I relatori in un momento dell’incontro del 25 ottobre.
L’analisi degli articoli pubblicati sui quotidiani è un importante strumento per capire le tendenze in ambito culturale.
Alcune considerazioni conseguenti all’incontro del GdN del 25 ottobre (Gruppo di Ricerca in Neurobioetica ).
La raccolta degli articoli pubblicati sui principali quotidiani nazionali dall’inizio del 2013 è stata curata da Antonello Cavallotto, la sua relazione ha mostrato come l’argomento delle neuroscienze stia diventando un tema centrale nei dibattiti, non solo scientifici in senso stretto ma più generalmente culturali, per via delle evidenti ricadute sull’antropologia e sulla conseguente visione della società.
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Ma andiamo ad analizzare la rassegna stampa curata da Antonello Cavallotto.
La scena nella prima parte dell’anno è stata occupata principalmente dal progetto annunciato dal Presidente Obama di mappare il cervello umano, un’impresa che è stata paragonata al progetto Apollo per la conquista della Luna o a un piano Marshall per la cura delle malattie. Non è in quello stesso periodo mancato neanche chi si è sbilanciato a parlare di improbabili trapianti di testa, ma chi più ha attirato l’attenzione, tanto da essere indicato come un futuro candidato al Premio Nobel, è Giulio Tononi che addirittura dice di aver scoperto la “formula dell’anima“, un’affermazione che più che ad un Nobel potrebbe candidare ad un premio Asino d’Oro. Decisiva potrebbe essere in tal senso l’affermazione, riportata all’inizio dell’articolo, secondo cui due cloni di un essere umano dovrebbero avere una sola coscienza essendo indistinguibili, una conclusione che fa affidamento sul pensiero di Leibniz ma che cozza contro la constatazione che due gemelli omozigotici hanno due coscienze distinte. Come attenuante si può portare il fatto che si tratta di affermazioni pensate in sogno da Tononi.
Particolarmente significativo appare il fatto che suddividendo percentualmente per testata gli articoli pubblicati sull’argomento emerga come il maggior numero di essi sia comparso su Repubblica seguita in classifica da Avvenire. Un dato che lascia pensare ad un confronto culturale di tipo antropologico che vede fronteggiare da una parte una visione riduzionista dell’uomo e dall’altra una che invece si contrappone a tale tesi. Come è stato fatto correttamente notare però tra i due quotidiani esiste una sensibile differenza di tiratura (Avvenire 134.678 luglio 2013 – la Repubblica 506.400 luglio 2013), per cui maggiore risalto e diffusione ha avuto la tesi riduzionista.
Nella comunicazione di ogni tipo è inevitabilmente presente la tendenza ad orientare i lettori nell’una o nell’altra direzione impiegando accorgimenti che presentano la realtà secondo una prospettiva conveniente alle tesi dello scrivente e quindi della testata in questione. Dell’argomento ha parlato in una sintetica ma efficace esposizione il Dott. Claudio Pensieri, Ricercatore del Campus Bio-Medico.
Nell’intervento conclusivo di Enzo Pennetta si è portata l’attenzione sulle indebite estrapolazioni delle neuroscienze in campi che esulano dall’ambito delle competenze delle scienze sperimentali, un esempio di questo è rappresentato dall’articolo “Perché ci affidiamo al soprannaturale” firmato a quattro mani dal prof. Giorgio Vallortigara e Giorgio Girotto, nel quale si intende affermare che la credenza nel soprannaturale sarebbe dovuta ad una distorsione del principio di causa effetto operata spontaneamente dai bambini:
E quindi, dal soprannaturale alla religione, il prof. Vallortigara, come un novello Comte, intenderebbe dimostrare come la religione sia solo il frutto di meccanismi evolutivi e quindi un retaggio del passato destinata a soccombere con l’affermarsi della scienza moderna.
Un concetto analogo era stato presentato solo pochi mesi prima dallo stesso Vallortigara ad una conferenza svolta in occasione di un Darwin Day organizzato a Verona dall’UAAR il 20 febbraio scorso e intitolato “Perché l’evoluzione ha creato Dio e non viceversa“:
Dopo aver constatato su argomenti relativi alle neuroscienze una rilevante presenza di contenuti quantomeno fuorvianti, Pennetta ha quindi concluso ponendo l’attenzione sulla necessità di offrire il maggior numero possibile di occasioni d’informazione sugli stessi argomenti per proporre un’analisi critica che possa fornire tutti gli strumenti necessari per valutare le notizie e farsi una propria opinione sui temi della neurobioetica. Il suggerimento specifico è individuato nel possibile utilizzo dei Mendel Day proprio come strumento di informazione e divulgazione anche sulle tematiche delle neuroscienze e delle loro ricadute in bioetica.
Link sull’argomento:
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18 commenti
Ho visto uno spezzone del filmato. La mia impressione è che al giorno d’oggi basti indossare giacca e cravatta e salire su un palco parlando con voce calda e rassicurante e modi affabili, e si può dire più o meno quello che si vuole facendolo passare per scienza. O forse sono io che di scienza ho capito veramente poco. Sì, dev’essere così: ho guardato il sito dell’Università di Trento e pare che Vallortigara sia proprio un luminare. Se fossi stato presente alla conferenza, comunque, avrei tirato volentieri qualche uovo sul palco: ai bambini si perdona tutto, no?
O forse oggi più che mai la gente crede a ciò che vuol credere e che ciò che ascolta sia fondato o no poco importa. Capacità critica nulla, basta che a parlare sia qualcuno con delle credenziali rassicuranti.
Sulla necessità di credenziali rassicuranti da parte del guru di turno siamo perfettamente d’accordo, prof. Pennetta.
Anche la credulità, come l’incredulità, ha bisogno dei suoi rassicuranti cultori, spesso con voci melliflue e suadenti, parlanti sottovoce, dispensatori di promesse di perdono e di paradisi futuri.
Io non vedo guru di serie A e guru di serie B, sempre guru sono e bisognerebbe, probabilmente, riuscire a liberarsi di entrambi facendoli retrocedere in serie inferiori.
Aggiungo che tutti noi rischiamo di avere i nostri guru, esserne consapevoli è già qualcosa.
Quando sento affermazioni come sua divento di buon umore; siamo sulla buona strada, direi. Riscattiamo l’uomo dalle false certezze, al di fuori degli steccati ideologici. Solo così ci si libera davvero.
Caro 1/10,
hai ragione potrebbe sembrare così, ma la cosa è molto più prosaica!
Ero solo stanco alla fine di una serie di giornate faticose passate su questioni davvero molto più terrene delle neuroscienze…
Magari poter sempre pensare alla scienza! 🙂
Come sappiamo sono molti quelli che vorrebbero far credere alla fine della religione: Woolston diceva che sarebbe finita prima del ‘900, Voltaire addirittura entro il 1810, Weber parlava di “disincantamento del mondo” ed “emancipazione” della mente moderna dalla credenza del soprannaturale.
Anche l’antropologo Anthony Wallace diceva nel 1966:
il “futuro della religione è l’estinzione[…], la credenza nei poteri soprannaturali è destinata a morire in tutto il mondo in seguito alla crescente diffusione della conoscenza scientifica[…] E’ un processo irreversibile.”
La maggior parte degli ebrei stessi oggi ritengono che i ‘miracoli’ di Dio siano totalmente spiegabili in modo scientifico, solo, di alcuni, non sappiamo ancora come.
Insomma anche qui, nel settore del soprannaturale, un riduzionismo alla sola materia.
Non si vuole accettare che l’intera realtà supera i sensi e anche la nostra (limitata) ragione.
Frank, sembra che abbiamo incontrato le stesse persone!
Sulla fine della religione se ne potrebbero dire…
Mi scuso invece per il gioco di parole, ma la realtà (e poi cos’è la realtà? potrebbe chiedersi un Masiero) ci supera perché, in realtà (ecco il gioco di parole, voluto), ci tratta né più né meno come tratta tutti gli esseri viventi, coscienti o incoscienti che siano.
Cioè a sberle, sbeffeggiandoci.
Mi dite, con tutta la nostra scienza e con tutta la nostra spiritualità, cosa cambia alla fine del ciclo della vita?
Studiamo, preghiamo, ci chiediamo mille perché per non aver spesso risposte; e ne siamo consci, quasi contenti; anzi siamo così convinti che le risposte non ci sono dovute tutte, che accettiamo di essere impotenti di fronte al mistero, quasi da masochisti… Ecco, questa è una differenza, se vogliamo, che ci rende animali spirituali: affidiamo al mistero tutte le nostre aspettative post mortem, per ricavarci un regno al di fuori dell’animalità sotto gli occhi di tutti tutti i santi giorni.
E anche questa mia analisi tra il serio e il faceto la dice lunga sul tempo che dedichiamo al nulla.
Per questo, forse, un giorno la religione avrà fine…
A parer mio lei sta inviando dei messaggi molto chiari sulla sua condizione, chiamiamola così, spirituale. Anche io condivido le sue perplessità sulla banalità del male, estendendola oltre il confine di quello provocato volontariamente dall’uomo di cui parla la Arendt (sufficiente comunque a far perdere la fede a molti internati nei lager), in riferimento al più deprimente, insulso, ingiusto male che trafigge indistintamente la sorte dei viventi (animali compresi). Chiedersi però alla fine cosa cambia mi sembra uno smarcamento troppo comodo, quasi come dire che il bene e il male sono invenzioni umane destinate anch’esse ad evolversi nel tempo e perciò senza valore assoluto. Io su questo non sono affatto d’accordo. E non credo che le se la caverà – con sé stesso, intendo – continuando a ripetersi che ci siamo inventati Dio per sopportare meglio l’insensatezza, ormai definitvamente smascherata da Pievani & C., dell’esistenza. Io non ho una risposta sul perché del male né sulla sua evidente e barbara impersonalità; però vedo ogni giorno dei miracoli nel lieve comporsi delle cose, negli uccelli che scherzano col vento, intuisco una felicità che ci sfugge di continuo e della quale mi sento inspiegabilmente vedovo. In quei momenti capisco che non è questo il nostro destino, che siamo “caduti” qui per qualche orrendo motivo ma che qualcuno di non umano prima o poi ci tirerà fuori dal baratro e ci permetterà di vivere secondo la nostra vera, eterna natura. Se lei UDD si tormenta di continuo forse ha dentro una scintilla di eternità, e se ce l’ha sarebbe proprio un peccato che riuscisse a spegnerla.
Suggestiva la sua conclusione… Non ho bisogno di spegnere alcunché, io dico: basterà la fine della mia vita per spegnermi e consegnarmi al sonno eterno, l’unica giustizia che conosco qua in terra e in ogni altro luogo.
Non creda che io goda nell’essere così cinico, e non pensi nemmeno che la mia vita sia così infelice, come potrà magari evincere dalle mie parole. In realtà mi contento di questa vita, che è l’unica, e sono convinto che la spiritualità, che può apparire che io denigri, appartiene a noi umani credenti e non credenti in pari grado. Cambia solo la sostanza, per me purissima nella spiritualità dei non credenti, scevra da speranze di premi e ricompense per torti&affini. Ma non lo prenda come un dogma presuntuoso, è solo una sensazione di pelle, di cui mi fido; come altri si fidano delle promesse eterne, e se gli viene bene fanno… benone a crederci. “Tutto è grazia”, diceva il personaggio di Bernanos, che ho citato l’altro giorno. Ed è una gran bella verità.
Grazie comunque del suo interessamento e delle belle parole che ho apprezzato. Anche questo è grazia, in fondo.
Bè, fraternamente, direi che adesso stiamo proprio esagerando!
Chiamare ‘giustizia’ un egual ‘sonno’ per buoni e malvagi è una cosa assurda, oltre che poeticamente infondata dato che non ci sarebbe nessun sonno, ma semmai il nulla eterno che c’era prima.
Ma poi soprattutto definire migliore una spiritualità atea rispetto a quella di un credente mi fa venire in mente il propagandista dell’amore omosessuale Veronesi che lo riterrebbe migliore di quello etero!
Che un ateo possa avere un etica comune anche agli altri, è un bene per lui e per gli altri, ma è tutto fuorché logico, a differenza del credente.
Idem per chi crede a promesse eterne, come se fosse irragionevole, mentre il non crederci quello sì che sarebbe razionale: è esattamente l’opposto.
Anche con un ragionamento terra-terra, se Dio c’è, averci creduto può portare all’incontro con Lui, mentre se non c’è non se ne accorgerà da morto, con l’ulteriore differenza che avrà vissuto una vita ‘piena’, di senso e di amore per gli altri (e di quello che sperimenta da Dio stesso). Invece chi sceglie di non crederci, se non c’è non lo incontrerà, ma se invece c’è…
Ti ripeto quello che dicevo a un altro del forum tempo fa (Giuseppe): il voler cercare e autotrovare giustificazioni autoconsolatorie (illusorie) a una condizione di sofferenza interiore sulla vita non è un vero aiuto, perché contribuisce a irrigidirsi e chiudere il cuore a quelle sorprese che la vita può riservare quando meno te l’aspetti.
Non chiudere il cuore, è sempre utile nonché intelligente lasciarlo aperto.
In questo senso, Giorgio P. ha l’approccio giusto.
Con affetto.
Scusate, ma cosa c’è di così sconvolgentemente ateo nel fatto che i bambini sono naturalmente portati a ritenere “Dio come un agente” (correggetemi dove sbaglio)?
Solo a me sembra completamente neutra (se non addirittura deistica) l’ipotesi secondo cui siamo naturalmente e biologicamente portati a credere in qualcosa? E non lo diceva già dostoevskij (e pure Nietzsche, con sfumature diverse) quando scriveva che siamo strutturalmente creati per inginocchiarci di fronte a qualcosa?
Buonasera Faro,
d’accordo con lei che non c’è niente di ateo nel fatto che i bambini possano naturalmente ritenere “Dio come un agente”, quello che si poneva in risalto era il giungere alla conclusione che si trattasse di una distorsione del principio di causalità.
Quindi non è il fatto in sé ad essere oggetto di critica (anche perché sarebbe un po’ una scoperta dell’acqua calda), ma la sua interpretazione.
Gentile professor Pennetta,
Sono perfettamente d’accordo con lei. Col mio intervento volevo esternare la sorpresa proprio per il tentativo (maldestro, a mio avviso) di trasformare questa che è praticamente una ovvietà in qualcosa di buono per sostenere una pretesa invenzione di Dio da parte dell’uomo.
Proprio così gentile Faro, se continuerà a frequentare queste pagine vedrà come nelle neuroscienze non manchino occasioni di trovare affermazioni gratuite, discutibili e spesso ideologizzate, le sorprese non finiscono mai….
Sarà il caso, prof. Pennetta, che i lettori di CS capiscano a cosa si riferisce quando afferma, rispondendomi: “Ero solo stanco alla fine di una serie di giornate faticose passate su questioni davvero molto più terrene delle neuroscienze… Magari poter sempre pensare alla scienza!”
Nel mio commento pubblicato non appare quel che pensavo di scrivere e poi ho tolto all’ultimo momento, a meno che lei non sia anche un veggente…
Uso molto il Click to Edit e magari combino qualche pasticcio che non si vede ma si… sente.
1/10,
altro che guru, adesso anche veggente!
Effettivamente non so come mai io abbia letto il commento poi subito cambiato, devo essermi collegato in quei pochi secondo tra la pubblicazione e la modifica.
Comunque il riferimento era alla mia espressione nella foto.