Una condanna nello stile della peggiore tradizione totalitaria ha trovato spazio sulle colonne del Corriere della Sera.
Chi contesta la teoria dell’AGW non ha diritto di esprimersi.
Ci manca solo la richiesta di metterlo nei Gulag.
E’ davvero impressionante la veemenza con cui si scaglia contro i contestatori dell’origine umana del riscaldamento globale l’articolo “Google sotto accusa per i finanziamenti ai negazionisti del cambiamento climatico” , pubblicato l’11 luglio sul Corriere della Sera. Già dal titolo si accappona la pelle, finanziare chi con argomenti scientifici alimenta un dibattito su una teoria scientifica è condannato senza processo e senza possibilità di difesa con l’infamante appellativo di “negazionista“, un termine insostenibilmente pesante che colloca chi ne viene marchiato tra gli esseri più abietti dell’umanità.
E dello stesso tenore è l’inizio dell’articolo:
Google finanzia i negazionisti del cambiamento climatico. L’azienda di Mountain View ospita oggi un evento di fundraising in favore del senatore Jim Inhofe, il più accanito tra i detrattori del cambiamento climatico al Congresso americano, che da anni fa campagna per convincere il pubblico a non credere alla comunità scientifica.
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E così neanche un rappresentante del popolo democraticamente eletto, un senatore del congresso USA, dovrebbe avere accesso ad una comune pratica di finanziamento, il “fundraising“, perché la sua battaglia non ha la dignità di quelle lecite, o peggio viene dichiarata un’opera criminale e che quindi non può avvalersi degli strumenti della società civile.
Chiunque dovrebbe avere il diritto di sostenere una tesi, questa dovrebbe essere l’essenza della democrazia, e chiunque dovrebbe avere il diritto di contestare una teoria scientifica presentando argomentazioni e dati a sfavore, perché questa è l’essenza del metodo scientifico.
E quindi antidemocratici e antiscientifici sono gli argomenti sostenuti nell’articolo in questione:
Membro di spicco della Commissione Ambiente e Lavori Pubblici del Senato, le sue posizioni e le sue dichiarazioni radicali e reazionarie (come, per esempio, paragonare l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente degli Stati Uniti alla Gestapo) sono ben note, e contribuiscono alla campagna di contro-informazione rispetto ai dati e alle conclusioni condivise dalla quasi totalità della comunità scientifica mondiale.
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Quindi per l’autrice dell’articolo un “Membro di spicco della Commissione Ambiente e Lavori Pubblici del Senato” non ha il diritto di cercare fondi per le sue campagne, la democrazia vale solo se si dice quello che sta bene alla parte “politically correct”, altrimenti i diritti sono sospesi. Per non parlare poi del valore da attribuire al “consenso” (vedi qui e qui)
E anche le associazioni sono divise in “buoni e cattivi”, infatti Google viene accusata di aver donato la cifra di 50.000 $ ad un istituto anch’esso reo di contestare la causa antropica del riscaldamento globale:
Il mese scorso l’azienda ha donato 50mila dollari al Competitive Enterprise Institute, la CEI, un’organizzazione ultra-conservatrice che ha promosso varie azioni legali per tentare di screditare la scienza del cambiamento climatico, accusando gli scienziati di frode e sollecitando le università a svelare la corrispondenza privata tra scienziati del clima e giornalisti.
L’organizzazione è fortemente spinta dalla multinazionale Koch, nata nel 1940 come Wood River Oil and Refining Co, un impero il cui motore principale è il petrolio…
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All’autrice non la si fa… ha beccato il Competitive Enterprise Institute con le mani nella marmellata, è finanziata dalla multinazinale Koch quindi i suoi argomenti sono falsi e non c’è neanche bisogno di parlarne. Non dice però che l’attività principale di tale istituto non è occuparsi del clima ma di sostenere un modello economico liberista e che quindi, che abbia torto o ragione, si pone palesemente come ideologicamente schierato.
Ma mentre il Competitive Enterprise Institute viene segnato tra i “cattivi” un analogo ente, il Forecast the Facts che evidentemente sostiene idee care a chi scrive, viene segnato tra i “buoni“:
Il supporto di Google ai negazionisti del cambiamento climatico ha suscitato varie critiche, e gli attivisti hanno reagito, anche attraverso petizioni sul web, come quella lanciata dall’organizzazione Forecast the Fact («Prevedi i Fatti», le cui campagne si concentrano sulla diffusione dei fatti scientifici che riguardano il cambiamento climatico)…
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E allora questo ente “buono” da chi sarà sovvenzionato? Inutile cercarlo sul sito ufficiale dove alla voce “ABOUT FORECAST THE FACTS” che avrebbe dovuto chiamarsi “Around Forecast the facts”, nel senso che si gira intorno alla questione senza mai dire chi sia che paga le spese.
Ma a rompere le classiche uova nel paniere ci pensa un sito, Watts Up With That?, che con un’intelligente indagine scopre che il finanziatore di Forecast The Facts ha costruito una bella struttura a scatole cinesi per nascondersi e non far capire di essere lui a tirare le fila.
Nell’articolo “Forecastthefacts.org – Political Activists Gagging Our TV Meteorologists on Climate Issues” viene infatti ricostruita la catena di società che si trova dietro a Forecast the Facts, e sorpresa… si scopre che il sito che dà la voce a chi ha a cuore solo la verità e la scienza contro gli interessi economici, il sito dei “buoni”, è finanziato nientemeno che da… GEORGE SOROS! Questa sarebbe stata la vera notizia.
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A questo punto all’indagine svolta da WUWT aggiungiamo un ulteriore capitolo.
Nello Screenshot riportato nell’articolo si vedono gli altri siti ospitati sullo stesso server di Forecast the Facts:
L’operazione ripetuta l’11 luglio 2013 ha invece prodotto un risultato ben diverso:
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Dopo che WUWT aveva rivelato le connessioni con siti tutt’altro che neutrali si è provveduto a “ripulire” l’IP e ad ad eliminare le tracce dei collegamenti scomodi, un’iniziativa che è difficile non leggere come la manovra difensiva di chi si è sentito scoperto.
Peccato che sulla grande stampa non si faccia più giornalismo d’inchiesta ma propaganda. E che si tratti di una propaganda intollerante volta a criminalizzare il dissenso.
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