Cicerone denuncia Catilina(Cesare Maccari, 1880)
Il teorema di Böckenförde
di Giorgio Masiero
Lo stato liberale secolarizzato non può garantire i diritti sanciti nella sua costituzione. Lineamenti per la costruzione dello stato democratico post-secolare
L’affievolirsi di ogni orizzonte veritativo nella ragione laica, in particolare la sua afasia di fronte al conflitto tra culture e religioni diverse, ai problemi etici posti dalla tecnica e al potere incontrollabile della finanza nella gestione dell’economia e del welfare globali, hanno fatto perdere agli stati liberali nazionali (e alle loro organizzazioni sovranazionali) ogni capacità normativa. “Lo Stato liberale secolarizzato vive di presupposti che non è in grado di garantire. Questo è il grande rischio che esso si è assunto per amore della libertà”. Così recita una famosa tesi di Ernst-Wolfgang Böckenförde, ex giudice della Corte Costituzionale tedesca, docente in diritto costituzionale e in filosofia del diritto.
Secondo Böckenförde, la democrazia moderna in Occidente fin dalla sua base costituzionale non ha un fondamento né per la sua legittimazione, né per la sua efficacia. Da una parte lo stato liberale può esistere solo se la libertà, che esso garantisce sulla carta ai suoi cittadini, si regola dall’interno, vale a dire dalla moralità dei singoli e dai valori condivisi della società. Dall’altra parte però, proprio per la sua laicità costituiva, lo stato non possiede i presupposti spirituali e valoriali sui quali raccogliere l’adesione dei cittadini. Non è così in grado di guidare quelle forze regolative interne attraverso i mezzi della coercizione giuridica e del comando autoritativo, se non rinunciando alla propria liberalità e ricadendo nello stesso totalitarismo da cui aveva tentato di togliersi dopo la caduta dei regimi autocratici. Come allora garantire efficacemente quei diritti?
Una comunità politica non è solo l’oggetto destinatario di norme legali, ma deve esserne innanzitutto il soggetto autore. Solo così essa diviene dêmos di una democrazia, abitante in un orizzonte di significato entro cui sia i cittadini che le istituzioni comprendono e giustificano la loro condotta. E questo orizzonte è tecnicamente di natura religiosa, nel senso che consegna ai suoi abitanti un’immagine stabile di quali siano gli interessi ultimi della comunità, alla luce della sua identità formatasi dal passato, nel presente, per il futuro.Senza un fondamento religioso, da cui originariamente sorse nella pólis greca e nella romana res publica, lo stato democratico non può garantire il proprio vincolo societario su base puramente secolare.
Cosicché, se le istituzioni politiche democratiche non si reggono su se stesse per mancanza di presupposti fondativi, ad esse non resta che tutelare ed agevolare il libero emergere di quei presupposti dalla società, valorizzandone tutte le componenti culturali, a partire da quelle religiose. Perché la neutralità dello stato non coincide con l’assenza di principi.
Mentre si è soliti far iniziare la secolarizzazione politica con l’illuminismo e la rivoluzione francese, Böckenförde la retrodata al periodo della lotta per le investiture tra papato e impero: già nell’XI secolo infatti, avvenne la laicizzazione dell’ordine politico, che venne separato dalla sfera sacrale. Si deve anche ricordare che quella divisione fu propugnata dai teologi medievali in nome della “libertas ecclesiae”nei confronti delle pretese di dominio imperiale, e non certo per emancipare la sfera secolare da pretese temporali della chiesa. Per far valere l’autonomia reciproca dei due ordini, i teologi riconobbero allora due distinti sistemi auto-sussistenti, così innescando il rovesciamento che avrebbe condotto alla completa espulsione dell’ordine sacro da quello profano qualche secolo dopo, con la rivoluzione francese. La secolarizzazione risulta una dinamica innescata dalla teologia cristiana in nome di un’esigenza di libertà interna al cristianesimo stesso.
La libertà sta nell’insegnamento di Gesù e deve essere anche oggi parte precipua del messaggio che la chiesa annuncia al mondo perché nasce dall’amore cristiano per la libertà dello stesso atto di fede. La coscienza morale ha autorità sull’Io. La voce della coscienza non è “me”, ma mi appare come qualcosa di esterno che ha autorità su di me. In un’epoca di ribellione contro ogni autorità e di dubbio a riguardo di ogni sua espressione, in questo tempo in cui la stessa parola “autorità” è passata dal rispetto al dileggio, in tutti noi è rimasta una sola autorità: la voce della coscienza individuale col suo imperativo categorico. Nessuno afferma che si deve agire contro la propria coscienza, disobbedendole. Disobbedire alla chiesa, allo stato, ai genitori, agli insegnanti, tutto questo è accettabile; ma alla propria coscienza, no. Così tutti ammettiamo, anche se non con queste esatte parole, l’assoluta autorità morale e l’obbligo vincolante della coscienza individuale.
“Colui che non seguisse i dettami della propria coscienza, sbaglierebbe non perché agisce contro la sua coscienza, ma perché agendo contro la sua coscienza, agirebbe anche contro la sua sinderesi, la quale è infallibile” (Tommaso d’Aquino, “Summa Theologiae”). La sinderesi è la capacità naturale presente in ogni uomo di cogliere i primi princìpi della morale. E più avanti, esemplificando, Tommaso afferma che “credere in Cristo è cosa essenzialmente buona e necessaria alla salvezza: ma la volontà non può tendere a questo che in base alla presentazione della ragione. E, quindi, se la ragione lo presentasse come un male, la volontà non potrebbe volerlo che come un male: non perché sia un male per se stesso, ma perché è un male nella considerazione della ragione… Dunque bisogna concludere, assolutamente parlando, che ogni volere discorde dalla ragione, sia retta che erronea, è sempre peccaminoso”. Libertà di coscienza in primis, dunque, anche nell’atto di fede.
La libertà però non è l’arbitrio del soggettivismo (il relativismo), ma la ricerca personale di liberazione dal principio del male. Kant ha spiegato con rigore la serietà del male radicale: “La lotta che in questa vita ogni uomo moralmente predisposto al bene deve sostenere sotto la guida del principio buono contro gli assalti del principio cattivo non può procurargli, per quanto si sforzi, un guadagno maggiore della liberazione dal dominio del principio cattivo” (“La religione entro i limiti della semplice ragione”). Il guadagno maggiore che l’uomo può raggiungere è quello di diventare libero, cioè “di essere liberato dalla schiavitù del peccato per vivere nella giustizia” (San Paolo, “Lettera ai Romani”).
Dopo il fallimento della rivoluzione francese non si tornò certo a fondare il profano sul sacro, ma si cercò di trovare con lo stato liberale, in Europa e negli Stati Uniti, un nuovo fondamento di omogeneità in una presunta comunanza di valori, sanciti nei principi fondamentali della costituzione. Ciò tuttavia ha aperto gradualmente la strada al relativismo che, pretendendo di aver validità oggettiva, distrugge la libertà etica invece che fondarla. Si ritorna allora al paradosso posto da Böckenförde. Fondare su un artificioso dêmos la costituzione (e con essa i diritti umani inalienabili) è un’astrattezza. Lo stato non può rinunciare all’efficacia pubblica della religione, né alla sua capacità di dar forma al mondo, cosicché non può consistere in un ordinamento politico specificamente irreligioso o anche soltanto a-religioso. Piuttosto nella costituzione dello stato laico va postulato un nuovo principio di ordinamento politico-sociale, post-secolarizzato, in cui tutti i credi e le concezioni, lungi dal ritirarsi nel privato, assimilano la laicità non più come un corpo estraneo, ma come un’opportunità della libertà, che è anche loro compito preservare e realizzare in un’armonica convivenza.
Ciò comporta la soluzione di almeno 3 problemi. In primo luogo, poiché le società moderne sono strutturate funzionalmente in maniera molto articolata, è difficile per ogni cittadino vedersi parte di un tutto organico. Chi farebbe oggi il discorso di Menenio Agrippa ad un popolo non più bipartito in patrizi e plebei, ma stratificato in mille classi? Questo è il problema dell’integrazione socialedella comunità: portare le persone, con i loro ruoli ed interessi sociali differenti, a condividere un nucleo di visioni del mondo e della vita, così che considerino la loro aggregazione come un insieme coerente. Chi sono io in quanto cittadino? Ciò esige che le istituzioni favoriscano in ogni abitante esperienze di partecipazione in un insieme più vasto di quelli ristretti della sua famiglia, ceto sociale, circolo, ecc. Solo così egli potrà sentirsi cittadino.
Poi, ancora più complesso, c’è il problema dell’identitàdi una società politica. Chi siamo noi come comunità? Questo problema coincide con una risposta comune alla domanda donde veniamo e verso quale meta vogliamo tendere. Al fine che una società abbia un’immagine stabile di se stessa è indispensabile che ogni suo elemento abbia la memoria (eventualmente trasmessa in grandi narrazioni rispettate da tutti) di un comune passato con gli altri elementi. Ma quando negli autoctoni la conoscenza della storia svanisce e nuovi gruppi immigrati apportano le loro storie, l’identità della comunità politica è soggetta a tensioni e minacciata di collasso. Chi può dare allora una nuova identità politica ad una comunità pluralistica ed interetnica se non l’auto-composizione in un punto superiore di equilibrio delle diverse primeve identità, nate separate ed ora compresenti nella stessa società?
Per ultimo c’è il problema dell’organizzazione politica dello stato: come far sì che le istituzioni pubbliche e le loro leggi siano avvertite dalla gente come legittime, di per sé? Questo è il problema della legittimazione, ovvero della definizione dei criteri per giudicare “giusta” una legge. È sufficiente che essa sia stata approvata a maggioranza dal parlamento nel rispetto delle procedure tecniche, oppure – per essere considerata giusta e rispettabile da tutti i cittadini – dovrebbero essere presi in considerazione anche argomenti sostanziali e perfino metafisici? Qui sta il luogo dove la religione gioca un ruolo importante, non solo nella vita privata, ma anche e soprattutto nella vita pubblica. Come può però esplicitarsi questo ruolo nella società moderna, composta di credenti diversi e non-credenti?
La risposta sta nell’instaurazione, facilitata dallo stato post-secolare, di relazioni cooperative tra i credenti e non-credenti, nelle quali gli uni possano imparare dagli altri. La democrazia non può permettersi di confinare le convinzioni religiose nella sfera privata. La divisione liberale tra pubblico e privato con riguardo alla religione e al pensiero è obsoleta. Vivere in una società post-secolare implica per i credenti di tutte le fedi e per i non-credenti di tutte le idee di convivere in uno spirito di benevolenza e apertura reciproche, con la volontà di trascendere i propri ambiti quieti.
Insomma, la religione è rilevante per il funzionamento di una società. Ben dopo la rivoluzione francese, e anche alla luce del suo esito, Hegel aveva definito la religione “come la sfera dove una nazione si dà la definizione di ciò che essa considera Vero” (“Lezioni sulla filosofia della storia”, 1821-31). E, poco più tardi, Tocqueville considerava la religione la prima di tutte le istituzioni sociali: “La religione in America non prende direttamente parte nel governo della società, ma deve essere considerata come la prima delle sue istituzioni politiche” (“Democracy in America”, 1838).
Le comunità religiose vanno riconosciute per il loro apporto alla creazione di consapevolezza normativa e di motivazioni ed atteggiamenti pubblici desiderabili. La neutralità ideologica dell’autorità statale non è conciliabile con l’istituzionalizzazione di una visione laicista del mondo, che sul piano metafisico si traduca in ateismo e sul piano politico in una svalutazione del ruolo dei credenti nella sfera pubblica. Alle convinzioni della religiosità positiva i laici devono riconoscere anche dal punto di vista del sapere secolare uno status epistemico che non è semplicemente irrazionale. “Il confine tra ragioni religiose e ragioni secolari è in ogni caso fluido. Perciò lo stabilimento di questo confine controverso dovrebbe essere concepito come un compito cooperativo, in cui entrambe le parti siano chiamate ad accogliere anche la prospettiva della parte avversa” (“Tra scienza e fede”, 2008): proclama il laico Habermas, principale esponente della nuova Scuola di Francoforte.
Per lo stato, la transizione da secolare a post-secolare implica una rivoluzione pedagogica rispetto all’attuale tendenza ad investire su scienza e tecnica a discapito di lettere ed arti. L’educazione va primariamente rivolta a formare individui capaci di esercitare lo spirito critico, di analizzare il presente alla luce del passato con piena conoscenza delle proprie radici e di comprendere le posizioni degli altri. Così, se nulla più dei dialoghi di Platone sviluppa il pensiero critico, la logica e l’analisi argomentativa, perché pochissimi dei laureati che escono ogni anno dalle facoltà universitarie li conoscono? Dall’altro lato gli studenti devono avere una buona conoscenza del mondo, sempre più complesso e interdipendente; e ciò richiede la conoscenza della storia mondiale, delle principali religioni e tradizioni etniche, avverso il provincialismo e lo sciovinismo imperanti, padri di tutte le intolleranze.
Per i cristiani, la questione decisiva sta nell’essere civis simul et christianus nel mondo contemporaneo, all’interno di una realtà “che non ha più a proprio fondamento un ‘ordo’ cristiano e che si presenta invece nella forma di un ordinamento democratico dello stato e di una società secolare, improntata al pluralismo ideologico – religioso, etico e spirituale” (E.W. Böckenförde, “Cristianesimo, libertà, democrazia”, 2007). E qui ritorna il tema della libertà. Che la secolarizzazione non si risolva interamente in una scristianizzazione del mondo dipende unicamente dalla “mutevole auto-interpretazione” della fede stessa, chiamata a scegliere se essere una religione tra le altre, la cui efficacia sta esclusivamente nel culto, oppure se trascendere le altre fedi, perché capace di condurre tutti alla consapevolezza della propria libertà. Nello stato post-secolare ed anche per agire con nuova forza missionaria, insomma, secondo Böckenförde, il cristianesimo deve riscoprire il proprio significato di “religione della libertà”, propugnata nei suoi dogmi ed origine storica che della stessa secolarizzazione. La libertà come principio positivo e diritto inalienabile dell’essere umano “in quanto tale”.
Sembra valere anche per i regimi politici quanto abbiamo visto per la scienza sperimentale moderna: questa e quelli si poggiano su un nucleo forte attinto alle sorgenti della metafisica. In fondo è sempre il più importante teorema della logica matematica a ricordarcelo, quello di Gödel: non può esistere un sistema coerente auto-fondantesi. Il teorema di Böckenförde è il suo corollario applicato al diritto costituzionale.
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9 commenti
Questo articolo viene per una casuale programmazione ad approfondire il tema di cui si parla in “
Sindrome di Down e aborto: Dawkins non parla da ateo ma da darwinista“, in particolare vorrei richiamare l’attenzione sul passaggio in cui dici:
“Per ultimo c’è il problema dell’organizzazione politica dello stato: come far sì che le istituzioni pubbliche e le loro leggi siano avvertite dalla gente come legittime, di per sé? Questo è il problema della legittimazione, ovvero della definizione dei criteri per giudicare “giusta” una legge. È sufficiente che essa sia stata approvata a maggioranza dal parlamento nel rispetto delle procedure tecniche, oppure – per essere considerata giusta e rispettabile da tutti i cittadini – dovrebbero essere presi in considerazione anche argomenti sostanziali e perfino metafisici? Qui sta il luogo dove la religione gioca un ruolo importante, non solo nella vita privata, ma anche e soprattutto nella vita pubblica. Come può però esplicitarsi questo ruolo nella società moderna, composta di credenti diversi e non-credenti?”
Ed ecco che salta fuori l’idea di Comte, una religione ci vuole, e allora che sia una religione della scienza, la nuova forma di religiosità intuita da Francis Bacon in “New Atlantis”.
La differenza è che dove tu proponi una cooperazione tra diverse religioni, nella realtà si attua una selezione a favore dello scientismo impersonato massimamente dal darwinismo.
Ed è così che si giunge all’immoralità del far nascere un bambino down.
Quando i Dawkins o i Veronesi o gli Oddifreddi (e tutti gli scientisti) confondono la loro concezione del mondo con la scienza empirica – che invece è patrimonio di tutti e non si occupa dei valori -, essi fanno della loro visione una religione intollerante, che non dialoga con le altre visioni, considerate proprie di ignoranti e cretini.
La verità è che gli ignoranti (non dico cretini), non solo delle religioni positive, ma della stessa scienza che dicono di amare sono loro.
A proposito di “cretini”, Odifreddi non si è rivelato così indulgente come lei, professore… 😉
@Enzo Pennetta (& Webmaster)
Off-Topic, per curiosità: nel nuovo template del blog il tag “blockquote” pare non alterare in alcun modo il testo, è una scelta voluta o siete in assestamento?
Molto banalmente non so cosa sia successo, chiedo aiuto a Carlo… 😯
Questo e’ un argomento spaventosamente complesso da dipanare, secondo me. Non che sia particolamente complesso in se’, solo che si sono riversate addosso a questi argomenti tutte le propagande immaginabili.
Per mia caratteristica appunto cerco la sintesi, evitando con cura la semplificazione. Qui non e’ semplice, posso contribuire solo con alcuni cenni.
Comincio con uno che sembra fuori luogo ma non direi proprio: se vogliamo uno Stato veramente laico, perche’ non cambiare la datazione, perche’ non tornare alla Urbe Conditam?
O, viceversa: e’ cosa veramente ottima l’evitare la carne di maiale quando e’ caldo. Ricordo il macellaio sotto casa, quando vivevo a Roma pochi anni fa, che evitava di avere carne di maiale d’estate, perche’ tanto non c’e’ modo, piglia sempre botte di caldo deleterie (per la nostra salute).
Quindi la mia partenza e’ quella di voler accettare le cose giuste indipendentemente da dove provengono.
Ma qui farei un parallelo con il post “data-driven” e “theory-driven”. Mi pare evidente che il “theory-driven” si e’ impossessato di tutto lo scibile umano. Lo scopo non e’ quasi mai quello di giungere a conclusioni buone (o accettabili). Lo scopo e’ spesso quello di far trionfare una ideologia.
QUESTO e’ il nostro problema per me.
Condivido il concetto di “come si fa a ritenere legittima una legge”? E qui il problema e’ quasi insormontabile, perche’ come sappiamo Democrazia e’ anche, purtroppo, vendersi la propria responsabilita’ e farsi vassallo (ideologicamente, a volte anche di piu’) di qualche potentato. Quindi non si arrivera’ mai ad avere un popolo che esprime le proprie opinioni, ci saranno sempre larghe fette di persone che adotteranno il pensiero che SCELGONO DI SUBIRE.
Non sono invece sicuro di condividere la necessita’ della religione. Da come la vedo io basterebbe una profonda spiritualita’, senza specifici indottrinamenti. Poi certo, la Storia e’ accaduta, da noi spazzare via la religione cattolica comporta spazzare via molta spiritualita’.
Questo mi fa venire in mente Gorbachev. Ottime intenzioni certo, ma ha piallato una Nazione senza prima costruire nulla. Il risultato e’ andato a tutto vantaggio dei soliti amici degli amici che ora si fanno chiamare “nuovi ricchi russi”. Tradotto: amici di Putin che ha gestito le regalie delle privatizzazioni.
Facciamo una agenda politically balanced (ma non correct)?
1) la religione cattolica e’ anche bella, ma che ragione c’e’ di avere una dottrina? Perche’ tanto proselitismo?
2) dopo decenni, ancora non abbiamo ripulito la mente di chi ancora inneggia a quando c’era lui… che ho bonificato Latina ma ci ha fatto perdere una guerra mondiale…
3) si cantava: “sparagli Pietro, sparagli ancora”. Ad un poliziotto! Si vedeva gia’ da subitissimo che la kultura era profondamente dettata da necessita’ ideologiche.
A mio parere quindi i problemi non li stiamo risolvendo assolutamente, e nel mentre se ne sono accatastati altri (nonostante sul “bugiardino” ci sia scritto ogni volta che quella era la cura buona).
In breve, personalmente, personalmente, ritengo che c’e’ un solo modo per parlare di questi problemi: farlo ricordandosi che chi pensa e’ stato sconfitto, raso al suolo, da questo punto di vista il mondo e’ di proprieta’ di chi manipola queste propagande e fare valutazioni “possibiliste” ha tanto senso quanto un Hitler che da dentro il suo bunker ancora pensa a come ribaltare gli esiti ormai decisi.
Abbiamo perso. Pesantemente. Devono passare decenni se non secoli (ma non vedete che silenzio i giovani, precariato e disoccupazione a mille, e tutti zitti). E non e’ detto che cambi qualcosa.
E non servono rivoluzioni. Qui servono 60 milioni di rivoluzioni, una a testa.
E non penso che potra’ accadere mai, di certo non nel prossimo futuro.
Mi spiace se risulto pessimista, io mi ritengo realista. Questi argomenti andrebbero trattati come farebbero dei prigionieri che parlano della loro guerra persa, dentro una gabbia, sapendo che non ne usciranno mai.
Non so cosa ho scritto, l’ho fatto di getto, non me la prendo se non sara’ pubblicato 😉
Boeckenforde, Fabio, non pensa al ritorno ad uno stato teocratico, ma ad uno stato “post-secolare”, dove tutte le religioni e le culture sono trattate reciprocamente con rispetto e dignità e, insieme, collaborano al bene comune. Lo stato laicista invece (vedi anche gli ultimi episodi di intolleranza statale in Francia) fa del laicismo l’unica religione, tutte le altre essendo solo tollerate se restano chiuse tra le mura domestiche.
Oh in questo caso non potrei essere piu’ d’accordo. C’e’ tantissimo da trarre dalle religioni.
Anche il senso dei rituali! Natale, Ramadan, Hanukkah. Sono tutte belle ricorrenze in cui stare vicini alla propria spiritualita’. Come esercizio e’ utilissimo.
Solo che poi si usano le ricorrenze piu’ che altro come strumenti di ingegneria sociale. Evitando con cura gli aspetti che facciano elevare la consapevolezza.
Che lo stato laicista avesse come scopo l’instaurare una nuova religione mi era chiaro. Ma non avevo focalizzato sulla cancellazione delle parti che dovrebbero farci guardare dentro di noi.
Meglio avere delle pecore condiscendenti che non capiscono neanche che sono razziste.
Four legs up! Two legs down! (da Animal Farm)
Meglio sbraitare che pensare. Sara’ questo il movente dello stato laicista?
1) Lo scritto in esame si pone l’annoso problema della legittimazione degli ordinamenti politici laici, secolarizzati e liberaldemocratici (occidentali e filo-occidentali) che, al giorno d’oggi, costituiscono ormai un modello assoluto di riferimento. Non a caso, Churchill disse “È stato detto che la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora”.
Al fine di scongiurare uno stato hobbesiano di perpetuo conflitto, è (correttamente) parso ai costituenti ed ai giuristi che hanno fondato le basi della dottrina democratica occidentale, che non vi fosse miglior modo per stemperare la lotta politica violenta se non l’inclusione di tutte le parti sociali nel dibattito sulla gestione della cosa pubblica. È innegabile infatti che, qualora non si consenta ad una certa categoria di soggetti, per delle loro peculiarità intrinseche (es. razza, religione, sesso etc.), di influire direttamente sul proprio destino attraverso i canali della democrazia, li si pone in una situazione di perenne sudditanza al volere di tutti gli altri, rendendo automaticamente legittimo l’esercizio di un diritto di resistenza da parte loro.
Ecco dunque che la democrazia si ritrova, per questa sua necessaria natura pluralista, ad essere costantemente pressata dalle richieste o esigenze delle minoranze, che vanno o nella direzione della richiesta di diritti aggiuntivi (come può essere la carne halal nelle scuole) oppure al contrario verso la “neutralizzazione” dello stato (come ad esempio la crescente laicizzazione delle strutture pubbliche nel rispetto dei non credenti). Il risultato di questo incessante processo è uno stato che si riduce ad un grigio leviatano di regole e burocrazia, in cui si riconoscono tutti e nessuno. Infatti, paradossalmente, sebbene questo stato tenda in linea di massima a tutelare i diritti di tutti per le ragioni che sopra abbiamo visto, nessuno può sentirsi veramente e profondamente coinvolto nella vita pubblica, poiché diviene impossibile identificarsi come parte integrante della comunità. Lo stato liberaldemocratico non è uno stato cattolico né uno stato musulmano, né di destra né di sinistra, né bianco né nero, semplicemente la più diluita sfumatura di grigio. E quindi, come possono bianchi e neri identificarsi nel grigio, che pure li comprende entrambi, senza trovarsi costretti a rinunciare alla propria identità?
Ecco dunque che, in seguito alla distruzione della morale “assoluta” dello stato, ogni cittadino si ritrova solo, a dialogare esclusivamente con la propria relativa morale. Ora, posto che ci troviamo di fronte a tutto questo, sorge la questione da cui siamo partiti: come e perché dovrebbero il bianco ed il nero obbedire al grigio? In nome di chi, oggi, lo stato legifera, e con il consenso di chi?
La risposta, secondo l’autore, risiede nella democrazia stessa, a condizione di un mutamento culturale più profondo di quanto sembri: lo stato liberaldemocratico non deve essere grigio e neutrale, bensì fondarsi sull’armonica convivenza (e non appiattimento o commistione) tra bianco e nero, facendo sì che vengano entrambi valorizzati ed esaltati, al fine di ridurre l’atmosfera di alienazione politica favorendo l’inclusione di ogni cittadino nel proprio ambiente di appartenenza. In proposito, rilevanti sono questi passaggi:
“Se le istituzioni politiche democratiche non si reggono su se stesse per mancanza di presupposti fondativi, ad esse non resta che tutelare ed agevolare il libero emergere di quei presupposti dalla società, valorizzandone tutte le componenti culturali, a partire da quelle religiose. Perché la neutralità dello stato non coincide con l’assenza di principi.”
“Come far sì che le istituzioni pubbliche e le loro leggi siano avvertite dalla gente come legittime, di per sé? […] La risposta sta nell’instaurazione, facilitata dallo stato post-secolare, di relazioni cooperative tra i credenti e non-credenti, nelle quali gli uni possano imparare dagli altri. La democrazia non può permettersi di confinare le convinzioni religiose nella sfera privata. La divisione liberale tra pubblico e privato con riguardo alla religione e al pensiero è obsoleta. Vivere in una società post-secolare implica per i credenti di tutte le fedi e per i non-credenti di tutte le idee di convivere in uno spirito di benevolenza e apertura reciproche, con la volontà di trascendere i propri ambiti quieti.”
“La neutralità ideologica dell’autorità statale non è conciliabile con l’istituzionalizzazione di una visione laicista del mondo, che sul piano metafisico si traduca in ateismo e sul piano politico in una svalutazione del ruolo dei credenti nella sfera pubblica. […] Che la secolarizzazione non si risolva interamente in una scristianizzazione del mondo dipende unicamente dalla “mutevole auto-interpretazione” della fede stessa, chiamata a scegliere se essere una religione tra le altre, la cui efficacia sta esclusivamente nel culto, oppure se trascendere le altre fedi, perché capace di condurre tutti alla consapevolezza della propria libertà.”
A queste affermazioni possono essere mosse diverse critiche.