Eclissi di sole (Georges Grosz, 1926)
di Giorgio Masiero
70 anni fa usciva “Dialettica dell’illuminismo”, un libro fondamentale per capire il nostro tempo
Se come Crusoe naufragassi un giorno in un’isola deserta e potessi portare con me solo i libri che mi stanno in mano, uno sarebbe “Dialettica dell’illuminismo. Frammenti filosofici”, di Max Horkheimer e Theodor Adorno. È uno scrigno di scienza, svelante i meccanismi che governano l’età contemporanea; un’analisi sociale, economica e politica spietata, che va alle radici della civiltà occidentale. Ma forse, piuttosto che “analisi”, la parola più adatta per questo libro è “profezia”, essendo uscito 70 anni fae colmo com’è d’impressionanti, puntuali previsioni sulle forme con cui le strutture economiche avrebbero permeato il globo dopo la fine (attesa) della seconda guerra mondiale.
La “dialettica” nel titolo del libro è la storia irrazionale della razionalità occidentale. L’autonomia della ragione è l’autonomia dell’uomo, soggetto razionale e quindi libero per diritto naturale: di qui le “rivoluzioni”, che scandiscono le varie epoche della storia d’Occidente, come abbattimenti delle strutture soffocatrici del loro tempo. L’emancipazione è un diritto naturale e l’esercizio della ragione (“l’illuminismo”) è incompatibile con la sopraffazione dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla natura. Ma nella lettura controluce della storia fatta da Adorno e Horkheimer l’emancipazione si rovescia sempre regolarmente in oppressione, secondo un filo rosso che parte dall’Ulisse omerico, il prototipo del capitano d’industria che impone la sua soggettività alla natura e agli altri uomini.
Horkheimer e Adorno furono con Herbert Marcuse i maggiori esponenti, tutti e tre ebrei, della Scuola di Francoforte. Emigrati negli USA all’avvento del nazismo, rientrarono nell’Istituto di Ricerca Sociale della città assiana dopo la guerra, imprimendogli il massimo sviluppo negli anni ’60. Dopo la caduta del Muro, la Scuola entrò in una crisi profonda, esito dell’espulsione dalla Germania riunificata di ogni espressione del marxismo, anche solo culturale, filosofica o artistica. Oggi assistiamo ad una rivalutazione della Scuola, quasi ad un risarcimento, proprio a cagione dell’avverarsi delle sue predizioni sul capitalismo avanzato che, oltre a rivelarsi pertinenti e attuali, sono tra le poche voci dissonanti nelle fanfare del conformismo accademico e mediale.
Nella Scuola di Francofortela filosofia significava innanzitutto critica e orientamento della teoria alla prassi, ovvero lo studio delle distorsioni e delle disuguaglianze sociali in vista del loro integrale superamento e non tanto la dichiarazione mitica e distraente sulla natura della realtà, fornita quotidianamente dalla cultura assoggettata al potere: in ciò la Scuola era puro marxismo. Rispetto a Marx però, ecco la grande novità, i maestri di Francoforte fanno saltare nel capitalismo avanzato la separazione tra struttura e sovrastrutture.
Secondo il marxismo classico, lo sviluppo della tecno-scienza produce potenza produttiva, che viene subito imbrigliata nel processo industriale. Avviene così da parte dell’economia quell’esproprio della scienza naturale, che le fa perdere per Marx il verginale candore di pura, estatica tensione alla conoscenza (teorica) della natura. Lo stesso esproprio si avvera per le altre attività simboliche, dalla politica alla religione alla letteratura all’arte, che svolgono il ruolo di “sovrastrutture” dell’economia, perché tutte concorrono a creare la concezione del mondo necessaria a giustificare l’unica struttura portante, quella economica capitalistica. A quelle particolari sovrastrutture che sono le istituzioni statali è consegnato il braccio armato, garante dell’ordine sociale. Per Marx dunque, la struttura capitalistica crea le sovrastrutture simboliche con la funzione di specchi deformanti che la occultino alle masse popolari schiavizzate: a queste, come il paraocchi all’asino voltato all’indietro nell’“Eclissi di sole” di Grosz, le sovrastrutture impediscono di vedere l’oscuramento del mondo provocato dalla dittatura del denaro, unico depositario del potere reale rispetto a quello fittizio dei politici acefali e dei militari con la spada insanguinata, alle cui spalle il grasso banchiere comanda ciò che deve essere fatto.
Invece, secondo l’analisi dei maestri di Francoforte – desunta negli anni ’30 dalla diretta osservazione in America dell’azione dei nuovi media di massa: radio, cinema, pubblicità, rotocalchi –, la divisione tra struttura e sovrastrutture scompare nelle società a capitalismo avanzato. Nella produzione di profitto le sovrastrutture sono parti della struttura come ogni altro settore industriale, anche più essenziali data la loro tipologia merceologica. Infatti i media producono profitti servendo un prodotto utile a tutto il sistema perché, convincendo ogni consumatore di essere unico ma incompleto, omologano l’individuo al consumismo, senza il cui incessante sviluppo il sistema crollerebbe. Così educato, ogni soggetto va sul mercato a comprare ciò che crede unico e necessario alla propria umana realizzazione. “Fatto proprio per te!”, martella la pubblicità. L’ideologia rovescia la realtà nella contraddizione dell’unicità replicata. I ragazzi si vestono tutti uguali come soldatini in divisa, portando sulla T-shirt in bella mostra il marchio di fabbrica; ascoltano la stessa musica assordante e bevono e fumano uguali sostanze celebrando i medesimi riti inebrianti; financo si credono contestatori del sistema. Ma quando l’industria culturale magnifica l’anticonformismo e tutti accodandosi sono “anticonformisti” in jeans consunti e capelli lunghi; quando celebrando la trasgressività tutti si comportano “trasgressivamente” in sesso, alcol e droghe, allora i fatti negano la parola e la cultura industrializzata e quotata in borsa si trasforma in “coltura”, cioè allevamento.
Max Horkheimer e Theodor Adorno (Heidelberg, 1965)
A differenza di quanto pensava Marx, la sussunzione reale da parte del nuovo capitalismo non riguarda più solo il lavoro, ma tutta la sfera privata e la società. Qui la Scuola di Francoforte riprende l’antica polemica marxiana contro l’illuminismo e l’idealismo tedeschi di Kant e di Hegel, oltrepassando Marx. La sussunzione era trascendentale in Kant (“formale”, nel linguaggio marxiano): il principio di causalità genera la classificazione progressiva, o sussunzione, di una categoria di effetti dipendenti da cause a loro volta rientranti in categorie più ampie. Qui inizia fin da Aristotele la conoscenza scientifica. Marx applicò il concetto di sussunzione (“reale” stavolta, perché fatta sulla pelle dei salariati) al rapporto tra capitale e lavoro: in questo rapporto sperequato, dove il salario non paga il valore d’uso della merce lavoro, si realizza la discriminazione tra le due classi, quella dei proletari e quella dei proprietari (dei mezzi di produzione). Tuttavia Marx riconosceva ancora l’esistenza al suo tempo di sfere libere (il partito, il sindacato, la cultura militante), non funzionali alla logica del profitto e che nel sole venturo del comunismo sarebbero state sussunte armoniosamente nella nuova società senza classi. Invece la Scuola di Francoforte constata che anche la sussunzione, stonata ma reale, del privato e del sociale è stata avviata dal capitalismo yankee e preconizza che sarà completata (necessariamente, dati i limiti fisici terrestri!) dal capitalismo prossimo venturo mondiale, quando la produzione economica sfratterà gli antichi dèi ed ingurgiterà l’arte, la cultura e le scienze, come strutture dirette di plus valore sfacciatamente al servizio del sistema. “Le automobili, le bombe e il cinema tengono insieme il tutto”.
Ecco già l’industria del cinema dei tycoon di Hollywood, l’industria editoriale, l’industria della canzonetta, l’industria radio, l’industria della pubblicità,… A queste la tecnica aggiungerà sempre nuovi mezzi di manipolazione sociale, secondo un processo di penetrazione progressiva globale. Per prima, profetizzarono questi filosofi, verrà la televisione che “tende a una sintesi di radio e cinema e che ora viene ritardata finché le parti interessate non si siano messe interamente d’accordo, ma le cui possibilità illimitate […] realizzeranno in chiave sarcastica il sogno wagneriano dell’opera d’arte totale”. La cultura è decaduta (pardon, nella ragione del sistema “elevata”) a di-vertimento, ossia alle operazioni di diversione e svago per far voltare dall’altra parte il muso all’asino bastonato e contento. In questa specie di cultura nulla è lasciato al caso, né la durata della tortura dell’eroe né l’altezza della gonna della diva. Ai nostri giorni si sono aggiunti internet, Facebook, Youtube, ecc., ma la dialettica della ragione economica non dismette la sua azione di rovesciamento – noi possiamo testimoniare –: per ironia, i followings di Twitter quanto più esercitano la loro libertà ribelle ed intelligente di richiamare followers, tanto più lavorano inconsciamente ai capital gain degli azionisti del social network e dei traders di Wall Street. Questa è la marcia trionfale della sussunzione reale di Tutto operata dal capitale.
“Dialettica dell’illuminismo” apparve per la prima volta nel 1944 (in Italia, nel 1947) e divenne subito il manifesto della Scuola di Francoforte. La collaborazione tra Adorno e Horkheimer fu intensa e profonda come quella storica tra Marx ed Engels, o quella coeva nell’estrema sinistra francese tra Gilles Deleuze e Félix Guattari, che da Parigi criticavano la psicanalisi familiare depotenzializzatrice della carica rivoluzionaria dell’eros ed interpretavano il trinomio filosofia-scienza-arte come l’insieme dei “concetti-funcetti-percetti” utile a creare l’ordine dal caos…
Ci fu un’altra pietra miliare della Scuola: “L’uomo a una dimensione” (1964) di Marcuse. Esso sarebbe diventato il libretto rosso della contestazione. Lavoratore → consumatore → lavoratore, questo è l’uomo ad una dimensione. Ed è anche l’american way of life che la New Frontier della sinistra addomesticata cantava attraverso la coppia perfetta John-Jackie insediata alla Casa Bianca, così distribuendo il suo vangelo a tutto il mondo: il diritto individuale alla felicità (patinata). Chi non ha successo, pianga le sue colpe. Il falso pluralismo dell’unicità replicata si traduce anche per Marcuse in un nuovo totalitarismo, non violento né stupido com’erano stati il fascismo, il nazismo e il comunismo staliniano, ma pacifico e democratico stavolta. Nella logica dei consumi che tutto governa, le relazioni umane sono però ancora e vieppiù mercificate: “Questo mondo non è fatto per amore degli esseri umani e non è diventato più umano” (Marcuse).
Anche la contestazione del ‘68 era votata dalla Dialettica al fallimento: infatti fu prontamente inglobata nel blob dell’industria culturale, contestatrice controllata dal sistema contestato. Lo stile svela l’astuzia del capitalismo avanzato: perché i prodotti dell’industria quali che siano non trovino ostacoli al loro consumo, i limiti della morale devono relativizzarsi nei limiti mobili e sempre arretranti (pardon, progressivi) della tecnica, cosicché l’antica tradizione va espiantata. Obbediente, la contestazione si volse alla destrutturazione dei valori morali e religiosi, divenendo ancella del sistema per il consumo di sempre nuovi prodotti, inutili ed autoreferenziali quando non inumani.
Il problema è: in un mondo in cui non ci sono più sfere libere dall’economia capitalistica globalizzata; in cui ogni contestazione quanto più è accesa tanto più alimenta la macchina alienante della struttura economica, che cosa si salva? dove coltivare i germi della speranza del cambiamento?
Contro quali “governi” manifestano le piazze, da Roma a Bruxelles a San Francisco, quando il potere reale appartiene alle multinazionali, per definizione extraterritoriali (cioè: extraterrestri), prosperanti sulla stessa protesta? Molti anni prima dell’89, Horkheimer si separò da Adorno e si orientò verso l’apertura alla religiosità, alla metafisica e anche alla teologia. La ragione ha altre possibilità ed altri compiti per l’ultimo Horkheimer, oltre a quelli congeniali alla tecnica e all’industria che le vengono attribuiti dall’illuminismo scientista: “La scienza, precisamente nel senso in cui comprende la critica, nel senso che indica un’azione e che ha conseguenze nel mondo reale, parla all’uomo tutto intero. E forse, se essa fa ciò ancor oggi così poco, il motivo è che ha troppo accettato l’ideale della scienza naturale che, in fondo, non è più in conflitto con alcun potere reale del mondo” (1953, Congresso internazionale di Amburgo su “Scienza e libertà”, sottolineature mie). Osserva, lettore, la data: è di 61 anni fa…
Quanto ad Adorno, egli scrive nel 1955 i “Minima moralia. Meditazioni sulla vita offesa”, una raccolta di aforismi, nello stile pensato da Nietzsche contro i grandi sistemi filosofici dell’Illuminismo tedesco. I pensieri frammentari sono collegati tra loro dal leitmotiv della resistenza al potere. Il sottotitolo richiama l’offesa quotidianamente inferta all’uomo, all’intellettuale, al “negro” di turno. Più tardi scriverà “La dialettica negativa” (1966), con riferimento alla dialettica di Hegel, che è acuta ma pericolosissima, perché non rifiuta il negativo (come aveva fatto Kant), ma lo assorbe nel positivo d’una finta operazione di miglioramento. Gli opposti diventano complementari, anziché rimanere incompatibili, come esige un’alterità assoluta. Ma la dialettica non può avere per Adorno nessuna conciliazione, deve rimanere conflitto e lacerazione. La coerenza nel rifiuto ad indicare una prospettiva dall’interno del sistema (in cui anche la filosofia è posta) preclude ogni espressione di futuro. Con Adorno si passa dall’u-topia (marxiana) di una novella Terra Promessa all’a-topia d’un sogno senza spazio-tempo. Il migliore non è prefigurabile, altrimenti si cade nell’illuminismo. Il rovescio è indicibile. Conseguentemente il filosofo non dà alcuna formula di speranza e chiude la sua filosofia in un problema insolubile: rassegnazione ed impotenza?
Marcuse invece azzarda una soluzione, o almeno indica i protagonisti della rivoluzione. In “Eros e civiltà” (1955), la nuova ragione coinciderebbe con le pulsioni libertarie e nuovi improbabili costruttori del futuro fanno la loro apparizione: non la classe operaia, ormai asservita al sistema con buoni stipendi, auto, vacanze, casetta e figli all’università, ma giusto questi ultimi liberati da tutti i tabu e strategicamente alleati ai movimenti di liberazione del terzo mondo, ancora sotto il giogo neocoloniale dei padri.
A più di mezzo secolo ormai, tra i tre grandi maestri della Scuola di Francoforte – Horkheimer, Adorno e Marcuse –, ognuno di noi può dare la sua risposta se ebbero torto nell’analisi e su chi avesse più o meno ragione nella proposta.
.
.
16 commenti
Buonasera professore,
lungi dall’avere una conoscenza della Scuola che mi permetta di commentare sistematicamente quanto riportato nell’articolo, mi pare tuttavia d’interesse argomentare molto volgarmente alcuni fatti.
=
Anzitutto, trovo affascinante quanto il sistema dialettico hegeliano sia tanto brillante quanto caustico; è ciò che accade facendo interagire a gran forza il Vero con il Falso; dalla qual cosa ne è poi la ripresa per via antitetica da parte di Adorno.
=
Punto grave è, invece, la confusione tra struttura e sovrastruttura, da cui peraltro la mercificazione di arte, cultura, musica e scienza; come sottolineato recentemente dal prof. Giuliani, l’arte è attualmente merce di mediocri intellettualoidi, in un punto di non ritorno che preannuncia solo un’autodistruzione totale; ancor più grave la tomizzazione della musica in cosa (la musica estetica, nel senso etimologico del termine) ed intelletto tra loro incomunicabili ed inconoscibili; mi vien pure il dubbio che, in questo mare di generali suicidi, anche la scienza sia giunta alla fine, trasmutandosi indeterminatamente nella nuova casta di scienziati-sacerdoti di baconiana memoria.
=
Trovo d’interesse poi la comunicazione avviata dalla Scuola tra marxismo e psicanalisi; come ben noto, ambedue hanno avuto modo di corrompersi e “borghesizzarsi” divenendo il primo la tuba del mago da cui attingere elementi retorici del vaniloquio delle fazioni in rosso, la seconda la giustificazione della vacua e totale animalità dell’uomo. Stroncati popperianamente dall’avere pretese di scientificità, mi interessava avere, professore, il Suo parere riguardo le modalità di assunsione dei movimenti suddetti ad elementi di un qualsivoglia sistema filosofico.
=
Più inquietante di tutti è trarre delle conclusioni dalle analisi Adorno, Marcuse ecc; ma è forse possibile trarre una conclusione mettendo in discussione la necessità di una realizzazione positiva dell’intero genere umano, e che al contrario sufficienza e necessità consterebbe solo la realizzazzione olistica individuale, congiuntamente all’alienazione dal resto?
=
Chiedo preventivamente perdono per il caotico vaniloquio. Mi appello alla quotidiana stanzhezza, uh…
Grazie Alio.
Io non assegno rilevanza epistemica alla scienza naturale, proprio perché i suoi oggetti di studio sono “pezzi” di cose, a sua volta sradicate dall’universo reale, e per giunta su questi pezzi di pezzi essa produce solo affermazioni “provvisoriamente” vere.
Però assegno alla scienza naturale la massima rilevanza strumentale, perché le sue predizioni controllabili e replicabili su questi pezzi di pezzi ci portano a dominare (parzialmente) la natura ai nostri fini, regalandoci la cornucopia della tecnica.
Per me sono scienze in senso epistemico soltanto la logica, la matematica e la metafisica A-T.
La tecnica in quanto “strumento” è un’arma a due tagli, è medicina o veleno: può essere usata per o contro l’uomo. A guidare l’uso io vedo solo l’etica. E a fondare l’etica, solo la religione. Per questo, tra i 3, sto con Horckheimer…
D’accordo con lei (e chi sano di mente non lo sarebbe?) che la tecnica applicata male può creare mostri, le chiedo, prof. Masiero, ragione della subordinata della sua affermazione conclusiva “A guidare l’uso io vedo solo l’etica. E a fondare l’etica, solo la religione”.
Immaginando che non intenda una religione qualunque (mi meraviglierebbe e allora entreremmo tutti in confusione), le chiedo com’è possibile che in un campo così universale come quello dell’etica si possa/debba privilegiare il suo Dio rispetto a quello di altre religioni. Capirei se si fosse riferito alla morale, ma tirare in ballo l’etica…
Non intendo la “mia” religione, Cipriani, ma tutte le religioni positive ed anche i non credenti, con cui PERO’ si possa fondare un’etica condivisa, come ho già spiegato nell’articolo dedicato al teorema di Boeckenfoerde.
Nello stato liberale e costituzionalmente “ateo” – come sono quelli in Occidente -, non ci può essere una base etica, perché ogni persona si fa Dio e non riconosce limiti alla propria realizzazione. Allora, tutto ciò che diventa possibile per la tecnica, diviene alla fine lecito anche per la legge, perché è l’economia a comandare sulla politica.
Per questo bisogna partire da un’etica, cioè da una visione condivisa dell’uomo, del suo posto nel mondo e dei suoi doveri, un’etica che guidi una politica la quale assoggetti l’economia alla dignità umana.
Il suo assunto finale sulla visione condivisa dell’uomo (ma non sul finalismo, perché allora la condivisone resterà un’utopia), che per il resto condivido in pieno, lo vedo possibile proprio a esclusione della religione, che a mio avviso, più che unire, divide (non le bastano gli esempi che, in fatto di etica, quotidianamente abbiamo sotto gli occhi?)… E poi, un’etica imposta/suggerita da una qualsiasi religione che etica è?
Non mi sono fatto capire. La rinvio a Boeckenfoerde.
Mi è molto piaciuto l’attacco allo scientismo portato da Horckheimer: “La scienza, precisamente nel senso in cui comprende la critica, indica un’azione e ha conseguenze nel mondo reale, parla all’uomo tutto intero. E forse, se essa fa ciò ancor oggi così poco, il motivo è che ha troppo accettato l’ideale della scienza naturale che, in fondo, non è più in conflitto con alcun potere reale del mondo”.
Sì, la scienza vera parla all’uomo tutto intero e la scienza naturale ne è solo una parte, che ai nostri giorni corre il rischio di appiattirsi sul potere e così non contribuire a soddisfare i veri bisogni dell’uomo.
Sì, certo, Wil. La scienza vera
1) parla all’uomo integrale (Maritain) e
2) si traduce in etica.
Quindi la scienza naturale non esaurisce la scienza, ma in quanto tecnica ne è solo una parte (strumentale). La scienza deve essere critica (dell’attuale stato) e prassi (orientata al miglioramento delle condizioni umane attraverso la crescita della consapevolezza).
Cerco di contribuire a questo interessante post. Un mio consiglio di lettura e’ LE ILLUSIONI DEL POSTMODERNISMO di Terry Eagleton. Anche questo libro fa vedere come la cultura sia usata come strumento, viviamo immersi nel Ppostmodernismo (che non vuol dire “ultramoderno”…) ma non lo menzioniamo mai.
Che e’ lo scopo del Postmodernismo. Cosi’ puo’ “rinascere vergine ogni giorno” (cit.). Inattaccabile!
Trovo molto fondato il discorso sulla mercificazione di arte, scienza ed il resto, come dice ALIO pero’ qui sembra che ci stiamo avviando al suicidio della scienza.
Che sarebbe un ottimo traguardo per la migliore “governabilita’” di noi scimmie evolute.
Molto ma molto a spanne vorrei supportare questo mio ragionare con un semplice fatto: benche’ spesso ci si appelli a non meglio precisate congregazioni di scienziati, la realta’ e’ che negli ultimi decenni abbiamo accumulato una quantita’ enorme di dati SCIENTIFICI. Ma questi dati sono stati sterilizzati! Faccio un esempio: e’ stato trovato che l’acqua delle comete (analisi degli isotopi) non puo’ essere stata la causa degli oceani terrestri. Ma questo studio e’ stato sterilizzato. E’ stato scoperto che le comete sono fatte di materiali troppo vari che hanno bisogno di processi planetari. Ma questo e’ stato sterilizzato. E’ stato scoperto che l’Universo NON e’ omogeneo. Sterilizzato.
Alla fine della storia, con tutte queste sterilizzazioni abbiamo che nessuna nuova teoria s’e’ diffusa, ma tutti sanno che le vecchie teorie sono disfatte.
Morale? Un lento ed inesorabile disinteresse verso intere branche del sapere. Dico, non vi ricordate quanti immaginifici documentari c’erano sull’Universo? Ora hanno sempre meno presa (secondo me). La scienza e’ stata sapientemente cristallizzata. O piu’ correttamente e’ stata cristallizzato il suo sviluppo, in favore di una visione inchiodata (propugnata dagli stessi sacerdoti della scienza, mica scemi. Un po’ corrotti ma mica scemi). Le argomentazioni sono finite, le discussioni sono finite, le ipotesi molteplici sono state vietate in favore del pensiero unico immobile. Progressista ovviamente.
Ma tutte queste disquisizioni in realta’ le si potrebbero riassumere dicendo semplicemente che c’e’ un mare di gente che si crede chissa’ chi e che spara affermazioni smentite dai fatti, grazie ad un mare di persone che si stanno zitte a riguardo. Cioe’ stiamo andando nel ridicolo, non e’ questione di morte, dittatura o che. E’ solo ridicolo.
Queste le mie idee.
Grazie, Fabio.
Certamente Eagleton si pone nella stessa linea della Scuola di Francoforte, come critica delle società capitalistiche avanzate. Francoforte però ha il merito di averlo detto mezzo secolo prima, in anticipo sugli stessi eventi.
Inoltre Eagleton, se è esplicito nell’analisi, come Adorno appare incerto nell’indicare una soluzione contro l’imbarbarimento in corso in Occidente. Ma che filosofia “critica” è quella che non ti dà, anche a costo di sbagliare, un’indicazione verso la prassi?
Non so i motivi, ma e’ un dubbio interessante da porsi. Forse i motivi sono simili a quelli che spingono molti ricercatori a fare articoli in cui analizzano alcune falsificazioni guardandosi bene dal considerare le conseguenze, limitandosi invece alla pura constatazione. Paura?
Strano, si leggono fior di articoli che si spingono avanti e indietro per miliardi di anni. Non ho ancora letto un singolo articolo relativo alle conseguenze di un Universo non omogeneo. http://sci.esa.int/planck/51551-simple-but-challenging-the-universe-according-to-planck/
Faccio spesso un esempio: quando la lavatrice gira a sinistra non e’ che lo fa perche’ improvvisamente piu’ progressista ne’ quando gira a destra lo fa perche’ diventata reazionaria. Fa sempre quel che viene ordinato.
Bene, fuori di metafora io tendo a non inquadrare i periodi di fervore intellettuale come “esprimenti fermento” e quelli di stasi come “esprimenti immobilismo”. Penso invece che la lavatrice fa sempre quel che viene ordinato: fermento quando viene deciso il fermento (a livello di sovrastrutture), stasi quando invece serve una sana dose di chiusura mentale.
Per questo che ho dubbi sul paradigm shift di Kuhn. Ancor di piu’ in un ambiente irreggimentato (dove casomai si deve parlare di ammutinamenti, discorso che avevo gia’ fatto).
La scuola di Francoforte, ovvero come essere marxisti fregandosene della classe operaia…
Grande Giorgio, un articolo perfetto..ormai gli uomini (e soprattutto le donne) di spettacolo sono diventate i veri ‘simboli culturali’ della globalizzazione e lo show-business l’articolazione centrale del potere…
C’è da sperare nella crisi economica che in qualche modo rimetterebbe al centro la produzione…nel frattempo sono guai, soprattutto per i giovani che sognano (quasi) tutti un futuro nel mondo dello spettacolo. Due mesi fa ho letto una notizia allucinante: a Bologna c’erano contemporaneamente le selezioni per partecipare a X Factor e per dei posti di hostess (steward) alla Ryan Air. Nel primo caso si sono presentati circa 15000 persone (creando non pochi problemi al traffico e in geenrale all’organizzazione cittadina), alla selezione di Ryan Air erano in 30 (trenta)…..
Grazie, Alessandro.
Appena pochi anni fa, i cantori del sistema parlavano di “fine della storia”, con la vittoria finale dell’americano impero. Invece la storia li ha smentiti ed è qui, a sorprenderci sempre.
La globalizzazione non riguarda solo l’economia; ormai viviamo in un villaggio globale e nuovi popoli, da Sud e da Est, si affacciano nella storia con la loro freschezza. E son certo che questa sorprenderà le generazioni!
Altra “chicca” del buon Foa:
http://blog.ilgiornale.it/foa/2014/12/03/suvvia-italiani-cedete-sovranita-e-sarete-felici/
Formalmente (direbbe Marx), Piero, il discorso di Foa è ineccepibile.
Sostanzialmente però, data la classe politica e alto-amministrativa italiana, non so – nel senso letterale che ignoro – se sia meglio per gli italiani amministrarsi o essere amministrati.