La teoria del “gender” è al centro di un intenso dibattito dalle ricadute molto vaste.
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Ma si tratta di una teoria fondata o è solo un’astratta speculazione?
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Su questo deve avere l’ultima parola la scienza.
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Teoria del gender:
“Il genere è un prodotto della cultura umana e il frutto di un persistente rinforzo sociale e culturale delle identità: viene creato quotidianamente attraverso una serie di interazioni che tendono a definire le differenze tra uomini e donne. A livello sociale è necessario testimoniare continuamente la propria appartenenza di genere attraverso il comportamento, il linguaggio, il ruolo sociale. Si parla a questo proposito di ruoli di genere.
In sostanza, il genere è un carattere appreso e non innato. Maschi e femmine si nasce, uomini e donne si diventa” (Wikipedia).
La teoria del “gender” è al centro di un ampio fenomeno sociale che sta attraversando l’intero Occidente, si tratta di una teoria dalla quale deriva tutta una serie di ricadute anche legislative. Ed è proprio a causa di queste ricadute che è necessario stabilire la valenza scientifica delle teoria stessa. Nel cercare di far luce su questo punto sorprende la mancanza di studi scientifici che mostrino degli elementi di corroborazione all’ipotesi “gender”, ma proprio in questi ultimi tempi un breve documentario norvegese ho mostrato in modo sintetico e chiarissimo l’assenza di tali elementi. Si tratta di un documentario che stranamente è stato realizzato non da un giornalista scientifico ma da Harald Meldal Eia, un documentarista e attore norvegese, questo però non deve far pensare che si tratti di un lavoro non qualificato, la qualità del documentario è nel livello delle figure professionali intervistate e nei loro studi.
Stiamo parlando de “Il paradosso norvegese”, titolo che prende spunto dal fatto che nel paese dove maggiore è l’uguaglianza di trattamento tra i due sessi, maggiore è la differenza nell’orientamento nel mondo del lavoro. Il video è stato sottotitolato in italiano ed è disponibile su Youtube:
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L’autore ha incontrato diversi esponenti della ricerca in ambito biologico e sociologico che hanno preso posizione sul gender i quali da posizioni contrapposte hanno esposto le loro ragioni. Il primo personaggio ad essere incontrato è Camilla Schreiner, dell’università di Oslo che nello studio intitolato “How do students perceive science and technology?” del 2009, condotto su un campione di circa 50.000 studenti di 40 paesi ha trovato dei risultati molto interessanti riguardo le scelte e gli interessi dei due sessi.
Vediamo i grafici che evidenziano i dati raccolti:
Fig.1
Alla domanda “scienza e tecnologia sono importanti per la società” (Fig.1), come illustrato nel grafico qui sopra, maschi e femmine hanno dato risposte simili e poco differenziate in base al paese di appartenenza, fatto che fa pensare che la diversa cultura ed educazione poco abbiano influito su questo punto.
Alla domanda sullo studio scolastico delle scienze le risposte hanno però iniziato a mostrare interessanti differenziazioni in base ai paesi:
Fig.2
Come è possibile constatare (Fig.2) le risposte mostrano un maggior gradimento dello studio scolastico delle scienze nei paesi meno industrializzati e meno orientati ad una politica di uguaglianza tra i sessi. Ma non è tutto, ancor più sorprendenti sono state le risposte alla domanda “ti piacerebbe diventare uno scienziato?“:
Fig.3
In questo caso (Fig.3) si vede confermata la prevalenza di risposte positive nei paesi non industrializzati e la differenziazione tra maschi e femmine indipendentemente dalla cultura in cui i soggetti si sono formati. Ma davvero notevole è la differenza tra maschi e femmine quando la domanda diventa sul lavoro che si desidererebbe svolgere, ed esattamente: “ti piacerebbe lavorare in ambito tecnologico?“. Ecco i risultati:
Fig.4
Quello che nessuno si sarebbe aspettato (Fig.4) è che nei paesi dove maggiore è stata l’uguaglianza di educazione impartita a maschi e femmine, maggiore è la differenziazione nelle scelte tra i due sessi. Questo è il “paradosso norvegese”. Come si può constatare la Norvegia è risultato il paese dove maggiormente femmine e maschi hanno espresso una forte differenziazione nelle preferenze con una conferma dello “stereotipo” che vuole i maschi più propensi alle attività tecniche rispetto alle femmine. Eppure secondo le statistiche la Norvegia è ai primissimi posti nell’educazione rispettosa dell’uguaglianza di genere, come risulta dagli studi al riguardo:
La conclusione a cui giungono i ricercatori è che nei paesi in via di sviluppo i lavori in ambito tecnologico vengono visti come il mezzo migliore di progresso sociale o semplicemente come opportunità d’impiego, nei paesi più sviluppati invece la libertà di espressione è maggiore e allora le libere scelte si possono manifestare meglio mostrando una maggiore preferenza anche per altri campi lavorativi e soprattutto, per quel che concerne il gender, le femmine hanno espresso in una percentuale significativamente diversa il desiderio di svolgere altre attività rispetto a quelle tecniche.
Conclusione: dove esiste la maggiore libertà educativa e di espressione le femmine e i maschi esprimono scelte differenti. E questa è una confutazione della teoria del gender che assume invece una differenza solo somatica tra maschi e femmine.
L’inchiesta prosegue con un’intervista a Cathrine Egeland, dell’Isituto di ricerca sul lavoro, che ha scritto diversi rapporti sulla scelta dei mestieri da parte dei generi, come “Gender equality and quality of life : a Norwegian perspective“, nel quale si evince però solo una generale diffusione tra la popolazione dell’idea che l’uguaglianza di genere sia una cosa positiva e debba essere conseguita. Una ricerca sulle convinzioni riguardo alla teoria dell’uguaglianza del gender, non sulle loro preferenze personali, si tratta cioè di uno studio su quanto l’idea di gender sia diffusa tra la popolazione, non si occupa di dimostrarla o no, e si tratta di una differenza sostanziale.
Sullo stesso versante anche il ricercatore Jørgen Lorentzen del Centro di Ricerca interdisciplinare sul Genere dell’Università di Oslo, che alla domanda sull’esistenza di differenze reali tra il cervello maschile e quello femminile risponde che si tratta di “studi superati” e che a parte i caratteri sessuali primari e secondari, per tutto il resto non esistono differenze. Per Lorentzen le differenti scelte evidenziate nella ricerca di Camilla Schreiner sono dovute (nonostante le diverse culture rappresentate) esclusivamente al condizionamento educativo.
Per cercare di fare chiarezza su questo punto l’intervistatore si sposta poi negli USA per incontrare il Dr. Richard Lippa, Professore di Psicologia presso la California State University, il quale ha svolto una ricerca su un campione estremamente grande costituito da circa 200.000 persone di 53 paesi del mondo, una ricerca che ha confermato le differenti scelte e preferenze riscontrate nella ricerca di Camilla Schreiner, con i maschi più orientati verso la meccanica e le femmine verso i rapporti sociali. Alla domanda se questo sia conseguenza dell’educazione anche il prof. Lippa risponde che in tal caso si dovrebbero riscontrare differenze tra i vari paesi e le varie culture, cose che però non si verifica. Ma lo stesso Lippa afferma che per avere una risposta significativa nella scienza bisogna cercare altre conferme, in questo caso bisogna cercare prove di un differente orientamento del cervello maschile e femminile sin dalla nascita.
Una prima conferma giunge dal prof. Trond Diseth, dell’Oslo University Hospital, che lavorando con bambini che presentano deformazioni ai genitali ha elaborato un test per verificare le scelte riguardo ai giocattoli riscontrando che fin dall’età di nove mesi esse sono differenziate tra maschi e femmine. Per Diseth i bambini nascono con delle differenze innate che l’ambiente può successivamente rafforzare o diluire. Ma gli studi di Diseth non appaiono conclusivi su questo argomento, e così la domanda viene posta al prof. Simon Baron-Cohen dell’Università di Cambridge e membro del Trinity College.
Gli studi di Cohen su bambini neonati (quindi con la certezza di non aver ricevuto alcun condizionamento ambientale di tipo culturale) sono stati pubblicati nel 2000 sulla rivista peer review Elsevier nell’articolo “Sex differences in human neonatal social perception“, i risultati non lasciano spazio a dubbi: esistono caratteristiche innate (con una irriducibile componente biologica) e diversificate nei cervelli dei bambini maschi e femmine, come dichiarato nell’Abstract:
La ricerca ha dimostrato che le differenze tra i sessi sono “in parte biologiche all’origine”. Non del tutto biologiche, non si contesta l’influenza dell’ambiente, ma si accerta una predisposizione biologica, e questo sarà un punto molto importante per affrontare le questioni educative legate alla teoria del gender.
Il prof. Cohen ha poi in seguito sostenuto che non deve essere considerato un atteggiamento “sessista” il ritenere che la biologia condizioni il comportamento, come avvenuto ad esempio nel 2010 sulle colonne del Guardian “It’s not sexist to accept that biology affects behaviour“.
Infine è la volta della prof. Anne Campbell dell’Università di Durham che partendo da un approccio evolutivo giunge alla conclusione che il cervello maschile e femminile devono essere diversi perché l’evoluzione darwiniana non può che averli selezionati secondo caratteristiche differenti, tesi esposta nel libro “A Mind Of Her Own-The evolutionary psychology of women” pubblicato dall’Oxford University Press. Se è vero che esistono “intersezioni” di interessi tra i sessi, è vero anche che esistono caratteristiche “tipiche” legate a geni selezionati dall’evoluzione.
Con l’intervista alla prof. Campbell il documentario volge al termine, a questo punto restano delle importanti considerazioni che, in assenza di eventuali smentite, devono guidare un approccio scientifico alla teoria del gender:
1- La teoria del gender si basa su un’ipotesi fondata solamente su un presupposto “teoretico”.
2- I sostenitori della teoria del gender non la supportano con ricerche scientifiche.
3- Dove le ricerche scientifiche sono state condotte hanno mostrato una convergenza verso la dimostrazione di una differenza innata, non solo morfologica ma anche psicologica, tra maschi e femmine.
4- La cultura può confermare o contrastare questa differenza biologica innata.
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Di fronte a questi dati un atteggiamento scientificamente fondato di educatori, docenti, divulgatori e politici deve condurre a delle coerenti conseguenze:
a- La componente di differenza innata tra maschi e femmine va insegnata nei corsi di biologia a tutti i livelli di istruzione.
b- Fornire indicazioni o materiale didattico che vada nel senso di una negazione di tale componente di differenza innata non è scientificamente corretto.
c- Orientare psicologicamente un bambino in senso opposto a quello della sua componente innata deve essere considerata una forzatura arbitraria lesiva dei diritti della persona.
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Quella del gender è, in conclusione, da considerarsi una teoria confutata. Proporre tale teoria come base per le scelte sociali, culturali, educative e legislative è da considerarsi un atto ingiustificato.
In nome della scienza.
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42 commenti
Pingback: Gender: una teoria scientificamente infondata | Libertà e Persona
Molto interessante e ben fatto il documentario norvegese. Mi ha colpito la risposta del secondo ricercatore di genere norvegese quando gli è stato chiesta quale teoria alternativa alle influenze biologiche (che lui negava) proponesse. In sostanza ha affermato la sua è solo un’ipotesi (e questo sarebbe ancora corretto dal punto di vista scientifico) ma poi ha anche affermato che avrebbe creduto alla teoria dell’influenza biologica solo quando questa sarebbe stata provata scientificamente. Ora, anche ammettendo che le ricerche americane e inglesi sull’origine innata delle differenze di genere non siano prove conclusive per la teoria”biologica”, la risposta del ricercatore norvegese suona terribilmente “verificazionista” e che non sarebbe piaciuta a Popper. Il fatto che un determinato esperimento (come ad esempio quello fatto sui bambini di un giorno) “falsificasse” in modo piuttosto chiaro l’ ipotesi delle influenze culturali come determinanti delle differenze di genere veniva semplicemente considerato scientificamente “debole”. Giustamente l’intervistatore si chiedeva se non si trattasse del fatto che gli studi tendono a sembrarci “deboli” se non confermano le nostre ipotesi. In realtà accettare come dato di partenza la falsificazione di un’ipotesi è la differenza che corre tra ricerca scientifica e ricerca ideologica.
Aggiungo che personalmente mi ha colpito molto il fatto che la Egeland accusasse gli altri di cercare con accanimento delle prove a favore della propria teoria mentre appare proprio lei ad ostinarsi a sostenere una teoria non corroborata e falsificata, ammettendo per di più di fare della teoresi.
A questo punto vorrei che i sostenitori della teoria del gender presentassero degli studi a loro favore per sottoporli ad un’analisi critica.
Sì l’avevo visto ed è molto interessante.
Quello che mi ha lasciato più perplesso è appunto la risposta di quella ricercatrice che alla domanda su quali fossero le basi scientifiche della teoria del gender dice che “sono basi teoretiche”.
Ok mi può andare bene, ma la teoria deve essere dimostrata e ripetibile altrimenti rimane appunto una teoria indimostrata e quando dall’altra parte ci sono delle osservazioni della realtà che dicono l’opposto, il teorico dovrebbe farsi per lo meno delle domande e non definire quegli studi come “vecchi e superati”.
Amche il teorema di Pitagora e la teoria della gravitazione sono vecchi.
L’essere studi vecchi quindi non vuol dire nulla in assenza di studi nuovi che dimostrino il contrario.
Come dicevo nell’intervento sopra anche a me l’ammissione di basarsi solo su considerazioni teoretiche è apparsa incredibile.
Riporto la definizione di teoresi della Treccani:
“teorèṡi s. f. [dal gr. ϑεώρησις, der. di ϑεωρέω «vedere, indagare»]. – Attività speculativa, non intesa a finalità e applicazioni pratiche: un filosofo impegnato solo nella t.; un’opera di pura teoresi. Si contrappone a prassi e si distingue da teoria, rispetto alla quale sottolinea l’assenza di fini e interessi applicativi.”
Un’attività speculativa senza fini applicativi sarebbe quindi la base per dei fini applicativi. Questi hanno le idee confuse.
Altro che dimostrazioni, siamo davvero lontani dalla scienza.
Hai fatto bene Enzo a fare un articolo su quel filmato.
Conoscevo lo studio sull’autismo e quello che hanno trovato taglia decisamente la testa al toro.
Incredibile come quei due Norvegesi piuttosto che ammettere di aver preso il granchio preferiscano negare.
Io credo che chiunque possa, attraverso il proprio vissuto,le proprie esperienze, notare come ci sia una differenza innata fra donne e uomini.
Infatti molti intervistati lo dicevano tranquillamente.
Ma la cosa interessante è che,a meno di negare l’evidenza,si giunge alle stesse conclusioni sia con una visione neodarwinista che antidarwinista in questo caso.
Vorrà pur dir qualcosa ,no?
Io credo che i punti 1-4 e a-c dovrebbero essere ben resi pubblici e riconosciuti per la loro veridicità.
P.s.
Il campione di paesi europei presenti nel grafico lascia un po’ l’amaro in bocca,sarebbe stato bello avere Germania,Francia,Italia,Spagna,Austria,Svizzera e Paesi Bassi…
Ciao Leonetto,
il tuo parere è per me importante, grazie per aver sottolineato che sia partendo da una concezione non darwiniana che da una darwiniana le conclusioni sono le stesse, quindi i sostenitori del gender si pongono anche contro i biologi evolutivi darwiniani, peccato che questi non facciano notare la cosa (probabilmente su pubblicazioni come Micromega e simili non sarebbe molto gradito un intervento di questo tipo).
Riguardo ai punti da te sottolineati (1-4; a-c) vorrei anch’io che su di essi ci fosse la massima diffusione e dibattito.
A tal fine li ho segnalati anche su Libertà e Persona e l’articolo è stato già ripreso su altri siti, se tutto va bene potrebbe esserci qualche frutto.
Eh Enzo alcuni darwinism-friendly cme Micromega sono un po’ criptici,son darwinisti se fa comodo,altrimenti sono solo semplicemente new-ager o altro..
Un po’ come la bufala del matriarcato,riconosciuta anche dagli evoluzionisti come bufala ,ma qualcuno se gli fa comodo la tira fuori come verità storica.
Del resto le just so stories son così ognuno racconta quelle che gli piacciono..
Che ci vogliamo fare, quando uno comincia a raccontare e, peggio ancora, a credere alle ‘storie proprio così’, poi non ha più limiti.
Gentile Leonetto, anche se (in parte) O.T., avrei piacere di ricevere qualche informazione in piu’ sulla questione del matriarcato da lei citata.
Grazie.
si,ora magari vediamo un attimo come fare..
Per chi volesse ecco il link ad un libro gratuito di Manif Pour Tous Italia sull’argomento: Genere o Gender?
Gentile prof. Pennetta,
il documentario è effettivamente molto interessante e mi conferma in una sensazione (diversamente, nel mio caso, non posso qualificarla) circa un differenza “strutturale” tra uomini e donne. Le racconto un aneddoto divertente, ma credo esattamente in termini rispetto all’argomento. Una volta chiacchierando di figli con un collega (molto più anziano di me, io ho una femmina di nove anni e lui due di quaranta) mi raccontò che sua sorella, femminista dura e pura, regalò alla figlia del mio collega (al tempo ancora bimba) una caserma giocattolo con soldatini annessi. La bimba si è messa subito all’opera e ha cominciato a giocarci. La zia, forte di questo immediato riscontro, ha cominciato a sciorinare al fratello e alla moglie (perplessi) le sue teorie, che mi sembrano, dal racconto che me ne ha fatto il mio collega, del tutto simili a quelle del gender di cui si parla nel documentario. Quando la bambina è riapparsa dopo ore di gioco, la zia, trionfante, le ha chiesto: “allora ti sei divertita a giocare con i soldatini?” e la bambina: “si zia, gli ho fatto fare la pappa uno per uno, li ho messi a letto, gli ho cantato la ninna nanna e adesso dormono tutti”.
Io non so dire, non è ho le competenze, se sia un fattore genetico o culturale o entrambi, né, per vero, la cosa mi sembra poi così rilevante dal mio punto di vista di semplice padre (fermo che la scienza non può esimersi dall’indagare la questione e che i risultati di queste ricerche, quali che siano, debbano essere insegnati nelle scuole di biologia). Assumo (perché lo dicono i dati che ci propone e perché ne sono convinto anche “a naso”) che la differenza sia innata e che, come scrive lei nell’articolo “La cultura può confermare o contrastare questa differenza biologica innata”
Ciò che però manca nel suo articolo e che invece gli scienziati contrari alla teoria del gender hanno, verso la fine del documentario, affermato, è che, laddove i condizionamenti culturali sono minori (caso Norvegia) queste differenze innate emergevano con maggiore facilità. Dovrebbe concludersi che rimuovere, per quanto possibile, condizionamenti di genere nell’istruzione (o dalla società) non pregiudica l’emersione delle tendenze innate, anzi lo favorisce. Il che mi sembra coerente a livello generale: non ha senso insegnare ciò che è innato ed è sbagliato frustrare le inclinazioni innate. In linea generale la neutralità dell’istruzione (nessun condizionamento né in un senso né nell’altro) dovrebbe essere auspicabile proprio da chi rifiuta la teoria del gender perché così si è certi che la natura farà il suo corso.
Questa considerazione mi restituisce però come ambigue le conclusioni del suo articolo che, se assunte in un certo senso, rischiano di essere contraddittorie. Lei dice:
“a- La componente di differenza innata tra maschi e femmine va insegnata nei corsi di biologia a tutti i livelli di istruzione.
b- Fornire indicazioni o materiale didattico che vada nel senso di una negazione di tale componente di differenza innata non è scientificamente corretto.
c- Orientare psicologicamente un bambino in senso opposto a quello della sua componente innata deve essere considerata una forzatura arbitraria lesiva dei diritti della persona
Quella del gender è, in conclusione, da considerarsi una teoria confutata. Proporre tale teoria come base per le scelte sociali, culturali, educative e legislative è da considerarsi un atto ingiustificato.”
Le lettere a e b, considerate per se stesse, non fanno una piega, purché si insegni biologia e non si intenda veicolare il messaggio che in quanto uomini o donne si è inetti ad un determinato lavoro (un conto del resto è la preferenza innata, un altro è l’attitudine (innata?). ll perché di questa cautela lo spiega lei stesso nella lettera c “Orientare psicologicamente un bambino in senso opposto a quello della sua componente innata deve essere considerata una forzatura arbitraria lesiva dei diritti della persona”.Questa frase la condivido perché ricorda in maniera esemplare che il diritto di seguire le proprie inclinazioni è un diritto della persona, dell’individuo. Ed allora vanno benissimo le statistiche, purché non ci si scordi dell’individuo e quindi di quella minoranza di bambine che invece manifestano una preferenza (innata?) per le materie scientifiche e che subiscono il fascino irresistibile del lavorare in miniera (contente loro). Condizionarle nel senso di dire che sono genericamente predisposte per stare a casa a cambiare pannolini, a lavare per terra e a preparare la cena a quel geniaccio di loro marito di rientro dal CERN perché così è scritto nel loro DNA, oltre a “puzzare” di determinismo è pur sempre una violazione dei diritti della persona.
Del resto le figlie del mio collega sono oggi una avvocato e l’altra chirurgo anche se quarant’anni fa poteva concludersi che sarebbe stato contro natura mettergli grilli per la testa insegnargli professioni per cui non erano geneticamente predisposte e ed era piuttosto naturale insegnargli economia domestica.
In conclusione, a me la teoria del gender sembra una baggianata (se poi la scienza mi smentirà mi cospargerò il capo di cenere). Ciò non di meno, credo la soluzione migliore da assumere a livello sociale, culturale, educativo e legislativo sia quella di eliminare il più possibile condizionamenti di genere per far si che le tendenze innate, quali che siano, restino libere di esprimersi e svilupparsi (ma forse diciamo la stessa cosa….)
Alessandro, grazie per l’aneddoto che è davvero significativo oltre che divertente.
Concordo con lei su tutto, puntualizzo solo sugli aspetti da lei sollevati e che potrebbero non essere del tutto chiari.
Ovviamente il fatto che esistano differenze “tipiche” non significa che se dei bambini fanno scelte “non tipiche” non siano bambini normali.
Che gli si mettano davanti macchinine e bambole, poi i bambini scelgano liberamente con cosa giocare, abbiamo visto che questo, come avverrà dove ci siano condizioni lavorative con una certa possibilità di scelta, poterà ad una prevalenza di scelte “tipiche” nei due sessi.
Insomma, si eliminino pure scelte preconfezionate ma si lasci libertà ai bambini di scegliere i giocattoli senza spingerli a giocare con “tutto” e senza indottrinarli con opuscoli o fiabe scritte ad hoc.
…dunque dicevamo la stessa cosa…
Saluti
Alessandro
Alessandro essendo già una bimba non piccolissima, la femminista e quei due norvegesi convinti,come può evincere avrebbero detto che ciò che si era verificato era frutto di un condizionamento ricevuto,indirettamente o no.
Come si dovrebbe aver capito anche banalmente leggendo la definizione di Wikipedia.
Il punto è che è la scienza che mostra che quest’idea, frutto di considerazioni teoretiche,è sbagliata.
Ma in fondo le persone con la loro esperienza l’hanno sempre ravvisato.
Per esempio io posso portare anche l’esempio di una bambina,anche non-vedente, fin da piccolissima, dai primi anni ha mostrato interesse e grande attrazione per i cavalli,cosa che,si può vedere in molte statistiche è prettamente femminile.Dalle giostrine-dondoli preferiva cavalli fino a quelli in carne ed ossa.
E addirittura ha mostrato l’interesse per le scarpe..i bambini maschi che posso aver visto mostrare interesse per le scarpe lo facevano o perché queste emettevano suoni e luci e gli ‘garbava’ trastullarcisi oppure perché avevano disegnato l’eroe di turno (e spesso e volentieri la scarpa regalava un gadget dell’eroe stesso).
È una differenza che parte dal modo di ragionare(diverso non vuol dire che uno ragioni meglio o di più attenzione)e che si riscontra in abilità che generalmente sono migliori nell’uomo o nella donna.
Questo lo sanno e lo constatano genitori,fidanzati,nonni,zii,sposi,amici e l’hanno riscontrato sia studiosi neodarwinisti che non.
La scienza e l’esperienza dicono una cosa eppure in molti si schierano a favore di una congettura teoretica.
Senza contare che,al di là delle considerazioni sull’orientamento sessuale,la cosa può avere altri riscontri nel sociale.
Infatti all’interno del punto ‘c’ ,molto importante,c’è anche il fatto che se due persone sobno ‘uguali’ e faccio sì che ricevano un trattamento ‘paritario’,uno dei due potrà perderci o guadarci,ma questo perché vuol dire che aveva privilegi ingiustificati o ‘diritti’ negati.Ma se le persone sono diverse,il trattamento finisce per danneggiarne una o entrambe.Perché in quel caso un trattamento paritario è uno che tiene conto delle diversità.
Leonetto, il mio collega non mi ha raccontato cosa abbia poi detto la zia femminista. Ho solo la sensazione che le fragorose risate dei genitori, dopo un’ora di filippica gender/femminista, non le abbiano lasciato molto spazio di replica (così come la mia risata ha chiuso lì la chiacchierata con il mio collega). Ma probabilmente l’argomento di replica sarebbe stato quello da lei indicato (anche se la ninna nanna a dei soldati richiederebbe non un semplice condizionamento, ma un lavaggio del cervello che il mio collega e sua moglie non sono davvero tipi da fare).
Sull’ultimo punto, capisco cosa vuole dire, ma si tratterebbe di sciogliere il nodo gordiano che lega uguglianza, diversità, non discriminazione e pari opportunità, che spesso si ha piuttosto voglia, per frustrazione, di tagliare in due (o in quattro) con la spada. Io credo, senza pretesa che questa sia una soluzione sempre giusta o sempre più efficiente (se mi passa il termine), che ogni tanto si debba semplicemente fare un passo indietro e lasciarsi guidare, come società, dal singolo, anche dai bambini e dalle bambine. Non dobbiamo per forza indirizzarli in un senso, ma piuttosto sostenere le loro (ontologicamente diverse) inclinazioni, non solo come genere, ma anche e soprattutto come individui, dandogli pari opportunità di svilupparle e massimizzarle. Del resto la società moderna è dialettica tra individuo e collettività e l’istruzione è un momento topico (il più importante, a mio avviso, insieme all’educazione) di questa dialettica.
Posto che, Alessandro, se ha voglia di leggersi un po’ di teorici del gender vedrà che in lor congettura un condizionamento sufficiente è assai più piccolo del lavaggio del cervello che lei ha in mente,tanto che il fatto che racconta non li turberebbe più di molto.
Detto ciò,per il resto,certo,condivido,ma il problema non sono tanto indirizzamenti in un verso o in un altro(su cui comunque condivido ed ha ragione), quanto il punto ‘c’ per i bambini e il duale per gli adulti che possono danneggiare più o meno uomini/donne e famiglie.
Perché la famiglia occupa un posto,importantissimo, ma poi c’è la società ,la collettività,lo Stato,il lavoro,la scuola,i media ed è lì che in particolare forse bisogna riflettere su cosa passi e su cosa si metta in pratica e le ricadute che ne derivano sui singoli e sulle famiglie.
È importante condividere e diffondere e dare risalto a quanto emerge dal video-documentario,dall’articolo di Enzo e da vari documenti simili perché ci si va a trovare veramente di fronte a qualcosa di assurdo.
leggendo l’ultimo libro di Andreoli: “l’educazione (im)possibile”
l’autore ad un tratto richiama alla memoria come negli anni ’70 si propugnava l’idea erronea che i bimbi non andassero “castrati” e lasciati liberi di agire senza alcun divieto, Andreoli chiude dicendo che in realtà questo approccio non è garantire libertà ma educare alla non-educazione quindi sempre un condizionamento, una forma educativa.
Penso che questi teorici del gender facciano lo stesso errore, cioè non garantiscono imparzialità ma crescono bambini senza identità sessuale, pur sempre un condizionamento.
Un condizionamento che ha come base una ideologia, come ben descritto nel post e non scienza, intesa come esperienza e deduzione.
In pratica un esperimento su esseri umani.
Come chi vuol negare la metafisica usa la stessa per farlo (cadendo in contraddizione), così chi vuole “non educare” alla fine usa una forma (pur “deteriore” in qualche modo) di educazione per farlo.
Grazie Alèudin, il tuo intervento mi dà modo di riflettere.
Leonetto, credo che, quanto a questo argomento, in realtà concordiamo su tutto. Ora mi pone però un problema ancora più ampio che riguarda in generale la divulgazione scientifica e, in una qualche misura, la propaganda “politica” (in senso ampio) che spesso si alimenta di teorie che di scientifico hanno poco o che, comunque, non hanno ancora avuto riscontri sperimentali tali da potere essere assunte e propalate come “vere”. Qui, oltre stigmatizzare personalmente un tale comportamento (che da non scienziato mi trovo in realtà a subire), credo che un intervento legislativo andrebbe a toccare uno degli organi fondamentali della democrazia, che è quello della libertà di manifestazione del pensiero. Ci vuole quindi cautela.
Sul punto (restando disponibilissimo ad una chiacchierata sull’argomento)mi limito a due considerazioni:
a -ancora una volta credo che l’istruzione sia il miglior antidoto contro la propaganda di qualunque genere. Non limiterei quindi la libertà di manifestazione a mezzo media delle baggianate (lo ritengo pericoloso) ma penserei a tenere fuori le baggianate e i condizionamenti dalla scuola (che è cosa difficilissima e richiede, mi rendo conto, uno sforzo culturale e collettivo, in termini di onestà intellettuale, enorme, soprattutto in questo paese, dove l’istruzione è l’ultima ruota del carro invece che la base della nostra società da maneggiare come cosa sacra);
b – penserei ad una parità di accesso in materia scientifica ai media, una sorta di par condicio, considerata l’influenza che ormai la scienza o presunta tale ha (ed ha avuto in passato, a volte in maniera tragica) nella formazione di correnti di pensiero, filosofie, politiche varie …ma qui siamo forse all’utopia…
È necessario mostrare la reale natura di ciò che uno diffonde,il più possibile, e promuovere lo sviluppo di un pensiero critico,quello sicuramente.
Va palesato che scelte sociali,educative prese ,proposte o altro siano basate su congetture teoretiche o su altro.
Ossia per quotare Enzo:
“Di fronte a questi dati un atteggiamento scientificamente fondato di educatori, docenti, divulgatori e politici deve condurre a delle coerenti conseguenze:
a- La componente di differenza innata tra maschi e femmine va insegnata nei corsi di biologia a tutti i livelli di istruzione.
b- Fornire indicazioni o materiale didattico che vada nel senso di una negazione di tale componente di differenza innata non è scientificamente corretto.
c- Orientare psicologicamente un bambino in senso opposto a quello della sua componente innata deve essere considerata una forzatura arbitraria lesiva dei diritti della persona.”
Alessandro,giusto per giungere un momentino a livello più pratico,per chiarire un po’ quello che sto dicendo,si può dire che se ‘domani’ vi fosse un qualche referendum o qalche movimento propagandasse certe cose sarebbe cosa gradita che chi si trovi a partecipare a queste cose non si trovi a pensare cose che gli son state vendute per scientifiche(ma che non lo sono),o per cose certe di dominio pubblico,per un qualcosa che solo chi è razzista o altro non accetta,un qualcosa che indica il progresso,ma che invece non lo fa.
Le decisioni che il singolo prende,piccole o grosse dovrebbero comunque essere precedute da un’informazione che il singolo cerca,siamo d’accordo,però se viene largamente diffusa un certo mainstream poi allora certe adesioni,certi voti,certi comportamenti sono condizionati,magari in libertà sarebbero differenti.
Magari no,però sarebbe auspicabile che l’informazione diffusa fosse attinente a quella che è la realtà delle cose,poi in caso di politici o quotidiani,riviste o canali particolari può essere anche faziosa ma sempre evitando di fare disinformazione.
Perché di fatto questo stà avvenendo quì ma anche in Europa e non..
Leonetto, sono d’accordo su tutto. E’ che proprio dal punto di vista pratico la questione mi si prospetta come molto complessa perchè la democrazia, per sua natura, ha pochi anticorpi contro il mainstream ed è debole di fronte alla propaganda. Io personalmente, ma è solo un modo di vedere la cosa, credo che alla base della democrazia, di una buona democrazia, che non si risolva in una dittatura della maggioranza, sta la cultura, il senso civico di un popolo, la sua complessiva onestà intellettuale. Su questo, in Italia (più che in Europa) dovremmo lavorare e tanto…anche se (mi perdoni il pessimismo) non vedo molta intenzione di farlo..
Beh si inizia sempre cercando di dare l’informazione e farla arrivare dcove più si può,certo,alcune “battaglie” sono un po’ come andare all’attacco di una nave da guerra con un gommone.
Se un imbecille che si incolla le labbra con l’attack,altri che si schiantano contro catus o che facciano penose,demenziali,pericolose,stupide challenge ottengono molta visualizzazione può essere che anche cose importanti e che riguardano ogni singola persona possano ottenerla in qualche modo.
Concordo che anche su queste cose la situazione è abbastanza critica,però chissà..
Per esempio Alessandro è stata impedita la circolazione di materiale “educativo” sulla teoria del gender in scuole italiane e francesi.
Senza una certa mobilitazione ciò non sarebbe avvenuto e sarebbero comunque state presentate certe cose a bambini per quello che non sono,sensa l’autorizzazione delle famiglie.
Quindi certe cose possono avvenire.
Un articolo ed un documentario molto interessanti.
La questione è molto complessa, apprezzo molto la soluzione espressa in tre punti del professor Pennetta; tuttavia, rimango della convinzione che la psicologia e le scienze sociali siano forme di conoscenza estremamente “docili” e le più corruttibili dall’ideologia e dalle varie modalità di auto-percezione dell’uomo in tempi e luoghi differenti. Ne è un esempio la Psicoanalisi, che è riuscita a preservare una sorta di fascino veritiero fra i più fino agli anni 50′, quando ha cominciato a parodiare se stessa e ad incamminarsi verso la decadenza deputata dall’imminente rivoluzione sessuale.
Si parla dunque, in particolare, del concetto di “scelta” individuale, sia nel fronte dei sostenitori del gender che nel “nostro”, pur interpretandola antiteticamente. Vi sono state nella storia società in cui il concetto di scelta individuale non solo non esisteva, ma non recava affatto squilibri reciproci inconcepibili, o almeno non più grandi di quelli che ancora oggi sussistono. Voglio perciò ammettere, in linea generale (sperando di essermi spiegato chiaramente), l’impossibilità di riuscire a formulare un principio generale della buona psicologia proprio perché non ne è concepibile la sua formalizzazione matematica. Mi auguro sovente l’avvento di tecniche di matematicizzazione delle scienze antropologiche. Si hanno ancora, come si sa, dubbi sulle scienze fisiche e bilogiche, ed il suddetto obiettivo pare lontano ed inimmaginabile.
L’ideologia può di sicuro inquinare non solo le scienze sociali e la psicologia, proprio qui su CS ci confrontiamo quotidianamente con l’influenza delle ideologie anche su scienze non “docili”.
Ma non credo che sarà mai possibile matematizzare le scienze umane, e sono convinto che sia meglio così… 🙂
Professore, mi sono spiegato male.
Le scienze dure, come viene testimoniato continuamente in questo sito, sono affatto inquinabili dal paradigma dominante. Sono influenzabili nel contenuto di verità e nell’ambito della falsificabilità, ma non possono essere corrotte nella linea più profonda, ossia nella sostanza dell’Adaequatio Rei et Intellectus, che è un processo prescindente ogni ideologia a mio dire (tento di esplicarmi ulteriormente con un esempio: la genetica mendeliana è una buona applicazione dell’adaequatio; la Sintesi Moderna un’applicazione corrotta dal materialismo riduzionista; non è possibile invece mutare la forma epistemologica dell’adaequatio della matematica e della scienza senza contraddire la ragione umana nella sua totalità).
Per quel che riguarda le scienze antropologiche, esse reputo essere a mala pena nel loro stadio embrionale, ed il fatto che non esista una forma mentis coerente ed universale delle scienze antropologiche affine e confrontabile con quella delle scienze fisiche e biologiche si riflette nella frammentarietà e vacuità delle varie scuole psicologiche, incapaci di sciogliersi dall’auto-percezione del contesto storico e spaziale in cui vengono a trovarsi.
Perdonate la poca chiarezza se c’è (con buona pace di quell’uomo meraviglioso di Galileo).
Altro che “poca chiarezza”… ti sei spiegato molto bene, ero io che non avevo ben compreso, e concordo con te.
Professore, forse Alio Alij è riuscito a spiegare meglio di me lo scetticismo che tempo fa manifestai qui su CS (e che, almeno in parte, conservo ancora) a proposito della psicologia come scienza.
Non la giudico per questo inutile o sbagliata a priori ma ancora mi risulta difficile pensare che, almeno ad oggi, si possa ad essa chiedere la stessa oggettività e lo stesso rigore scientifico che si applica alla fisica, o alla biologia, o all’ingegneria (per i motivi ben espressi da Alio Alij, che ringrazio).
E da un canto, lo dico francamente, il fatto che probabilmente la mente non possa essere spiegata con una serie di leggi meccaniche e deterministiche (perlomeno non come vorrebbero i riduzionisti) ben si accorda con la mia visione metafisica dell’uomo (che comprende il libero arbitrio) e del mondo.
Questo tenendo sempre a mente l’adaequatio rei et intellectus: tutti pronti a cambiare idea piuttosto che piegare i fatti. 😉
Ma vedi Law,la scienza,banalmente è scienza.Se poi per margini di errore,campi di applicabilità,oggetto di studio,risvolti pratici,quantità di “misure” ottenibili si voglion fare divisioni,sottoinsiemi e paragoni si posson fare,ma non è che ci sia scienza di serie A e scienza di serie B.
Neanche c’è quell’agnosia sul concetto di scienza che un po’ rivendicava esserci il buon Cossano,infatti per esempio il problema di demarcazione riguarda indaga sul fatto se sia possibile o meno individuare UN criterio per cui sia possibile creare una demarcazione fra strumenti come la matematica,le scienze e la metafisica.Popper credeva di averlo trovato nel criterio di falsificabilità.Ora,un criterio è propriamente un principio in base a cui si valuta, si giudica, si sceglie.Per esempio se un animale ha le ghiandole mammarie posso dire che è un mammifero altrimenti no.Il fatto di avere le ghiandole mammarie rappresenta un criterio di scelta per selezionare.
Ma al di là se sia o non sia possibile trovare per la scienza questo criterio e se il criterio di falsificabilità sia o non sia buono per svolgere questa funzione,una scienza è sempre distinguibile da una non scienza. Perché di fatto segue il metodo scientifico.Che si fondi su ragionamento induttivo,deduttivo o adduttivo che parta con congetture teorietiche o altro deve necessariamente prima o dopo rientrare all’interno del metodo scientifico e prefiggersi l’obiettivo di gestire e prevenire,che poi comporta aumentare le conoscenze o il livello di conoscenza su qualcosa.
È chiaro poi che ,in questo caso uno psicologo,vuoi per lucrare(libri,fondi,articoli su riviste etc..),vuoi per credo ideologici,vuoi anche perché magari è rimasto legato per sua formazione personale o per anni in un particolare settore a un qualcosa di obsoleto,possa fare qualcosa che non sia scienza ,ma non è che allora la psicologia non sia scienza è quello psicologo che in quegli eventuali casi fa cattiva scienza.
Ma questo può farlo anche un ingegnere,un fisico,un biologo…
Prendiamo le ‘stringhe’,parlavo con un mio amico fisico un paio di settimane fà,fisico sperimentale,
e alla mia domanda in merito ha ammesso che che lui abbia visto di quelli impiegati sulle stringhe pochissimi ci credano ancora davvero,ma chi perché sa che può prenderci ancora qualcosa,chi non sa come (termine brutto) “riciclarsi” e così continuano,pur credendo tranquillamente che stanno lavorando su una cosa che reputano morta.
Possono avvenire molte cose però la scienza è scienza,non tutto quello che viene venduto lo è,tutto lì.
Amen.
Bravo Enzo 😉
Grazie!
Devo dire che questo problema mi lascia assai confuso e non riesco a dipanare la matassa in maniera logia da solo.
Qualcuno può aiutarmi?
Ci sto ragionando sopra e questo è quanto sono riuscito ad elaborare, ben poco in vero, e sopratutto ben poco convincente per me.
1) “a naso” penso che abbia ragione chi propende per una predisposizione biologica. Non vedo la necessità per una natura (che seleziona “i più adatti”) di selezionare dei maschi meno maschi e delle femmine meno femmine. Ne’ vedo la necessità per un dio di creare maschi e femmine per poi annullarli in un essere indefinibile.
Il buon senso mi dice che se esistono maschi e femmine, necessari per la riproduzione, sia abbastanza normale che la femmina che partorisce e allatta i piccoli abbia delle predisposizioni innate atte a renderla disponibile per tale fatica (non so se per predisposizione genetica diretta o indiretta, cioè diversa composizione ormonale).
D’altra parte, mi sembra di capire che l’aggressività del maschio sia dovuta anche questa agli ormoni (testosterone?).
Gradirei elementi dai biologi qui presenti.
2) Noto, dalle discussioni con colleghi e conoscenti vari, che in genere chi accetta la teoria del gender (affermando addirittura che è scientificamente provata, e naturalmente non portando nessun fatto a suffragare quanto dicono, a parte uno che mi ha fatto notare che alcuni pesci, penso i ciprinidi, da giovani sono maschi e da vecchi femmine, cosa che a me sembra irrilevante per la questione), sono le stesse persone che considerano l’uomo come una forma animale come tutte le altre ma più cattiva. Ora, a me sembra (d’accordo che il buon senso non fa scienza ma…) che negli animali superiori il ruolo dei maschi e delle femmine sia ben distinto, perchè mai quindi noi dovremmo fare eccezione?
3) Sul problema dei due modelli (padre e madre) mi domando, che male c’è? Voglio dire, rafforzare la “sicurezza” e la coscienza di sè stessi nei bambini con dei modelli di riferimento, certamente anche culturali, non è forse un aiuto alla loro realizzazione secondo quanto ha stabilito per loro madre natura? E’ forse negativo? Secondo me è molto più negativo lasciarli nell’incertezza e nella confusione. Mi è piaciuto il paragone con l’educazione “libera” degli anni passati: Ho due amici che avevano un figlio piccolo, una sera ero a casa loro ed il bambino stava infilando due ferri da calza nella presa della corrente; notando la cosa io sono intervenuto “in emergenza” strappando i ferri dalle mani del bambino e provocandone il pianto. La madre mi redarguì dicendomi che dovevo lasciarlo fare perchè doveva fare le sue esperienze e gli adulti non dovevano intervenire altrimenti sarebbe cresciuto frustrato, puntualizzando che gli avevo creato un trauma, infatti piangeva disperatamente.
Io feci notare che il fatto che piangesse era positivo, infatti i bambini piangono, i carboncini no.
Comunque quel bambino è cresciuto, ora è quasi laureato, ma devo dire che non ha nessun riferimento se non quello che non esistono regole e che lui può fare tutto ciò che gli aggrada. Forse il pargolo non è frustrato ma certamente i genitori sono stressati.
4)Ho contatti quotidiani, causa lavoro, con ragazzi e ragazze che hanno fatto una scelta di genere diversa dal loro essere biologico. Non posso dire che sia una cosa generalizzabile essendo il campione molto piccolo, ma io noto alcuni comportamenti tipici, ed infatti proprio questi comportamenti me li fanno “individuare” anche quando loro si tengono “nascosti”. I comportamenti di cui parlo sono principalmente una aggressività ed un comportamento volgare (direi molto più volgare di quello dei maschi-maschi che non scherzano di certo)nelle ragazze mentre nei maschi noto una tendenza a dare in escandescenze per un nonnulla. Pur rispettando la loro scelta, mi domando quanto siano felici; se fossero così felici non credo sarebbero così iper-reattivi.
Ecco, questi sono i pezzi ancora pieni di detriti che mi trovo davanti per comporre il puzzle, purtroppo, come dicevo, mi rendo conto che non sono in grado di farlo.
Chiedo gentilmente di non far morire questo post ma di continuare ad arricchirlo con contributi che aiutino me, ma credo anche altri ad ordinare le idee.
puoi trovare ulteriore ispirazione in questo blog che si occupa di neuroscienze (è segnalato nei links a dx di questo sito):
http://acarrara.blogspot.it/
qui un articolo sulla differenza tra cervello femminile e maschile:
http://acarrara.blogspot.it/2014/06/cervello-maschile-e-femminile-il.html
grazie
Conosco Alberto Carrara ed è persona molto competente sulle neuroscienze.
Grazie per averlo segnalato.
Attenzione però a non ridurre la questione della teoria del gender alla sfera dell’omosessualità.
Infatti la teoria del gender ha ricadute su molti aspetti perché passa su vari punti sostenendo che l’identità sessuale sarebbe formata da quattro componenti.
-l’identità biologica che si riferisce al sesso.
-l’identità di genere che dipende dalla percezione che si ha di sé.
– il ruolo di genere, imposto dalla società, per colpa del quale, ad esempio, una donna «deve imparare a cucinare» o «deve volere un marito e dei figli.
-l’orientamento sessuale, quello da cui dipende l’attrazione verso altre persone.
è un qualcosa di molto ampio che riguarda la persona come singolo e la scietà tutta.
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