La corda sull’abisso (sesta puntata)

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Alex stava sulla terrazza di villa Giver a contemplare il cielo stellato. Ispirò profondamente l’aria fresca di quella notte e disse: “Prima fu sera…”, quindi chiuse gli occhi per due secondi, li riaprì e ammirò un cielo azzurro chiaro e il sole alto sopra la sua testa, poi disse ancora: “…e poi fu mattina”.

Alex aveva imparato nuove cose sulla sua abilità ottenuta grazie alla I.E.M., per esempio che non poteva tornare indietro nel tempo a prima dell’applicazione della I.E.M. su sé stesso. Tal cosa non lo sorprese e non lo demoralizzò, se la seppe spiegare subito dicendosi che i viaggi nel tempo, anche se compiuti con la forza del pensiero, per spostarsi da un momento all’altro della sua vita, richiedevano un certo supporto biologico.

Un’altra caratteristica che aveva imparato a gestire, molto più interessante, era la capacità di “saltare” nel futuro alla fine di un’azione che Alex decideva di intraprendere, a patto che egli fosse deciso a compierla ad ogni costo prima di viaggiare nel tempo. Questa procedura l’aveva chiamata “promessa temporale”; nel caso in cui si fosse trovato in circostanze diverse da quelle attese, gli bastava “tornare indietro” e agire in modo conscio per scoprire cosa fosse andato storto.

Nel momento in cui Alex aveva citato la Genesi sulla terrazza, aveva organizzato i primi passi del suo piano per diventare colui che avrebbe cambiato il mondo. Come tutti i piani ingegnosi, sarebbe iniziato con qualcosa di semplice.

Scese nel giardino della villa, vestito in modo non eccessivamente elegante, sfoggiando i suoi occhiali da sole e camminando con spavalderia tra la gente che aveva già ricominciato le azioni di volontariato. Ignorò tutte le conversazioni che gli capitava di origliare, anche quelle che lo riguardavano. Stava andando verso il garage quando notò e riconobbe il giornalista figlio di Burelli che intervistava un prete. Si avvicinò ai due e ascoltò cosa stava dichiarando il sacerdote: “Siamo tutti contenti e grati al Signore del dono che Egli ci ha fatto di offrirci una persona come Angelo, che ha saputo cambiare la vita a così tante persone…”

“Non per fare il megalomane”, lo interruppe Angelo, “ma credo di dire la verità nell’affermare che sono stato io a creare Angelo e a breve vi giungeranno grandi novità, sempre da parte mia”.

“Ha in mente di realizzare un altro esperimento?” gli chiese il giornalista, ma Alex non volle aggiungere altro e si mise in macchina, tuttavia pensò “effettivamente sto per fare un piccolo esperimento”.

Alex il giorno prima l’aveva appositamente trascorso a non fare niente, gli serviva un giorno “libero” da occupare per una sua missione. Giunse con l’auto alla prima edicola che trovò allontanandosi dalla villa, parcheggiò e comprò un giornale. Sedutosi comodamente sul ciglio del marciapiede, sfogliò le pagine del quotidiano in cerca della notizie di cronaca nera, finché ne trovò una adatta ai suoi scopi: “Scoppia bombola di gas in una vecchia palazzina: due morti. L’esplosione è avvenuta alle 23:00 circa di ieri in via…”. Alex, non potendo portare niente con sé nei suoi viaggi nel tempo (essendo essi delle specie di viaggi “mentali”) imparò a memoria tutti i dati di quella tragedia, chiuse il giornale, lo buttò alle sue spalle e chiuse gli occhi.

Quando li riaprì, si ritrovò nel suo laboratorio, seduto sul divano. Guardò il suo orologio digitale: “Ottimo, è Martedì, sono tornato a ieri. Ora posso mettermi a lavoro”.

Uscì con l’auto da villa Giver e si recò in un paesino confinante, verso l’indirizzo imparato a memoria. Erano le quattro del pomeriggio. Non riconobbe subito la palazzina perché sulla foto del giornale era semi-distrutta e bruciata, ma ritrovò sul citofono i cognomi dei due anziani coniugi di cui il quotidiano aveva annunciato la morte. Attese che qualcuno si affacciasse da un balcone al secondo piano, poi decise che era più comodo inventarsi una scusa, sperando di contare sulla sua notorietà.

Bussò al citofono e chiese il permesso di usare il loro telefono perché gli si era scaricato il cellulare e aveva l’urgente bisogno di fare una telefonata. Non era una grande scusa, ma a lui importava che almeno si affacciassero al balcone. Una vecchia signora, con una vestaglia leggera e i capelli ricci bianchi, lo fissò dal balcone e gli disse: “Mi sembra di conoscerla…”. “Ottimo”, pensò Luterani, poi gridò verso la signora: “Probabilmente mi ha visto in televisione, sono quello scienziato che ha fatto evolvere uno scimpanzé”. Alex voleva essere riconosciuto a tutti i costi, compreso quello di apparire una barzelletta vivente. Per fortuna la signora annuì sorridendo e lo fece entrare nel suo palazzo. Entrato in casa sua, Alex ricevette il classico invito ad un caffè, lo accettò aspettandolo presso una vecchia cucina a gas con bombola a parte. Mentre guardava i fornelli disse: “Mi scusi, credo di sentire una forte puzza di gas…”

“È normale, sign. Luterani, c’è sempre stata”

“Non credo sia normale, signora…”. Alex si alzò, attese che fu pronto il caffè e controllò un tubo sotto i fornelli: “Signora, mi scusi se mi sono preso la libertà di controllare, ma come può vedere qui c’è una perdita ed è pericolosissima. Le consiglio di farsela riparare al più presto, senza usare la cucina fino ad allora!”. Alex cercò di non spaventarla troppo, ma la signora si sentì mortificata per non essersi accorta del grande pericolo e lo ringraziò, ricordandogli della telefonata. Alex sorrise, fece finta di parlare con qualcuno al telefono e se ne andò ringraziando a sua volta la gentile signora.

Tornato in macchina, decise di controllare subito se il suo intervento era stato sufficiente: senza riaccendere il motore, si limitò a chiudere gli occhi, a concentrarsi e a riaprirli. Si ritrovò di nuovo in macchina, ma era mattina presto e il suo orologio indicava che era di nuovo Mercoledì. Comprò lo stesso quotidiano e al posto dell’articolo sull’esplosione di gas vi trovò un altro sui rischi legati all’abbandono dei cani, con un reportage di notizie degli anni precedenti. “Sono salvi! Ho salvato la vita a due persone!”, pensò, quindi piegò il giornale, si godette alcuni minuti di autocompiacimento e poi notò che non c’era motivo di dover pagare quel giornale: chiuse gli occhi, li riaprì e si ritrovò in auto, indietro nel tempo di pochi minuti.

Stette lì a riflette sul da farsi: “Ho salvato la vita di due persone, sono felice, ma così sono troppo lento e discreto. Ho evitato due funerali, ma nessuno lo potrà mai sapere perché ho agito prima di ogni male, prima dei funerali, prima del dolore, prima dell’esplosione…la mia piccola opera è stata troppo discreta”.

Alex pensò che poteva permettersi l’ambizione di far sapere a tutto il mondo che, oltre ad Angelo, c’era una specie di vero angelo che lo avrebbe protetto da ogni male che si può evitare.

“Proviamo con qualcosa di più grande”, pensò lo scienziato, quindi si concentrò e disse a sé stesso: “Oggi non farò niente, tornerò alla villa e aspetterò che passi anche questa giornata, quindi domattina tornerò qui a comprare il giornale”. Detto questo, con la determinazione che era connaturata al suo carattere, si concentrò di nuovo, respirò lentamente e chiuse gli occhi.

Una volta che li riaprì, si ritrovò in macchina ma era qualche metro più indietro, aveva davanti a sé una macchina blu parcheggiata sullo stesso marciapiede e i suoi vestiti erano quasi uguali tranne che per la camicia, che era diversa, e per gli occhiali, che erano solo da vista e non da sole. Scese dall’auto e notò che era una giornata nuvolosa, un Giovedì nuvoloso, comprò un giornale e andò a leggere la cronaca nera: “Rapina in una gioielleria, perfetto!”, pensò Alex guardando un articolo che parlava di una rapina avvenuta in un altro paese vicino la sera precedente. Imparò a memoria tutti i dati che gli occorrevano, gettò il giornale e chiuse gli occhi. Li riaprì e si ritrovò nella cucina di villa Giver, seduto ad un tavolo con davanti a sé un piatto di spaghetti. Abituato a tali “cambi di scena”, guardò subito il suo orologio: “Bene, è Mercoledì per la terza volta”.

Abbandonò il piatto, corse  a prendere le chiavi della macchina e si avviò verso la gioielleria.

Parcheggiò in una piccola piazzetta, controllò l’ora, trovò un bar con dei tavolini all’aperto e si sedette per un caffè. Il sole era tramontato da poco, notò dei tipi loschi entrare nella gioielleria situata dall’altra parte della piazzetta, prese il cellulare, avvertì la polizia e avviò il cronometro. I rapinatori scapparono cinque minuti prima dell’arrivo delle forze dell’ordine. “No problem. Ora vi frego io!” sussurrò Alex osservando con malignità l’auto in fuga dei criminali. Appurato che i poliziotti ci avevano impiegato dieci minuti, chiuse gli occhi, li riaprì e si vide in piedi al centro della piazzetta. Guardò l’orologio, chiamò la polizia e quindi si avvicinò con calma al bar per la seconda volta per godersi lo spettacolo sorseggiando un caffè. Rise soddisfatto quando vide la faccia dei ladri circondati dai poliziotti, i quali erano arrivati fuori la gioielleria esattamente quando loro erano usciti.

Alex terminò il suo caffè e disse: “Bene, ora sono stufo che sia Mercoledì, è giusto che sia Giovedì…”, chiuse gli occhi, li riaprì e si trovò di nuovo in macchina, con l’auto blu davanti e il cielo nuvoloso.

Comprato il giornale, scoprì che c’era di nuovo l’articolo sulla rapina ma stavolta l’esito era felice, inoltre c’era un piccolo riferimento al “famoso scienziato Alessandro Luterani” che aveva avvertito tempestivamente le forze dell’ordine.

Alex sorrise, si tenne il giornale e camminò verso una panchina. “È stato divertente”, pensò “però…mi vien da dire…tutto qui?”. Sedutosi sulla panchina, tornò a sfogliare il giornale. “Ogni giorno ci sono furti, rapine, tragedie naturali e umane. Se esiste una soglia al di sopra della quale il mio contributo potrebbe dare speranza alla gente, farle capire che esiste un Oltreuomo disposto a servirla come nessun’altro potrà mai fare, devo fare di più molto di più…”. Chiuse il giornale e cominciò a fissare una nuvola sopra di sé: la nuvola era grossa ma subito si divise in due nuvole più piccole.

“Non posso essere in due posti contemporaneamente. Non posso svolgere questa missione in prima persona come ho fatto finora…dovrei creare una rete di soccorso come ha fatto Angelo, solo che questa rete dovrà dipendere necessariamente soltanto da me”.

La coppia di nuvole passò davanti al sole, prima oscurandolo, poi facendolo splendere, quindi oscurandolo di nuovo.

“Avranno creduto che sia stato l’intuito a farmi riconoscere la rapina in quanto tale e io devo averli assecondati, ma il mio non era intuito…mi serve più tempo”, Alex rifletté a lungo e poi pensò “mi serve almeno un anno.”

Alex smise di guardare il cielo e appoggiò i gomiti sulle sue ginocchia e la testa sui suoi palmi. “Un anno…”, sussurrò lo scienziato, accorgendosi di aver manifestato a sé stesso un pizzico di timore.

Non si era mai mosso nel tempo, in particolare nel futuro, per più di pochi giorni, non solo perché era difficile garantire una “promessa temporale” per un tempo così lungo, ma anche perché non sapeva se ci sarebbe riuscito e infine la sua precisione nel collocarsi nella situazione in cui voleva ritrovarsi era inversamente proporzionale alla “distanza temporale” percorsa. Decise che avrebbe trascorso il resto del giorno a rifletterci: passeggiò in riva al mare, fece un pranzo leggero in un bar e poi andò a cercare un posto all’ombra tutto per sé. “Il mio ultimo anno è stato il più importante della mia vita, chi può dire dove sarò tra 12 mesi?!”. Si distrasse guardando la schiuma delle onde che si infrangevano contro gli scogli e ripensò a quel che disse Giorgio sul mare, sul fatto che cambia sempre ma resta uguale a sé stesso: “Suvvia, perché mi preoccupo così tanto? Non dovrò fare molto, dovrò semplicemente cercare il primo computer o smartphone a portata di mano dovunque mi ritroverò, leggermi le notizie più importanti dell’anno trascorso, privilegiando i disastri e tutti i “mali” che riguardano grandi gruppi di persone, poi dovrò tornare qui e scrivermi le notizie dal futuro su un pezzo di carta. All’inizio mi crederanno in pochi, mi prenderanno per una Cassandra, ma poi dovranno ricredersi e penderanno dalle mie labbra”. L’ambizione diede coraggio allo scienziato che si alzò in piedi allontanandosi dall’albero sotto cui si era riparato: “Mi consulteranno i capi di governo per valutare le loro trattative internazionali, le famiglie scampate alle tragedie mi dovranno la vita e sarò migliore delle migliori delle agenzie di spionaggio nella lotta al terrorismo!”.

Alex si guardò intorno, cercando un punto ancora più isolato della costa; lo trovò in un insenatura raggiungibile facilmente a nuoto. Corse sulla spiaggia, si tolse scarpe, pantaloni, giacca e camicia e si immerse fino alle spalle in acqua, nuotando poi verso l’insenatura.

“Mondo, sto per salvarti!”, disse Alex preso dall’euforia. Riemerse in una piccolissima porzione di spiaggia stretta tra due fila di scogli e si sedette. Il suo cuore batteva fortissimo e si pentì di non essersi tolto anche calzini  e mutanda, per non parlare degli occhiali che avrebbe rischiato di perdere, benché avesse nuotato con un braccio solo per mantenerli. “Chi se ne frega, potrò sempre tornare indietro a prima di questo stupido tuffo”, pensò ridendo. Il passaggio di una nuvola davanti al sole sembrò dirgli che era ora di tornare seri. Incrociò le gambe, fece un profondo respiro, valutò un ultima volta le sue intenzioni e si disse “Sì”, quindi fece un altro lungo respiro e chiuse gli occhi.

La sensazione di leggerezza era piacevole e fu contento di poterne godere molto più a lungo del solito.

Riaprì gli occhi e dovette tapparsi le orecchie perché sentiva una musica fortissima che gli rimbombava fin nelle viscere. Era circondato da luci laser e da tantissime persone che ballavano. “Una discoteca? Perché? Non sono tipo da discoteca!”. Abituatosi al rumore forte, cercò una porta d’ingresso, la trovò e uscì subito per respirare aria pulita. Era notte e si andò subito a sedere su una panchina di pietra che vide pochi metri più avanti. Dopo essersi tranquillizzato, tornò lucido e pensò che la sua situazione non era affatto strana: “Conoscendomi, avrò ricordato bene quale “fu” quel giorno che feci il tuffo a mare senza togliermi gli occhiali per viaggiare nel futuro di un anno. Avrò pensato che in una discoteca nessuno avrebbe fatto caso ad un tipo spaesato che non sapesse dove si trova e in quale anno…come sono furbo!”.

Cercò nelle tasche del pantalone bianco che stava indossando se aveva un cellulare, lo trovò e lesse la data e l’ora: “Non è passato un anno esatto, sono andato più avanti di due settimane…come sono scemo!”. Rise e pensò che comunque andava bene lo stesso, ma gli serviva un posto tranquillo per fare la sua ricerca degli eventi più importanti dei 12 mesi e mezzo che si era perso.

Si alzò dalla panchina, si mise il cellulare in tasca e camminò per allontanarsi dalla discoteca. Si trovava in fondo ad una strada di una città pianeggiante, ad intuito una città non molto grande, di sicuro non era Napoli. “Credo che sia Caserta. Che ci faccio a Caserta?” pensò ad alta voce Alex, ridendo. Non appena si ritrovò da solo, però, cominciò a soffrire di un forte mal di testa e per il dolore si strinse le tempie e chiuse gli occhi. Per un attimo si sentì meglio, ma riaperti gli occhi si ritrovò nudo in una vasca da bagno riempita quasi fino all’orlo di acqua tiepida, in un bagno piccolo e bianco. “E ora che ci faccio in questa vasca?!” si chiese tra il panico e il divertito. Notò che aveva lasciato il cellulare su una mensola alla sua destra, lo prese e vi lesse la data: “Sono tornato indietro di circa un mese, perché? Perché senza che lo volessi?”.

Si sollevò ed uscì dalla vasca, quindi indossò un accappatoio bianco e aprì la porta del bagno: si trovava quasi certamente in una camera d’albergo. Si asciugò e si tolse l’accappatoio per cercare una valigia con vestiti da indossare. Mentre faceva il giro di un letto posto alla parete di fronte alla porta d’ingresso della camera, fu colto di nuovo da un’emicrania: “Non di nuovo!”, urlò, ma per quanto si sforzasse di non chiudere gli occhi, dopo diversi secondi di dolore crescente dovette farlo e avvertì il senso di mancanza di peso.

Riaprì gli occhi e si vide al volante di una macchina che non era la sua, lungo un autostrada, mentre andava a 90km/h preceduto da un camion che sembrava fermo. Dovette frenare bruscamente e finì col tamponarlo. Fortunatamente era riuscito a rallentare parecchio ma fu un duro colpo. “Ma ora credo che stia per arrivare il peggio”, pensò lo scienziato quando vide scendere verso di lui un camionista grosso e nero di rabbia. Alex provò a scendere dall’auto mostrandosi con un viso contrito e mortificato, ma il camionista non aveva uno sguardo rassicurante e Alex decise di arretrare e cominciò a scappare via da lui. Mentre correva si accorse che aveva un auricolare, seguì il filo di plastica con le dita della mano destra per trovare la tasca in cui teneva il cellulare e ne guardò lo schermo mentre continuava a correre. “Mi trovo ad un anno e mezzo dal tuffo con gli occhiali, sono andato avanti, ma perché?!”. Alex dovette fermarsi per prendere fiato, appoggiandosi al tettuccio di una macchina (c’era una lunga coda di traffico). Quando si ricordò che lo stava raggiungendo il camionista, tolse la mano dall’auto a cui era appoggiato e gli tornò il mal di testa. “Adesso non sarebbe una cattiva idea”, pensò, quindi chiuse subito gli occhi.

Li riaprì un attimo dopo ma dovette socchiuderli perché aveva un forte faro bianco puntato sulla sua testa. Dovette farsi ombra con una mano, abituarsi alla luce e finalmente guardarsi intorno. Era seduto su una poltrona rossa, c’era un altro signore in giacca e cravatta di fronte a lui, seduto su un’altra poltrona rossa, quindi vide alla sua sinistra file di sedie e tantissime persone che lo stavano guardando, infine alla sua destra c’era una grossa telecamera.

“Sign. Luterani, si sente bene? Le dà fastidio la luce?”, disse l’uomo seduto sull’altra poltrona. “Deve essere un’intervista televisiva”, pensò Alex, ma non riconobbe il logo del canale televisivo sulla telecamera che lo inquadrava.

“Sto bene, grazie, può ripetere la sua domanda, per cortesia?”

“Non le ho fatto nessuna domanda, l’avevo invitata a replicare alle accuse che le ha posto il nostro spettatore in quinta fila a destra”.

“Accuse?”, pensò Alex confuso. S i alzò dalla poltrona rossa per provare a capire a chi doveva rispondere ma ebbe di nuovo mal di testa. Per non dare strane impressioni davanti alla telecamera, chiuse gli occhi, li riaprì e si ritrovò sdraiato su un comodo letto.

Si trovava in una camera da letto dove i mobili erano di quel azzurro che tende nel grigio, in particolare erano di tale colore un comodino alla sua destra e un armadio di fronte al letto. Alex si alzò lentamente, temendo un nuovo involontario salto temporale, ma vide che non succedeva niente. Lentamente appoggiò i piedi per terra e vide una fotografia sul comodino che lo ritraeva con le piramidi alle spalle e una sveglia digitale accanto alla foto. “Sono nel futuro di 15 anni!”, notò nel leggere la data sulla sveglia, “Dovrei essere invecchiato…”, pensò con un po’ di malinconia. Con molta calma si alzò dal letto e andò ad appoggiarsi all’armadio di fronte al letto, perché una delle sue ante era munita di uno specchio esterno.

“Come si vede che sono sulla quarantina…”, pensò lo scienziato mentre guardava un volto che pretendeva di essere il suo, ma non aveva la barba, gli occhiali erano diversi, aveva più rughe ed era più stempiato. Stufo di notare solo nuovi difetti, si guardò intorno per comprendere meglio la situazione.

“Non è una camera d’albergo, è chiaramente casa mia…”. Osservò il panorama costiero che splendeva oltre la sua finestra, “benissimo, riconosco Amalfi! Chissà se è proprio casa mia o sono in affitto…”. Tornò a ricavare altri indizi. “Il letto non è matrimoniale, c’è molto silenzio…sono ancora single?”, decise di fare un test e gridò: “Amore, dove sei?”, ma non ebbe nessuna risposta. Si accorse che accanto alla porta d’ingresso, posta al lato opposto alla finestra, c’era un piccolo comò dello stesso colore del comodino e dell’armadio, vi era appoggiato sopra il suo nuovo smartphone. Corse a prenderlo e lesse d’un fiato tutti i suoi messaggi. “Non vi sono tracce di una moglie, di una fidanzata né tantomeno di figli. Ci sono messaggi di gente che non conosco ancora e sembrano tutti arrabbiati con me per qualche ragione”, dedusse dopo aver letto tutto quello che poteva leggere. Posò il cellulare e uscì dalla camera per esplorare il suo appartamento. Non fece però in tempo a visitare la sua cucina che gli si presentò di nuovo un mal di testa lancinante e dovette chiudere gli occhi.

Alex si arrese e smise di contare i viaggi involontari e la distanza temporale percorsa, voleva solo evitare l’emicrania e la sensazione di assenza di peso sembrava l’unica cosa che la facesse passare.

Si ritrovò prima sotto il cocente sole d’Egitto, poi intrappolato nel traffico del raccordo anulare di Roma, poi era sulle scalinate di un grande edificio bianco circondato da una marea di giornalisti. Era di nuovo giovane, dalle parti di villa Giver, poi era cinquantenne alle prese con un grosso pesce di fiume che non voleva farsi pescare, poi era abbronzatissimo su una spiaggia dove sentiva il vociare di gente dalla lingua incomprensibile. Subì un raffreddore terribile mentre aspettava sotto la pioggia un autobus alla fermata di una città invasa dalla nebbia, quindi assaporò del caviale a casa di gente ricca e pacchiana. Aveva poi sessant’anni e stava seduto ad un tavolo bianco in attesa che qualcuno chiedesse una dedica su una copia di un suo libro, ma c’erano poche persone. Per un po’ di tempo ebbe di nuovo quarant’anni e stava chiuso nella sua macchina a piangere fuori al carcere di Poggioreale senza sapere perché.

Pose fine a quei viaggi senza logica e senza sosta quando ebbe l’intuizione banale che per “stare fermo” doveva “ancorarsi” a qualcosa. Dopo l’ultimo salto temporale, si ritrovò seduto su qualcosa, si guardò subito intorno, vide un lampione alla sua destra e lo afferrò con ambo le mani: funzionò. Si sentiva stanco e debole, pensò che fosse per i continui spostamenti ma cambiò opinione quando si guardò le mani: erano vecchissime e rugose come non mai.

Si trovava in un parco pubblico, seduto su una panchina di metallo, era quasi tramontato il sole e faceva caldo. Non capiva quale fosse la città e c’erano poche persone nei paraggi. Vide solo che sulla destra il parco si affacciava su un fiume e sulla sinistra vide una strada posta su un livello superiore rispetto al piano del parco e sotto di essa vari cunicoli di cemento armato lunghi e bui.

“Hanno costruito un parco scavandolo tra una strada per automobili e la sponda di un fiume, ma che idioti…probabilmente sono in Italia”, disse tra sé Alex, accorgendosi di avere la voce roca. Senza staccare la mano destra dal lampione, usò la sinistra per frugare nelle sue tasche, si accorse di avere un bastone appoggiato sulla sua sinistra sulla panchina, ma lo guardò con ironia e continuò a cercare un documento o un cellulare. Trovò uno smartphone molto più grande dei precedenti che aveva la superficie dello schermo così liscia che, quando non era acceso, era praticamente uno specchio. Si guardò il voltò e per un attimo si spaventò: appariva come un uomo di almeno ottant’anni, con le borse sotto gli occhi (stranamente senza occhiali), un grosso naso, mille rughe e i capelli bianchissimi. “Potrò fare un bilancio della mia vita, allora…”, pensò sorridendo.

Accese lo schermo del cellulare e notò che esso era così sensibile che sembrava che le caselle e le pagine si aprissero solo con un movimento appena accennato delle dita.

Cercò informazioni su “Alessandro Luterani”, vide articoli di giornali online, blog e forum su di sé ma i risultati furono deprimenti. Non era il salvatore del mondo, era solo una figura controversa al centro di parecchie polemiche. Si rese conto che nel suo andare e venire nel passato era inconsapevolmente riuscito a diventare l’”uomo che annunciava il futuro” come aveva progettato, probabilmente era scattata una “promessa temporale” in uno di quei brevi momenti in cui era tornato trentenne. I risultati però non erano stati quelli sperati: dopo un brevissimo periodo di successo, la gente, o meglio i media, si disinteressarono completamente del contenuto delle sue previsioni e volevano solo scoprirne l’origine. L’Alex del passato tenne per sé queste informazioni, non volle condividere con nessuno i segreti della I.E.M. e ad un certo punto decise di distruggerla. Dal momento che i cambiamenti del passato cambiavano ogni volta il futuro, scoppiarono polemiche sugli errori di previsione di Alex e sui suoi criteri con cui sceglieva ciò che doveva essere previsto e cosa no. L’Alex del passato dovette subire processi reali e mediatici e si trasformò pian piano in un personaggio di nicchia amato solo dagli stessi che dicevano di aver visto gli alieni. Inutile dire che molti lo deridevano. Ci fu un anno in cui divenne virale un video che faceva il remix di una sua previsione sul futuro del riscaldamento globale; in tale video c’era lui che diceva ai giornalisti “la Pianura Padana sta ancora là”.

L’Alex anziano di guadagnava da vivere vendendo libri ai suoi pochi fan e da nessuna parte lesse che si fosse sposato. Stufo di leggere brutte notizie su cose che dal suo punto di vista non aveva ancora fatto, spense il monitor del cellulare e si mise a guardare dei piccioni che mangiavano molliche di pane a mezzo metro dai suoi piedi.

“Tanta fatica per arrivare a questo”, pensò Alex guardando i piccioni, “anni di studio, ricerche fuori dal comune, due evoluzioni indotte per ritrovarmi alla fine come un vecchio qualunque che passa il tempo a dar da mangiare ai piccioni in un parco”. Avrebbe voluto ridere, ma sentì il suo apparentemente incrollabile orgoglio fuoriuscire da dentro di sé, come onda nera di un mare inondato dal petrolio che lascia con il suo ritirarsi solo sporcizia e morte. Il tizio seduto su quella panchina non era l’Oltreuomo.

“Sono solo…veramente solo…e non ho più altre possibilità. Sono troppo vecchio per mentire a me stesso…”. Alex ripensò a dei momenti in cui aveva dieci anni ed era deriso dai suoi compagni di classe perché lo trovavano sempre a leggere e mai a giocare, ma non poteva tornare veramente a quel periodo e pur volendo, non poteva rifarsi annunciando l’uomo che sarebbe diventato.

“A me, se di vecchiezza la detestata soglia evitar non impetro…”, sussurrò Alex, ripensando al suo volto anziano e ad una poesia di Leopardi. Non sapeva cosa fare, non lasciava mai il lampione a cui si appoggiava con la mano destra perché non aveva voglia di fare assolutamente niente.

“Quei bambini avevano ragione, non sono come loro e merito di restare solo…”. Alex stava per piangere ma si ricordò che non aveva ancora fatto ricerche su Angelo.

Riprese subito il cellulare e cercò risultati per le parole “Doppia A”, ma non trovò niente. Cercò “Associazione Angelo” ma di nuovo non ci fu alcun riscontro. Scrisse “Alessandro Luterani” e finalmente trovò notizie su di lui ma gli si gelò il sangue quando lesse su un giornale online “al momento sconta in carcere una pena per sfruttamento della prostituzione, il quale non è il suo primo reato…”.

“Non è possibile…”, disse Alex, ignorando di pensare ad alta voce. Rilesse più e più volte quegli articoli ma non c’erano dubbi che si riferissero al “suo” Angelo.

“Se anche lui si è fatto corrompere, non oso immaginare cosa avrò combinato io in tutti questi anni…”.

Alex stavolta pianse e capì perché si era per un attimo ritrovato piangente fuori al carcere di Poggioreale.

“…e il dì futuro del dì presente più noioso e tetro”, sussurrò quando cessarono le lacrime.

“Non ho più un futuro in cui riporre nuove speranze e dopo questa notizia non ho voglia di tornare indietro. Non sono riuscito a cambiare il mondo, non sono riuscito nemmeno a far restare l’unico che potesse cambiarlo, Angelo, uguale a sé stesso. Non vedo perché dovrei fare qualcosa di diverso che nutrire questi piccioni…”. Poco dopo vide un vecchio poliziotto passeggiare verso la sua panchina e aveva attaccata alla sua cintura la risposta alla sua domanda.

Alex prese il bastone, lasciò il palo e appoggiò subito la mano per terra, quindi si mise cavalcioni sulla strada ricoperta di piccole pietre.

“Posso aiutarla, signore?”, chiese gentilmente il poliziotto.

“Non riesco a trovare le mie lenti a contatto. Può cercare lei per me?”

“Certamente, signore!”, disse l’agente chinandosi quasi con la faccia per terra. Alex si rialzò, sollevò il bastone e mentre l’altro stava ancora guardando a terra sfoderò con tutte le sue forze una bastonata sul suo capo. “Tutti si fidano di un vecchietto”, pensò Alex guardando l’agente svenuto. Subito si chinò per prendere la sua pistola, poi si appoggiò al lampione, quindi fece scorrere la mano sinistra sullo schienale della panchina, poi appoggiò la mano sui tronchi degli alberi che lo separavano da uno di quei cunicoli lunghi e bui.

Una volta nascosto nel buio, appoggiò la mano sinistra alla fredda parete di cemento, accorgendosi che non stava provando alcun sentimento: “Dunque non ho alcuna incertezza…”, pensò. Tolse la sicura della pistola con il pollice destro e guardò la grigia e fredda canna, che gli ricordava la superficie del cilindro della I.E.M..

“Vorrei non averla mai costruita, ma non posso tornare più indietro di allora e comunque non posso dimenticare quanto ho appreso. Non posso cambiare le cose, mi sono solo illuso…posso solo terminarle”.

Avvicinò lentamente la canna alla sua tempia destra, fece un lungo respiro e poi trattenne il fiato…ma una visione gli bloccò la mano.

Non aveva visto un miracolo ma qualcosa di altrettanto incredibile dall’altra parte del parco, dove si poteva guardare il fiume. Era Henry che passeggiava conversando con un tizio, ma non era questa la cosa inspiegabile. Un intervento agli occhi di Alex gli aveva permesso di non dover portare gli occhiali, per cui ciò che stava vedendo doveva essere reale, per quanto sembrasse un’allucinazione.

Henry era lì, in quel parco, con i vestiti e gli atteggiamenti di sempre e non era invecchiato di un solo giorno…[CONTINUA]

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"htagliato", Fisico della Materia. Vive a Napoli.

10 commenti

  1. Buonasera.
    Mi dolgo, per così dire (intendo una doglia “letteraria”, di quelle che si hanno leggendo ed immedesimandosi nei protagonisti), della triste fine di Alessandro, e soprattutto della corruzione di Angelo (una corruzione tuttavia inevitabile). Sono curioso di sapere come finirà, ed in particolare di cosa faccia ancora giovane il signor Giver nel 2070 (da quanto deduco). Vorrei anche chiedere di quante puntate sia strutturato questo racconto, per curiosità.
    Buon proseguimento.
    =
    p.s. non per sottilizzare, ma credo vi sia un errore di battitura nel paragrafo 6; è scritto “lo interruppe Angelo”, ma logicamente a parlare è Alessandro (non che sia poi una segnalazione così importante…).

    • Sono contento che si sia immedesimato nei personaggi, Alio Alij, ma le puntate in tutto sono 7 per cui questa è la penultima.
      La ringrazio per la segnalazione, ho avuto un lapsus in quel paragrafo, scrivendo “Angelo” invece di “Alessandro”.

      • Grazie a Lei, htagliato. Peccato che sia la penultima puntata.
        Buona serata.

        • Concordo, peccato che sia l’ultima puntata, mi piaceva questo appuntamento con la storia di Alessandro Luterani.
          PS ho provveduto a sistemare lo scambio di nome.

          • Grazie di aver corretto il testo, prof..
            Un racconto su CS, dove in genere si fanno analisi di articoli scientifici, divulgativi e di notizie, era un’idea nuova e non volevo prendermi il dito (di Pennetta) con tutto il braccio, pensavo che sette puntate fossero tante!
            Ne riparliamo dopo la fine della storia…

        • Ciao Alio,
          son in vacanza in zone dove non c’è segnale. Scusami per il ritardo. Riguardo il lavoro di Acca, ritengo che il lavoro più attraente che lui faccia sia quello di ‘secondo livello’, cioè quello non immediatamente decifrabile dalla semplice lettura, ma i simbolismi e le domande che si celano nel racconto. A presto,

          Max

          • Ciao Max, mi piace il tuo discorso sul “secondo livello”…ah, ma stai parlando di me?! Nientedimeno!
            Grazie!

          • Salve signor Max,
            grazie tante della risposta. Anch’io apprezzo gli intenti morali e retorici del racconto; ecco, forse mi son fatto sfuggire i simbolismi di cui parla…proverò a rileggere.
            Un saluto.

  2. Non sono un appassionato del genere, ma questo racconto mi pare originale. Non credo che qualcuno abbia davvero potuto indovinare il seguito e il finale così intrigante. Spiace anche a me che la prossima puntata sia l’ultima. Per quanto concerne questa puntata, mi pare che si possa dire che il protagonista non abbia vissuto la propria vita ne che qualcuno l’ha invece vissuta al suo posto, c’è quindi uno sdoppiamento della persona e della coscienza. C’è in pratica un Alessandro che viaggia nel tempo e uno che vive per lui.

    • Salve Muggeridge, grazie anche a lei per i complimenti!
      Ha descritto bene la particolare situazione di Alessandro in questa puntata!

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