindicina di miliardi di anni). Dall’altro lato, a partire da un lavoro del fisico nucleare Hans Bethe del 1939, oggi sappiamo che le stelle hanno un ciclo di vita durante il quale i nuclei d’idrogeno, di cui sono inizialmente composte, si fondono progressivamente ad assemblare tutti gli elementi chimici fino al ferro. Quest’attività della durata di 10 miliardi di anni circa si chiama nucleosintesi stellare. Anche gli atomi che compongono il nostro corpo, in particolare gli elementi ossigeno, carbonio, azoto e fosforo del DNA, furono sintetizzati nella fornace di un’antica stella, tra le prime nate dopo il Big Bang, in un lavorio durato 10 miliardi d’anni. Nell’esplosione finale, durante cui si composero anche gli elementi chimici più pesanti, si staccò il frammento che è la nostra Terra e noi uomini siamo forme pensanti, costruite sul fango di quella proto-stella ormai svanita.
La struttura a cipolla delle stelle, fabbriche di atomi, prima di esplodere in supernovae
Fra 5 miliardi di anni, quando avrà esaurito il suo combustibile nucleare, anche il nostro Sole uscirà dalla sequenza principale di fabbricazione. Simile ad una cipolla dagli strati contenenti ordinatamente tutti gli isotopi dall’idrogeno all’ossigeno (e non oltre, nella tavola di Mendeleev, data l’insufficienza della sua massa), si dilaterà allora a gigante rossa, inghiottendo la Terra e i pianeti più interni. Gli oceani terrestri bolliranno a milioni di gradi ed ogni forma di vita terrestre, ammesso che sia sopravvissuta fino ad allora, scomparirà nell’inferno di plasma. Qualche centinaio di milioni di anni dopo, la gigante rossa esploderà come una bolla di sapone in supernova, disperdendo nello spazio il suo magazzino di elementi chimici finiti.
Ne risulta che un universo con le stesse leggi fisiche del nostro, ma più giovane, ovvero più piccolo, non avrebbe l’età per aver ospitato la sequenza completa di una stella e pertanto non conterrebbe corpi celesti freddi (i pianeti) con gli atomi necessari alla vita, ma solo fabbriche nucleari in ebollizione (le stelle) e nubi sparse d’idrogeno e di elio. Facciamo quattro conti: una decina di miliardi di anni per la nucleosintesi e l’esplosione in supernova della proto-stella; mezzo miliardo di anni per il raffreddamento del frammento Terra, il suo rendez-vous fortunato con un Sole nuovo di zecca e la precipitazione dell’abiogenesi dei primi batteri; 3.5 miliardi di anni per l’evoluzione, culminata nella specie osservatrice. Totale: 14 miliardi di anni (e un universo grande 14 miliardi di anni luce).
Aveva ragione quindi Gilbert K. Chesterton, un secolo fa, a dire che l’universo non è affatto grande per noi, ma “è pressappoco il buco più piccolo in cui un uomo può ficcare la sua testa” (“Orthodoxy”, 1908). È certamente legittimo filosofare ed è perfino bello poetare, come Leopardi (“Che fai tu, Luna, in ciel? Dimmi che fai, silenzïosa Luna…”), sull’irrilevanza cosmica dell’esistenza umana, cui i corpi celesti sono del tutto indifferenti. Meno corretto è ricavare la presunta irrilevanza come corollario della cosmologia scientifica, in particolare della vastità dell’universo. Al contrario è una proposizione scientifica l’affermazione che una vita fondata sulla chimica del carbonio (com’è la nostra) o su qualsiasi altro supporto chimico, non potrebbe esistere in un universo più piccolo e più giovane.
Ma la fisica ha scoperto altro ancora, celato per eoni nel cuore delle stelle: l’applicazione del principio antropico ai loro processi di fusione nucleare ha permesso di illuminare, sotto una luce inaspettata, i valori “fastidiosi” delle costanti cosmologiche. Ciò mostreremo nel prossimo articolo.
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96 commenti
@ Masiero
Professore buongiorno
Come mai dice fastidiosi numeri ? Fastidiosi per chi ?
Fastidiosi per gli studiosi, in quanto non si riesce a inserire questi parametri in una teoria unitaria
Un motivo del “fastidio”, Carmine, è quello spiegato dal prof. Villi (all’inizio dell’articolo) e ripreso da Potclean: una ventina di numeri apparentemente arbitrari, e buttati lì, non si sa come, fin dai primi istanti del Big Bang.
C’è però anche un secondo motivo, di tutt’altro genere e che ha avuto un impatto enorme sugli sviluppi della cosmologia degli ultimi 40 anni, su cui mi soffermerò nel prossimo articolo.
Tanto per cambiare i commenti si chiudono prima che ci sia modo di rispondere. Mi scuso quindi per l’OT ma ci tengo a rispondere a Pennetta, il quale in un commento nel post precedente scriveva:
“Su Popper siamo alla commedia dell’assurdo: io domando se e dove Popper abbia affrontato il problema della dimostrazione scientifica dell’emergenza di nuovi caratteri per mutazioni casuali, lei per contro mi risponde: “The Mendelian underpinning of modern Darwinism has been well tested, AND SO HAS THE THEORY OF EVOLUTION which says that all terrestrial life has evolved from a few primitive unicellular organisms, possibly even from one single organism.”
E che c’entra?”
Non ho mai avuto dubbi sulla sua capacità di rigirare le frittate, ma qui siamo davvero ad altissimi livelli. La frase che le ho riportato dimostra che Popper riteneva la teoria dell’evoluzione testabile. Non una teoria dell’evoluzione generica eh, sta proprio parlando di quella di Darwin. E, come lei stesso ripete più volte, le mutazioni casuali sono il punto centrale della teoria. Mi pare quindi ovvio che se Popper considerava testabile (e quindi scientifica) tutta la teoria, ciò valeva anche per il concetto di mutazione casuale. Quindi, come vede, ho risposto nel merito alla sua affermazione. Ora vada pure avanti ad arrampicarsi sugli specchi e a fare cherry picking, ma tenga conto che su quella frase di Popper c’è poco da equivocare.
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Sulla sua sintassi chiara ha già risposto Cipriani, ricordandole che l’accostamento con la censura l’ha fatto lei. Detto ciò… Palmarini scottato? Povera stella, hanno osato scrivere che il suo libro è pieno di inesattezze. Buuu! Cattivoni! Non si fa così. D’ora in poi, mai più recensioni negative e prese in giro, anche quando uno scrive un libro con diversi errori.
Il fatto che Popper la riteneva testabile non implica che lo sia: ancora bisogna che questa stessa affermazione di Popper sia …falsificabile. E cioè proporre un’affermazione (neo-) darwinista falsificabile in senso popperiano: cosa che, a mia conoscenza, ancora nessuno ha mai fatto (ma sono aperto a accoglierne).
La “terza” via presentata sul thread precedente ormai chiuso (http://www.thethirdwayofevolution.com/) ha il merito che, considerata in assenza di contaminazioni e pre-ipotesi specificamente (neo-) darwiniste, essa sia strutturalmente falsificabile ed è quindi un vero discorso scientifico e a questo chi parla di evoluzione dovrebbe attenersi.
C’è ancora tutto un “lavoro” di purificazione dello spirito in senso scientifico che la maggior parte degli studiosi dell’evoluzione che si attengono pigramente alle ipotesi pseudo-scientifiche (neo-)darwiniste debbono ancora compiere per far evolvere il loro studio in vera scienza.
Pennetta voleva sapere cosa ne pensava Popper della testabilità della teoria e io gliel’ho detto. Che Popper considerasse il neodarwinismo popperianamente falsificabile mi sembra comunque interessante. Lei dice di no, io fra voi due (non me ne voglia, eh), mi fiderei più di lui.
Detto questo, visto che la vedo pronto a dubitare di Popper che qui su CS viene spesso citato (ma solo quando fa comodo), immagino sappia anche che lo stesso principio di falsificabilità ha i suoi limiti, specie in alcune discipline.
Tutto questo per dire che prima di brandire la falsificabilità come una clava contro il neodarwinismo sarebbe opportuno fermarsi a riflettere.
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Ho conosciuto di persona qualcuno degli scienziati elencati su Thirdwayofevolution, di altri ho studiato alcuni articoli. Sa che di antidarwinisti lì dentro non ce ne sono? Sono critici del neodarwinismo ma non mi risulta che lo definiscano pseudoscienza come fate voi. Al contrario, lo considerano un programma scientifico. Che ha bisogno di una revisione, questo sì, poiché secondo loro “ignores much contemporary molecular evidence”. Alcuni di questi scienziati sono sostenitori della Sintesi Estesa, che qui viene trattata come un insipido minestrone pseudoscientifico.
Che poi dovrebbe spiegarmi cosa vuol dire “considerata in assenza di contaminazioni e pre-ipotesi specificamente (neo-) darwiniste”, dal momento che questa Terza si poggia sulle premesse scientifiche del neodarwinismo. In cosa questa terza via è “strutturalmente falsificabile”?
Volendo tirare le conclusioni, esiste un criterio di falsificabilità per il ND? Se si, qual è?
Sono curioso, quali sarebbero le scienze empiriche che non permettono di avere un criterio di falsificabilità, rimanendo comunque scientifiche?
@Greylines
Per questo ho parlato di “purificazione” delle teorie dell’evoluzione dagli elementi (neo-) darwinisti che ne contaminano la non scientificità delle asserzioni.
Senza dubbio nelle riviste si pubblicano cose che sono davvero scientifiche cioè popperianamente falsificabili, assieme a tante affermazioni che invece non lo sono.
Se gli evoluzionisti fossero davvero intellettualmente onesti, dovrebbero analizzare ogni loro affermazione e bannare sistematicamente dai loro articoli tutte quelle che non sono falsificabili e quindi non scientifiche. E lasciare le interpretazioni mitologiche (darwiniste, ID, creazioniste) fuori casa loro.
Ciò è possibile e deve essere fatto. Quando vediamo la difficoltà che hai a presentare una proposizione genuinamente neo-darwinista falsificabile, sembra che questo lavoro di purificazione scientifica non è davvero desiderata.
Quanto alla falsificazione di Popper, non è mica una definizione cosi tanto per dire per qualificare cosa sia scientifico oppure no: è il tener conto della natura empirica della ricerca scientifica ed ovviare al fatto che qualunque processo induttivo non sarà mai completo di per sé: quindi neanche chi studia l’evoluzione ne può fare a meno.
@Greylines, i commenti sono aperti per tre giorni su tutti gli articoli poi si chiudono automaticamente, quel tempo deve bastare. Ma tanto per cambiare anziché accettare le regole qualcuno si sente superiore alle stesse e si lamenta pure con una nota di vittimismo fuori luogo.
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Mi trovo quindi a dover replicare premettendo che questo OT non potrà proseguire oltre.
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Greylines afferma:
“Non ho mai avuto dubbi sulla sua capacità di rigirare le frittate, ma qui siamo davvero ad altissimi livelli. La frase che le ho riportato dimostra che Popper riteneva la teoria dell’evoluzione testabile. Non una teoria dell’evoluzione generica eh, sta proprio parlando di quella di Darwin. E, come lei stesso ripete più volte, le mutazioni casuali sono il punto centrale della teoria. Mi pare quindi ovvio che se Popper considerava testabile (e quindi scientifica) tutta la teoria, ciò valeva anche per il concetto di mutazione casuale. Quindi, come vede, ho risposto nel merito alla sua affermazione. Ora vada pure avanti ad arrampicarsi sugli specchi e a fare cherry picking, ma tenga conto che su quella frase di Popper c’è poco da equivocare.”
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Io le ho chiesto se e dove Popper avesse affrontato il problema della falsificabilità del meccanismo casuale delle mutazioni, lei invece mi riporta un passo dove Popper parla dell’ereditarietà mendeliana che sfido chiunque a dire che siano la stessa cosa.
E infatti non lo sono e lei lo sa bene, tanto che poi si affretta a dire che Popper considerava testabile la teoria, quando invece si soffermò solo sulla selezione naturale restando fino alla fine critico verso il meccanismo delle mutazioni casuali, riguardo al quale però non disse nulla di specifico sulla falsificabilità.
Il passo da lei riportato in maiuscolo infatti parla della teoria nel punto in cui afferma la discendenza da un antenato comune, non parla del meccanismo di mutazioni casuali, e non è ripetendo mille volte la stessa frase che vi comparirà quel termine che secondo lei dovrebbe esserci.
Come vede chi si arrampica sugli specchi è lei e chi legge lo può verificare benissimo.
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Poi afferma “Sulla sua sintassi chiara ha già risposto Cipriani, ricordandole che l’accostamento con la censura l’ha fatto lei. Detto ciò… Palmarini scottato? Povera stella, hanno osato scrivere che il suo libro è pieno di inesattezze. Buuu! Cattivoni! Non si fa così. D’ora in poi, mai più recensioni negative e prese in giro, anche quando uno scrive un libro con diversi errori.”
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Se vuol continuare a non capire nessuno potrà convincerla a smettere di sviare il discorso.
Riguardo a Piattelli Palmarini l’unica cosa che avrebbe dovuto dire è che Pikaia ha usato toni denigratori di bassissimo livello, al limite e oltre la cialtroneria.
Ma evidentemente per voi tutto questo è normale, gli avversari possono essere sbertucciati, verso i vostri amici invece dimostrate una sensibilità davvero commovente.
Mi ricorda tanto il libro “The privileged planet”. Peccato che non ci sia una traduzione in italiano.
Peccato che quel libro, Salvo, ricco d’informazioni ed ineccepibile sotto l’aspetto delle osservazioni scientifiche, debordi poi nella metafisica dell’ID. Evidentemente è un vizio della letteratura anglosassone, dal darwinismo al creazionismo e all’ID, quella di confondere gli strumenti e i metodi della filosofia con quelli della scienza sperimentale.
In scienza sperimentale 1) devi fare una predizione, 2) devi confrontarla con l’esperimento. Ma se una predizione non c’è, siamo solo nel campo delle speculazioni incontrollabili. Almeno è così che io concepisco la scienza sperimentale.
Certo professor Masiero. So bene che il libro in questione sostiene l’ID, quindi nulla di scientifico, ci mancherebbe. Ma anche l’evoluzione ha avuto il suo risultato ultimo rappresentato dall’uomo, inteso come creatura perfetta e completa dei giorni nostri. Quindi un altro “disegno” possiamo definirlo, contrapposto a creazionismo e ID.
La scienza in quanto tale, con i suoi metodi, non può escludere che un disegno superiore sia stato realizzato.
Almeno io la vedo così…
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Magari è dovuto al fatto che i dotti qui presenti (dunque con lauree, attestati, certificazioni eccetera) siano molto più grandi di me e sicuramente con molta esperienza sul campo, ma forse è una tattica che si usa in tutti gli ambienti accademici quella del sostegno alla teoria evoluzionista, giusto per rimanere sullo scientifico, dato che la scienza non ammette l’ID né tantomeno il creazionismo. Oppure ho completamente frainteso il termine evoluzione, nonostante mi sia informato abbastanza sia qui (ormai vi seguo da quasi un anno) che altrove. E quindi è una mia lacuna.
Delle due l’una. Immagino che io rientri nella seconda ipotesi.
Intanto i complimenti al prof. Masiero per questo nuovo e interessante articolo, anche perché ricordo che aveva promesso mesi fa di trattare questo argomento è lo ha fatto puntualmente. Per le dispute sull’evoluzione c’è tempo, visto che ci sono ancora altri 14 punti da trattare…
A me più che altro lascia senza fiato pensare che la mente umana possa arrivare a scoprire cose così elevate, capisco che ci siamo evoluti da animali molto più semplici e meno intelligenti, ma il balzo è di dimensioni enormi, incommensurabili e per sopravvivere al meglio su questo pianeta non era affatto necessario.
Mi associo anche io ai complimenti di Muggeridge e avanzo una proposta:
Principio Antropico fortissimo: l’Universo ha caratteristiche tali da rendere necessaria la comparsa di Giorgio Masiero.
Beh, HTagliato, stavolta hai proprio esagerato! Grazie, comunque, della simpatia.
Grazie, Muggeridge. Sono d’accordo con Lei: chi non vede il balzo, come Lei lo chiama, intervenuto nell’evoluzione con la comparsa dell’uomo; chi non comprende il mistero del simbolo, che nulla ha apparentemente a che fare con la lotta per la vita e con la selezione naturale; chi assimila i nidi degli uccelli o le dighe degli scoiattoli o i gracidii delle rane, alla filosofia, alla musica, alla matematica, all’arte, ecc. umane, facendone solo una questione di “quantità” e non di “qualità”, è un cieco accecato dai suoi pregiudizi. E fin qui la religione non c’entra ancora nulla, c’entra solo l’onesta osservazione.
Buongiorno Prof. Masiero e complimenti per il magnifico articolo. Ciò che riguarda l’astronomia, l’astrofisica e tutto ciò che ruota intorno mi ha sempre appassionato, ed anche lasciato stupito e talvolta sgomento (ripensando alle dimensioni appunto “inimmaginabili” del nostro universo).
Vorrei porle una domanda, che certamente scaturisce dalla mia assoluta ignoranza in materia, ma che mi è sempre balenata per la mente: ebbene, l’universo si espande si, ma “dentro” cosa? “Dentro quale “altra” struttura? Capisco che lo spazio-tempo fa esso stesso parte della realtà dell’universo, è l’universo, ma non riesco a immaginarmi quali siano questi “confini” (se così possono chiamarsi) entro cui avviene tale espansione.
Grazie
Salve Claudio, in attesa di delucidazioni da Masiero, posso iniziare a rispondere io: l’Universo non si espande in niente di esterno ad esso; purtroppo sui libri di scuola e nei documentari si fa il paragone fuorviante con un palloncino su cui si sono disegnati dei punti che rappresentano le galassie e viene fatto gonfiare il palloncino per spiegare l’espansione dell’Universo, ma così si confondono i curiosi.
Per espansione dell’Universo si intende il fatto che, dati due corpi celesti qualsiasi, tipo due galassie, si osserva che le loro distanza reciproca aumenta nel tempo e che in generale si allontanano più velocemente le galassie più lontane da noi.
Posta in questi termini l’espansione dovrebbe poter essere compresa senza immaginare un “extra-Universo”.
Claudio, Le ha già risposto correttamente HTagliato.
Mi limito ad aggiungere un paio di considerazioni:
1) come già aveva spiegato la metafisica di sant’Agostino nel V secolo e poi sviluppato quella altomedievale araba, lo spazio e il tempo non sono concepibili senza la materia e il moto. Lo spazio-tempo non è perciò quel contenitore assoluto, quella scatola infinita senza pareti – come concepiva Newton – nella quale sono contenuti i corpi. Ma piuttosto esiste in quanto relazione tra corpi in moto relativo. Quindi è la materia-energia a creare lo spazio-tempo e, man mano che la distanza tra i corpi celesti aumenta, nuovo spazio e nuovo tempo sono da quella creati. Questa relazione, in termini matematici, tra spazio-tempo e materia-energia è studiata nella relatività generale.
2) ciò detto, come ben spiega Kant, lo spazio e il tempo appartengono così interiormente alla specie umana e ai suoi modi di vedere il mondo, sia quello esterno che quello “interno” al proprio Io esistenziale, che è difficile – fuori degli strumenti matematici della relatività generale – immaginarsi per tutti l’espansione dell’universo.
Grazie del Suo apprezzamento.
Grazie Htagliato e grazie Professore per le delucidazioni.
Mi permetta una divagazione, Masiero, ma mi interessa il parere di un fisico (e quindi anche quello di htagliato) circa la domanda che le sto per fare: lei afferma che lo spazio(-tempo, ma ora mi interessa solo il primo) esiste come relazione tra corpi (in moto relativo) e io le chiedo allora “su cosa si fonda questa relazione?” o altrimenti “in cosa consiste la distanza tra i corpi?”
La distanza è semplicemente un ente matematico, la primissima distanza che si impara è la lunghezza del segmento che congiunge due punti. Non solo poi si può definire una distanza in spazi non euclidei, ma si può anche definire la distanza tra due funzioni matematiche!
Nel caso dell’espansione dell’Universo ciò che si osserva è che una data distanza relativa tra due galassie cresce nel tempo.
Ma la distanza che – ad esempio -separa me da lei, htagliato, ontologicamente in cosa consiste? Certamente non in un ente matematico, quindi?
Cosa sia la distanza sul piano ontologico invece non lo so, idem per tutte le altre grandezze fisiche.
Può chiedermi come si misurano, non cosa siano.
Non c’è problema htagliato, vediamo se ha voglia di cimentarsi Masiero…
“Al contrario è una proposizione scientifica l’affermazione che una vita fondata sulla chimica del carbonio (com’è la nostra) o su qualsiasi altro supporto chimico, non potrebbe esistere in un universo più piccolo e più giovane.”
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A questo punto io ne ricavo che il fatto che la vita esista certifica solo la presenza/necessità di fenomeni assolutamente naturali, senza più bisogno di scomodare il soprannaturale.
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In fondo, è la stessa conclusione, tanto osteggiata, che intendevo evidenziare ieri: la scienza, scoprendo la presenza/necessità di fenomeni assolutamente naturali, non può dirci che Dio non esiste, ma può dirci che un “creato” senza Dio è possibile.
Veramente la Scienza non ci ha ancora detto come sia apparsa la vita e l’autocoscenza.
In ogni caso, anche se queste cose avessero una spiegazione naturalistica, non avremmo un Universo senza Dio, perché la Scienza non può spiegare l’esistenza in sé dell’Universo, cioè non può spiegare perché le cose esistono.
@ Htagliato
@ non avremmo un Universo senza Dio, perché la Scienza non può spiegare l’esistenza in sé dell’Universo, cioè non può spiegare perché le cose esistono.
E quindi? E’ il solito Dio delle lacune che ricompare? Non è un po’ poco per porgere l’altra guancia?
L’essere in quanto tale delle cose non è una “lacuna”, cioè non è un punto ignoto in un discorso in buona parte noto: è un vero e proprio mistero filosofico e ho conosciuto molti non credenti che hanno ammesso che questa cosa è giusto contemplarla. Da notare che “contemplare” significa ammirare. È una di quelle cose in cui non si può sperare in nuovi dati, in un nuovo paper su qualche rivista, è uno dei primi temi del pensiero.
A sostegno e a ulteriore esplicitazione dell’ultima affermazione di htagliato, riporterei le parole di Hawking (quando ancora ragionava a modo) il quale, rispondendo ad un’intervistatrice della BBC che gli chiedeva se con la sua ricerca sui fondamenti cosmologici «fosse riuscito del tutto a fare a meno di Dio», rispose:
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“Tutto ciò che la mia opera ha dimostrato è che non si deve dire che il modo con cui l’universo ha avuto inizio sia stato un capriccio personale di Dio. Rimane però ancora la domanda: perché l’ universo si dà la pena di esistere. Se crede, può dire che Dio sia la risposta a questa domanda” (Hawking 1993)
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In definitiva, qualsiasi risposta si voglia dare alla domanda di Hawking (Dio,fatti bruti, etc.), questa è al di là delle possibilità della scienza tout court. Il che significa che, in questo contesto, non ha senso parlare di dio-tappabuchi.
Che forte, Vianegativa… “Quando Hawking ragionava a modo”, cioè quando affermava cose che magari erano nelle tue corde… Adesso che dice cose diverse “non ragiona più a modo”, nel senso che dice cose che non sono nelle tue corde. Sospettavo che il tuo modo di ragionare avesse questo nervo scoperto, e me lo confermi una volta di più.
Sono d’accordo con te che Dio non tappa i buchi, Dio, semmai, per chi gli crede, riempie un grande vuoto. E te lo dico non pigliarti in giro ma come vero concetto teologico.
“Quando ragionava a modo”, Hawking ragionava e parlava da scienziato. Poi ha iniziato a sbilanciarsi, lanciandosi in affermazioni inconsapevolmente metafisiche (al proposito si veda “The Grand Design”) e quindi le peggiori in assoluto, diventando illeggibile.
Questi i fatti.
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PS. Nemmeno questa volta, Cipriani, è entrato nel merito della discussione…
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PPS. Lasci stare le “analisi psicologiche online”, è una pratica che risulta patetica…
Per entrare nel merito… Che strano, Vianegativa: quella risposta di Hawking che citi a esempio di un Hawking ancora “a modo”, è tutto tranne che una risposta “a modo” (ragionando col tuo criterio selettivo), essendo intrisa di metafisica fino al midollo… Resta quindi più che valida la mia analisi psicologica a buon mercato sulla questione delle tue corde sì le tue corde no.
Falso, Cipriani. Quella risposta invece era più che onesta, in quanto ammetteva l’impossibilità della scienza di pronunciarsi su certe questioni: questo infatti è il quid che lei, tanto per cambiare, non è riuscito a cogliere.
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Le lascio a seguire il link alla recensione a “The Grand Design”, tratta dal Giornale di Astronomia, che non è il giornaletto dell’oratorio, ma l’organo ufficiale della Scoietà Astronomica Italiana. Se lo legga, così magari la prossima volta che interverrà al riguardo potrà farlo con un minimo di cognizione di causa: http://www.disf.org/cosa-devo-sapere-su/9788804610014
HTagliato, la scienza ha fornito già sufficienti indizi per far pensare che i mattoni della vita si sono formati grazie alle probabilità combinatorie della materia. Anche la “consapevolezza di sè” è stata osservata in specie diverse dalla nostra e, sebbene l’elaborazione di pensieri astratti appartenga a un livello decisamente superiore, nessuno ormai ipotizza che a questo livello non si giunga attraverso semplici, o complicati se preferisce, meccanismi evolutivi.
Riguardo l’esistenza di Dio le do invece ragione: chi vuol credere al “progetto intelligente” lo potrà fare sempre, il problema sarà semmai colmare l’enorme distanza che ci separerebbe da quel Dio che non scopriremmo più interventista in un universo così perfettamente conosciuto e dove noi ormai sappiamno essere non più figura centrale ma decisamente marginale ed effimera.
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(@Pennetta, lei che ha diritto di vita e di morte in questo blog, corregga per favore quel “autocoscenza” senza “i” perchè è proprio inguardabile. Grazie)
la scienza ha fornito già sufficienti indizi per far pensare che i mattoni della vita si sono formati grazie alle probabilità combinatorie della materia.
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Buahahahhahahahah
Se a questo rispetto lei è ignorante, io non posso farci niente.
Certo che sono ignorante! Soprattutto se proprio adesso c’è stata una rivoluzione scientifica tale per la quale ora il metodo scientifico può provare quel che lei va cianciando e che io mi sono perso perché ero in bagno.
Questo perché fino a 2 ore fa la possibilità di provare scientificamente e matematicamente la causalità filosofica (!) era praticamente una contraddizione in termini. Questo per l’epistemologia del metodo suddetto al 16.09.2015. Se in pochi minuti tutto è stato stravolto, non posso farci niente.
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Ma lei, LEI!, al contrario di quel che scrive, può fare molto! Ad esempio potrebbe esplicare a tutti la nuova epistemologia che permette razionalmente di ampliare gli orizzonti della scienza tanto da poter affermare, con una sicumera che stupisce, che “la scienza ha fornito già sufficienti indizi per far pensare che i mattoni della vita si sono formati grazie alle probabilità combinatorie della materia”. Come se la probabilità avesse potere ontologico. Come se la scienza potesse parlare di ontologia e quindi stabilire cosa sia ontologicamente “la vita”. Come se la “materia” intesa come la intendono gli scienziati postcartesiani possa spiegare quel che succede nell’universo e soprattutto nella nostra mente razionale (che NON E’ per niente assimilabile a quella animale). Come se la materia reale fosse solo quella che la scienza può misurare. Come se… devo continuare?
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E allora: è davvero avvenuto questo cambiamento epistemico oppure è lei ad aver bisogno di ripassare due concettini di epistemologia (see: http://pellegrininellaverita.com/2015/09/11/incontro-a-gesu-saggio-di-apologetica-cristiana-contro-lo-scientismo-ed-il-relativismo-03/) e sul mind/body problem (see: http://pellegrininellaverita.com/2015/05/04/edward-feser-il-problema-mente-corpo-una-carrellata/)?
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Nel dubbio continuo: aaaaaahhahhahahahh
Non serve l’epistemologia per spiegare cosa sia un organismo vivente…
Ok, ho capito: se li legga tutti gli articoli sullo scientismo.
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http://pellegrininellaverita.com/2015/09/07/saggio-di-apologetica-per-luomo-contemporaneo-contro-lo-scientismo-ed-il-relativismo-01/
http://pellegrininellaverita.com/2015/09/08/saggio-di-apologetica-per-luomo-contemporaneo-contro-lo-scientismo-ed-il-relativismo-02/
http://pellegrininellaverita.com/2015/09/11/incontro-a-gesu-saggio-di-apologetica-cristiana-contro-lo-scientismo-ed-il-relativismo-03/
Mi unisco alle risate di Minstrel: mi dispiace ma l’origine della vita è tuttora un mistero e ci sono ragioni matematiche per cui non può essere stata una combinazione casuale di reazioni chimiche ad averla generata (se n’è parlato in “I tre salti dell’essere”).
Esistono animali con la consapevolezza di sé?
1) Ma chi ci crede…
2) Anche se fosse, allora si è capito come è nata l’autocoscienza?
“un Universo così perfettamente conosciuto”
Magari! Il suo ottimismo è stupefacente! Infatti una volta chiesi ad un mio professore di specializzato in Fisica delle Particelle Elementari delle cose sui buchi neri e questi mi rispose che non era sicuro che esistessero, non si volle sbilanciare. Stiamo parlando dei buchi neri, non dell’origine della vita o della coscienza!
Cioè non sappiamo se esistono i buchi neri ?!
Interessante.
Infatti non ho scritto che si conosca con esattezza come si sia formata la vita e non ho certo detto che gli animali dimostrano un livello di consapevolezza pari alla nostra.
Quello che a questo punto è interessante notare è come siano le persone religiose quelle che più di netto rifiutano questo genere di indizi.
@Flavio
bè anche per essere atei bisogna chiudere gli occhi su un bel po’ di indizi…
Htagliato le ha fornito una risposta scientifica, io una pseudo risposta filosofica con tanto di link che mi pare non abbia nemmeno sfiorato.
Questi sono gli indizi che potrebbe iniziare a raccogliere lei.
@ Flavio
È vero che rifiuto tali “indizi”, ma le assicuro che non c’entra la religione. Sono gli “indizi” che non hanno niente di scientifico, a partire dal fatto in sé che la scienza non si basa sugli indizi.
@Ministrel, nessuna risposta scientifica ma solo un’opinione e poi no… lo spam no per favore…
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@htagliato, lei crede che la Nasa o l’Esa spendano ingenti quantità di denaro per spedire rover e sonde alla ricerca della vita organica senza avere buoni indizi in mano? E’ ad esempio al tanto delle osservazioni della radiazione infrarossa che si stanno portando a capo negli ultimi anni?
@ Flavio
“lei crede che la Nasa o l’Esa spendano ingenti quantità di denaro per spedire rover e sonde alla ricerca della vita organica senza avere buoni indizi in mano?”
Lo fanno perché si conoscono le condizioni NECESSARIE affinché su un pianeta o satellite potrebbe nascere la vita, ma non si conoscono le condizioni SUFFICIENTI e questo proprio perché non si sa come sia nata la vita.
Abbiamo , se vuole, “indizi” di ciò che serve per la vita, ma non indizi su come sia nata la vita, né tanto meno indizi che sia nata per reazioni chimiche casuali.
@htagliato, presentivo che non avrebbe risposto alla mia domanda sulle osservazioni della radiazione infrarossa. Se infatti non è al tanto di quanto sta succedendo, necessariamente sarà di quelli che ancora brancolano nel buio riguardo le ipotesi della nascita della vita organica.
Per osservazione della radiazione infrarossa intende la seguente idea?
http://evidenzaliena.altervista.org/2015/09/15/scienziati-prove-di-civilta-aliene-avanzate-si-trovano-almeno-50-galassie/
In pratica se c’è l’infrarosso FORSE ci sono civiltà aliene AVANZATE?!
Se a lei piace credere in queste cose, rispetto la sua fede, ma resterebbe ancora da capire come nasca la vita, a prescindere che se ne trovi altra su di un altro pianeta.
Prima non avevo risposto perché non conoscevo l’argomento, ma ora mi rendo conto che era meglio se non lo scoprivo.
Effettivamente non conosceva prima nè conosce adesso… Ovviamente mi riferivo a studi un pochino più seri della pseudoscienza che circola su internet, tipo cose pubblicate su Science, Nature o PlosOne, non so se ha presente… Ma se il suo livello è questo, penso ci sia poco da insistere…
“Effettivamente non conosceva prima nè conosce adesso… Ovviamente mi riferivo a studi un pochino più seri ”
Meno male, sono contento che non sia così; però ora mi è rimasta la curiosità: che tipo di osservazioni dell’infrarosso intendeva e cosa avrebbero dovuto dimostrare?
La metà dell’astronomia ricorre oggi alle osservazioni dell’infrarosso e lei viene a chiedere di cosa si tratta? Capisco che al rendersi conto della sua arrampicata sugli specchi adesso provi a uscirne buttandola sulla presa in giro, ma non conti con me, su questo territorio non la seguo.
Meglio un Universo senza Dio oppure un Universo in cui Dio non è necessario ? Lei cosa preferisce/preferirebbe ?
Il principio antropico (debole), Cipriani, è filosoficamente una tautologia, un’ovvietà. Non implica nulla, né per i credenti né per i non credenti. Esso dice soltanto che se esistiamo vuol dire che l’universo possiede oggi le condizioni necessarie per la nostra esistenza. Però non sappiamo quali siano le condizioni sufficienti. E non è la stessa cosa: io possiedo tutte le condizioni necessarie per diventare Presidente della Repubblica alla scadenza del mandato di Mattarella, ma lo diventerò? Probabilmente no, perché non ho quelle sufficienti.
Purtroppo non la seguo, Masiero… Le “condizioni necessarie” perché una tal cosa avvenga sono condizioni imprescindibili, senza le quali la tal cosa non avviene, giusto? Le “condizioni sufficienti” sono quelle che bastano perché una tal cosa avvenga, giusto? (e ciò sembra presupporre che ci siano anche altre condizioni, oltre a quelle sufficienti, che però non sono necessarie perché la tal cosa avvenga). Ebbene come fa uno ad avere tutte le condizioni necessarie e non avere quelle sufficienti?
Mi scuso per l’ingenuità probabile della domanda ma sono in questo caso l’imperatore degli ignoranti che vuole capire un pochino di questo rompicapo, soprattutto là dove mi fa l’esempio del Presidente della Repubblica che lei non diventerà mai perché, pur possedendo tutte le condizioni necessarie per diventarlo, non ha (non conosce?) quelle sufficienti… Mah?!
In logica, in matematica, in fisica, nella vita,… le condizioni necessarie, Cipriani, sono una cosa molto diversa dalle condizioni sufficienti. Le faccio un altro esempio: per un uomo “essere mammifero” è condizione necessaria (perché tutti gli uomini sono mammiferi), ma “essere mammifero” non è condizione sufficiente per essere uomo (perché non tutti i mammiferi sono uomini).
Buongiorno Cipriani,
il concetto di condizioni necessarie e di condizioni sufficienti in logica matematica, io le ho imparate in 3za ITIS (quindi neanche un liceo qualsivoglia, ma un banalissimo istituto tecnico).
Per possedere questa lacuna, gravissima per la scienza come lo sarebbe non distinguere un soggetto da un predicato in analisi grammaticale, le posso chiedere qual è la sua formazione?
Alberto, certo che può chiedere… ho studiato perito agrario oltre 40 anni fa e non ho difficoltà ad ammettere che la matematica non era materia tra le più importanti…
L’esempio di Masiero sul presidente della repubblica non mi quagliava troppo, mentre quello del mammifero e dell’uomo l’ho capito subito, soprattutto in riferimento all’oggetto iniziale della discussione.
Grazie anche a CS, e al prof. Masiero, ho recuperato il concetto e ora non possiedo più questa lacuna…
@ Masiero
Professor Masiero vorrei chiederle ( ed anche a Htagliato ovviamente ) se per i fisici teorici una funzione d’onda sia realmente un oggetto fisico e se in tal caso esista una funzione d’onda dell’intero universo
Ho sfiorato, Carmine, una delle Sue due questioni nell’articolo “Filosofando al bar di Scientific America”.
Le risponderò ordinatamente:
1) “Per i fisici teorici la funzione d’onda è realmente un oggetto fisico?”. I fisici sono divisi sulla risposta principalmente in tre categorie:
– quelli che credono (ancora) nell’interpretazione di Copenaghen, secondo la quale la funzione d’onda ha solo un significato matematico di probabilità;
– quelli che invece, secondo la teoria quantistica dei campi, le attribuiscono un significato reale, anzi attribuiscono ad essa una realtà “ontologica” maggiore che alle stesse particelle; e
– quelli che ritengono che nessun oggetto fisico sia un oggetto reale, ma solo una rappresentazione matematica di aspetti semplificati e circoscritti del reale (i “fenomeni fisici”).
Ca va sans dire, io mi ritrovo nel terzo gruppo.
2) “Esiste una funzione d’onda dell’intero universo?” C’è chi ci crede, per es. Hawking. Chi però ritiene che l’universo non è composto solo di fenomeni fisici (anche non credenti, come Nagel) possono solo sorridere all’idea! Io, per es., che credo nel libero arbitrio, e quindi che lo stato del mondo tra un’ora non è già determinato, ma dipende anche da ciò che io e Lei decideremo di fare nella prossima ora (continuo a rispondere su CS? o vado in giardino a potare le rose? o…?), non posso crede che il mondo possieda una funzione d’onda.
Concordo con quanto detto da Masiero, in particolare posso di nuovo fare delle aggiunte sui “problemi didattici”: al liceo (e quindi non solo negli anni scolastici precedenti) i professori provano spesso a “concretizzare” concetti astratti, a volte senza le dovute cautele (come l’espansione dell’universo spiegata tramite un palloncino che si gonfia, veda qualche commento più su, in risposta a Claudio). Nel nostro caso, ammesso che al quinto liceo si diano dei cenni di meccanica quantistica, la funzione d’onda viene rappresentata come un’onda vera e propria, tipo onda sulla superficie del mare, che si sposta insieme ad una particella. Può essere di aiuto questa rappresentazione ma non va presa troppo sul serio. Anche una cosa come il momento angolare di una particella può avere il suo “disegnino”, ma è meglio vederla come uno strumento matematico; è per queste ragioni che si usa dire che la scienza si limita a DESCRIVERE i fenomeni, a dire il “come” e non il “perché”.
E’ un errore metafisico voler dare valenza esistenziale ad un costrutto matematico che ordina fenomeni. Il perché, velocemente, è questo: la matematizzazione del costrutto del solo reale matematizzabile (!) al massimo può fornire la struttura ASTRATTA del SOLO mondo materiale quantificabile, senza poter dire qualcosa a proposito di ciò che possiede quella struttura. “Siccome non c’è nulla che sia una struttura in sé, ci deve essere un qualcosa che possiede tale struttura. Pertanto, il fatto stesso che le scienze sperimentali ci descrivano la struttura matematica della realtà fisica ci indica che la realtà va oltre tale struttura matematica e che le suddette scienze sperimentali non ci forniscono un’immagine esaustiva della realtà fisica.” cit. Trianello.
Siamo ai limiti dello scientismo pensandola diversamente, con tutte le problematiche ad esso legate.
Consiglio la lettura di questo articolo dove ho pescato la citazione di Trianello.
http://pellegrininellaverita.com/2015/09/08/saggio-di-apologetica-per-luomo-contemporaneo-contro-lo-scientismo-ed-il-relativismo-02/
Potrebbe chiarirmi un dubbio da ignorante? Un universo di 14 miliardi di anni è “grande” 14 miliardi di anni-luce? Ossia, assumendolo sferico per semplicità, è il suo diametro a misurare 14 miliardi di anni-luce? Se un osservatore si trova al “centro” di questa sfera (ossia in un punto qualsiasi, non essendoci centro), e rileva l’evento più lontano possibile, ossia al “bordo” della sfera, se l’universo ha 14 miliardi di anni non sta rilevando un evento di 14 miliardi di anni fa? Allora la “sfera” non sarebbe di almeno 28 miliardi di anni-luce? E nei 14 miliardi di anni che impiega il segnale a raggiungere l’osservatore, l’universo non si è ulteriormente espanso, portando il totale a (ben?) più di 28 miliardi di anni-luce?
Certamente, Lucio. Quando i fisici parlano di universo, intendono “universo fisico”, vale a dire “universo osservabile”, perché ciò che non è osservabile, o ciò che esce dall’osservabilità superando l’orizzonte della visibilità, non appartiene o non appartiene più alla fisica.
Molte grazie per la sua risposta. Tuttavia, continuano a convincermi di più le argomentazioni a favore dei 92 miliardi di anni-luce; ma, come dicevo, sono ignorante in materia.
http://www.space.com/24073-how-big-is-the-universe.html
The observable universe
Astronomers have measured the age of the universe to be approximately 13.8 billion years old. Because of the connection between distance and the speed of light, this means they can look at a region of space that lies 13.8 billion light-years away. Like a ship in the empty ocean, astronomers on Earth can turn their telescopes to peer 13.8 billion light-years in every direction, which puts Earth inside of an observable sphere with a radius of 13.8 billion light-years. The word “observable” is key; the sphere limits what scientists can see but not what is there.
But though the sphere appears almost 28 billion light-years in diameter, it is far larger. Scientists know that the universe is expanding. Thus, while scientists might see a spot that lay 13.8 billion light-years from Earth at the time of the Big Bang, the universe has continued to expand over its lifetime. Today, that same spot is 46 billion light-years away, making the diameter of the observable universe a sphere around 92 billion light-years.
Nola Taylor Redd
Nola Taylor Redd is a contributing writer for Space.com. She loves all things space and astronomy-related, and enjoys the opportunity to learn more. She has a Bachelor’s degree in English and Astrophysics from Agnes Scott college and served as an intern at Sky & Telescope magazine. In her free time, she homeschools her four children. Follow her on Twitter at @NolaTRedd
http://www.universetoday.com/113786/how-big-is-the-universe-2/
Now the galaxy is much farther than that. After the light left the galaxy, the galaxy continued to move away from us. It is now about 29 billion light years away. Which is definitely more than 13, and quite a bit more than its original 3.4.
Usually it is this big distance that people mean when they ask for the size of the universe. This is known as the co-moving distance. Of course, we can only see so far. So, how far can we see? The most distant light we are able to observe is from the cosmic microwave background, which has a redshift of about z = 1,000.
This means the co-moving distance of the cosmic background is about 46 billion light years. Sticking us at the center of a massive sphere, the currently observable universe has a diameter of about 92 billion light years. Even with this observed distance, we know that it extends much further than that. If what we could see was all there is, we would see galaxies tend to gravitate towards us, which we don’t observe.
Brian Koberlein
Brian Koberlein is an astrophysicist and physics professor at Rochester Institute of Technology. He writes about astronomy and astrophysics on his blog One Universe at a Time, as well as on Google+. You can follow him on YouTube, and on Twitter @BrianKoberlein.
Non capisco, Lucio, dove sarebbe il disaccordo tra quanto ho scritto e quanto Lei mi riporta da Koberlein. La parola chiave è “osservabile” e questa è 14 miliardi di anni luce distante dalla Terra in ogni direzione (in questo momento). Poi della parte di universo non osservabile, che continuamente supera il nostro orizzonte, nulla possiamo dire.
Bello questo discorso sul PA. In buona sostanza quello che esiste sembra esistere soprattutto perché si sviluppi UN (o IL) percorso per dare un senso ai presupposti e alle motivazioni destinate a contestualizzare la propria stessa esistenza. Del resto l’Universo che non avesse una “parte” di se destinata a “giustificare”, o a cercare di “giustificare”, la propria stessa esistenza sarebbe solo un qualcosa di “logicamente” senza inizio e senza fine (nella migliore delle ipotesi) ma anche senza motivazione in se (perché dovrebbe essere così?). Se l’Universo “lavora” affinché si attivi qualcuno o qualcosa destinato a “porsi il problema” della propria stessa sussistenza ne consegue che non può essere “regolato” (ne “giustificato”) solo da leggi deterministiche le quali, in se, non possono che limitarsi ad eseguire il loro iterativo “lavoro” di collegare cause ed effetti.
Le Sue, Beppino, sono considerazioni filosofiche, legittime ma non deducibili dal principio antropico che, come ho spiegato in apertura, è filosoficamente una tautologia, una ovvietà.
Diverse, a mio parere, e molto più pregnanti sono le conseguenze del fine tuning. Ma di ciò parlerò nel prossimo articolo.
Mi pare ci fosse un accenno, nel suo articolo, circa il concetto di “significato filosofico” del PA… Resto in attesa della sua prossima nota (sono sicuro altrettanto interessante…).
Buonasera, e complimenti per l’articolo, che condivido completamente.
Ho solo un dubbio: Lei scrive che l’universo sia grande 14 miliardi di anni luce, ma io appresi che il suo diametro rasentasse circa un cento miliardi di anni luce, per questioni relative alla sua accelerazione (anche se mi pare un tema ancora molto dibattuto).
La costante di Hubble, Alio, denota la velocità con cui si allontanano reciprocamente 2 oggetti posti alla distanza di 1 megaparsec (= 1 milione di parsec = 3,26 milioni di anni luce). Il valore attualmente più accreditato per la costante di Hubble è di 70 km/s. Più distante è un oggetto da noi, maggiore è la velocità con cui si allontana. Tra gli oggetti astronomici il red-shift attualmente più grande è quello misurato nella galassia z8_GND_5296, individuata nell’ottobre 2013 a 13,1 miliardi di anni luce di distanza.
Se estrapoliamo all’indietro nel tempo, per sapere quando erano sovrapposti 2 qualsiasi corpi celesti oggi separati, ecco trovato il… Big Bang! L’inverso della costante di Hubble ci dice perciò quanto è vecchio l’universo, nell’ipotesi che esso abbia avuto sempre la stessa velocità di espansione. Al valore di 70 km/s per megaparsec, l’età che salta fuori è di 14 miliardi di anni circa. Se poi vogliamo calcolare la distanza alla quale un oggetto si sta allontanando con la velocità della luce (una distanza, quindi, oltre la quale finisce l’universo visibile dalla Terra – ma non l’Universo intero, se l’operativismo della fisica mi perdona la divagazione metafisica! –) dobbiamo ancora prendere l’inverso della costante di Hubble e il numero è lo stesso: il raggio dell’universo osservabile è di 14 miliardi di anni luce.
Ma sappiamo da qualche anno (v. premi Nobel del 2013) che ora l’universo è in espansione accelerata! Quindi la costante di Hubble non è una costante! Chi può dire, Alio, quale può essere stato l’esatto andamento della velocità di espansione dell’universo nel passato?!
* premio Nobel per la fisica 2011.
Grazie della risposta, però son ancora in dubbio; la Wikipedia inglese (mi scusi se mi servo di una fonte così prosaica) riporta espressamente che, proprio in dipendenza della legge di Hubble, l’espansione accelerata ha fatto sì che il diametro dell’universo osservabile superasse molto i quattordici miliardi di anni luce (al riguardo la Wikipedia porta come nota a piè di pagina un articolo d’un certo Ned Wright http://www.astro.ucla.edu/~wright/Dltt_is_Dumb.html). Dico questo, ovviamente, da ignorante.
Mi perdoni se, nel discutere, abbia fatto una mediocherrima ricerca bibliografica.
E’ come dire, Alio, che poiché si scopre che “ora” l’universo accelera, allora deve essere molto più grande e più vecchio di quel che si è sempre pensato! Ma chi conosce la velocità che ha avuto in passato? siamo sicuri che il moto sia stato uniformemente accelerato per tutto il passato a partire dal Big Bang?
Ciò che possiamo dire (con relativa certezza), dalle evidenze empiriche (10 mld anni luce per la nucleosintesi + 4 mld di età delle rocce terrestri) è che l’universo non può avere meno di 14 mld di anni. Poi, per conoscere l’età esatta, bisognerebbe conoscere l’esatto andamento della variazione della sua velocità di espansione a partire dal Big Bang.
Ora capisco. In tal caso, tuttavia, pare che l’articolo affermi con relativa certezza che il diametro dell’universo osservabile sia di 14 miliardi di anni, mentre ora intendo almeno 14 miliardi di anni. Ad ogni modo, non saprei che dire, dato che le fonti affermano con certezza che l’universo sia molto più grande (nonostante mi par giusto che, poiché non si è giunti a stimare i tassi di accelerazione universale nel tempo, conoscerne la grandezza sia ancora questione molto speculativa). Comunque sia, grazie ancora della Sua risposta, professore.
@ ViaNegativa
Lei chiede alla fisica: se “lo spazio(-tempo, ma ora mi interessa solo il primo) esiste come relazione tra corpi (in moto relativo), allora su cosa si fonda questa relazione? o altrimenti in cosa consiste la distanza tra i corpi?”
Alla Sua domanda la fisica può rispondere oggi con la teoria della relatività generale e la risposta è impossibile senza il linguaggio della geometria differenziale. Comunque ne tenterò una traduzione sintetica in lingua italiana.
Intanto non si può, come Lei chiede, staccare lo spazio dal tempo, non perché siano la stessa cosa, ma perché non sono assoluti (cioè indipendenti dall’osservatore, come pensavano Aristotele, Newton o Kant), ma relativi all’osservatore che sta misurando lo spazio e il tempo (rispettivamente con metri e orologi) e inoltre dipendono dal moto relativo dell’osservatore rispetto agli altri osservatori.
Così, mentre nel pensiero classico, la distanza tra due corpi era un numero che si calcolava osservando quante volte un metro era contenuto nel segmento che li separava; ora invece, nella relatività generale, la distanza spaziale è un numero che si calcola con una formula che tiene conto della materia e dell’energia dello spazio e di come essa è distribuita.
La relazione tra la distanza spaziale (e temporale) e la materia-energia è dialettica: la distribuzione di materia-energia curva lo spazio-tempo, la curvatura dello spazio-tempo muove la materia-energia (sostituendo la vecchia gravitazione).
Tutto bene, Masiero, quanto afferma… dal punto di vista della fisica. Però:
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1. ho operato una distinzione tra spazio e tempo perchè, per quel che interessa a me in questa sede, è possibile parlare del primo senza dover far riferimento al secondo e
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2. affermando che “la distanza spaziale è un numero che si calcola con una formula”, lei mi ripete quanto detto da htagliato, e quindi che la distanza è solo un ente matematico… ma tra me e lei, Masiero, difficilmente esisterà un ente matematico!
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Proviamo allora a metterla in questi termini: due corpi hanno una determinata posizione perchè sono a contatto tra di loro o sono a contatto tra di loro in virtù della propria posizione? E dunque, è il contatto che fonda la posizione (=distanza come relazione fondata sulle dimensioni del corpo interposto tra altri due) o è la posizione che fonda il contatto (=distanza come relazione fondata sugli ubi intrinseci[*] di due corpi) ?
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[*] si intende che un corpo, in virtù della propria esistenza, debba trovarsi necessarimente “o qui o là” (avendo quindi relazioni di vicinanza/lontananza con altri corpi) poichè l’ubi (=presenza locale) viene inteso come un modo assoluto/intrinseco.
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PS. Si prendano questi interventi per quel che sono, puro divertissement. Anche se in effetti, storicamente, l’aver prevalso dell’una concezione sull’altra, ha potato, a mio giudizio, a risultati tutt’altro che divertenti…
Lei, ViaNegativa, aveva chiesto un parere a me e ad HTagliato come fisici. E Le abbiamo risposto da fisici. Se me lo chiede come persona di buon senso, che vive a contatto con gli altri uomini e con le cose in questa Terra (tutti di fatto rispetto a lui fermi, perché anche se si muovono lo fanno a velocità infinitesima rispetto alla luce), allora Le rispondo che è il contatto che fonda la posizione, cioè la distanza tra due corpi è definita dalla grandezza del “corpo” che separa i due corpi. Infatti non c’è “vuoto” in questa Terra, mai, ed io non posso concepirlo.
Avevo chiesto il parere di un fisico è vero, ma in effetti intendevo di una persona con la forma mentis di un fisico e addentro a certe questioni , non del fisico in quanto fisico (non ho infatti chiesto “cosa dice la fisica al riguardo”?). Ma avrei fatto meglio ad esplicitarlo a dovere.
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C’è da dire, comunque, che non credo si possa fare appello al solo buon senso e all’esser una persona che vive a contatto con altri uomini per risolvere la questione, perchè il ritenere il contatto fondato dalla posizione è stata una concezione sostenuta da tutta una serie di uomini di buon senso, a partire da Suarez sino ad arrivare a Hoenen (prima che cambiasse “posizione”).
In ogni caso grazie per la risposta.
La ringrazio molto, ViaNegativa: ciò che Lei mi ha oggi insegnato lo ritengo prezioso, oltre che bello!
Grazie a lei Masiero, per la disponibilità.
Mi permetta di terminare con una precisazione: la tesi “del contatto”, a cui lei è arrivato col solo buon senso (ma che può essere difesa filosoficamente), è proprio la tesi sostenuta da S.Tommaso e che troverà sostegno anche in padre Hoenen, il quale da Suareziano qual era si “convertirà” anche grazie a… Einstein, ritrovando nei suoi scritti (Forum Philosophicum I,1930) proprio tale tesi: come vede siamo in buona compagnia.
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PS. Mi faccia sapere cosa ne pensa del commento che posterò entro questa sera relativo al PA (e qui le chiedo un commento da epistemologo).
Bel contributo, e, a proposito di costanti fastidiose e dell’espansione dell’universo dimostrata da Hubble nel 1929.
Nel 1915 Einstein introdusse nella relatività generale una costante cosmologica che doveva servire a giustificare l’universo non in espansione come era allora concepito.
Fu solo 5 anni dopo che l’equazione fu risolta da un matematico (Friedmann?) omettendo tale costante e ipotizzando così un universo in espansione come avrebbe dimostrato Hubble.
Per farla breve Einstein giudicò uno degli errori più gravi della sua vita l’avere introdotto questa costante cosmologica.
Ma adesso ci sono alcuni che invece dicono la natura della costante cosmologica è un problema ancora aperto perche’ anche un modello di universo in espansione può includere la costante cosmologica, il cui significato fisico sarebbe associato all’energia del vuoto. Pertanto ritengono che la costante cosmologica sia una delle costanti della natura e non abbia niente di più misterioso delle altre costanti fondamentali. Prof Masiero, secondo lei, questa fastidiosa costante cosmologica c’e’ oppure la possiamo togliere dal numero?
Grazie, Pozio. La scoperta dell’espansione accelerata dell’universo a partire dall’osservazione di supernovae lontane, fatta da Perlmutter, Riess e Schmidt (e rispettivi gruppi), ha sconvolto tutte le precedenti speculazioni sulla costante Λ. Oggi non conosciamo il valore di Λ, ma sappiamo che è compreso tra 0 e 10^(-53). Ciò che ha dell’incredibile: Λ non è negativa, né è esattamente nulla; è positiva e minore di 0,000…[52 zeri decimali]…0001. Ma ne riparlerò nel prossimo articolo…
Immaginiamo una persona che vince 100 milioni alla lotteria grazie a un biglietto trovato per terra. Una delle prime cose a cui pensa è probabilmente il fatto che non può esistere una casualità di questo tipo e che quindi tale fortunato evento non può che essere frutto del destino. Un destino forse già scritto, perchè un evento così imprevedibile non capita a chiunque. Costui riflette e in testa sua osserva: “Sono una brava persona, bravo padre e bravo marito, buon amico dei miei amici, discretamente generoso, con fama di persona intelligente e sensibile e quindi deve essere così: il destino ha voluto premiare me perchè in qualche modo me lo merito”.
Ora invece immaginiamo che quella persona si ferma a bere un caffè proprio un minuto prima di calpestare il marciapiede dove si trova il biglietto e quindi la sorte ricade sulla persona che transita dopo di lui. Si dà l’eventualità che questa seconda persona sia molto simile alla prima, se non per il fatto che ha una mente molto più razionale, diciamo estrematamente razionale. In un primo momento questa persona infatti si mette a fare calcoli astrusi e giunge alla conclusione, aprossimata ovviamente, che un evento del genere può accadere solo in una vita su milioni alla enne, perchè se il biglietto l’avesse comprato avrebbe anche potuto immaginarsi quali possibilità l’attendevano, però trovandolo in quel modo e trattandosi oltretutto della lotteria più ricca mai esistita sulla terra, ogni calcolo gli risulta, ai fini pratici, ora superfluo, se non direttamente inutile. Alla fine quindi arriva alle stesse conclusioni a cui sarebbe arrivata la prima persona: un biglietto del genere non si trova per caso.
E’ quindi vero che abbiamo la naturale tendenza a considerare frutto di una progettualità o di un intervento esterno ciò di cui sappiamo non riusciremo mai a dare una corretta spiegazione? Possiamo poi considerare corrette le conclusioni a cui giungono le due persone dell’esempio oppure dobbiamo riconosce che, pur essendo ragionamenti del tutto umani, sono comunque insensati?
“E’ quindi vero che abbiamo la naturale tendenza a considerare frutto di una progettualità o di un intervento esterno ciò di cui sappiamo non riusciremo mai a dare una corretta spiegazione? ”
Che dire, dipende da persona a persona. Io per esempio considero sul piano filosofico certe cose come frutto di progettualità anche se sul quello scientifico esiste una spiegazione “corretta”.
“Possiamo poi considerare corrette le conclusioni a cui giungono le due persone dell’esempio oppure dobbiamo riconosce che, pur essendo ragionamenti del tutto umani, sono comunque insensati?”
I loro ragionamenti sono più che altro incompleti: hanno calcolato una probabilità bassissima per un evento successo a loro ma che aveva probabilità quasi certa di succedere a qualcuno (se il biglietto non si fosse distrutto o disperso, qualcuno l’avrebbe comunque raccolto).
Se in un gioco di fortuna ci sono 1000 biglietti ma uno di essi è quello della vittoria, chi vince ha la probabilità bassa di 1/1000 di vincere e si sentirà fortunato, ma comunque qualcuno avrebbe vinto.
Se invece è un gioco del tipo l’enalotto (se non erro) in cui non è detto che qualcuno vinca, allora è un altro paio di maniche. In questo secondo caso non ci possono essere analogie scientifiche, perché la scienza si basa sul determinismo (al limite sul determinismo di una probabilità).
SALVO – Sinceramente se capitasse a me di trovare il biglietto vincente della lotteria, l’ultimo dei miei pensieri sarebbe mettermi a pensare “perchè proprio a me?”.
E questo per 2 ragioni :
1- Avrei miliardi di altri pensieri per la testa (e si può pure capire),
2- La lotteria qualcuno la deve pur vincere, pur nel tuo caso particolare. Se pensassi di essere stato “unto” dal cielo per una missione particolare, dimenticherei che il 90% di santi popolari sono partiti poverissimi, e sono riusciti a fare cose mirabolanti (Vedi San Francesco, o San Pio da Pietralcina). Non c’è bisogno di soldi per fare qualcosa in cui si crede. Diverso è dire che trovati quei soldi ne condivido una parte o tutta con qualcun’altro.
Il ragionamento è sempre lo stesso : Quello che ci succede ha un senso soprannaturale ? (pure se qualcuno lo chiama “destino”, è sempre una visione soprannaturale delle cose).
Chi crede in un Dio che interviene nella vita dell’uomo, può dargli questo senso. Chi invece non crede in questo intervento, o non crede affatto in Dio, è inutile che cerchi un senso logico a questi fatti, e infatti non lo cerca.
Può però sempre condividere laicamente una parte della sua fortuna con altri, e non è raro che lo faccia, per senso di appartenenza umana, senza sentirsi per questo investito di una missione particolare o in vista di un premio futuro.
Quindi per tornare alla tua domanda, non è scontato che fatti del genere facciano scaturire certi pensieri alla persone.
Probabilmente quello sarebbe il pensiero che verrebbe a te, e lo hai generalizzato.
Scusa Flavio , ma per ben 2 volte ti ho chiamato “SALVO”, un lapsus! 🙂
Si vede che le piace il mio nome (mi chiamo Salvatore ma mi abbrevio così). Come quello del Redentore 🙂
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Il principio antropico risponde tautologicamente alla prima domanda fondamentale: “perché esiste qualcosa e non il nulla ? ” (risposta automatica: “perché se ci fosse il nulla al posto di qualcosa non potresti constatare che esiste qualcosa”).
Quindi i due tizi che pensano alla progettualità di un ritrovamento casuale di un biglietto vincente non sono un esempio calzante per le problematiche qui discusse. Infatti bisognerebbe chiedersi prima perché esiste questa lotteria e magari che fini ha. Flavio con questo esempio riporta giusto al multiverso a infiniti mondi (ossia la versione estrema che abbracciano peraltro in pochi). Ossia la domanda che si pongono i due fortunati vincitori è “tra miliardi di uomini perché è toccato proprio a me ?” Da quindi per scontati i miliardi di uomini, oltre alla lotteria, in altre parole da per scontato che il “multiverso – naturalmente, logicamente – è”. A me pare che sia proprio quest’ultimo il ragionamento umano, ma forse poco sensato, perché viene dato per acquisito un sempiterno multiverso al posto di un sempiterno Creatore e quindi ricadiamo in piena metafisica, la quale non è insensata, ma è poco sensato volerla evitare e ricaderci in pieno.
Ad ogni modo se si trova un biglietto vincente il comportamento corretto sarebbe quello di capire chi sia il proprietario per restituirglielo 🙂
Ecco MUGGERIDGE , Salvo non ha identificato tutti i pensieri possibili che verrebbero in mente, ma tu hai indentificato certamente uno dei meno probabili 🙂
In un mondo dove l’80% delle persone tampona una macchina parcheggiata , e poi fugge senza lasciare un biglietto, le probabilità che il trovatore di un biglietto vincente si faccia poi in 4 per restituirlo al legittimo proprietario non sono di molto maggiori a quelle del ritrovamento stesso :-)!
Perché Salvo commenta col nome di Flavio? 😀 😀
Ho sbagliato! Intendevo Flavio!
Carissimo ML .. Immaginavo (non volevo certo prenderla in giro). Mi è venuta la battuttina pensando alla faccia del buon Salvo che andava a ricercarsi dove avesse commentato..
@Mentelibera. Faccio parte di quel 20% (chiedere a un mio vicino…) 🙂
Pensavo a questo episodio:
http://archiviostorico.corriere.it/1994/gennaio/16/ladro_vince_alla_Lotteria_co_0_940116916.shtml
…anche per episodi come questo penso che ci sia speranza per l’umanità.