L’evoluzione è fuori orario, anzi no...
Basta spostare le lancette quanto basta e tutto torna a posto.
Il 14 marzo scorso su CS nell’articolo intitolato “L’evoluzione fuori orario – i tempi dell’evoluzione creano problemi alla teoria” si era parlato della discrepanza tra la datazione ottenuta mediante i tassi di mutazione genetica stimati e quelli effettivamente riscontrati nella realtà.
In poche parole la velocità di mutazione stimata accordando i dati disponibili sul DNA con le datazioni ottenute con altri criteri si è rivelata incompatibile con la velocità di mutazione effettivamente misurata. Dall’articolo precedente riprendiamo:
L’orologio molecolare sottoposto a verifica sperimentale non ha dunque confermato l’accordo tra i tempi previsti dalla teoria neodarwiniana e quelli testimoniati dai reperti fossili.
Il tempo evolutivo basato sulle mutazioni casuali (come previsto dalla sintesi moderna) allontana quindi nel tempo, gli eventi evolutivi (ad esempio la divergenza evolutiva tra noi e i Neanderthal si sposta dai 350.000 anni a 500.000) rendendo irrealistica l’ipotesi che l’evoluzione sia un processo avvenuto secondo il meccanismo di accumulo di mutazioni nei tempi testimoniati dai fossili.
Sul numero di Le Scienze di Giugno sembra che questa discrepanza sia stata superata, infatti troviamo un articolo firmato, come il precedente, dal prof. Giorgio Manzi e intitolato “L’ora esatta della nostra evoluzione“. Nell’articolo si fa proprio riferimento a quello precedentemente apparso su Le Scienze, e di cui si è parlato su CS, e si annuncia con un sotto titolo: “Rimesse a posto le lancette dell’orologio molecolare grazie al DNA mitocondriale“.
Bene, siamo contenti che tutto sia a posto, ma andiamo a vedere cosa è successo direttamente da quanto scritto su Le Scienze:
In un bel lavoro, pubblicato recentemente su “Current Biology” da un gruppo internazionale (in cui l’Italia è ben rappresentata), sono state usate sequenze di DNA mitocondriale estratte da dieci resti umani di interesse archeologico-preistorico compresi fra il presente e 40.000 anni fa…. Ne è risultato che il nostro orologio produce tempi di divergenza mitocondriali che sono in accordo con le stime precedenti e non con quelle ottenute dalle calibrazioni de novo.
A parte il fatto che sarebbe stato opportuno indicare chiaramente il nome dello studio a cui ci si riferisce, quello che ci viene detto con un ragionamento circolare è che il tasso di mutazioni del DNA dei reperti stimati con i metodi tradizionali sono in accordo con la calibrazione ottenuta presupponendo corretta la datazione tradizionale. In poche parole il tasso di mutazioni del DNA verificato “de novo” continua a non concordare con quello calcolato sulla base della datazione dei fossili. Ma basta non tenerne conto.
Infatti se datiamo i fossili con il vecchio (ed errato tasso di mutazione) l’accordo torna ad esserci.
E’ questa la risposta della scienza evoluzionistica al problema della discrepanza tra i tempi realmente misurati di mutazione e quelli stimati in base alle datazioni dei fossili?
Un tale modo di procedere sembra troppo un voler mettere delle deboli toppe su uno squarcio pericoloso prima che qualcuno si accorga che nella ricostruzione dell’evoluzione qualcosa non torna.
Come avrebbe detto Hegel “Tanto peggio per i fatti se non si accordano con la teoria“.
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2 commenti
Lo studio, Enzo, si trova qui: http://www.cell.com/current-biology/abstract/S0960-9822(13)00215-7 e a me pare un lavoro “di ricerca” serio. Il problema nasce a livello di divulgazione (come nel 99% dei casi), quando si fa passare per risultato scientifico “consolidato” quello che invece è un tassello in progress di un mosaico che deve ancora essere costruito nel suo pieno significato. Un significato cmq che, anche se confermasse infine le datazioni ora più in voga, non aggiungerebbe un cent al darwinismo, perché il darwinismo non è per definizione in grado di predire nessun tempo di evoluzione interspecifica.
La predizione dei tempi di evoluzione ricavata nello studio 1) per estrapolazione dalle velocità 2) non misurate direttamente, ma inferite da modelli matematici su 3) un campione limitatissimo di fossili disponibili è un lavoro utile, ma che necessariamente non è conclusivo. Mentre, al solito, il divulgatore non riesce a nascondere il suo pregiudizio ed il suo respiro di sollievo per il risultato “conservativo” (ma uno scienziato non dovrebbe sperare nella sua vita di trovarsi di fronte ad una scoperta rivoluzionaria che sconvolge tutti i paradigmi precedenti? Non dovrebbe essere questa la sua massima speranza?!) con aggettivi del tipo “bel lavoro”, “gruppo internazionale”, “Italia ben rappresentata”, ecc., che nulla hanno a che fare con la scienza.
Grazie Giorgio, non ero riuscito ad individuare il lavoro citato.
Confermo che di fronte ad un fatto clamoroso(o il tasso di mutazioni è più lento oggi che in passato, e allora si dovrebbe capire perché, o le datazioni precedenti sono errate e allora vanno messi in discussione i metodi impiegati), i ricercatori e l’articolista di Le Scienze fanno finta di niente.
Non sia mai che si possa dare l’impressione che la “scienza” non abbia tutte le risposte sull’evoluzione…