Il “mondo ad RNA”, un piccolo passo avanti sull’origine della vita.
Il terzo articolo sull’abiogenesi.
Il quasi-modello di abiogenesi che preferisco
di Giorgio Masiero
Un piccolo passo in avanti del “mondo a RNA”
Avendo chiarito in un precedente articolo che
- l’abiogenesi non è una teoria scientifica dell’origine della vita, ma solo un’ipotesi non ancora formalizzata (un “concept”, si direbbe in modellizzazione industriale), riguardante la sintesi spontanea di una molecola replicante mai osservata;
- in termini di complessità ordinata, la formalizzazione dell’idea e la sua corroborazione – con l’osservazione in laboratorio della replicazione – sarebbero solo un primo, piccolo passo nella ricerca della spiegazione dell’origine della vita (vegetativa), perché si tratterebbe poi di spiegare il salto tra questo replicatore consistente in un’unica molecola e la più semplice, ancestrale, reale cellula procariotica, stante in un’organizzazione di milioni di molecole; e che
- i due ipotizzati eventi – la “pre-vita” del replicatore e la vita del procariote – si sarebbero succeduti subito dopo il raffreddamento della crosta terrestre e l’LHB, in una finestra di un paio di centinaia di milioni d’anni, pari ad appena un diciottesimo di tutta la storia dell’evoluzione biologica, come risulta dai dati fossili;
avendo in mente i limiti di questa congettura scientifica, esaminiamo i risultati cui sono pervenuti ad oggi i ricercatori, dopo un secolo di studi.
I lavori descritti nelle riviste specializzate colpiscono subito per la cultura interdisciplinare abbinata alla fantasia immaginifica (dei team) degli autori, ognuno in competizione con l’altro in una gara tra giganti: l’abiogenesi sta alla frontiera più avanzata della tecno-scienza, cui varrebbe dedicare molte più risorse. I modelli di abiogenesi possono avere infatti importanti ricadute tecnologiche, per la loro relazione con il concetto di “cellula minimale” delle biotecnologie, ingegnerizzato oggi nelle cellule totalmente sintetiche o semi-sintetiche, nei modelli primitivi fino ai più semplici modelli bio-mimetici, che sono strutture artificiali capaci di simulare alcune delle funzioni principali di una cellula naturale.
La prima forma di pre-vita è consistita in un enzima RNA auto-replicante? O in un cammino metabolico che solo più tardi ha aggiunto una molecola ereditaria di qualche tipo? la capacità di replica è cominciata in pozze d’acqua di superficie, o negli abissi degli oceani dentro sorgenti di acqua caldissima ricca di minerali di ferro e zolfo? o piuttosto da qualche altra parte, magari fuori da questo pianeta? Secondo la mia preferenza (ma io sono solo uno spettatore estatico di questa epica caccia al tesoro), il puntatore ideale verso un possibile passaggio chimico al replicante sta in una caratteristica comune a tutte le forme viventi, residente al cuore di ciò che significa “essere vivi” in senso molecolare.
La prima cosa che ho imparato in biologia è che, nella fabbrica ultra complessa ad insuperata tecnologia della cellula, le macromolecole si sono suddivise il lavoro in due reparti: uno addetto all’ereditarietà e l’altro alla funzione enzimatica (cioè, di accelerazione delle reazioni biochimiche). Il DNA è dedicato ai geni, le proteine a catalizzare le bioreazioni.
Per secondo ho imparato che, come ogni regola della grammatica latina, anche questa divisione del lavoro biochimico ha un’eccezione: c’è una categoria speciale di polimeri – le varie forme di RNA – che hanno contemporaneamente funzioni ereditarie ed enzimatiche. L’enzima chiave al centro del macchinario cellulare non è una proteina, ma una molecola di RNA: il ribozima. I ribozimi usano stampi di RNA per dirigere la sintesi proteica e le proteine completano il ciclo copiando il DNA cellulare, che contiene l’informazione per fare l’RNA. L’RNA messaggero è la molecola specifica di RNA intermediaria tra il DNA e le proteine. Come copia funzionante di un gene, l’RNA messaggero è usato come stampo per orientare l’ordine dei monomeri nella costruzione della proteina. Un altro ruolo importante è svolto nel processo da un diverso tipo di RNA, costituente il nucleo enzimatico del ribosoma, il quale connette tra loro i monomeri delle proteine secondo le istruzioni dell’RNA messaggero. Queste molecole speciali di RNA, chiamate RNA ribosomiale, sono stringhe di monomeri simili a quelle del DNA. Tuttavia esse hanno anche una funzione enzimatica relata alla forma tridimensionale, cui sono piegate nella sequenziazione. In ciò, esse sono simili alle proteine, che pure si piegano in forme funzionali al loro lavoro. Ma a dispetto di questa forma, l’RNA ribosomiale rimane un polimero che in principio può essere usato come stampo per replicare se stesso, proprio come il DNA.
Per terzo in biologia (quantistica), ho appreso il ruolo del campo elettromagnetico prodotto dall’acqua organica, le cui molecole costituiscono il 99% del numero totale delle molecole presenti negli organismi viventi. Il campo teleguida la costruzione dell’ordine antientropico locale: la sua azione di lungo raggio (rispetto al range delle forze chimiche) spiega la velocità, la selettività e l’efficienza dei processi che avvengono nella cellula, e la rimodulazione della sua frequenza operata dal feedback delle reazioni chimiche scandisce i codici dei diversi cicli organici. Questa scoperta di Preparata supera da sola, in termini di basi fisiche teoriche, di bellezza matematica e di predittività sperimentale, tutte le just-so-story inventate in 50 anni dalla cosiddetta Sintesi Moderna (fatte salve le sperimentazioni della biologia molecolare e della genetica, ovviamente).
Sembrerebbe quindi, almeno a livello chimico, quasi tutta e sola una questione di RNA: gli enzimi RNA usano i modelli RNA per fare le proteine che copiano il DNA della cellula, che contiene l’informazione cruciale dell’RNA in una forma più stabile. Data la compresenza nell’RNA di queste due caratteristiche (di tipo DNA + di tipo proteina), non sorprende che sia nata (e tra i diversi quasi-modelli di abiogenesi sia la più gettonata) l’intuizione che l’RNA abbia preceduto il DNA e le proteine nella storia della comparsa della vita: la pre-vita molecolare si sarebbe basata sulla chimica dell’RNA e solo più tardi la vita cellulare vi si sarebbe evoluta in quella attuale a 3: DNA + RNA + proteine. E fin dall’inizio della storia di questa congettura, il principale obiettivo cui hanno mirato i ricercatori è stato ovviamente d’identificare un ribozima RNA auto-replicante. Tale molecola avrebbe gli ingredienti necessari (e anche sufficienti?) all’evoluzione biotica successiva: un genoma soggetto a mutazione (“casuale” in ottica darwiniana, o “convergente” in ottica strutturalistica), e come tale in grado di produrre progenie differenti, poi soggette alla selezione naturale. Questo quasi-modello di abiogenesi è chiamato “mondo a RNA” e di recente ha fatto qualche passo in avanti. Vediamo perché.
Uno dei principali problemi con il mondo a RNA sta nel fatto che, per quanto possiamo capire, anche un solo ribozima auto-replicante deve essere enormemente complesso. Finora, i ricercatori non hanno identificato una sequenza di RNA capace di essere da sola un replicante generale. Inoltre le molecole di RNA con una minima disponibilità alla replica tendono ad essere molto lunghe, cioè costituite di molti blocchi di costruzione adeguatamente ordinati. Anche dando per scontata la presenza di un ambiente iniziale in cui tutti gli ingredienti chimici necessari all’edificio fossero disponibili, la probabilità che una tale molecola sia sorta spontaneamente da un miscuglio abiotico di sostanze chimiche è troppo piccola per essere presa scientificamente sul serio.
Si è ipotizzato allora che il ribozima originale di RNA auto-replicante non sia una singola molecola, ma una collezione di molecole, una specie di ecosistema dove alcune molecole più piccole di RNA contribuiscono alla replicazione dell’intero insieme. Poiché ognuna di queste molecole è meno complessa dell’insieme, la loro unione potrebbe essersi più facilmente assemblata (per contingenza o per convergenza), oppure potrebbe più facilmente essersi evoluta da uno precedente ancora ignoto. In questo studio per es., un gruppo di ricercatori riporta il risultato sperimentale che popolazioni miste di frammenti di RNA hanno prodotto spontaneamente reti catalitiche autosufficienti di piccole molecole di RNA, e che queste reti possono evolvere con complessità crescente nel tempo. Anche se ciò non risolve tutti i problemi, questi risultati sembrano indicare che l’enzima RNA replicante potrebbe essere consistito originalmente in una colonia di piccole, relativamente più semplici molecole di RNA piuttosto che in un’unica macromolecola complessa.
A dispetto di questi progressi tuttavia, la massima questione riguardante la congettura resiste inscalfita: come possono essersi formati i “frammenti” di RNA da processi chimici abiotici? I ribozimi, benché più semplici della vita di una cellula, sono essi stessi molto complessi e, secondo ogni apparenza, non sono sintetizzabili da precursori meno complessi. Anche se il principio di Ockam coniugato all’assunzione evolutiva suggerisce che la vita sia transitata attraverso uno stadio di mondo a RNA; anche se da un decennio molti studiosi in tutto il mondo sono alla ricerca di altri “mondi” precedenti – ancora più semplici così da far da tappe intermedie tra la chimica abiotica e la pre-vita basata sull’RNA – ciò nonostante non disponiamo ancora di alcuna dimostrazione che esista un cammino fisico agibile attraverso cui il mondo a RNA potrebbe essersi formato direttamente da componenti non vive. Qui la biochimica classica sembra aver raggiunto il suo limite nella procedura riduzionistica e forse solo l’integrazione con la procedura opposta dell’elettrodinamica quantistica può farci progredire nella spiegazione dell’origine della complessità (minima) di un replicatore. Al momento però, le ricerche fisiche sono molto speculative e solo gli anni futuri diranno se e quale delle ipotesi allo studio possa avere un supporto empirico.
Soprattutto resta in sospeso un dubbio: se possa esistere anche solo teoricamente una molecola auto-replicante a se stante, senza l’accompagnamento delle altre funzioni rese dai milioni di molecole che osserviamo cooperare nell’attenzionalità della struttura della più semplice cellula procariote; senza l’acqua organica necessaria a produrre il campo elettromagnetico, driver dei processi antientropici; senza una membrana delimitante e protettiva; ecc., ecc. Nuovi dubbi a questo riguardo provengono da un campo del tutto inaspettato, nulla avente a che fare con la vita. È ciò che vedremo nel prossimo, ultimo di quattro articoli che ho dedicato al problema dell’origine della vita.
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11 commenti
Quando dice che l’abiogenesi sarebbe solo un primo passo per risolvere il problema dell’origine della “vita (vegetativa)” cosa intende, prof. Masiero, con quel “vegetativa” tra parentesi?
Ha capito bene, Anna!
Ammesso che l’origine della vita vegetativa sia spiegata un giorno dalla tecno-scienza, ho molti dubbi che questa possa spiegare la vita sensitiva e sono certo, in buona compagnia di scienziati e filosofi, che la fisica nulla può dire sulla consapevolezza. Il “mondo interiore”, che poi per ciascuno di noi umani coincide, in un certo fondamentale senso, con TUTTA la propria esperienza vitale, semplicemente per la fisica non esiste!
Con “vita vegetativa”,intende anche gli animali? O con vegetativa intende totale mancanza di intenzionalità?
Ottimo articolo comunque…
Grazie, Acquarius.
Con “vita vegetativa” intendo quei fenomeni della vita classificati e identificati nelle parole di Aristotele con le funzioni di 1) accrescimento, per cui non bastano cause esterne, ma serve una regola interna; 2) nutrizione, che non è meccanico trasferimento di sostanze simili, ma assimilazione del dissimile mediante il calore; 3) riproduzione, con cui ogni vivente cerca l’eternità del divino che ottiene come specie. Tutte le forme di vita, dagli archaea all’uomo, si supportano sulle funzioni vegetative. Nella cultura ebraica, il termine era “Nefesh”.
Oggi il termine più usato in letteratura è aboutness. Nell’articolo “La vita è fisica, Parte I” ho tradotto aboutness, oltre che con vita vegetativa, con “attenzionalità” (dal latino “ad-tendere”, tendere verso ciò che sta intorno) o “attenzione vitale”, per esprimere la persistente tensione (non intenzionale) di ogni essere vivente verso tutto ciò che gli sta intorno e che può essere usato per la sua sopravvivenza.
Splendido, Giorgio! Credo che tu abbia fatto il punto della situazione nel modo più preciso ed esauriente possibile. Non vedo l’ora di leggere l’ultimo articolo della serie.
Grazie, Michele. Ciò che ho scritto in questo articolo sono cose che tu potresti spiegare molto meglio di me. Nel prossimo (e ultimo!) articolo di questa saga dedicata al replicante spero invece di sorprenderti!
Aspettiamo tutti, ho ad esempio ricevuto delle mail che mi domandano quale sia i sintesi la posizione sull’abiogenesi.
Ovviamente ho risposto che ogni considerazione definitiva è rimandata al prossimo articolo.
Beh ci possono essere due punti di vista:
1- Le basi della vita non possono nemmeno in teoria emergere da molecole e sistemi più semplici e quindi c’è bisogno per forza di un intervento al di fuori della natura stessa.
2- La vita può emergere nella sua complessità anche da molecole e sistemi semplici.
Da un punto di vista TOMISTA (quindi certamente non “materialista”) la (2) è accettabile, se non preferibile. La vita emerge teleologicamente da sistemi più semplici entro il sistema delle leggi naturali (che sono una espressione di questo “Telos”)
La (1) mi puzza troppo di “Intelligent Desing” che come idea anche solo filosofica non mi piace molto (anche perchè al massimo punta verso il deismo o anche a olo una non ben indentificata “entità superiore”)
Gli aspetti metafisici e teologici, Maddalena, sono stati trattati nel mio primo articolo sull’abiogenesi (“L’abiogenesi e il posto di Dio”) e quindi sono OT in questo articolo, che è dedicato agli aspetti scientifici.
Comunque, c’è anche una terza alternativa, come ho spiegato nel secondo articolo sull’abiogenesi (“Epistemologia dell’abiogenesi”): che il problema sia scientificamente indecidibile. Riprenderò l’argomento nel prossimo articolo, in un diverso contesto.
Sono poi d’accordo con Lei che il punto di vista (2) è compatibile col tomismo. Non necessariamente “preferibile” però, perché non è dimostrato che l’origine della vita anche solo vegetativa rientri in un sistema di leggi naturali. Sugli aspetti sensitivi e razionali, ho già detto in un commento sopra.
Quanto all’ID, non tutto ciò che dice nella sua pars destruens alla superstizione darwinista è sbagliato, ed anzi è spesso profondo sul lato scientifico. Che poi l’ID, nella pars construens, “punti al massimo verso il deismo o una non ben identificata entità superiore”, dimostra solo che questo movimento non appartiene alla tecno-scienza, né al tomismo, ma è una variante della teologia naturale anglosassone di antica tradizione, non Le pare?
Gentile Prof. Masiero, può indicarmi fonti di approfondimento sui concetti di acqua organica e principi antientropici?
Ho trattato l’argomento, Cristian, nell’articolo “La vita è fisica, Parte II” (http://www.enzopennetta.it/2014/04/la-vita-e-fisica-parte-ii/ ). In fondo all’articolo troverà anche i riferimenti bibliografici.