Il prof. David L. Abel ha acconsentito di pubblicare su Critica Scientifica il suo articolo “Is life unique?”.
La traduzione è di Michele Forastiere.
(Alcune parti sono state evidenziate in grassetto su CS)
David L. Abel è direttore del “The Gene Emergence Project” della “The Origin of Life Science Foundation, Inc.” (www.LifeOrigin.org). I suoi interessi di studio spaziano nel campo della biocibernetica e della biosemiotica. Abel è autore di numerose pubblicazioni peer-reviewed su argomenti quali l’abiogenesi, la complessità dei sistemi simbolici biologici e l’auto-organizzazione dei sistemi viventi. Quella che segue è la traduzione dell’articolo di rassegna “Is life unique? ” ( http://www.mdpi.com/2075-1729/2/1/106), dedicato alle teorie sull’origine della vita e apparso sul numero speciale di marzo 2012 della rivista “Life ” (http://www.mdpi.com/2075-1729/2/1).
David L. Abel
Department of ProtoBioCybernetics and ProtoBioSemiotics, Origin of Life Science Foundation, Inc., 113-120 Hedgewood Drive, Greenbelt, MD 20770, USA
Abstract: La vita è fisicamente e chimicamente unica? No. La vita è unica? Sì. La vita manifesta innumerevoli formalismi che non possono essere generati o spiegati mediante la sola fisico-dinamica. La vita persegue migliaia di obiettivi biofunzionali, non ultimo dei quali è quello di rimanere in vita. Né la fisico-dinamica, né l’evoluzione, si pongono obiettivi. La vita è in gran parte orchestrata dalla programmazione digitale lineare e dall’informazione prescrittiva (Prescriptive Information, PI), che si concretizza in particolare in un sequenziamento nucleotidico non determinato dalla fisico-dinamica. I controlli epigenomici incrementano soltanto la raffinatezza di questi formalismi. La vita impiega la rappresentazione attraverso l’uso di sistemi simbolici.
La vita manifesta autonomia, omeostasi fuori dall’equilibrio nei più avversi degli ambienti, meccanismi di feedback positivi e negativi, prevenzione e correzione dei suoi stessi errori, e organizzazione dei componenti in sistemi funzionali stabili (SFS). Il caso e la necessità – l’agitazione termica e il determinismo causa-effetto nella sistematicità della natura – non possono generare formalismi quali la matematica, il linguaggio, i sistemi simbolici, la codifica, la decodifica, la logica, l’organizzazione (da non confondere con il puro e semplice auto-ordinamento), l’integrazione dei circuiti, il successo computazionale e la ricerca della funzionalità. Tutte queste caratteristiche della vita sono di natura formale, non fisica.
Parole chiave: formalismo, informazione prescrittiva (PI); sistemi funzionali stabili (SFS); complessità di sequenza funzionale (FSC); la legge del declino organizzativo e cibernetico (legge OCD); il principio formalismo > fisicità (F > P); causazione e controllo dipendenti dalla scelta (CCCC); il taglio cibernetico; il ponte a commutatore configurabile (CS); il principio di organizzazione (O).
1. Introduzione
È possibile trovare in letteratura molte pubblicazioni peer-reviewed in cui viene posta la domanda: “Che cos’è la vita?” Gli autori che hanno tentato di fornire una definizione hanno tipicamente sperimentato parecchia frustrazione. Nel 1996 Rizotti ha pubblicato un libro, “Defining Life: The Central Problem in Theoretical Biology (La definizione della vita: il problema centrale della biologia teorica)” [1], in cui ha raccolto e confrontato molti tentativi di definizione della vita tratti dalla letteratura. Nessuno di questi appariva accurato, conciso e adeguato.
La comunità dei ricercatori sull’origine della vita (International Society for the Study of the Origin of Life, ISSOL, oggi Astrobiology Society) è sempre stata fortemente interessata a definirla. La definizione di vita della NASA, di solito attribuita a Gerald Joyce dello Scripps Institute [2], afferma semplicemente che “La vita è un sistema autosufficiente capace di evoluzione darwiniana”. Tale descrizione, però, è penosamente ingenua, semplicistica e del tutto inadeguata per la ricerca biologica. Molti di coloro che hanno formalmente aderito a questa definizione della vita vi hanno successivamente aggiunto ulteriori requisiti; l’integrazione più comune è stata la richiesta di una membrana primitiva [3-15]. Molti altri ritengono che una forma minimale di vita indipendente debba manifestare anche un rozzo metabolismo omeostatico [16-21]. Altri pensano che sia essenziale un sistema ereditario di simboli che muti indipendentemente dalla sua realizzazione fenotipica (necessario per l’evoluzione “aperta” [22-30]). Molti altri, infine, sostengono la realtà e la necessità non solo dell’incertezza di Shannon, ma anche di istruzioni genetiche ed epigenetiche positive letterali [25,31-46]. Greisemer ([47], p. 35) sottolinea che le modifiche epigenetiche al materiale genetico contano tutte come cambiamenti ereditari in senso lato [48,49].
A dire il vero, la definizione di Joyce non fu mai concepita perché diventasse empiricamente responsabile della descrizione di tutto ciò che si osserva della vita odierna. È stata studiata, invece, per far sì che apparissero più plausibili i nostri modelli naturalistici sull’origine della vita. Purtroppo, buttar giù una definizione di vita allo scopo di “far funzionare” le nostre teorie sulla sua origine ha poco a che vedere con il tentativo di svelare che cosa sia oggettivamente la vita.
Nel 2000, fu convocata una conferenza internazionale di docenti universitari nel tentativo di decidere collegialmente “Che cosa è la vita.” [50] Ogni partecipante fu invitato a proporre in anticipo una definizione di vita. Ad ogni oratore (uno dei quali ero io) fu richiesto di affrontare la questione. Non si trovarono due definizioni di vita identiche. Nell’antologia che venne tratta dai lavori della conferenza, “Fundamentals of Life (I fondamenti della vita)” [51], il concorso di idee andava avanti senza una chiara risoluzione di ciò che costituisse la vita da un punto di vista prettamente scientifico. Quella volta, però, fu interessante che tutte le definizioni presentate potessero essere suddivise in due sottoinsiemi: il primo sottoinsieme conteneva la notevole definizione del biofisico Hubert P. Yockey; il secondo quelle di tutti gli altri! Yockey fece l’incomparabile osservazione che “non vi è nulla nel mondo fisico-chimico (a parte la vita) che assomigli lontanamente a reazioni determinate da una sequenza e da codici tra sequenze. L’esistenza di un genoma e del codice genetico separa gli organismi viventi dalla materia non vivente” [52,53].
Yockey [54-59] fu tra i primi a comprendere la natura digitale lineare del controllo genetico. Molti altri hanno apprezzato il fatto che la vita è in qualche modo un fenomeno speciale, ma non sono riusciti a indicare con certezza in cosa consista esattamente la sua specificità. Ernst Mayr [60,61] sosteneva che la fisica e la chimica non spiegano la vita. Monod [62] e Bohr [63] affermarono la stessa cosa. Bohr osservò che “la vita è coerente con la fisica e chimica, ma è indecidibile da esse”. Küppers concordava su ciò [64].
Mark Bedau richiama l’attenzione sul modello di origine della vita [65] detto Programma-Metabolismo-Contenitore (PMC). Questo approccio tenta di ridurre la vita ad una triade funzionalmente integrata di sistemi chimici. Il modello, purtroppo, non riesce a riconoscere il carattere formale del “Programma” nella triade, in particolare che sistemi simbolici arbitrari, come la tabella dei codoni, vengano usati per rappresentare istruzioni e controlli. Quando parliamo di sistemi simbolici arbitrari non intendiamo dire che sono casuali, ma piuttosto che si tratta di attribuzioni fisico-dinamicamente indeterminate che possono essere considerate solo formali, piuttosto che fisico-chimicamente causate. Oltre alla tabella dei codoni, moltissimi differenti sistemi simbolici sono impiegati dalla vita, come Barbieri e vari altri bio-semiologi hanno evidenziato in diverse pubblicazioni [40,66-77]. Donald E. Johnson affronta il problema di quale potrebbe essere stato un genoma minimo nella prima protocellula [78].
Nel nuovo millennio, la dicotomia vita-non vita è diventata molto più specifica e chiara, in seguito alla comparsa della relativamente nuova disciplina scientifica nota come proto-bio-cibernetica [79-81]. La cibernetica studia il “controllo”. Il prefisso “proto-bio” si riferisce alla “’vita’ primordiale”. La distinzione più importante è la capacità della “vita” di esercitare un controllo organizzativo e pragmatico formale (non fisico) sulle sue interazioni, che peraltro sono fisiche (ad esempio, reazioni chimiche, associazioni molecolari, attrazione/repulsione elettrostatica; tendenze idrofile/idrofobe, transizioni di fase; incertezza quantistica e “entanglement” di informazione) [82-84]. I controlli formali sono riconducibili specificatamente ad informazione prescrittiva (Prescriptive Information, PI) [79-82,85,86] e alla sua elaborazione algoritmica, attentamente regolata. Più di ogni altra cosa, la capacità di organizzare, regolare e gestire olisticamente la fisico-dinamica in uno schema formale meta-metabolico che valorizza e persegue l’obiettivo di rimanere vivente è ciò che definisce l’unicità della vita [87,88].
Carol Cleland dell’Università del Colorado mette in guardia contro l’incessante ricerca di una definizione della vita [89], sottolineando i limiti del linguaggio. È cruciale, in ogni tentativo di definire la vita, anche l’influenza delle nostre precedenti convinzioni (metafisiche), che presupponiamo e che portiamo con noi nella scienza. Questi presupposti filosofici danno una colorazione a quanto siamo disposti a riconoscere dell’organizzazione formale e dei controlli nella biologia molecolare che ripetutamente osserviamo.
Pertanto, in questo numero inaugurale di un nuovo, graditissimo, periodico di qualità del Multidisciplinary Digital Publishing Institute (MDPI), LIFE, scegliamo invece di porre la domanda: “Che cosa c’è di unico nella vita?”
- Quali sono alcuni dei criteri che permettono di distinguere la vita dalla non-vita?
- Può la vita generarsi spontaneamente mediante le sole interazioni fisico-dinamiche?
- La nostra intelligenza sarà mai in grado di costruire artificialmente la vita a partire da componenti chimici inanimati?
- Che cosa vuol dire esattamente morire?
2. Il più semplice organismo vivente autonomo conosciuto
Il riduzionismo ha servito bene la scienza. In biologia, tuttavia, la vivisezione di una cellula può facilmente distruggerne proprio quella vita cellulare olistica che ci proponevamo di indagare [41,90-94].
Tibor Ganti, un eminente teorico dell’origine della vita, sostiene: “Le unità di base della biologia teorica vanno ricercate a livello organizzativo dei procarioti.” ([47], p. 62). I più semplici procarioti conosciuti sono i micoplasmi e i termoplasmi. Carsonella ruddii non è capace di vita indipendente. Il più semplice organismo in grado di replicarsi autonomamente, Mycoplasma genitalium, ha un genoma da 580 kBP [1 kBP = 1000 paia di basi, base-pair; N.d.T.] contenente 470 geni [95]. Pochi di questi geni sembrano codificare per regolatori di trascrizione convenzionali [94,96-103]. Oggi esistono le prove che le variazioni nel super-avvolgimento del DNA possono regolare la trascrizione in Mycoplamsa genitalium [95]. Il numero di strati interagenti formalmente integrati, e le dimensioni dell’informazione prescrittiva della vita (PI) [42,79-83,85,86,104], anche nei più semplici organismi viventi autonomi conosciuti, sono semplicemente da capogiro.
3. Le caratteristiche invarianti della vita
Forse un buon punto di partenza è un elenco descrittivo delle caratteristiche invarianti della vita nei viventi autonomi. La “vita” stabile tipica degli organismi indipendenti è un sistema che, a partire da una sua serie intrinseca di istruzioni biologiche e dall’elaborazione algoritmica di quell’informazione prescrittiva (PI), è in grado di eseguire tutte e nove le seguenti funzioni biologiche (riprodotto con il permesso [105]):
(1) differenziarsi dall’ambiente circostante tramite la produzione e la conservazione dell’equivalente di una membrana. Secondo le teorie sulla vita primordiale, tale equivalente di membrana era molto probabilmente una membrana rudimentale o una membrana di trasporto quasi-attivo, necessaria per l’assorbimento selettivo delle sostanze nutritive e l’escrezione dei rifiuti, oltre che per superare i gradienti osmotici e tossici;
(2) trascrivere, archiviare e trasmettere alla progenie l’informazione prescrittiva (PI) necessaria per l’organizzazione (istruzioni, sia genetiche, sia epigenetiche/epigenomiche); fornire istruzioni per ricavare l’energia e per la necessaria produzione e funzione dei metaboliti; codificare simbolicamente e comunicare il messaggio funzionale attraverso un canale di trasmissione a un meccanismo di ricezione/decodifica/indirizzamento/attuazione; integrare il tempo passato, presente e futuro nel contenuto biologico della sua PI (in termini di istruzioni) (le istruzioni della PI possono essere implementate ora o in qualsiasi momento nel futuro. Inoltre, secondo la teoria dell’evoluzione, tali istruzioni rappresentano una storia prolungata di derivazione e precedente controllo. La PI è quindi in gran parte indipendente dal tempo, un aspetto questo che rivela chiaramente la sua essenza formale piuttosto che fisica);
(3) riuscire a tradurre le suddette istruzioni operative nella produzione o acquisizione di catalizzatori, coenzimi, cofattori, ecc. reali; orchestrare fisicamente i processi biochimici/cammini metabolici concreti; produrre e mantenere l’architettura cellulare fisica; formare e gestire un sistema semiotico che usa “molecole segnale”;
(4) catturare, trasdurre, accumulare e richiamare energia per ogni utilizzo (lavoro utile e intuitivo);
(5) auto-replicarsi attivamente e alla fine riprodursi, non solo polimerizzarsi o cristallizzarsi passivamente; trasmettere alla progenie l’apparato e il “know-how” per il metabolismo omeostatico e la riproduzione;
(6) auto-monitorare e riparare la sua matrice fisica di conservazione/trasmissione delle bio‑istruzioni e dell’architettura, che si deteriorano costantemente;
(7) svilupparsi e crescere da uno stadio immaturo alla maturità riproduttiva;
(8) reagire in modo produttivo agli stimoli ambientali. Rispondere in maniera efficace, ovvero in un modo che sia di sostegno alla sopravvivenza, allo sviluppo, alla crescita e alla riproduzione, e
(9) possedere abbastanza stabilità genetica relativa, ma anche sufficiente variabilità e varietà, per consentire l’adattamento e la potenziale evoluzione.
Ogni classe di archaea, eubatteri ed eucarioti capaci di vita autonoma verifica tutti e nove i suddetti criteri. Si elimini uno qualsiasi dei nove requisiti di cui sopra, e resta da dimostrare che tale sistema possa rimanere “vivo”. Filamenti di RNA, filamenti di DNA, prioni, viroidi e virus non sono organismi autonomamente viventi. Essi non riescono a soddisfare molte delle precedenti ben note caratteristiche della “vita” indipendente.
Perfino nelle scienze storiche e teoriche deve esistere un certo grado di garanzia empirica per le nostre teorie. I modelli dell’origine della vita non devono consistere nel “buttare giù una definizione” del significato e dell’essenza del fenomeno osservabile “vita” in modo da includere la “non-vita”, allo scopo di far “funzionare” le nostre teorie. Ogni teoria scientifica sulle origini della vita deve confrontarsi con la “vita” così come la osserviamo (il “principio di continuità”). La scienza non potrà mai abbandonare le sue radici empiriche in favore di congetture puramente teoriche. D’altro canto, la scienza deve guardarsi costantemente dall’inerzia del vecchio paradigma kuhniano. Dobbiamo essere aperti alla possibilità che la vita non abbia sempre assunto la forma che osserviamo oggi. In aggiunta a ciò, dobbiamo tenere conto dei problemi impliciti in ogni scienza storica, in cui l’osservazione delle realtà del passato è impossibile.
4. La vita è formalmente controllata, non solo vincolata in senso fisico-dinamico
Non si dovrebbero mai confondere vincoli e controlli [106]. I vincoli sono costituiti dalle condizioni iniziali, dalle condizioni al contorno e dalla sistematicità normativa della natura stessa. I controlli sono sempre formali. I controlli governano gli eventi guidandoli verso la funzione potenziale e l’effettiva organizzazione (non tanto l’auto-ordinamento a basso contenuto informativo) [107].
Nessun termine relativo alla ricerca biologica ha dominato la scena negli ultimi cinque anni più della parola “regolazione”. Tutta la vita conosciuta è cibernetica. “Cibernetica” vuol dire governata, controllata e/o regolata con uno scopo intenzionale. Ciò che le scienze naturalistiche dell’origine della vita non sono mai riuscite a spiegare è come una fisico-chimica inanimata abbia potuto formalmente integrare componenti e circuiti in tale organizzazione olistica. Le reazioni sono guidate lungo vie e cicli in meta-sistemi funzionali, astratti e altamente concettuali. Una componentistica sofisticata è prodotta e assemblata in macchine molecolari e nano-computer [108] che cooperano tutti per raggiungere obiettivi di norma considerati come formalmente trascendenti le semplici interazioni fisiche. La vita è un’impresa programmata e pragmatica. I semplici vincoli fisico-dinamici non hanno motivazioni; non hanno agende formali; non perseguono il successo funzionale.
La programmazione richiede di compiere scelte formali in corrispondenza di nodi decisionali. Tali decisioni possono essere rappresentate da simboli (per esempio 0/1 per rappresentare una scelta binaria; o A, G, T o C per rappresentare una scelta quaternaria d-bit {dual-bit}). I simboli possono rappresentare veicoli simbolici fisici (tessere come i pezzi dello “Scarabeo” o nucleotidi). La programmazione dei computer riguarda la creazione di costrutti semantici che possono essere tradotti/compilati per girare su un dato sistema computazionale; il sistema potrebbe essere tanto facilmente quaternario quanto binario, come nel caso delle istruzioni biofunzionali in base quattro del DNA.
La maggior parte dei controlli formali della vita è rappresentata da un sistema simbolico materiale (Material Symbol System, MSS) digitale lineare [25, 83, 85, 106]. Il termine MSS è stato usato per la prima volta da Rocha nella sua tesi di Dottorato [25,109]. I segni e i simboli registrati, situati al di fuori della mente umana, sono entità fisiche rappresentative definite “veicoli simbolici fisici” (token [gettoni, N.d.T.]). Qualsiasi sistema di comunicazione che utilizzi questi veicoli simbolici fisici è un sistema simbolico materiale. La domanda incalzante diventa: “Come può un veicolo simbolico fisico, o la sintassi di tali veicoli simbolici fisici in un MSS, rappresentare le istruzioni in un mondo puramente materialistico?” [110-114] Né le istruzioni né loro rappresentazione mediante simboli possono essere generati per caso e/o necessità. Sono solo i formalismi concettuali astratti, non gli aspetti fisici, che ci consentono di affrontare tali questioni.
Il problema del formalismo comprende il problema della misura non solo in fisica quantistica, ma anche in fisica newtoniana. Come ha osservato in molte sue pubblicazioni il fisico Howard Pattee, le misure delle condizioni iniziali usate nelle leggi della fisica sono rappresentazioni formali (simboli matematici) del dominio fisico, non il dominio fisico in sé [113]. Lo stesso vale per le leggi della fisica, che sono costrutti matematici. Il sistema di credenze puramente metafisico noto come materialismo – su cui il naturalismo è in gran parte basato – non può spiegare l’esistenza o il ruolo di tali formalismi. Il linguaggio, la logica, il calcolo e la programmazione informatica sono tutti formalismi. Anche la scienza, un sistema epistemologico (di conoscenza) mentale, è di per sé un’attività unicamente formale. La neurofisiologia non ha avuto molto successo nel cercare di ridurre i formalismi della coscienza alla sola dimensione fisica. Chiaramente, le proprietà osservate della vita a tutti i livelli richiedono il riconoscimento di controlli formali che non possono essere spiegati mediante il caso e/o la necessità.
La vita adopera veicoli simbolici fisici molecolari (con token come, per esempio, i nucleotidi) per “parlare” e inviare messaggi significativi (biofunzionali) all’interno della cellula, tra le cellule, e tra sistemi organici. Questi token sono selezionati all’interno di un alfabeto di token. Potremmo semplicisticamente affermare che l’alfabeto consiste di quattro possibilità. Nella realtà biochimica, l’alfabeto è composto da ben più di quattro opzioni. Esistono nucleotidi diversi da adenina, guanina, timina e citosina che potrebbero essere polimerizzati (ad esempio, pseudouridina, diidrouridina, inosina, 7-metilguanosina, ipoxantina, xantina, 2,6-diaminopurina, 6,8-diaminopurina). Esistono nucleotidi con zuccheri sinistrorsi che avrebbero potuto essere polimerizzati in un ambiente prebiotico. L’esclusione di opzioni diverse da quella delle quattro grandi basi azotate di DNA o RNA è di per sé un aspetto dei meccanismi di controllo formale della vita. Le metilazioni ereditarie della citosina e, occasionalmente, dell’adenosina già da sole estendono probabilmente il sistema simbolico materiale dalla base quattro alla base cinque. Tuttavia, la polimerizzazione di ogni nucleotide non codificato in un filamento di DNA a informazione positiva rappresenta semplicemente una scelta pratica di programmazione quaternaria. Ogni polimerizzazione costituisce una scelta in un nodo decisionale quaternario. È una porta logica dual-bit. Una polimerizzazione nucleotidica può anche servire come impostazione di un commutatore configurabile che serve a integrare circuiti. Queste realtà di programmazione sono in ultima analisi formali, non fisiche, sebbene vengano usati veicoli simbolici fisici nel sistema simbolico (un MSS). I sistemi simbolici sono caratteristici della vita; altrettanto lo sono le istruzioni lineari digitali e l’informazione prescrittiva (Prescriptive Information, PI). I microRNA regolatori non codificanti, l’editing [ovvero la funzione correttiva, N.d.T]dell’mRNA, le correzioni post-traduttive, la metilazione del DNA e altri controlli epigenetici dimostrano l’esistenza di ulteriori innegabili formalismi.
5. La vita è in gran parte “calcolata” mediante l’elaborazione algoritmica della programmazione digitale lineare
Il termine “lineare” si riferisce ad una successione uni-dimensionale di caratteri rappresentativi di comando posti in sequenza. La più semplice programmazione informatica, per esempio, è guidata da una sequenza digitale lineare di questo tipo, costituita da istruzioni significative a scelta binaria rappresentate da un “1” o da uno “0”. La sequenza o sintassi di queste istruzioni, che dipendono da scelte contingenti, fornisce una gerarchia crescente di funzionalità computazionale.
“Digitale” significa che ogni unità è discreta e definita. Le scelte di programmazione obbediscono al principio logico del “terzo escluso”. I commutatori devono essere accesi o spenti. Non esiste una via di mezzo; vi è precisione e chiarezza in ogni istruzione scelta. Non esiste una zona grigia; ogni selezione è nera o bianca.
Sono stati proposti genomi tridimensionali negli studi teorici sulla proto-vita (ad esempio, geni cristallini [115] e “composomi” [7,116-118]). Nessuno di questi modelli, tuttavia, se l’è cavata bene nel corso del tempo. Tutta la vita conosciuta dipende dall’informazione prescrittiva digitale lineare e dalla programmazione cibernetica. Perfino la maggior parte dei fattori epigenetici riceve le istruzioni ed è “assemblata” attraverso meccanismi di trascrizione, correzione e traduzione.
Il posto per cominciare a comprendere il fenomeno della prescrizione digitale lineare è uno studio dei tre diversi tipi di complessità sequenziale [42,83,119]. La complessità lineare biologicamente funzionale appartiene al sottoinsieme della Complessità Sequenziale Funzionale (Functional Sequence Complexity, FSC), non della Complessità Sequenziale Ordinata (Ordered Sequence Complexity, OSC) o della Complessità Sequenziale Casuale (Random Sequence Complexity, RSC) [42]. La Complessità Sequenziale Funzionale (FSC) è una sequenza lineare di monomeri o unità composite che svolgono collettivamente qualche funzione non banale. L’evidenza empirica della formazione puramente spontanea di tali sequenze, soprattutto quando sono coinvolti più di 10 loci, è gravemente carente. Ordinariamente, la FSC ha origine in associazione con la PI come sistema simbolico materiale. La FSC è di solito una sequenza cibernetica lineare digitale di token che rappresentano le istruzioni sintattiche, semantiche e pragmatiche.
Ogni segno successivo nella sequenza è la rappresentazione di una selezione funzionale specifica ad un nodo decisionale. Ciò si può ottenere mediante la selezione di un token in un sistema simbolico materiale, oppure mediante l’impostazione di una serie di commutatori configurabili (per esempio “dip switch”). La FSC è una successione di scelte algoritmiche che conducono alla funzione. La selezione, la specificazione, o il significato di certe “scelte” in sequenze di FSC risulta solo da una selezione non casuale. Queste selezioni a nodi decisionali successivi non possono essere forzate dalla necessità deterministica di causa-effetto. Se lo fossero, quasi tutte le selezioni ai nodi decisionali sarebbero le stesse. Sarebbero altamente ordinate (OSC). Inoltre, le selezioni non possono essere casuali (RSC). Nessuno è mai riuscito a scrivere un programma sofisticato attraverso una serie di lanci di una moneta, assegnando il valore “1” alla testa e “0” alla croce.
La FSC può essere misurata in “Fits” [119-121]. La variazione della FSC può essere quantificata durante l’evoluzione sia degli acidi nucleici sia delle proteine [120]. L’informazione prescrittiva (PI) formale, che non è fisica, è spesso implementata (registrata) nella FSC, che è fisica. La sintassi delle selezioni dei token (nucleotidi), per esempio, funziona in modo analogo alla selezione della sintassi delle tessere nel gioco dello “Scarabeo” per scrivere le parole, se non fosse per il fatto che la sintassi dei nucleotidi fornisce dimensioni aggiuntive alla PI oltre alla direttiva digitale lineare, puramente rappresentativa, che utilizza simboli linguistici. Anche l’estesa attività di correzione post-trascrittiva e post-traduttiva aggiunge ulteriori dimensioni. Resta il fatto, comunque, che la vita dipende da istruzioni e meccanismi di controllo. Tali istruzioni (PI) sono implementate in gran parte in sequenze nucleotidiche (token). La vita dipende interamente da un sistema simbolico materiale formale. Sebbene i token (i nucleotidi) siano oggetti fisici (come i blocchetti dello “Scarabeo”), la loro fisicità non è un problema, almeno non quando si tratta della funzionalità della sintassi dei codoni. La tabella dei codoni è formale, non fisica.
La cibernetica genetica ha ispirato lo sviluppo dell’informatica da parte di Turing, von Neumann e Wiener [122-128]. La natura discreta dei geni, la loro ricchezza di risorse, e la natura digitale lineare della loro sequenza “su” cromosomi analoghi a un nastro di Turing sono tutte cose che erano state considerate e meditate a lungo prima che Watson e Crick pubblicassero nel 1953 i dettagli dell’esatta struttura chimica del DNA. Turing fu ispirato non solo dal lavoro di Gregor Mendel del 1866, ma anche dall’enfasi posta da Darwin nel 1859 sulla differenza tra genotipo e fenotipo. Turing ammirava la capacità di mutare del genotipo, in un certo senso indipendente dal fenotipo, che rendeva possibile l’evoluzione. Anche Church, che fu l’insegnante di Turing, ammirava questi aspetti della vita, tanto quanto apprezzava l’elaborazione formalmente algoritmica del genotipo, che di per sé rendeva possibile il controllo genetico dell’espressione fenotipica.
La cibernetica genomica ed epigenomica non può essere spiegata tramite modelli che diano metafisicamente per scontata l’autosufficienza delle interazioni di massa-energia e il caso e la necessità della sola fisico-dinamica.
I controlli algoritmici genetici e genomici sono fondamentalmente formali, non fisici. Come altri formalismi, possono essere sostanziati in un mezzo fisico di conservazione e trasmissione canalizzata utilizzando un sistema simbolico materiale o commutatori configurabili dinamicamente inerti.
David D’Onofrio [129], Donald Johnson [108], M.Conrad [130], Wang [131], Ramakrishnan e Bhalla [132], Yaakov Benenson [133,134] e molti altri hanno confrontato i sistemi cibernetici artificiali con la cibernetica della vita. Ramakrishnan e Bhalla affermano: “Proprio come i circuiti elettronici complessi sono costituiti da semplici porte logiche booleane, svariate funzioni biologiche, tra cui la trasduzione dei segnali, la differenziazione e la risposta allo stress, spesso usano commutatori biochimici come modulo funzionale.” [132]
In senso vago, si afferma che i “bit” d’informazione nei programmi informatici rappresentano specifici compiti integrati di scelta binaria, svolti intenzionalmente in una successione di nodi decisionali algoritmici. Tecnicamente, un processo algoritmico del genere non può essere misurato in alcun modo mediante bit (–log2 P), se non nel senso dell’ingegneria delle trasmissioni. Shannon [135,136] era interessato allo spazio dei segnali, non a messaggi particolari. La matematica di Shannon si occupa solo di combinazioni probabilistiche medie; la FSC richiede la specificazione di quali sequenze siano impegnate nello svolgimento di una determinata funzione.
I bit in un programma informatico misurano solo il numero di possibilità di scelta binaria; essi non misurano né indicano quali specifiche scelte vengono fatte. Elencare le scelte specifiche funzionanti è l’essenza stessa dell’acquisizione di informazioni (in senso intuitivo). Quando acquistiamo un programma informatico, paghiamo le sequenze dei compiti integrati specifici di scelta ai nodi decisionali che ci aspettiamo lavorino per noi. L’essenza delle istruzioni è l’elencazione della sequenza di scelte particolari. Questa necessità definisce il vero obiettivo dei progetti di analisi del genoma.
La vita dipende da algoritmi genetici oggettivi letterali. Gli algoritmi sono processi o procedure che producono un certo risultato richiesto, che si tratti di un calcolo o dei prodotti di vie biochimiche. Processi o procedure dipendono da sequenze di scelte nei nodi decisionali che sono tutt’altro che casuali; per di più, esse non sono “auto-ordinate” da una necessità ridondante di causa-effetto. Ogni successivo nucleotide è un’“impostazione di commutazione” quaternaria. Molte selezioni nucleotidiche nella sequenza non sono critiche; ma quelle “impostazioni di commutazione” che determinano un certo ripiegamento delle proteine sono, in particolare, altamente “significative”. Successioni di commutatori impostate in modo funzionale sono prodotte solo da una pressione selettiva non forzata. Nei processi vitali vi è un aspetto cibernetico che è l’analogo diretto di quello della programmazione informatica. Si dovrebbe porgere maggiore attenzione alla realtà e ai meccanismi di selezione degli algoritmi biologici a livello di nodo decisionale, che è il livello del legame covalente nella struttura primaria. La selezione ambientale si verifica a livello dell’arresto post-computazionale: viene selezionato il fenotipo più adatto precedentemente elaborato.
6. La vita riceve istruzioni ed è controllata dall’informazione prescrittiva (PI)
L’informazione prescrittiva (PI) è un sottoinsieme dell’informazione intuitiva o semantica (dotata di significato). L’informazione semantica trasmette messaggi significativi e funzionali da una sorgente a una destinazione (semiosi). “Significativo” implica che il messaggio può essere compreso e messo in atto da un agente ricevitore situato nella destinazione, in fondo a un canale di Shannon.
Adami giustamente sostiene che l’informazione deve sempre riguardare qualcosa [137]. L’“intenzionalità [aboutness, N.d.T.]” è un oggetto di dibattito comune quando si cerca di spiegare cosa rende intuitiva l’informazione [138,139].
Tuttavia, l’intenzionalità è sempre astratta, concettuale e formale; gli sforzi compiuti per definirla in termini puramente fisici hanno frustrato i bio-informatici per decenni [31-34]. La difficoltà di definire e comprendere l’informazione semantica è particolarmente acuta nella genetica [108,140]. Oyama indica i molti problemi sorti nel tentativo di mettere in relazione l’informazione semantica con la biologia cellulare [141]. Alcuni ricercatori cercano di negare che i geni contengano informazioni significative e vere istruzioni [142-149]. I loro argomenti mettono a dura prova la loro credibilità.
L’informazione semantica, intuitiva, si definisce in biologia informazione funzionale (Functional Information, FI) [150-152]. La FI ha tecnicamente due sottoinsiemi: descrittiva (DI) e prescrittiva (PI) [79]. Purtroppo, molti teorici dell’informazione semantica commettono l’errore di pensare all’informazione funzionale esclusivamente in termini di epistemologia umana, e in particolare di descrizione (DI). Ciò in effetti limita il significato di “funzione”. La DI offre agli esseri umani una valida conoscenza di senso comune circa il modo in cui le cose già sono. Si può affermare che la stessa esistenza rappresenti una forma di funzione. Questo sottoinsieme dell’informazione intuitiva e semantica, tuttavia, sebbene altamente funzionale, è molto limitata e grossolanamente inadeguata per affrontare molte forme di istruzione e controllo.
L’informazione prescrittiva (PI) fa molto di più che descrivere. Solo la PI procura l’informazione su “come fare”. La PI istruisce, guida e controlla. Possiamo descrivere accuratamente una nuova Mercedes, fornendo nel processo una gran quantità di DI. Questa DI funzionale, tuttavia, non ci direbbe quasi nulla su come progettare e realizzare quella Mercedes. Il termine “informazione funzionale”, così come è usato nella letteratura biologica naturalistica peer-reviewed dal premio Nobel Jack Szostak et al. nel 2003 [150-152], può essere un descrittore del tutto inadeguato dell’informazione su “come fare”, se mancano le istruzioni necessarie per organizzare e programmare operazioni utili sofisticate. La funzione formale potenziale deve essere disposta in anticipo dall’informazione prescrittiva (PI) tramite la programmazione dei nodi decisionali, non semplicemente descritta a fatto compiuto. Come suggerisce il nome, la PI concepisce e prescrive in modo specifico le operazioni utili.
La PI programma il successo computazionale in anticipo rispetto all’arresto. Se è vero che l’arresto deve essere verificato empiricamente (problema dell’arresto [122,153]), il successo computazionale deve pur sempre essere prescritto prima della sua realizzazione. La pressione selettiva non può farlo (principio GS; vedere la Sezione 12). La PI ci dice quali sono le scelte da fare, oppure registra scelte sagge già fatte [104]. Quando installiamo del software sul nostro computer, stiamo installando PI. Eppure la PI non è limitata alle sole istruzioni; essa può anche generare indirettamente successo computazionale non banale e funzione cibernetica congiuntamente all’elaborazione algoritmica esterna. La PI può essere contenuta nel flusso di dati e nelle istruzioni di elaborazione.
La PI può svolgere “lavoro formale, non fisico”; essa scaturisce da opportuni compiti di scelta fatti in corrispondenza di concreti nodi decisionali. La PI che produce lavoro formale, poi, può essere sostanziata nella realtà materiale per convogliare lavoro fisico dal lavoro formale non fisico [85,88].
La programmazione cibernetica è solo una delle tante forme di PI. Lo stesso linguaggio ordinario, i vari sistemi simbolici per la comunicazione, la logica, la matematica, le regole di ogni genere, e tutti i tipi di algoritmi di controllo e di calcolo sono forme di PI.
L’evidenza empirica che la PI possa nascere spontaneamente dalla natura inanimata è gravemente carente [107.154]. Né il caso né la necessità hanno dimostrato di generare PI non banale [41,42,85,92,104,106,107,154-156]. È la contingenza di scelta, non la contingenza casuale o la legge, a determinare una funzione non banale. La contingenza di scelta è una forma di determinismo. Il determinismo non si limita alla fisico-dinamica; la contingenza di scelta, quando è sostanziata nella realtà materiale, può diventare una vera causa di effetti fisici.
La selezione di particolari sequenze di simboli (sintassi) deve seguire regole arbitrarie imposte. Soltanto quando queste regole sono seguite sia da chi trasmette, sia da chi riceve, un messaggio significativo/funzionale può essere inviato con successo alla sua destinazione (semiosi) [108]. Un messaggio senza senso (ciò che è di per sé un’espressione auto-contraddittoria, priva di significato) non porterebbe a termine alcun obiettivo e non fornirebbe alcuna funzionalità. Non si qualificherebbe perciò, per definizione, come un “messaggio”; in effetti non sarebbe niente altro che un segnale. I segnali non sono necessariamente messaggi: il segnale di una pulsar che si ripete costantemente non è un messaggio significativo, e quindi non è per niente un messaggio. Eppure il segnale di una pulsar è altamente ordinato e strutturato.
I non specialisti in biocibernetica e biosemiotica commettono comunemente l’errore di provare a definire i messaggi in termini di “ordine” o “struttura”. Le strutture prodotte nella sabbia dall’azione delle onde del mare, per esempio, non trasmettono alcun messaggio significativo e non implicano alcuna programmazione cibernetica. Né l’ordine né la struttura sono la chiave del significato, della regolazione, del controllo o della funzione; invece la selezione della funzione potenziale ai concreti nodi decisionali e alle porte logiche lo è. Per calcolare e organizzare il metabolismo e la vita è necessario ricorrere a una PI più concettualmente complessa di quanta ne occorra per generare i nostri sistemi informatici più avanzati. La vita è il più sofisticato di tutti i meta-sistemi integrati.
La PI è molto più dell’informazione semantica intuitiva. La PI richiede anticipazione, “scelta intenzionale”, e la ricerca diligente della “causa finale” di Aristotele nella successione degli effettivi nodi decisionali. La PI istruisce o produce direttamente funzione formale in corrispondenza della destinazione attraverso l’uso di controlli, non semplici vincoli [85,86]. Ancora una volta, o la PI ci dice quali sono le scelte da fare, o registra scelte sagge fatte in precedenza.
[La Parte II (paragrafi 7-16), sarà pubblicata prossimamente]
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20 commenti
Ringrazio CS per questa iniziativa di selezionare e tradurre articoli di altissimo livello come questo, che ogni persona interessata alla biologia dovrebbe secondo me poter leggere. In particolare ringrazio il prof. Forastiere per una traduzione che, anche per il suo gergo multidisciplinare (in particolare informatico, che è la cosa che più interessa a me), non deve essere stata facile.
Mi ha colpito la distinzione tra vincoli e controlli: i primi possono essere di carattere fisico (oltre che anche prescrittivo, come per esempio i vincoli giuridici nei contratti tra imprese), i secondi invece, che sono quelli che caratterizzano il fenomeno della vita nei suoi metabolismi (e che, per quanto fa parte del mio lavoro, sono presenti in tutti i programmi informatici) sono sempre e solo prescrittivi, sono inseriti nei nodi decisionali del programma (if … then… else), e sono sempre formali perché interpretabili solo da un altro linguaggio di simboli che li dirige al fine di conservare e duplicare la vita! Mi piacerebbe sapere da Forastiere, e dagli altri lettori, che cosa ne pensano. Qui non si può parlare di processo per tentativi ed errori, perché un programma non sta in piedi da solo, è una successione di simboli (per gli informatici 0 e 1, per il Dna A,T,C,G) che hanno senso non in quanto molecole nucleotidiche (o 0 ed 1 per gli informatici), ma soltanto in quanto “simboli” interpretabili da un superiore linguaggio (il metalinguaggio in informatica), che a sua volta viene interpretato da un altro linguaggio, ecc., fino alla sua esecuzione finale “fisica” ordinata, in tutta la rete cellulare. Incredibile.
Sono ansiosa di leggere la seconda parte!
Effettivamente il campo della protobiocibernetica, che Abel ha cominciato a esplorare, è per me del tutto nuovo e affascinante. Devo aggiungere che questo approccio allo studio del fenomeno Vita mi è apparso – allo stesso tempo – in un certo senso anche stranamente familiare. Esso ripropone, infatti, in ambito biochimico l’eterno problema del rapporto sintassi-semantica, che non è difficile incontrare in campi della conoscenza che coinvolgono le fondamenta stesse della Realtà (come lo studio della relazione causale mente-cervello).
Un cordiale saluto
Dopo quanto letto temo nel fare un qualsiasi commento perche’ ne risulterebbe sicuramente banale.
Mi permetto solo di citare il filosofo Gadamer per il quale “vivere e’ interpretare”.
La vita, quindi, sarebbe interpretazione di un linguaggio simbolico definito dalla vita stessa con lo scopo di perpetuarsi ed evolvere.
La parola che si fa vita e la vita che si fa parola…
Grazie per l’opportunita’ che mi avete dato di leggere quest’articolo.
Mi associo anch’io a Nadia e Amedeo nel ringraziare Michele Forastiere che con il suo lavoro ha reso possibile far conoscere questo articolo in lingua italiana e di aver permesso che CS si arricchisse di autori di livello internazionale.
Le basi gettate in questa prima parte sono impegnative, per questo si è pensato di suddividere l’articolo in due parti.
La questione sollevata è di non poco conto, la complessità del linguaggio genetico e del fenomeno “vita” appare confermarsi al di là delle possibilità esplicative del meccanismo per caso e selezione.
Le traslazioni DNA → RNA → aminoacidi pongono il problema della loro esistenza simbolica. Alcuni milioni di ribosomi leggono le molecole di mRNA e le trascrivono in aminoacidi secondo le regole d’una (seconda) traduzione, quelle della tabella codonica; gli aminoacidi poi vengono agganciati nella costituenda proteina. Il nocciolo del problema è “formale” prima che chimico: poiché non esiste un nesso fisico tra la sequenza nucleotidica programmata e la sequenza aminoacida funzionale, come si possono scientificamente spiegare il simbolismo e la circolarità della catena chiusa (DNA → RNA → proteine → DNA) di corrispondenze e trascrizioni? Le cause materiali ed efficienti del metodo scientifico non hanno la capacità di concettualizzare un sistema chiuso, che impiega diversi livelli collegati di rappresentazione simbolica. IL SIMBOLO VA POSTULATO NEL METODO SCIENTIFICO. Punto.
Abel mette bene in evidenza l’impossibilità di spiegare la vita in uno schema puramente materialistico. Perché? perché la vita è anche “forma”, come fin da Aristotele si è capito e di recente Nagel ha comunicato ai quattro venti.
Anche la materia inanimata è “forma”, ma la fisica come fa a mantenersi in ambito scientifico evitando il finalismo? LA FISICA PRE-ASSUME IL SIMBOLO, assume la pre-esistenza di “leggi”, di “Lagrangiane”, come sono quelle per i 4 campi fondamentali. Le trasformazioni del mondo inanimato diventano così conseguenze euleriane delle informazioni prescrittive formali lagrangiane! E da dove derivano le lagrangiane? Qui la fisica si ferma…, e per chi vuole comincia la meta-fisica.
La biologia evolutiva darwinistica invece pretende di negare a priori il simbolo nella vita (cioè un’evidenza! In fondo per l’esistenza del genoma, e di un meta-linguaggio interpretativo del genoma, e di organelli esecutori, non abbiamo dovuto aspettare Crick e Watson, c’erano già arrivati gli antichi stoici per via puramente razionale) e quindi … rimane col nudo “caso”, col gioco del meccano cieco, che però non ha nulla a che fare con la scienza. Il darwinismo è un corto circuito che va direttamente dal fenomeno vita alla metafisica democritea.
Naturalmente, non mi aspetto nessun contro-intervento sull’argomento dai nostri lettori darwinisti, ma al massimo i soliti OT…
e quali sarebbero i tuoi lettori darwinisti,masiero?
sono tutti sciocchi che negano l’evidenza,no?
a quanto pare qui la verita’ ce l’hanno in tasca pennetta e masiero.con loro non si puo’ discutere : o si offendono o ti danno del cretino.
sono gia’ successe queste cose masiero,studia un po’ di storia.
e fatti un bagno di umilta’ che a uno scienziato non guasta mai.
Premetto che questo è ancora un intervento che pubblico bloccando contestualmente l’account.
Questi toni non possono essere tollerati da chi viene ad essere accolto come ospite in un luogo, sia pur virtuale, come un sito web.
Contesto fermamente l’affermazione che non si possa discutere (non parlo per me, giudichino gli altri) con il prof. Masiero, che egli ha sempre dimostrato disponibilità fino a repliche fiume in post con oltre 160 interventi.
Ripeto:
ancora un intervento che non critica singole affermazioni ma compie un attacco ad personam.
Un clima deteriorato che interpreto come un’incapacità di fronteggiare i nostri argomenti e una sofferenza per gli effetti prodotti dagli stessi.
Il prof. Masiero ha previsto giusto: ad un articolo di tale portata, pubblicato in riviste internazionali e tradotto in italiano da CS, “nessun contro-intervento dai lettori darwinisti, al massimo OT” chiassosi, di gente che considera la scienza alla stregua di un talk show politico.
Io l’articolo lo sto ancora studiando, tanto e’ profondo e nuovo per me. Se avro’ qualcosa da dire, interverro’, altrimenti tacero’.
In ogni caso, grazie prof. Forastiere e grazie prof. Pennetta.
PS. A chi critica il prof. Pennetta perche’ non fa ricerca scientifica in laboratorio e non ne scrive, vorrei chiedere: vi pare da meno amministrare un sito come questo dove vengono messe a disposizione in lingua italiana le traduzioni di articoli scientifici apparsi in inglese sulle piu’ importanti riviste scientifiche internazionali? c’e’ qualcun altro che fa qualcosa di simile in Italia, per giunta gratuitamente? ci si rende conto dell’utilita’ pubblica di un simile impegno per la diffusione della cultura e dell’autentica scienza in Italia?
Per la verità, Wil, va aggiunto che la “ricerca scientifica” non si fa solo in laboratorio, ma anche a livello teorico, di speculazione e modellizzazione (sui dati raccolti dagli sperimentali), e a livello epistemologico (di critica, confronto di testi, ermeneutica, logica e di nesso con la società civile).
Ebbene, a me pare, che sotto questo aspetto la rivista del prof. Pennetta, ed in particolare i suoi articoli, nonché i suoi libri, tutta la sua attività insomma (anche senza considerare quella didattica) ne facciano un uomo di scienza ed un ricercatore della verità.
Del resto, gli ideologi del darwinismo dai nomi altisonanti sono mai entrati in un laboratorio? hanno mai prodotto qualche applicazione per l’industria o un progetto finanziato dal venture capital?! non hanno (al massimo) cattedre pubbliche di “filosofia di questo” o di “filosofia di quell’altro”, piuttosto che cattedre in questa o quell’altra scienza sperimentale moderna?
Come si sa, le università sono sorte nei “secoli bui” del Medio Evo, all’ombra di monasteri e cattedrali: a partire dall’XI secolo con Bologna, Parigi, Oxford, ecc. Allora non erano certo istituzioni statali, finanziate con denaro pubblico e gestite dalla burocrazia autoreferenziale come adesso; allora erano comunità di studenti e professori, dove i primi “arruolavano” i secondi. A Bologna il rettore era uno studente (eletto dagli studenti paganti) che teneva un “rutulus” (da cui poi il burocratico “ruolo”) in cui gli studenti giudicavano i professori più bravi e, in base a ciò, stabilivano compensi e premi per loro.
In una tale “Universitas studiorum” (letteralmente il latino significa: “comunità di appassionati della verità tutti diretti verso la stessa direzione”) mi piacerebbe sapere quale giudizio gli studenti del prof. Pennetta gli assegnerebbero nel “rutulus”…
Mi sembra doveroso e giusto, piuttosto, ringraziare – oltre a tutti i nostri affezionati lettori – i destinatari della “Dedica” che Abel ha posto in premessa all’antologia “The First Gene”:
“Questa antologia è dedicata
a tutti coloro che sfidano i Solchi del Paradigma Kuhniano
e che rischiano la carriera e la reputazione
osando esprimere scetticismo
nei confronti di teorie dogmaticamente assunte come fatti scientifici
da una maggioranza e da una gerarchia totalmente arroccate,
ma che sono di fatto infalsificabili,
sono completamente prive di sostegno empirico,
mancano di una singola predizione verificata,
e sono insostenibili anche dal punto di vista logico.”
Caspita, Michele! Questa “dedica” di Abel è per noi sottoscrivibile lettera per lettera: non accusarmi di orgoglio se, nei due ultimi lavori sul darwinismo che abbiamo scritto insieme tu ed io, pubblicati in una rivista peer per view (ed uno dei quali anche in TA), abbiamo affermato e “dimostrato” con altri argomenti tutte le stesse identiche critiche al darwinismo. Bello. Molto bello.
Penso che anche Enzo sarà lieto di questa dedica abeliana, e se la stamperà da qualche parte!
Facciamo una targa, Enzo?
* correggo: il secondo articolo è stato fatto a 3 paia di mani, anche col contributo fondamentale del dott. Alessandro Giuliani.
Hai ragione Giorgio,
ci vorrebbe davvero una bella targa da appendere fuori di alcune facoltà, una specie di avviso agli studenti!
Questa dedica mi ha veramente colpito quando l’ho letta, e certamente potrebbe essere anche una dedica a chi come noi opera per liberare la scienza da questo, e da ogni altro, “-ismo” che già nella desinenza si colloca tra le ideologie.
Per dovere di cronaca riporto il comento di PZ Myers, apparso su Pharyngula, in cui si taccia Abel di creazionismo/Intelligent Design etc e dove questo stesso articolo viene definito “more bad science in the literature”.
Come potrete vedere le accuse sono “fondatissime e solidissime”, basti dire che il capo d’accusa principale è l’ipotesi che il Dipartimento di protobiocibernetica sia o meno locato nel bagno della casa di Abel… 😀
Il link, ovviamente: http://freethoughtblogs.com/pharyngula/2012/02/02/more-bad-science-in-the-literature/
Evidentemente si assomigliano in tutto il mondo: non avendo nulla da ribattere sul piano scientifico, questi narratori di storie evitano di entrare nel merito e si attaccano… al tram.
Roba da non credersi!
Su Pharyngula si fa un attacco ad personam della peggior specie, si prende in giro la sede del dipartimento di biocibernetica perché non è “maestosa”, come se non si trattasse di una disciplina che ha solo bisogno di computer e dati da elaborare che non occupano certamente grandi spazi.
Ma bisogna capire, la critica viene da chi è abituato a vedere grandi sovvenzioni e sontuose camere d’albergo per le sue conferenze.
PZ Myers è davvero caduto in basso.
E pensare che Paharyngula è considerato da Nature il migliore blog scientifico del mondo:
http://www.nature.com/nature/journal/v442/n7098/full/442009a.html
E anche i commenti degli utenti sono tutti dello stesso tipo: nè Myers né gli utenti hanno criticato la sostanza delle affermazioni di Abel, solo accuse generiche, disquisizioni su cosa e dove abbia pubblicato.
Se Pharyngula è il miglior blog scientifico del mondo, permettetemi di dirlo, qui come capacità di stare sugli argomenti e non sugli attacchi ad personam siamo su un altro pianeta.
Quello che dà da pensare è il fatto che Myers, quando afferma “is write impenetrably glib papers full of pretentious acronyms”, sembra (ma magari sbaglio eh) non capire ciò che legge, bollando automaticamente il tutto come fesseria.
Forse non sarà così, però allora avrebbe potuto e dovuto mostrare e smontare almeno un caso concreto. L’Ipse Dixit è da qualche secolo che ce lo siamo lasciati alle spalle…
Fine del Semi-OT.
Penetrante osservazione, Jacques: quella di Myers è una confessione d’ignoranza e mancata comprensione. Né poteva essere altrimenti col suo bagaglio culturale di polemista antireligioso alla Dawkins e zero cibernetica.
Sì, nota che tra l’altro subito dopo accusa Abel di non capirci di biologia. Senza ovviamente spiegare il perchè… Che soggetto! 😀