Falsa/cattiva scienza 3: Il caso dell’E. Coli strumentalizzato contro l’agricoltura tradizionale

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«La contrapposizione tra prodotti biologici (per definizione buoni) e prodotti chimici (cattivi) non è basata su seri confronti ed evidenze scientifiche» lo sostiene Silvio Garattini, direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche ‘Mario Negri’, sul numero del settimanale Oggi in edicola mercoledì, prendendo spunto dal caso del batterio killer che ha mietuto vittime in Germania e in altri Paesi, scrive: «Forse non è una coincidenza o un caso che il prodotto fosse ‘biologico’».

Questo passaggio ripreso da un articolo pubblicato sul Corriere della Sera del 28 giugno 2011, spiace dirlo, ma è proprio un esempio di cattiva scienza.  So che le esperienze personali non sono un argomento scientifico, ma ho vissuto per lunghi periodi in una casa di campagna e ricordo bene i momenti in cui i campi venivano concimati con il letame degli allevamento di bovini (del resto era impossibile che il fatto passasse inavvertito!), ma nessuno in tanti anni ha mai avuto problemi di infezioni intestinali. Andando però oltre la limitata esperienza personale, sappiamo che per millenni i campi sono stati fertilizzati con il letame e non è noto che questo metodo comportasse delle conseguenze negative per le persone.

Uno  dei motivi per cui la concimazione non contamina gli alimenti è di facile comprensione, come anche il più sprovveduto potrà immaginare, la concimazione avviene prima della semina e quindi molto tempo prima che il raccolto maturi, nel frattempo i batteri saranno in gran parte morti per le condizioni ambientali sfavorevoli (l’E. coli ha il suo habitat nell’intestino) e quelli sopravvissuti saranno stati rimossi dalla superficie dei germogli dalle piogge o dagli irrigatori disposti per l’inaffiamento. Evidentemente in questa prospettiva i germogli di soia sono un’eccezione poiché, ammesso che il terreno sia stato concimato col letame, essi si raccolgono poco tempo dopo la semina e sono situati al livello del suolo. Si tratta quindi di un caso limite, e il buon senso insegna che i casi limite, in quanto tali, non vanno generalizzati.

Ma quello che invece non dovrebbe proprio sfuggire al direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche ‘Mario Negri’, è il fatto che il batterio di Escherichia coli “killer” mostra una strana resistenza sia verso gli ossidi di tellurio (un tempo usati come agenti antimicrobici) che una resistenza multipla verso gli antibiotici (vedi articolo su Nature http://www.nature.com/news/2011/110602/full/news.2011.345.html ). La resistenza multipla contro gli antibiotici è una resistenza sospetta che fa ritenere che questo ceppo batterico sia stato lungamente sottoposto all’azione di tutti quegli antibiotici che adesso risultano inefficaci. Ma le cose si complicano con le affermazioni riportate su Nature: «Ortaggi e legumi freschi sono ancora il primo sospettato, ma Flemming Scheutz, responsabile del Centro di collaborazione OMS per riferimento e ricerca sulla coli e Klebsiella a Copenaghen, suggerisce che i batteri non potrebbero aver avuto origine nella catena alimentare comunque. “Questo ceppo non è mai stato trovato in un animale, quindi è possibile che possa provenire da direttamente dall’ambiente in esseri umani”».

Si tratta quindi di un ceppo estraneo alla catena alimentare ma sottoposto comunque all’azione di antibiotici.

Questo fatto, al di là degli ulteriori interrogativi che solleva, fa spostare l’accusa sull’abuso di antibiotici, un abuso che viene spesso compiuto negli allevamenti. Quindi non sono in ogni caso i fertilizzanti naturali il problema, le cause della comparsa e della insolita capacità di sopravvivenza del batterio andrebbero cercate nella sua manipolazione, nell’uso indiscriminato e colpevole di sostanze farmaceutiche, questione che però non viene minimamente sfiorata dalla polemica.

L’articolo sul Corriere della Sera andrebbe quindi modificato da «Batterio killer, adesso finisce sotto accusa l’agricoltura biologica» a « Batterio killer, adesso finisce sotto accusa l’utilizzo indiscriminato di farmaci».

In conclusione si può però concordare con l’ultima dichiarazione riportata del Prof. Garattini, una frase che invita a non cadere in superficiali fenomeni di moda: «Ogni prodotto va valutato per i suoi contenuti e per la sua qualità non per la sua etichetta».

Su questo si può essere d’accordo.

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Laureato in Biologia e in Farmacia, docente di scienze naturali Nel 2011 ha pubblicato "Inchiesta sul darwinismo", nel 2016 "L'ultimo uomo" e nel 2020 "Il Quarto Dominio".

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