Osso di Ishango, Congo (20.000 a.C.)
Il caso è la negazione della ragione. Ma la mente esiste. Quindi in principio è la Ragione
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di Giorgio Masiero
L’abitante della Luna al terrestre “sventato”: “Quando, gettati tre dadi sulla tavola, viene un tris di due, oppure tre, quattro e cinque, oppure doppio sei e uno, direte: – Che miracolo: in ogni dado è uscito lo stesso punto, mentre ne potevano uscire tanti altri! Che miracolo: sono usciti tre punti consecutivi! Che miracolo: sono usciti esattamente due sei e il punto della faccia opposta! –. Son certo che essendo uomo di spirito, non farete mai simili esclamazioni. Infatti, poiché sui dadi c’è solo una data quantità di numeri, è impossibile che non ne esca qualcuno.
E con tutto ciò vi stupite che la materia, mescolata alla rinfusa, secondo il capriccio del caso, abbia formato un uomo, considerando tutte le cose che sono necessarie alla sua costruzione. Ma non sapete che sulla via della formazione dell’uomo, la materia si è fermata un milione di volte a formare ora una pietra, ora del piombo, ora del corallo, ora un fiore, ora una cometa, e tutto ciò per l’eccesso o il difetto delle figure che occorrevano o non occorrevano per determinare un uomo? Cosicché non fa meraviglia se un’infinità di materia che cambia e si muove senza posa abbia prodotto a caso i pochi animali, minerali e vegetali che vediamo, più di quanto non meravigli che in cento gettate ai dadi esca un tris. Allo stesso modo è impossibile che da quel moto non si produca qualche cosa, la quale sarà sempre guardata con meraviglia da uno sventato che non riesca a capire quanto poco ci sia mancato che non si producesse”. Così scriveva nel 1657 Savinien Cyrano de Bergerac nel suo romanzo fantastico “L’altro mondo, ovvero gli stati e gli imperi della Luna e del Sole”.
Nulla di nuovo quindi, è stato inventato da darwinismi ottocenteschi e multiversi contemporanei. Bergerac a sua volta era stato preceduto da Lucrezio (I secolo a.C.), che era stato preceduto da Democrito (V secolo a.C.), il quale fu il primo in Occidente a proclamare che il mondo è frutto dell’incessante moto casuale degli atomi, il resto essendo solo immaginazione umana: “Per convenzione il dolce, per convenzione l’amaro, per convenzione il caldo, per convenzione il freddo, per convenzione il colore; secondo verità gli atomi e il vuoto” (Frammento 9).
Il teorema per cui un esercito di scimmie, che batta per un tempo sufficiente sui tasti di macchine da scrivere, può produrre tutti i libri del mondo è la metafora preferita dei moderni credenti nel moto casuale degli atomi come l’Origine di tutto. Dawkins, nel suo “Orologiaio cieco”, informato dai fisici che l’età dell’universo osservabile non basterebbe alle scimmie per produrre un sonetto di Shakespeare, al fine di potenziarne l’efficienza s’inventò, come sappiamo, l’evoluzione biologica con “target”, teleologica. Così commise però l’errore di contraddire l’orologeria “cieca” che voleva svelare e si arruolò involontariamente tra i sostenitori dell’Intelligent Design. Un lettore di CS ha proposto recentemente la funzione di Chaitin per addomesticare il caso, anch’egli errando perché così assegnava alla matematica (ad un sofisticatissimo modello costruito ad hoc) un ruolo prescrittivo, platonico, anziché puramente descrittivo come esige il metodo scientifico.
Sarebbe bastato ad entrambi, più semplicemente, non confondere l’universo “osservabile” dai cosmologi terrestri (membri di una specie biologica emersa una manciata di anni fa da macromolecole al carbonio sulla superficie di un pianeta appartenente al sistema di una stella di tipo G2 localizzata all’interno di una galassia periferica, contenente un centinaio di miliardi di stelle), gli sarebbe bastato non confondere questa piccola isola fisica tolemaica – composta di sole ~1082 particelle e vecchia appena ~1018 secondi – con il mondo intero, inteso come tutta la realtà. Chi può dire quanto sia grande e vecchio (eventualmente eterno) il mondo?! E certamente in tale ente meta-fisico (non è infatti un oggetto fisico, perché estendentesi oltre la nostra visibilità e quindi stante fuori del nostro controllo sperimentale), non un esercito di scimmie, ma anche una sola scimmia può scrivere tutte le combinazioni di lettere del mondo in tutte le lingue…
Tuttavia, una parola è solo una combinazione di lettere?
Da Democrito a Dawkins, questi pensatori confondono “segnale” con “messaggio”, “simmetria” con “ordine” (o “informazione”). La materia con la forma.
Siamo atterrati con un’astronave in un esopianeta soggetto a violenti fenomeni atmosferici. Troviamo una successione di graffi incisi sulla parete di una caverna, simili a questa stringa:
/ / \ / / \ / / / / \ \ \ \ \ \ / \ / / \ / \ / \ / \ \ \ / \ \ \ / \ \ \ \ / \ / / \ / \ \ \ / / \ \ \ / / \ \ \ \ / \ \ \ / / \ / \ \ / /
I tratti sono irregolari, di lunghezze diverse, ma appaiono classificabili in due soli caratteri, a seconda dell’inclinazione. Due, come i punti e le linee dell’alfabeto Morse, o come 0 e 1 nel sistema di numerazione binario. Che si tratti di un segnale “casuale”, dovuto al caos deterministico operato dalle intemperie, o siamo invece alla presenza d’un messaggio in un codice binario di una forma di vita “intelligente” aliena?
Un “segnale” non trasmette significato, ma è solo un effetto causato da qualche fenomeno naturale non intenzionale. Come la radiazione periodica di una pulsar, o la disposizione dei ciottoli in una spiaggia tanto più grossi quanto più vicini al bagnasciuga. Un “messaggio” invece porta un significato, perché trasmette ad un Ricevitore intelligente (capace di conoscere la sintassi dei simboli e d’interpretare la semantica delle loro disposizioni) l’informazione – descrittiva o prescrittiva – che la Sorgente intelligente del segnale ha voluto trasmettere. Come gli sms che ci scambiamo, in una lingua qualsiasi. Il segnale è un puro fenomeno materiale, il messaggio contiene un aspetto formale, anche se è sempre istanziato in un oggetto fisico.
Torniamo all’esopianeta: per capire di che si tratta, trascriviamo la successione di segni dei due caratteri in una stringa di 0 ed 1. Se la sintassi è quella usata dagli umani per rappresentare un numero naturale in forma binaria, comincerà con 1 e quindi la nuova stringa sarà:
1 101 101 111 000 000 100 101 010 111 011 101 111 010 010 111 001 111 011 100 101 100 111 011,
che trasformata in base 10 dà un numero intero di 21 cifre. Che senso ha? Mah! Cambiamo congettura. Ipotizziamo che la stringa rappresenti invece le cifre decimali di un numero reale. Otteniamo allora:
141 592 653 589 793 238 462.
Ancora, niente! Numeri a caso… Poi d’improvviso, colti da un’intuizione su quelle due cifre 1-4 all’inizio della stringa, controlliamo in un libro di matematica la rappresentazione decimale di pi greco (π):
π = 3,141 592 653 589 793 238 462 …
Eureka! Adesso sappiamo di essere, non di fronte ad una combinazione casuale, ma al messaggio di una sorgente intelligente, trasmettente informazione descrittiva. Come le tacche incise nell’osso di babbuino rinvenuto mezzo secolo fa in Africa, che rivelano relazioni ed operazioni aritmetiche eseguite da un essere umano vissuto nel Paleolitico superiore.
L’intelligenza dell’esopianeta ha prodotto un messaggio contenente almeno 4 informazioni:
1) ha usato la sintassi del codice aritmetico binario;
2) ha comunicato un valore di π;
3) conosceva il significato di rapporto, circonferenza, distanza, ecc., insomma conosceva la geometria;
4) conosceva l’analisi matematica, come non sapevano né Salomone né Archimede né Galileo, così da calcolare le cifre decimali di π con buona approssimazione.
Facciamo un passo in avanti. Prendiamo ora le 2 stringhe:
111 111 111 111 111 111 111 (cioè, 21 volte 1),
141 592 653 589 793 238 462 (le prime 21 cifre decimali di π).
La prima è simmetrica che più non si può, ma contiene pochissima informazione trasmissibile (“di Shannon”, sintattica), tant’è che si può inviare con un segnale di appena 3 parole: “1 ventun volte”. Quale mio lettore non la saprebbe ripetere ad occhi chiusi? E la sua semantica (il suo significato) è zero, in ogni codice, perché non si danno codici con un unico simbolo. Essa è equivalente a 00…00. Zero. Vuoto. Che cosa c’è di più simmetrico del vuoto?
La seconda stringa appare casuale all’ignorante, ma contiene molta informazione, molto ordine. Sintatticamente non è “comprimibile”, direbbe un matematico, perché per trasmetterla devo ripetere uno per uno nell’ordine esatto i suoi 21 caratteri, vale a dire che essa ha il massimo d’informazione sintattica data la sua lunghezza. Quale mio lettore la saprebbe ripetere ad occhi chiusi? E poi è gravida di semantica: se un radiotelescopio ne ricevesse il segnale, in un qualsiasi codice, avremmo la prova dell’esistenza d’intelligenza extraterrestre, perché il segnale porterebbe un messaggio, contenente almeno le 4 informazioni che ho poco sopra descritte.
Dunque,
- l’informazione è la negazione della simmetria e
- le menti chiamano combinazioni casuali (“rumori di fondo”) i messaggi che non sanno interpretare.
I ciottoli distribuiti sulla spiaggia dalle onde del mare sono una configurazione ad alta simmetria e ad infima informazione. Non sono un esempio della creazione fisica d’ordine estensibile alla biologia, come proclama Dawkins nel suo libro. Un’informazione altissima, come è presente nelle forme biologiche, richiede una “rottura di simmetria”, nel linguaggio della fisica. Solo allora il sistema presenta un ordinamento. Perché “ordinare” un certo numero di oggetti significa introdurre un elemento di distinzione tra essi: per es., nel caso di un ordinamento spaziale, ordinarli vuol dire numerarli con coordinate diverse. Al contrario, la simmetria significa che scambiando posto agli oggetti si ottiene una configurazione equivalente.
La fisica insegna che la rottura di simmetria nelle forme viventi implica necessariamente l’entanglement del campo elettromagnetico con la biochimica. E qui essa si ferma. I “principi” della fisica non sono spiegati, per definizione, dalla fisica. Osiamo allora nel dominio della filosofia!
La struttura dell’entanglement – come di ogni principio della fisica, riguardasse anche la sola materia inanimata – e la sua interpretazione (“decifrazione”) postulano due menti, Una a monte, creatrice, ed una a valle, interpretatrice.
I ciottoli sulla rena sono poveri d’informazione: ricco d’informazione è il castello di sabbia, irregolare e asimmetrico, costruito da un bambino che gioca.
Una parola non è solo una combinazione di lettere, perché contiene un significato.
Una particolare combinazione di lettere può venire prodotta a caso, anche da una scimmia. Ma nessuna parola significa una cosa a caso: la parola “atomo” è la disposizione delle 5 lettere a-t-o-m-o più un ben definito significato (o un ristretto insieme di significati), per cui è stata creata intenzionalmente. Le parole sono artefatti che non possono essere comprese separatamente dalla mente del loro artefice intelligente.
Se ad una scimmia dattilografa capita di battere un sonetto di Shakespeare è una coincidenza. Perché il suo battere inconsapevole ha incrociato una disposizione che era già stata costruita da una mente, quella di Shakespeare. E anche se la scimmia producesse un poema originale, avrebbe solo battuto inconsapevolmente combinazioni di lettere che coincidono con parole già create dalle menti di coloro che hanno inventato quel linguaggio (codice). Per questa ragione, le menti sono in grado d’interpretare, cioè assegnano un senso ad una successione che alla scimmia non dice nulla.
L’informazione postula un ordine intellegibile dato.
Cosicché la metafora naturalistica delle scimmie dattilografe, quando correttamente intesa, non dimostra ciò per cui solitamente è usata, ovvero che l’informazione e l’ordine naturali siano una mera apparenza, una “convenzione” che in “verità” (Democrito) andrebbe attribuita al moto casuale degli atomi nel vuoto. Al contrario, sul piano logico, e perciò incontrovertibilmente, la metafora finisce col provare che le cose, proprio quando la nostra ignoranza le suppone create a caso, postulano un ordine creato da una mente. Le parole battute dalle scimmie non creano informazione, ma piuttosto si trovano a coincidere con un ordine pre-esistente, già creato da una mente.
Fuori di una mente, lo stesso caso è indicibile.
La metafora delle scimmie dattilografe non ci rinvia ad un mondo senza senso, ma ove propriamente universalizzata dal pensiero metafisico, diviene una prova dell’esistenza di Dio. Perché, se in fisica il caso è ignoranza d’informazione e dell’ordine sottostanti, in metafisica esso è la sua negazione. Come tale, il caso non può produrre informazione: “Ma è questo [il lógos] allora il principio che elimina il caso nelle altre cose, conferendo ad esse figura, limite e forma, poiché non è concesso attribuire alla fortuna cose organizzate così razionalmente; al contrario, a quel principio va assegnata la causalità, mentre il caso domina in quegli eventi che non hanno luogo né per fatti antecedenti né per ragioni logiche, ma per pura coincidenza. Come attribuire dunque all’esistenza del caso il principio di ogni ragione, ordine e determinazione? Di molte cose, certamente, è padrone il caso ma di generare l’Intelligenza, il pensiero, l’ordine, esso non è padrone; e poiché il caso sembra essere la negazione della ragione, come potrebbe esserne il genitore?” (Plotino, “Enneadi”).
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27 commenti
Grazie per questo bellissimo articolo. Da pianista quale sono, mi sentirei offeso dalle argomentazioni del Sig. Dawkins riguardo alle scimmie. Uno dei più grandi matematici della storia, Johann Sebastian Bach, aveva capito tutto quando disse: “Io suono le note come sono scritte, ma è Dio che fa la musica”.
Un caro saluto.
Grazie, Davide. Colgo nel Suo breve intervento almeno due importanti integrazioni al mio articolo.
La prima. Come una parola non è solo una disposizione di lettere, come pensano i poveri riduzionisti fondamentalisti, ma contiene anche un significato, così la musica non è solo una disposizione di simboli su un pentagramma, ma contiene l’armonia. E se la disposizione di lettere o di note può essere prodotta dal caos deterministico (dopo che i rispettivi simboli siano stati creati da una mente!), il significato e l’armonia postulano nella creazione e nella fruizione ancora una mente. Il Suo parallelo è perfetto. Grazie.
La seconda. Lei chiama inusualmente Bach “uno dei più grandi matematici della storia”. Ha perfettamente ragione, anche se la gente non lo sa. Uno dei più grandi matematici riconosciuti della storia, Leibniz, ebbe un giorno a dire: “Musica est exercitium arithmeticae occultum nescientis se numerare animi”, la musica è un esercizio occulto di aritmetica, nel quale l’anima calcola senza rendersene conto. Mi chiedo quante volte, nelle sue composizioni, Bach abbia pensato a questa definizione di Leibniz.
Grazie prof. Masiero,
Un articolo che rende giustizia alla bellezza dell’essere umano e a uno stupore (quasi bambino, innocente) che funge da impulso fondamentale per un’autentica ricerca scientifica.
Grazie, Law. Ormai anche i più grandi filosofi e scienziati del mondo (antropologi, biologi, linguisti, ecc.) hanno capito che
– tra gli animali e l’uomo c’è un salto (nei suoi codici simbolici, per cominciare), che solo chi è stato educato nelle madrasse darwiniste non riesce a vedere; e che
– questo salto non ha nessuna spiegazione scientifica al momento.
Se ne parlerà presto, con profusione du CS.
Grazie Giorgio per il bell’articolo che è diventato anche l’occasione per questa anticipazione, ne approfitto quindi per confermare che presto inizieranno gli interventi al riguardo.
Grazie, prof. Chiaro come al solito.
Io credo che molti dovrebbero soffermarsi un po’ a riflettere su questa frase:
“L’informazione postula un ordine intellegibile dato”
Riprendendo il già citato Leibniz
“Se segnassimo a caso dei punti su un foglio di carta, si potrebbe individuare sempre e comunque un’equazione matematica tale da rendere conto di quanto fatto”
Come dire a quel punto se i numeri sono usciti “a caso” oppure seguendo quell’equazione,per esempio come potrebbe avvenire per i decimali di Pigreco?
Per un mondo in cui non si legono i decimali ma gli esadecimali quel numero cambia di significato..
“Quanto” e “quale” sia il contenuto informativo non può essere qualcosa di aprioristico,è necessario quell’ordine intellegibile dato.
Se io non conosco il cinese e trovo dei ‘caratteri’ cinesi su una parete o su un foglio posso pensare che siano scarabocchi come che esista un ‘codice’ che gli da significato.
Questo articolo apre la riflessione e l’analisi al concetto di codice.
Pievani et al vedono nel ” genoma un sistema molecolare di codificazione efficiente ma ridondante, con arcipelaghi di significato dentro un oceano di triplette, pieno di sequenze egoiste e autoreferenziali, chiaramente il frutto di tentativi ed errori, di rimaneggiamenti e riorganizzazioni, di un’esplorazione stocastica, senza alcuna corrispondenza lineare fra le dimensioni del codice e le complessità degli organismi che ne derivano. Pessimo, come programma informatico. Pessimo, come prodotto di un progetto intelligente.”
Checché se ne dica esiste comunque “qualcosa” che fa si che certe triplette in un certo ordine abbiano un significato ed esiste una specie ,l’uomo,che può ,parzialmente,render conto di questo “qualcosa”,comprenderne l’esistenza etc..
Informazione,codice,mente.
Tre concetti su cui spesso e volentieri c’è molta confusione.
Grazie, Leonetto. Sono d’accordo con quanto da Lei detto. In più, aggiungo, proprio quella frase di Pievani sulle triplette ridondanti ed egoiste, di recente smentita dai ricercatori, dimostra solo la nostra soggettiva ignoranza sul codice genetico, non l’oggettivo “caso” che avrebbe prodotto il codice genetico. Pievani si comporta come la persona che non sa il cinese e che considera gli ideogrammi cinesi degli scarabocchi scritti a caso.
L’errore più grave dei darwinisti, comunque, è quello che non si può parlare di caso fuori della ragione. Lo stesso concetto di caso presuppone quello di ragione, come sua negazione. Solo Darwin da vecchio l’aveva capito, col suo famoso dubbio…
Per queste ragioni fondamentali il darwinismo
– è filosofia, non scienza (il caso non è empiricamente dimostrabile);
– è filosofia contraddittoria, cioè priva di senso (fonda sul caso la sua “ragione”, ma così nega le sue ragioni).
Buona sera prof. Masiero e grazie per quest’altro interessante articolo.
Non mi è molto chiaro (nell’ultimo paragrafo) il collegamento tra La metafora delle scimmie dattilografe e la prova dell’esistenza di Dio.
Potrebbe chiarire questo concetto, che penso sia la conclusione fondamentale dell’articolo ?
Grazie, Parolini.
Prima di tutto chiariamo che la parola “prova” ha un significato diverso 1) in logica, 2) in matematica, 3) in metafisica e 4) in scienza naturale. Come ho detto più volte, io considero solo le prove dei primi tre tipi incontrovertibili, mentre quelle scientifiche sono sempre parziali e provvisorie, suscettibili in ogni momento di falsificazione.
Quella di Plotino (e prima di lui, di Platone), che io ho solo forbito con linguaggio moderno, è una prova metafisica che il principio di tutto è l’intelligenza, mentre il caso è solo un prodotto dell’intelligenza. Non viceversa, come vorrebbero i naturalisti. Questa Intelligenza creatrice stante in principio è comunemente chiamata il Dio dei filosofi.
Chi può stabilire se una stringa battuta da una scimmia sia uno scarabocchio o una parola? Solo una mente che conosca un codice per interpretare e dare, o no, significato alla stringa!
Quindi, che sia uno scarabocchio o una parola, quella stringa
– è sempre stata battuta inconsapevolmente (a “caso”) dalla scimmia,
– se risulta una parola, ciò accade perché la mente vi ha riconosciuto uno dei suoi codici, non perché la scimmia l’abbia battuta in un modo diverso;
– se risulta uno scarabocchio, è perché la mente non vi ha trovato ancora un codice. Ma lo potrebbe sempre trovare, ed anche creare ex novo proprio da quella stringa (v. la citazione di Leibniz nel commento di Leonetto).
Quindi è la mente a nominare (e a creare, letteralmente) il caso.
Il caso non esiste fuori di un ordine prestabilito da una mente.
Penso di aver capito.
Il sonetto di Shakespeare composto dalla scimmia dattilografa, dal punto di vista della scimmia, sarebbe esattamente equiprobabile a qualsiasi delle milioni di combinazioni possibili di lettere che potrebbero risultare dalla battitura “casuale”.
È una mente metamateriale che divide l’unica sequenza corrispondente al sonetto di Shakespeare da tutte le sequenze rimanenti (aventi significato oppure no, sempre secondo la mente), non corrispondenti al sonetto di Shakespeare.
Come argomentazione, si potrebbe collegare al cogito ergo sum cartesiano ?
Esatto, Parolini. Il punto centrale è che il “caso” è mancanza di ordine e come tale pre-suppone una mente. Senza ragione il caso è inimmaginabile, indicibile.
Il ragionamento – come ho esplicitato citando il passo di Plotino – viene dalla metafisica greca, da Platone. Il quale l’aveva attinto da Socrate, che interessandosi solo all’etica, vedeva il male non come un ente, ma come una privazione di bene negli enti mondani rispetto al Bene perfetto.
Un po’ alla volta, leggendo questi articoli, mi si stanno schiarendo le idee sulla natura della casualità e sul suo ruolo funzionale alla negazione dell’esistenza di Dio. Una volta presa coscienza che il richiamo al caso non è un argomento pro o contro la fede, è d’altro canto scoraggiante riscontrare quanto delle anonime circostanze possano determinare immense gioie o altrettanto incomparabili dolori nella vita dell’uomo. Mi immagino come l’uomo pre-scientifico avesse potuto interpretare gli accadimenti come premio o punizione divina rispetto alla propria condotta, ma ora? Un embrione fecondato – una persona dunque – che non attecchisce, oppure un feto che muore per cause naturali senza vedere la luce, o un neonato con danni cerebrali permanenti: che senso c’è in tutto questo? Una placca che si stacca e causa un’ischemia, un’arteria che cede, un tumore dovuto all’inalazione inconsapevole di radon: cause meccaniche che decidono la vita e la morte di una persona senza che vi sia alcuna profonda ragione, senza alcun legame con l’aver praticato, nella propria vita, il bene oppure il male.
Ognuno come allora “risponde” a certe domande(il senso di qualcosa nello specifico,o del male..) secondo il proprio credo..
Volendo portare la cosa in ottica cristiana, ad esempio, la risposta su certe cose è oggi quella che è da sempre in virtù della Rivelazione..
Quindi l'”uomo pre-scientifico” non vuol dire niente.
La scienza può intervenire su superstizioni non certo su questioni di fede..
La Rivelazione. Una risposta che personalmente trovo troppo mistica, indefinibile, poco pratica, lontana, ma soprattutto che non risponde ai perché. Per quel che capisco, la Rivelazione è la manifestazione esplicita, diretta di Dio attraverso le opere e la resurrezione del proprio Figlio. Solo il fatto che Dio abbia un figlio mi mette francamente in difficoltà; e questo figlio muore per salvarci, ma di preciso da cos’è che ci salva? E ancor prima di questo mi domando cosa o chi ci ha posto nella condizione di dover essere salvati, nel senso che, pur offrendoci Dio la via di fuga, non mi è sufficientemente chiara la ragione prima del male che ci affligge. Non vorrei che in fondo l’inaccettabilità del male non risiedesse tanto nella sua insensatezza quanto piuttosto nel semplice fatto che esso è “brutto”; il bene può essere altrettanto insensato, ma difficilmente ci spinge a chiederci “perché sono felice?”. Almeno così credo. E poi, cos’è questa fretta di lasciare le meraviglie della terra e della vita fisica, destinate a restare largamente inesplorate, alla volta di un cielo incomprensibile? Perché i morti devono “riposare” in eterno? Per quel che mi riguarda, nella vita ci sono cose migliori del riposo, cose delle quali, potessi, godrei senza limite di tempo. La vera maledizione è ritrovarsi ogni giorno in balia di eventi e circostanze imprevedibili, invecchiare se si fortunati, assistere impotenti alle miserie dell’esistenza che non fanno alcuna distinzione tra un uomo e una mosca d’autunno. Insomma, il caso non esclude Dio, ma non ne fa nemmeno una gran pubblicità.
Lei, Giorgio P., non ha certo scritto queste meditazioni esistenziali per avere da altri risposte che solo Lei si può dare. Io intervengo solo su un punto, perché come cristiano mi sono sentito tirato in ballo, erroneamente.
La fede non mi pone nessuna “fretta di lasciare le meraviglie della terra”, anzi mi dà la gioia per gustarle meglio, senza disperarmi per i loro limiti, tra i quali è compreso quel disordine che chiamiamo male e che, negli occhi della fede, si scioglie in un orizzonte più grande.
Eh beh Giorgio P. ,ma lei non conosce la fede cristiana.
Se così non fosse certi interrogativi non li avrebbe, né farebbe confusione o fraintenderebbe alcune cose,né avrebbe una visione distorta del cristianesimo riguardo certe cose.
Questo non vuol dire che avrebbe quel credo,ma semplicemente lo conoscerebbe.
Personalmente può credere e riflettere in e su ciò che vole,ma non lo sta facendo sulla fede cristiana, che evidentemente non conosce.
Data la mia evidente ignoranza, secondo lei a chi potrei chiedere spiegazioni? Al cattolico medio?
C’è una collezione di libri autoritativi per tutti dai “dottori della legge” al più semplice dei pescatori,con parallelismi e tutto quanto, si chiama la Bibbia.
Quella è di certo sufficiente,non è la “parola” che denota quei segreti religiosi pagani ,custoditi accuratamente dai pochi iniziati,né cose affatto comprensibili, né tanto astruse da non essere accessibili che alle menti privilegiate.
Per tutti.
Non so cosa sia un “cattolico medio” e francamente non mi interessa..
Il “cattolico medio” è, nelle mie intenzioni, colui che conosce la Bibbia quanto basta a non “avere certi interrogativi”, a non “fare confusione” e che non ha “una visione distorta del cristianesimo riguardo certe cose”.
La ringrazio dei consigli,
GP
Se uno è cristiano è perché ha una certa fede,idem per un naturalista,un new ager,un buddista..
Alcuni credono che la fede sia superstizione,creduloneria,un’abdicazione della ragione,l’oppio dei poveri,un tranquillante,una droga contro paure varie etc..Ma credono male.
La fede è una fiducia,nel qual caso,a Dio che ha voluto parlare all’uomo mediante le Sacre Scritture, rivelarsi in Gesù Cristo.La fiducia è ovviamente proprio il nodo centrale di tutte le Scritture.E c’è quello che serve ed in modo che possa essere comprensibile per chi cerca risposte.Leggendola un cristiano può imparare sempre cose nuove..
Io non critico nulla,per me ha più senso perfino un “cuius regio, eius religio” che non latre cose,però è chiaro che se uno desidera conoscere una fede e/o fare riflessioni su essa non può che operare in un certo modo.
“Analogamente” a come potrebbe fare per conoscere la teoria della relatività,il pensiero di Freud,i Promessi sposi.
È chiaro perciò che se uno fa certe affermazioni non conosce quella la fede perché altrimenti non potrebbe farle.
Del resto:
“La fede dunque viene dall’ udire, e l’ udire viene dalla parola di Dio.”
-Ai Romani 10,17-
Non è questione di supponenza arroganza,presunzione o altro,semplice realtà dei fatti.
Uno può leggersi la voce cristianesimo sulla treccani,leggere qualche libro,ma non potrà mai essere come attingere direttamente alla fonte.
Conoscendo greco e ebraico si possono anche arrivare a cogliere altre cose,ma non necessarie,infatti qualsiasi traduzione,qualunque codice permette di ricevere ad oggi inalterato il messaggio.
Perciò per rifarmi alle analogie di prima è chiaro che se uno si interroga su come trovare l’ipotenusa in un triangolo rettangolo avendo i cateti noti col teorema di Pitagora non conoscerà adeguatamente il teorema di Pitagora.
P.S.
Questa cosa che fate in molti di firmarvi i commenti in un blog quello è strana però..
Capirei no leggesse una mail jvcblond@mail.com o un nick come UccioPuccio e poi si firmasse Mario Rossi,magari anche con chessò titolo o altro,avrebbe senso.Ma Mario Rossi che commenta e si firma “fiero” mario Rossi a fine commento non ha alcun senso..
Grazie, Giorgio P.
Questo articolo tratta dell’esistenza necessaria del dio dei filosofi. L’esistenza del male non risorge il caso, che resta un prodotto della ragione, un sinonimo della sua ignoranza. Il male, come disordine naturale, fisico e morale, pone piuttosto un problema alla perfezione ordinatrice della Ragione creatrice. Immagino che Lei conosca, anche meglio di me, le risposte che da Platone a Leibniz si danno i filosofi nella teodicea. E che non ne sia soddisfatto, come me.
Diversa è la risposta, per es., della fede cristiana, una risposta scandalosa (ma non irrazionale) per il comune vedere del mondo: “La cattedra dall’alto della quale il Maestro insegna è il legno della croce, a cui le sue membra sono inchiodate” (Tommaso d’Aquino, ST).
Sì, sono d’accordo, io stesso per anni non ho avuto di meglio da fare che dare la fede per superata, nulla più di un antico retaggio tribale, e tutto con l’indispensabile sussidio delle filosofie scientiste. Sbagliavo di grosso, e tuttavia la fede che lei dice non l’ho ancora incontrata (se posso aggiungere, le poche conoscenze scritturali che possiedo mi sono di netto impaccio rispetto agli insegnamenti e alle pratiche cattoliche). A me personalmente, e forse anche ad altri che leggono, gioverebbe di più capire quali sono gli aspetti del cristianesimo che nello specifico mi impedirebbero di fare certe affermazioni (quali?) piuttosto che sentirmi ripetere che mi manca la conoscenza della Bibbia.
Che sono ignorante l’abbiamo capito tutti, magari riusciamo ad andare oltre.
Trovare la fede e conoscerla son due cose differenti Giorgio P.La seconda riguardo un particolare credo potrebbe tranquillamente averla uno che ne professasse un’altro.Ad esempio un ateo potrebbe averla del cristianesimo..
Non è neanche detto poi che per forza che siano collegate entrambe fra loro.Riguardo la prima,di certo,beh da cristiano,credo che Dio offra a tutti almeno una (ma certamente di più) occasioni per “incontrarlo”.
Questo discorso invece nasceva dalla sua prima affermazione sull’uomo pre-scientifico che era inconsistente,per poi proseguire nel merito delle sue affermazioni.
Lungi da me il “bacchettare” o il rivolgermi a lei dandole con un che di invettiva dell'”ignorante”,semplicemente,preso atto di quanto scriveva ‘consigliarle’ la cosa più semplice.
È ovvio che può richiedere modi e tempi diveris da persona a persona.Abbia pazienza Giorgio P.,ma ,per esempio,se io leggo “questo figlio muore per salvarci, ma di preciso da cos’è che ci salva. E ancor prima di questo mi domando cosa o chi ci ha posto nella condizione di dover essere salvati, nel senso che, pur offrendoci Dio la via di fuga, non mi è sufficientemente chiara la ragione prima del male che ci affligge”
per forza di cose devo convenire che chi l’ha scritto proprio “chiarissime” le idee sulla fede cristiana non le abbia.
Mi sembra una constatazione alquanto condivisibile,e quindi poteva anche essere che parlasse senza cognitio causae.
Lei, Leonetto, è troppo intelligente per non capire la confusione che ho sul concetto di peccato. E.. peccato.. che non sia questa l’occasione adatta per approfondire, pena un sonoro OT
Se posso inserirmi nella discussione, Giorgio P., il concetto di peccato è l’allontanamento da Dio.
Egli ha creato l’uomo libero di scegliere se seguire la via proposta da Dio stesso oppure no; se l’uomo liberamente rifiuta la via indicata, alla lunga si comporta come la scimmia dattilografa: in un primo momento è apparentemente felice nel seguire le pulsioni istintive però, dato che l’uomo è anche mente e ragione, esso si autocondanna ad essere dominato dall’istinto, quindi a non amare (ad essere come un automa mosso unicamente dalle passioni).
Giorgio P., non è certo questo il sito per approfondire simili questioni. Ma se ha davvero voglia di saperne di più sul punto di vista cattolico, mi permetto di consigliarle la consultazione delle (centinaia di) risposte date da Padre Angelo di Amici Domenicani, anche a quesiti molto simili ai suoi.
http://www.amicidomenicani.it/sacerdote.php
Sono di una chiarezza e di una limpidezza straordinarie oltre a essere, naturalmente, del tutto aderenti alla dottrina.
Non per farsi convincere, se non ne ha voglia, ma solo per capire meglio le posizioni cattoliche.