La copertina dellibro: George Lemaitre con Albert Einstein
In libreria il nuovo libro di Francesco Agnoli scritto insieme ad Andrea Bartelloni “Scienziati in tonaca”.
Un lavoro di informazione corretta ma politicamente scorretto.
Con questa pubblicazione prosegue la meritoria opera di Francesco Agnoli volta a ristabilire la verità sul rapporto fede scienza.
Quando Comte nell’800 propose una visione dell’umanità basata su tre fasi successive costituite da quella religiosa, da quella filosofica e infine da quella positivista, dichiarò irrimediabilmente incompatibili fede e scienza in quanto fasi distinte, e ponendo la fede come livello iniziale del progresso dell’umanità la indicò da rigettare totalmente una volta raggiunta la fase positiva.
Ma poiché la filosofia di Comte e quelle che ad essa si rifanno è un’ideologia e non un’analisi oggettiva, un’ipotesi che sottoposta ad una ricerca storica si rivela semplicemente errata, per poterla sostenere si è dovuto ricorrere alla distorsione dei fatti storici stessi, un processo che ha riguardato tutto il passato che andava ridisegnato come “oscuro” in confronto ad un’idea di progresso “luminoso”, tanto luminoso che ha fatto del ‘900 il secolo più sanguinario e antiumano della storia.
Ma oltre a mostrare la falsità dell’affermazione di incompatibilità di fede e scienza, l’opera di Agnoli è sempre andata oltre mostrando come al contrario sia stata proprio la concezione religiosa giudaico cristiana incentrata sul Logos creatore e sulla somiglianza della mente umana a quella del Logos, a porre le indispensabili premesse, i ‘postulati’ all’origine della scienza moderna.
Si tratta ora di compiere una lunga e paziente opera di ristabilimento della verità, tanto più lunga quanto non gradita e quindi ostacolata da una visione socio-politica ancora fortemente intrisa proprio di positivismo. Per usare le parole di Orwell “Nel tempo dell’inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario”.
Dalla quarta di copertina:
Sacerdoti e scienziati: chissà perché, all’orecchio dell’uomo contemporaneo, questa accoppiata suona male.
Il punto è che i dogmi del positivismo, sposati sia da molti ambienti liberali sia dalle dittature novecentesche, detti e ripetuti infinite volte, hanno fatto breccia nell’immaginario collettivo, nutrito da una versione banale, zoppa e antistorica dell’affare Galilei.
La realtà, però, è facilmente verificabile: all’origine della scienza sperimentale moderna vi sono essenzialmente uomini religiosi, profondamente religiosi; uomini per i quali studiare la natura altro non è che cercare di leggere il libro scritto dal Creatore, andare alla ricerca delle sue tracce, delle sue orme. Senza nessuna presunzione di possedere ogni verità, di ridurre la causa prima alle cause seconde, di trasformare la scienza sperimentale in una fede, di farne una metafisica onnicomprensiva…
Così è stato per Keplero, Newton, Maxwell, Volta, Galvani, Planck, e per tantissimi altri giganti del pensiero scientifico. Così è stato anche per numerosi sacerdoti che hanno contribuito con il loro lavoro alla nascita della citologia, della biologia, della genetica, della cristallografia, della geologia, dell’astronomia… Nomi a tutti noti, come quello di Gregor Mendel, e meno noti, come quello di Georges Lemaître, padre del Big Bang, o del tutto dimenticati come quelli dell’Abbé René Just Haüy, di padre Corti, padre Venturi, padre Bertelli.
Aggiornamento da Vatican Isider:
Il nuovo libro di Francesco Agnoli ed Andrea Bartelloni “Scienziati in tonaca”
GIUSEPPE BRIENZA
ROMA
E’ in libreria dal 31 ottobre “Scienziati in tonaca. Da Copernico, padre dell’eliocentrismo, a Lamaître, padre del Big Bang”, il nuovo saggio di Francesco Agnoli e Andrea Bartelloni, che ambisce a ristabilire la verità sul rapporto tra fede e scienza, attraverso una serie sintetica ed accattivante di biografie di molti suoi protagonisti nell’età moderna e contemporanea (“La Fontana di Siloe”, Torino 2013, pp. 136, euro 14). Si tratta di ritratti nei quali, con taglio efficacemente giornalistico e divulgativo, «si mescolano vita affettiva, scoperte scientifiche e fede religiosa, nel tentativo di rendere conto, in minima parte, del fecondo rapporto esistente nella Storia tra fede e ragione» (p. 7) .
Così si scopre che molti di essi sono stati dei cristiani convinti, da Keplero a Newton, da Maxwell a Volta, da Galvani a Planck, tutti autentici giganti del pensiero scientifico. Ma, fra gli studiosi che hanno contribuito con il loro lavoro alla nascita della citologia, della biologia, della genetica, della cristallografia, della geologia e dell’astronomia, molti vestivano la “tonaca”, erano cioè sacerdoti o religiosi. Nomi a tutti noti, come quello dell’abate Gregor Mendel o padre Lazzaro Spallanzani (1729-1799), considerato il “Galilei della biologia”, e meno noti, come quello di Georges Lemaître, padre del “Big Bang”, o del tutto dimenticati come quelli dell’Abbé René Just Haüy, di padre Bonaventura Corti (1729-1813), don Giovanni Battista Venturi (1746-1822) e padre Timoteo Bertelli (1826-1905).
Agnoli e Bartelloni partono nella loro esposizione confutando quel “dogma positivista”, sposato sia dagli ambienti liberali del XVIII e XIX secolo sia dai totalitarismi novecenteschi e dallo scientismo contemporaneo, che afferma l’incompatibilità fra la fede e la ragione, identificando il Cristianesimo come una fase “primitiva” o, nella migliore delle ipotesi, livello “iniziale” del progresso dell’umanità, da rigettare quindi del tutto una volta raggiunta la fase “positiva”.
Si tratta di un assunto, spiegano gli autori, nutrito essenzialmente da una versione distorta e antistorica dell’affare Galilei, che è stato utilizzato per fare breccia nell’immaginario collettivo. La realtà, però, è facilmente verificabile: all’origine della scienza sperimentale moderna vi sono essenzialmente uomini religiosi, profondamente religiosi; uomini per i quali studiare la natura altro non è che cercare di leggere il libro scritto dal Creatore, andare alla ricerca delle sue tracce, delle sue orme. Senza nessuna presunzione di possedere ogni verità, di ridurre la causa prima alle cause seconde, di trasformare la scienza sperimentale in una fede, di farne una metafisica onnicomprensiva….
Francesco Agnoli, insegnante e storico, ha pubblicato vari saggi sul tema fede e scienza, tra cui “Scienziati, dunque credenti, Spallanzani e Mendel: alle origini di biologia e genetica, La grande storia della carità” (“Edizioni Cantagalli”, Siena 2012) e “Miracoli. L’irruzione del soprannaturale nella storia” (“La Fontana di Siloe”, Torino 2013), scritto insieme a Giulia Tanel.
Andrea Bartelloni, medico chirurgo, collabora con testate giornalistiche locali e nazionali, avendo curato in particolare pubblicazioni storiche e scientifiche focalizzate soprattutto sul tema dei rapporti tra scienza e fede.
“Scienziati in tonaca. Da Copernico, padre dell’eliocentrismo, a Lamaître, padre del Big Bang”, di Francesco Agnoli e Andrea Bartelloni, La Fontana di Siloe, Torino, 2013, pp. 136, euro 14.
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3 commenti
Mettere la fede contro la scienza rivela, oltre che ignoranza sulla fede, anche ignoranza della scienza e del suo metodo. Basta leggere la definizione che Odifreddi ha dato qui qualche giorno fa su che cosa è scientifico e che cosa no. Neanche un bambino…
O basta leggere Comte, che per es. nel 1835 proclamava: “Il campo della filosofia positiva giace interamente entro i limiti del sistema solare, lo studio dell’Universo essendo inaccessibile in ogni senso positivo”. Per fortuna gli scienziati, quelli veri, non gli hanno badato. Nel 1838, appena 3 anni dopo il veto di Comte, col parallasse Henderson misurava la distanza di Alfa Centauri, von Struve quella di Vega e Bessel quella di 61 Cygni. E nel 1916 è nata una nuova scienza, la cosmologia moderna.
Quest’affermazione di Comte non la conoscevo, un elemento in più per pensare che i nemici della scienza sono proprio gli scientisti perché gli manca quel ‘postulato’ di cui parlavo nell’articolo.
Vorrei dire, da persona che non ha studiato, ma a cui piace riflettere sulla natura umana, qualche parola sulla fede. Anche perché su questo blog, diverse e svariate volte, anche in questi ultimi giorni, noi credenti siamo stati accusati di credere alle favole come i bambini. E’ questa, quindi, l’occasione propizia per fermarsi a riflettere con calma su cosa sia davvero la fede.
Intanto vorrei precisare che con la parola fede mi riferisco alla capacità che ha l’uomo di credere alla parola di un testimone. Non mi riferisco quindi esclusivamente alla fede religiosa, ma, più in generale, a quell’attitudine, tipica ed esclusiva delle persone, a conoscere la realtà attraverso la parola di altre persone.
Vorrei chiedere, a coloro che guardano con disprezzo la fede, se è mai capitato loro di chiedere ad uno sconosciuto indicazioni stradali per raggiungere una determinata località di cui non conoscevano la strada. Bene, se, come immagino, è capitato loro di seguire le indicazioni ottenute, allora sappiano che hanno compiuto un atto di fede. Già queste poche parole mettono in evidenza come sia, in realtà, impossibile vivere senza compiere quotidianamente atti di fede. Leggere il giornale, ascoltare un notiziario, chiedere informazioni: tutti questi e molti altri ancora sono gesti che ciascuno di noi compie quotidianamente e sono tutti atti di fede. Atti che ci parlano della nostra natura umana, del nostro essere persone, della capacità che abbiamo noi esseri umani di conoscere la verità e di comunicarla.
Ma c’è di più, molto di più. Ciascuno di noi, mi auguro, vive quotidianamente l’esperienza di una o diverse relazioni d’amore con le persone che compongono la propria famiglia. Io, ad esempio, sono sposato ed ho tre figli: con ciascuna di queste persone vivo una personale relazione d’amore che riempie di significato e di gioia la mia vita. Forse però non tutti hanno riflettuto a fondo su cosa sia una relazione d’amore, né sull’imprescindibile premessa che permette ad una relazione di sorgere e di reggersi solidamente in piedi.
Sulla relazione d’amore, brevemente, vorrei sottolineare come essa sia, al pari della fede, un tratto distintivo ed esclusivo dell’essere umano, anzi dell’essere persona. La relazione personale, infatti, è una comunione d’intenti e di vita, un gioire per i successi dell’altro, un soffrire ed un lottare per la causa dell’altro, un compenetrarsi ed un far fronte comune fino all’estremo sacrificio, se necessario.
Essa, tuttavia, non è auto sufficiente, non è spontanea e naturale come un sentimento. Essa, per poter sorgere e vivere, ha bisogno, tra l’altro, di quella premessa fondamentale di cui parlavo prima. Ha bisogno di un patto fondativo, di un accordo preliminare, di un’intesa non scritta ma vissuta profondamente e radicalmente da chi ama: credersi vicendevolmente, non sollevare mai neanche il minimo dubbio sulle parole dette dalla persona amata, pena l’immediata incrinatura e la probabile prossima insanabile frattura della relazione stessa. La relazione d’amore, insomma, ha bisogno di fede per poter nascere e vivere. La relazione è scambio, condivisione. Non posso scambiare e condividere con una persona a cui non do fede. Per amare, ho bisogno di credere.
Chi disprezza la fede come mezzo di conoscenza, dovrebbe ricordarsi che non può fare a meno della fede, se vuole amare.