Tecnologia dell’abiogenesi
di Giorgio Masiero
L’auto-riproduzione in industria non è un processo, ma un ciclo integrato di processi diversi. Conseguenze per la congettura dell’abiogenesi
Ho chiuso il terzo articolo sull’abiogenesi, dedicato al mondo a RNA, con un dubbio: se possa esistere una molecola auto-replicante a se stante, senza l’accompagnamento delle altre funzioni svolte nella cellula dalle proteine. L’Intelligent Design (ID) risponderebbe di no, spiegando che ogni componente della cellula è elemento inscindibile d’un progetto olistico, di cui già l’RNA costituisce una sottostruttura di “complessità irriducibile” (o “specificata”). Nel suo “Orologiaio cieco” (1986) Dawkins, conscio che una molecola di emoglobina (per dire una delle proteine più piccole) non può essersi assemblata da sola, per caso, contrappose al progetto intelligente il “setaccio” della selezione naturale con un argomento informatico. Come realizzò il filtro ammazza-caso? Inserendolo fin da principio nel “software”, cioè postulando la teleologia e così cascando nella rete dell’ID! Bocciato in logica.
L’implausibilità del “caso” (vuotezza eziologica del concetto a parte) a creare la vita risulta matematicamente dal rapporto tra il numero delle configurazioni atomiche e il volume cosmologico (di spazio-tempo × materia-energia), che non è così immenso come crede la poesia naturalistica dal tempo dei Veda. Del resto, la ricerca d’un modello razionale dell’abiogenesi – e questa ricerca è un fatto – dimostra che i primi a non credere all’assemblaggio casuale sono proprio i ricercatori, darwinisti compresi. Né possiamo credere alla complessità irriducibile o specificata della vita vegetativa (consonanze filosofiche con l’ID a parte), perché questi concetti non sono chiaramente definiti. Piuttosto in matematica troviamo la complessità NP e l’indecidibilità gödeliana. Un problema NP ha un algoritmo finito e quindi è risolvibile in teoria (da una “macchina di Turing”), ma non è risolvibile in pratica (da un computer reale, odierno o futuro), perché l’esecuzione di tutti i passi della procedura richiederebbe tempi di processo e capacità di memoria superiori all’età e alla massa dell’Universo. Indecidibile invece è un problema senza algoritmo e quindi non eseguibile neanche in teoria. In entrambi i casi il problema è senza soluzione. Tra le questioni senza soluzione potrebbe rientrare l’abiogenesi (come sono inclini a credere molti studiosi), ma non c’è la dimostrazione che vi rientri. Quindi sospendo il giudizio e resto aperto alle diverse alternative:
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un modello di abiogenesi sarà trovato e corroborato con la sintesi d’una molecola replicante; o
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all’opposto si dimostrerà che una molecola replicante non può esistere; o
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la questione si chiuderà con la dimostrazione della sua complessità NP o della sua indecidibilità; o
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la questione resterà aperta a tempo indeterminato.
Di ogni alternativa, con le conoscenze di cui disponiamo,possiamo comunque formarci già ora un giudizio di plausibilità. Nel prosieguo mi riprometto di mostrare che l’alternativa 1. è la meno plausibile e la 2. la più probabile.
Dubbi sulla fattibilità di una molecola replicante sono riemersi di recente da un campo inaspettato: il mondo delle stampanti 3D. L’invenzione della stampa di testo con i caratteri mobili (Gutenberg, 1449) fu un punto di svolta nella storia della civiltà. Ed un’ulteriore spinta alla diffusione della cultura fu data 50 anni dopo, con l’invenzione della stampa d’immagini, prima monocromatica e poi policromatica, per mezzo della tecnica xilografica di Ugo da Carpi. L’innovazione tecnologica della stampa 3D (ma si tratta veramente d’una novità o è piuttosto il marketing a raccontarcela, dopo che questi spruzzatori di vernice a controllo numerico si sono abbassati di prezzo e riverniciati il nome?!) doveva aspettare invece altri 5 secoli…, e generare nel mondo gruppi entusiasti, cooperanti in progetti open-source per la costruzione niente po’ po’ di meno che di una stampante 3D auto-replicante. Uno di questi gruppi è il RepRap (http://reprap.org/) che si presenta subito, senza paura né falsa modestia, come autore della “prima macchina industriale a scopo generico auto-replicante del mondo”. Sotto possiamo ammirare la prima versione della macchina, meritatamente chiamata Darwin (ma altre portano i nomi di Wallace, Häckel, Mendel, ecc., come si deve per una questione di giustizia), frutto del lavoro generoso 24h × 365g di migliaia di volontari sparsi per il globo.
Molti pezzi in plastica di Darwin possono essere stampati dalla stessa Darwin, con tolleranze che permettono all’hobbista di usarli per costruire una nuova stampante. Qualcuno potrebbe pensare: Ormai ci siamo, dopo la macchina auto-replicante elettronica, troveremo anche quella biochimica! A ben guardare però, non abbiamo davanti una stampante che partorisce stampanti uguali a sé, né in teoria né in pratica. Né ci siamo vicini. Nemmeno ci stiamo minimamente avvicinando perché
- per cominciare, la stampante deve essere settata e programmata dall’utente (umano) con i giusti programmi e parametri;
- poi deve essere rifornita dall’utente del materiale di estrusione adatto, che non si trova in natura ma è prodotto artificialmente;
- le parti stampate devono essere rimosse, pulite e assemblate per la duplicazione dall’utente;
- molte parti necessarie alla duplicazione (supporti, minuteria metallica, circuiti elettronici, cablaggi, interruttori di controllo, ecc.) semplicemente non sono prodotte dalla stampante, ma fabbricate da filiere di altri produttori (umani) e acquistate e portate in loco dall’utente;
- per finire, la stampante deve essere alimentata di energia elettrica, che viene fornita da una filiera di altri produttori e abbassata di tensione da un trasformatore esterno.
Beh – si dissero inizialmente gl’intrepidi hobbisti –, è naturale che all’inizio la stampante non produca tutte le sue componenti, né sia capace di auto-assemblarsi, ma con progressivi update noi le faremo costruire nuove parti dei più diversi materiali, plastici e metallici, con tolleranze sotto il micron e la doteremo di bracci meccanici per assemblare i pezzi…L’esperienza di questi anni però doveva mettere infine tutti i gruppi di fronte alla dura realtà di una circostanza insospettabile. Da loro, almeno.
Anche ammesso che la stampante “impari” in qualche modo a prendersi dall’ambiente e a trasformare le materie prime e l’energia necessarie al suo “metabolismo” (come dire: tralasciamo questi problemi!), la sua incrementale abilitazione a produrre una nuova componente per l’auto-replicazione richiede l’implemento di nuove prestazioni e componenti ancora non auto-replicabili… fino a farne un “costruttore universale”. Il termine fu coniato da von Neumann nel 1966 quando, studiando un modello minimale di macchina auto-riproducentesi ideale, indicò i processi che per riprodursi essa avrebbe dovuto eseguire.
Per un costruttore universale reale non è solo questione di (molti) processi di classi diverse per produrre le parti, ma anche di programmare e automatizzare il loro ciclo. L’auto-assemblamento nello spazio-tempo 4-dimensionale postula un sistema robotico per l’ordinamento temporale delle parti e il loro controllo di qualità (con il seguito di rifiniture, alesature, scarti, riparazioni, ecc.), la loro rotazione secondo i 3 angoli di Eulero e il loro posizionamento secondo la terna spaziale euclidea del centro di massa…, un sistema così sofisticato da richiedere – secondo uno studio NASA degli anni ’80 – un’intelligenza artificiale (IA) simile a quella umanaper il suo apprendimento incrementale e la sua stessa auto-riproduzione.
È accaduto così che i pionieri della stampante 3D auto-replicante, senza aver studiato von Neumann e l’IA, compresero un giorno sulla propria pelle, colpiti da improvvisa illuminazione, che per auto-replicarsi una stampante non può limitarsi a stampare, ma deve saper fare letteralmente di tutto; e che nella realizzazione dell’update u di tal macchina tendenzialmente universale tendenzialmente auto-replicante ogni aggiunta di una parte e di una funzione alla precedente versione (u – 1) postula la completa re-ingegnerizzazione del progetto con una complicazione crescente (in assenza di disponibilità dell’IA). Col consenso unanime degli adepti, l’auto-replicazione cantata nel motto dei programmi open-source fu elevata ad un ideale supremo cui tendere nel lungo termine ed abbassata ad uno slogan terra terra per vendere subito.
Dunque:
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l’auto-replicazione in industria non è un processo come gli altri, né semplice né complesso, bensì un ciclo di processi di diverse classi;
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l’auto-replicazione in industria postula un contenuto di IA simile a quella umana.
Ora, a noi non interessa qui dibattere il punto 2., ovvero se l’intelligenza umana sia artificialmente riproducibile. Un cultore dell’IA alla Minsky o alla Kurzweil non avrebbe esitazioni a rispondere di sì. Lo studio NASA sopra citato, forse influenzato da “2001, Odissea nello spazio”, stimava per l’inizio di questo secolo la comparsa del primo costruttore universale auto-riproducentesi (necessario, pare, alla colonizzazione della Galassia nei prossimi viaggi interstellari USA). “Alla luce della fisica che conosciamo”, ha dichiarato invece nei giorni scorsi a Padova Federico Faggin, l’inventore del microprocessore, del touchpad e del touchscreen, “escludo che una macchina possa mai acquisire la flessibilità, la creatività, l’immaginazione, l’intuizione, il libero arbitrio e la consapevolezza”, in una parola l’intelletto degli umani. Ciò per quanto riguarda studi e credenze. Quanto ai fatti, sono passati quasi il doppio degli anni preventivati dalla NASA e non s’intravvede la luce della “Singolarità” (Kurzweil) di robot che ci oltrepassino in intelligenza. Dal loro canto, gli orientamenti dei fondi d’investimento hanno già tracciato le traiettorie dell’high tech del XXI secolo, associando l’IA all’entertainment e concentrandosi sull’Internet Industriale.
Non è l’IA che qui c’interessa, dicevo. Ad avere impatto sull’abiogenesi è già il primo dei due punti sopra evidenziati: il fatto che l’auto-riproduzione industriale è un ciclo integrato di molte funzioni, non una singola funzione.Tornando alla vita naturale studiata in biologia, si osserva che la cellula, dopo aver costruito una copia di sé entro se stessa usando la propria membrana cellulare per proteggerla, si divide stirando verso l’interno la membrana tra l’originale e la copia, sigilla il gap e finalmente rilascia la copia finita e immunizzata nell’ambiente esterno. Questi soli processi finali contengono migliaia di operazioni elementari per eseguire le quali la cellula originale impiega miriadi di molecole proteiche di centinaia di tipi diversi della sua struttura, sotto la regia del campo elettromagnetico prodotto da miriadi di molecole d’acqua pure appartenenti alla sua struttura… Come mai non c’è traccia in natura dell’ipotizzata molecola replicante “intermedia” e l’osservazione salta invece, direttamente, dalla molecola “sterile” dei fluidi e dei cristalli alla cellula “fertile” della vita, strutturata in milioni di molecole?
La ragione e l’osservazione fanno dunque ritenere che anche in biochimica l’auto-replicazione non sia una funzione a se stante, ma comprenda tuttele funzioni vegetative
- omeostatiche,
- strutturali,
- di trasporto,
- contrattili,
- immunitarie,
- energetiche,
- ecc.
e ne sia il culmine finale (piuttosto che il postulato iniziale), così che l’auto-replicante minimale coincida con la cellula procariote, organizzata nei domini di coerenza dell’acqua organica e nelle proteine dedicate alle diverse funzioni “tecnologiche” qui sopra elencate e alla loro integrazione. Se così è – e il modello di costruttore universale ideale di von Neumann sembra rappresentare già una semplificazione della situazione reale minimale –, la congettura dell’abiogenesi come sintesi di una molecola auto-replicante a se stante è fondata per aria, inconsistente e quindi destinata al fallimento. Questo spiegherebbe perché, dopo un secolo di studi e congetture, “l’origine della vita resta il più grande enigma della biologia moderna” secondo una dichiarazione del biologo molecolare Rafael Vicuña.
Quando nei mesi scorsi ho studiato le prospettive industriali della stampa 3D, mi è venuto in mente il racconto del “Gene egoista” (1976) dove l’autore risolve l’abiogenesi postulando l’auto-replicazione come “la caratteristica” comparsa per prima, sola soletta, da “una molecola sorta per caso, né più grossa né più complessa di altre”. Questo sarebbe stato il vero L.U.C.A. dell’evoluzione biotica con la graduale successiva comparsa delle altre funzioni fino alla cellula procariote, ecc., ecc. E mi sono detto che con questa storiella della prima molecola replicante – un “dogma” che le scuole occidentali passano nelle ore di scienze, così da essere superate in razionalità dalle madrasse afghane sull’argomento – Dawkins “dimostrò” la tesi del teorema assorbendola nell’ipotesi come postulato. Bocciato di nuovo in logica.
1 molecola (eventualmente ripetuta nei fluidi e nei cristalli) →10^6 molecole (strutturate nella cellula): il gap tra la non vita e la vita nei numeri delle molecole implicate è un salto di 6 ordini di grandezza, non un’evoluzione graduale per piccoli passi. Questo è un dato, non una teoria.
Anche se non dimentico che il metodo scientifico ha appena 4 secoli e che questa frazione di tempo (esigua relativamente alla durata di una “storia” umana di 25.000 secoli) ha dato risposta a molti problemi prima giudicati irresolubili, l’universalità tecnologica dell’auto-replicazione non è una buona notizia per l’abiogenesi intesa come sintesi naturale di un replicatore monomolecolare e – cosa ancora più rilevante ai fini scientifici – non lo è nemmeno per la congettura di un’evoluzione “continua” dalla non-vita alla vita e quindi di un’abiogenesi comunque immaginata.
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24 commenti
[OT]: scusate l’OT, ma volevo segnalare al prof. Masiero, un gustoso articolo che potrebbe dilettarlo (sebbene il prof. Masiero usi dilettarsi risolvendo qualcuno dei problemi di Hilbert) durante una pausa tra i suoi studi…
http://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/1068357.html
Grazie, Piero. La cosa più divertente dell’articolo è il divulgatore scientifico che critica il cinema fantascientifico per le sue “bufale” scientifiche! Come dire il bue che chiama cornuto l’asino.
Professore, anche la tecnoscienza e’ sopraffatta dal “pensiero unico”, cioe’ divora se stessa.
Guardi cosa sono stati capaci di dire gli “animalisti”….
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/i-terremoti-arrivano-scarafaggi-robot-1068749.html
Bellissimo articolo, grazie. Potrebbe farmi un esempio di problema NP?
Grazie, Anna. Non conosco un problema di ottimizzazione in economia, industria o finanza che non sia un problema di complessità NP. Per farci capire da tutti, prenda il problema del “commesso viaggiatore” con, diciamo, un centinaio di clienti da visitare al mese (100 è già pochissimo, un numero ridicolo rispetto alla rete di uno spedizioniere reale!). Come calcolerebbe l’itinerario più corto per visitarli tutti?!
(Forse ci farò un articolo in futuro).
Un classico problema NP e’ quello del commesso viaggiatore. Se ho n citta’ da visitare tutte, qual e’ il percorso minimo che mi permette di visitarle tutte?
NP vuol dire Non polynomial, cioe’ il tempo di computazione cresce non come un polimonio ma come qualcosa di peggio (quindi esponenzialmente o fattorialmente).
Invece un problema indecidibile e’ quello dell’Halting problem: se ho un algoritmo che non conosco, posso dire entro quando terminera’? No, non e’ decidibile.
Poi c’e’ la classe delle funzioni parzialmente decidibili, per cui so che esiste un algoritmo, ma non so quale sia.
Sempre che la mia memoria non mi inganni 😉
Non è esattamente come Lei ha detto, Fabio, per i problemi indecidibili, comunque non entriamo in dettagli! Ho già un impegno con un altro lettore di fare un articolo sull’Entscheidungsproblem…
Questo articolo è la degna conclusione di una splendida serie, Giorgio! Giova ricordare che delle insormontabili difficoltà di cui soffrono i modelli correnti di abiogenesi sono ben consapevoli alcuni biologi evolutivi – non creazionisti! Tanto è vero che per spiegare l’apparizione ex novo di un primo replicatore funzionante (il vero L.U.C.A.) non possono fare altro che ricorrere al multiverso (http://www.biologydirect.com/content/2/1/15)!
Già, il multiverso … e poiché nel multiverso tutto è possibile per definizione, ricorrere ad esso è logicamente equivalente a rinunciare ad ogni possibile spiegazione!
Su un punto ti devo correggere, Michele: sulle difficoltà di tutti i modelli esistenti a spiegare l’origine della vita, anzi sulla loro totale incapacità, sono ben consapevoli non “alcuni” biologi evolutivi, ma tutti i biologi senza eccezione, e prima di tutti quelli che lavorano in quel campo. Chi crede il contrario non lo trovi tra gli scienziati, ma tra i filosofi naturalisti e tra i divulgatori cosiddetti scientifici!
Eh già, hai ragione! Come sempre, è prima di tutto una questione di comunicazione. Nel grande pubblico, chi è infatti consapevole di tali difficoltà? E come potrebbe esserlo, se i divulgatori scientifici non le fanno mai trapelare?
Buongiorno professore e come sempre grazie per quest’articolo chiarificatore.
Se qualcuno dovesse sostenere l’abiogenesi così come descritta da Dawkins & C., portando come supporto sperimentale la replica di parti delle stampanti 3D, allora dovrebbe anche spiegare come dalle masse rocciose si siano estratti “da soli” gli elementi metallici per formare le componenti metalliche della macchina, e come sia possibile che dalle masse oleose petrolifere sepolte nella roccia si siano estratti “da soli” i composti organici che, attraverso reazioni sempre casuali hanno portato alla formazione dei polimeri plastici costituenti alcune parti della stampante 3D (descritta nella foto dell’articolo) … questo per citare solo due degli innumerevoli aspetti di cosa voglia dire nascita totale dal caso (prima di un’eventuale replicabilità).
Grazie, Parolini, anche per l’ulteriore contributo… di marchio “chimico” doc!
Ma non è che con simili obiezioni il Dawkins di turno rimanderebbe al solito “brodo primordiale” ? In teoria in tale soluzione si troverebbe disciolto un po’ di tutto, tanto che ci vogliono far credere che con un po’ di scosse elettriche adeguate si dia avvio al meccanismo che porta poi alla nascita della vita. Di sicuro nell’acqua di mare ci sono i metalli anche se per prima cosa non sono nate le stampanti 3D 🙂
Dove si sia incagliato il brodo chimico l’abbiamo visto nell’articolo precedente. In questo articolo ho presentato un problema molto, molto più serio per la congettura dell’abiogenesi e riguarda il fatto che matematicamente la replicazione richiede un costruttore universale, come ha dimostrato von Neumann.
Se è così, non si può partire dal replicante come assumono tutti gli attuali modelli. E la stessa ipotesi di evoluzione (mondo inanimato) -> (mondo animato) appare contraddetta.
Sì, prof. Masiero, l’articolo è molto interessante e infatti mi chiedo quale possa essere l’eventuale replica dei sostenitori dell’abiogenesi e se casomai possa essere di tipo matematico. Ipotizzando però la costituzione, diciamo, “per magia”, di un costruttore universale questo potrebbe trovare già in soluzione nelle distese di acqua che ricoprono e ricoprivano il nostro pianeta le sostanze di cui necessità per formarsi, in altre parole non dovrebbero essere strappate dalle rocce o dal sottosuolo. Questo intendevo dire (con la possibilità di sbagliarmi).
Il problema dell’origine della vita è spiegare com’è comparsa la prima cellula procariote 3,5 mld di anni fa e dubito che la comunità scientifica, o anche solo un bambino di 8 anni, si accontenterebbero di sapere che quella cellula si è evoluta da un costruttore universale comparso “per magia”.
Il punto del mio intervento era un altro e la “magia” era appunto un paradosso, ma del tutto accessorio rispetto a quello che intendevo chiedere. Fa niente, va bene anche così, grazie.
Mi piacerebbe capire, Muggeridge, ciò che Lei intendeva dire e che io ho frainteso.
Semplicemente non ho ben compreso l’obiezione di Parolini ai sostenitori dell’abiogenesi che lei ha invece sottoscritto, perché parla in pratica di reperimento e trasporto delle materie prime per formare il costruttore universale dalle rocce più o meno oleose (rispettivamente per metalli e plastica) e tale obiezione è senz’altro valida per la stampante 3 D in un contesto attuale, ma non credo che possa essere valida se riferita a microrganismi che stanno in acque in cui sarebbero reperibili, perché disciolti in soluzione, gli elementi da cui attingere per la loro formazione. In questo caso queste “materie prime” non dovrebbero essere estratte e condotte sul luogo di assemblaggio perché si troverebbero già disponibili in soluzione, ossia già sul luogo di impiego. Temo che questa possa essere la replica dei sostenitori dell’abiogenesi, nel caso in cui si sollevasse questa obiezione basata sul parallelo tra un microrganismo e la stampante in 3d che va costruendosi da sola.
Muggeridge, qualche ora fa ho terminato di scrivere un intervento che verrà pubblicato nei prossimi giorni. Fammi sapere se ti aiuterà a capire l’obiezione di Parolin. Saluti
Aspetto impaziente il tuo articolo, Max!
Nessun parallelo metabolico, muggeridge, tra un organismo biologico ed una stampante 3D! Questa mi è servita soltanto a richiamare il teorema di con Neumann per cui la replicazione non è una singola funzione, ma un ciclo di molte funzioni eseguibili solo da un “costruttore universale”.
Quanto a Parolini, io ho interpretato il suo discorso nel senso che, come una stampante richiede per il suo funzionamento del materiale estrusivo che non si trova in natura ma va trasformato a partire dalle materie prime naturali, così anche il primo microorganismo sciolto nell’oceano dovette aver bisogno per il suo metabolismo di trasformare le materie disciolte nell’acqua, e quindi si ritorna alla necessità delle varie proteine per le varie funzioni metaboliche…
Aspetto anche io l’articolo di Max. Tuttavia credo di poter affermare che i sostenitori dell’abiogenesi non parlino affatto di “primo microrganismo” già bello e organizzato (che io ho tirato in ballo per semplificare il concetto), ma di interazioni tra molecole più elementari che vanno via via aumentando di complessità. Come questo avvenga è la materia su cui si dibatte, ma che siano presenti “in loco” tutti gli elementi di base necessari per procedere a successive aggregazioni con maggior grado di complessità, mi pare che sia meno in discussione.
Forse Le è sfuggito, muggeridge, un elemento fondamentale della congettura dell’abiogenesi, quello cui facevo riferimento nel secondo articolo (Epistemologia dell’abiogenesi), ed è l’elemento comune a tutti i modelli: la replicazione . Se si parte da una molecola auto-replicante, si assume di conseguenza, per il teorema di con Neumann, che il “primo organismo è già bello e organizzato”, non Le pare?